CARO EVAN HANSEN di Stephen Chbossky, 2021

CARO EVAN HANSEN di Stephen Chbossky, 2021

Evan Hansen, non è un ragazzo come tutti gli altri: è affetto da disturbo di ansia sociale e ha difficoltà a relazionarsi con i suoi coetanei. Ogni mattina scrive lettere a sé stesso come terapia suggerita dal suo psicologo. Un giorno, Connor, altro studente fuori di capoccia, appena conosciuto da Evan, gli ruba una lettera, che fa pensare ad una amicizia profonda tra i due. Connor si toglie la vita e questo innescherà una serie di equivoci che metterà Evan in rapporto con i genitori del ragazzo scomparso e con la di lui dolce sorellina. La bugia che dà origine a tutto non sarà, però, senza conseguenze…

 

Caro Evan Hansen è basato sull’omonimo musical di Broadway del 2015 che ha vinto ben sei Tony Awards, il massimo riconoscimento per le commedie musicali. Nell’adattamento cinematografico i produttori (uno dei quali padre di Ben Platt) hanno confermato come attori solo due dei talentuosi protagonisti, ovviamente, Ben Platt (Evan) e Colton Ryan (Connor), decisamente dei predestinati al successo: entrambi capaci di caratterizzare al meglio due personaggi complessi, due ragazzi che sanno recitare, cantare con voci emozionanti e ballare come acrobati. Del resto, il cinema di Stephen Chbosky non è nuovo alla narrazione di adolescenti problematici ed emotivi. Molti ricorderanno Charlie, il protagonista di Noi Siamo Infinito (2011), ottimo, riuscito progetto del quarantunenne regista di Pittsburgh, già autore del romanzo Il Ragazzo da Parete, da cui aveva tratto il film. Meriti non da poco vanno riconosciuti al co-autore della sceneggiatura, Steven Levenson, già librettista della versione andata in scena a Broadway , ai   musicisti Pasek & Paul, cui si deve la splendida (a volte necessariamente ripetitiva ) colonna sonora e la maggior parte delle canzoni ben interpretate e rese da tutti gli attori – incluse Julianne Moore (la mamma di Evan) e Amy Adams (la mamma di Connor). Riconosciuti i “credits”, aggiungo solo che la pellicola pur rientrando nel nutrito alveo letterario e cinematografico dei “giovani eroi perdenti” (da Gioventù Bruciata a Giovane Holden, da Tom Sawyer a Martin Eden a vostra scelta…) ha una sua ragion d’essere. Il regista, infatti, supera quello che poteva tradursi nella rivisitazione dell’’ennesimo dramma giovanile di un ragazzo straordinariamente sensibile e quindi escluso dai “fichi” della scuola, e sceglie un differente metro per realizzare un film che attingendo al musical (e non il contrario) incuriosisce, commuove e rende lievi anche momenti oggettivamente drammatici, grazie agli inserti musicali cantati che non tolgono ritmo e ,senza mai annoiare , aggiungono sapore ad un progetto nel complesso nuovo. Film che sarebbe giusto far vedere alle giovani generazioni incapsulate in cellulari e tic toc di varia natura, ma che può essere goduto anche da adulti non inclini al cinismo.

data di pubblicazione:17/10/2021








LES JEUNES AMANTS di Carine Tardieu, 2021

LES JEUNES AMANTS di Carine Tardieu, 2021

Shauna (Fanny Ardant) ancora splendida 70nne, vive la sua vita senza più porsi problemi sentimentali, ma inaspettati l’Amore e la Passione sono in agguato, incontra infatti un uomo di 45 anni, Pierre(Melvil Poupaud) affermato oncologo che aveva brevemente incrociato 15 anni prima che la desidera e l’ama con passione … La vita non smette mai di farci sorprese, e, per ogni bella sorpresa c’è però spesso un prezzo da pagare!…

 

Perché andare a vedere questo film si domanderà giustamente qualche spettatore che preferisce il mero “disimpegno”? Perché condividere le emozioni della vicenda narrata?

Superato l’immediato turbamento emotivo che la visione del film può generare, decantate le reazioni emotive “di pancia”, abbiamo più risposte razionali alla domanda iniziale … Perché, innanzitutto, non avremmo fatto una piega se la stessa storia avesse riguardato una bella e giovane donna 45nne che desidera ed ama un uomo 70nne con tutti gli aspetti fisici connessi con la sua età. Perché ogni tanto, si possono vedere anche film che rappresentano la Vita, e, nella Vita c’è l’Amore inaspettato a qualsiasi età, come c’è l’invecchiamento e … c’è anche la Malattia. Perché si tratta di un film che può sì molto commuovere e molto coinvolgere ma è ben diretto e magnificamente interpretato e perché infine ci tratteggia, al femminile, con delicatezza e con uno sguardo tenero e pudico, una bella figura di donna ricca di personalità e di sentimenti e molto autentica.

In questo suo 5° lungometraggio la quasi cinquantenne regista e sceneggiatrice francese ci racconta per l’appunto la storia di un colpo di fulmine reciproco, che tutto e tutti travolge, fra una donna di 70 anni, raffinata, libera, indipendente ed ancora bella ed un uomo di 45 anni felicemente sposato, padre di famiglia ed impegnato nella sua professione. La passione e la tenerezza esplodono quando e là dove nessuno se lo aspetta. L’autrice con la collaborazione di una splendida, brava ed intensa Fanny Ardant disegna sensibilmente la figura di una donna che fatica a credere e ad accettare, lei per prima, di poter vivere un Amore tanto bello e vero quanto quelli dei suoi primi batticuori ma con in più la consapevolezza del Tempo che fugge, l’esperienza, la sensibilità degli anni già vissuti che, se hanno molto segnato il fisico, hanno però di contro, molto arricchito l’anima. Lo sguardo della regista è tenero, imbarazzato e complice ed evita, al di là degli sviluppi della vicenda, tutti i possibili prevedibili clichè, per concentrarsi con delicatezza nel racconto di una passione senza tempo ed età, capace di superare tutte le resistenze, quelle della stessa protagonista per prima. La sceneggiatura equilibrata, unitamente ad un montaggio sapiente, dà al film un ritmo rapido e la regista dirige con mano attenta e non convenzionale governando il susseguirsi di situazioni senza mai soffermarcisi un secondo più del dovuto evitando intelligentemente di cadere nel banale melò. I dialoghi sono poi cesellati nella realtà. Un film d’autore supportato da un’ottima interpretazione. La Ardant recita con sensibilità e charme e con la sua bellezza ancora seducente di donna matura, confermando con la sua passione interpretativa tutto il suo talento. Accanto a lei Popaud regge il confronto ed è altrettanto bravo ed intenso quanto tormentato e credibile.

Un film francese che esplora i sentimenti e l’intimità come solo i francesi sanno fare. Una storia molto francese per eleganza, ma universale al tempo stesso, come universale è l’Amore a tutte le età.

Va anche detto però, ad essere onestamente un po’ maliziosi ed ipercritici … che, per quanto sia stata abilmente resa e costruita la “sospensione dell’incredulità”, si potrebbe anche legittimamente ravvisare nel tutto una bella strizzatina d’occhio ad un certo pubblico femminile agée e che si sia scientemente calcata un po’ la mano con gli eventi negativi che mettono alla prova un Amore già di per sé di certo non facile.

data di pubblicazione:16/10/2021








L’ARMINUTA di Giuseppe Boniti, 2021

L’ARMINUTA di Giuseppe Boniti, 2021

“Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere”. È l’estate del 1975: una tredicenne viene lasciata dal padre, senza troppe spiegazioni, in un casale al centro di una campagna brulla, ed affidata ad una famiglia di contadini che scoprirà essere i suoi genitori biologici. La coppia, fortemente indigente e con una nutrita prole, aveva ceduto la ragazzina a soli sei mesi di vita ad una coppia di cugini benestanti che non potevano avere figli e che, sino a quel momento, l’avevano cresciuta come fosse la loro bambina, in una bella casa in città, lontana da quella povertà rurale dell’entroterra abruzzese.

  

La giovane adolescente, con una valigia in mano, “restituita” dall’uomo che credeva essere suo padre a quella che invece è la sua vera famiglia d’origine, all’improvviso perde tutto il suo mondo, le sue amiche, la bella casa dove era cresciuta e si ritrova circondata dal silenzio e dall’indifferenza. Comincia dunque a patire il mutismo assordante di quella famiglia a lei estranea, diventando trasparente agli occhi degli adulti che l’avevano cresciuta e di quelli che l’avevano ceduta, come se tutti loro avessero perso la “memoria della sua esistenza”. Diviene invisibile. Come una rifugiata in terra straniera, la ragazza dovrà tentare di reinventarsi una nuova vita in un nucleo familiare, respingente e diffidente che, pur non appartenendole, è il suo. Solo la piccola Adriana, bambina sveglia e solare, a suo modo la accoglierà, traghettandola in quella vita che le è stata imposta senza alcuna spiegazione.

È un vero gioiello, rude e tenero al tempo stesso, il film di Boniti, unica pellicola italiana voluta da Monda in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma. Applauditissimo dal pubblico alla prima in sala, il film fa venire immediatamente voglia di leggere l’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, anche co-sceneggiatrice della pellicola. Molti sono i temi affrontati, da quello sui minori maltrattati o sradicati da adulti non responsabili, a quello sull’abbandono sovente collegato a maternità non consapevoli o non supportate da figure maschili idonee. Il film fa emergere anche certe usanze di alcune zone depresse del sud, in cui sino a qualche decennio fa erano praticate private forme rudimentali di “affido”, per garantire ai numerosi figli di famiglie bisognose una vita migliore, soffermandosi soprattutto sugli strappi affettivi che privano le persone della propria identità (l’Arminuta non ha un nome, non ha un compleanno da condividere: è solo colei che viene restituita), e su quanto la conoscenza sia l’unico vero antidoto alla paura e al buio.

Il cast è eccezionale, ad iniziare da Sofia Fiore (l’Arminuta), struggente e dura al tempo stesso, suo malgrado temprata da quell’affetto materno negato, e la piccola Carlotta De Leonardis che impersona Adriana, bambina matura e disincantata ma che nonostante tutto ama ancora giocare e andare sulla giostra; un immenso Fabrizio Ferracane nel ruolo di un padre-padrone che non conosce il perdono e la comprensione, ma solo il silenzio e la forza delle proprie mani come forma di punizione, ed infine le due madri, ognuna infelice a modo suo, degnamente interpretate da Vanessa Scalera e Elena Lietti.

L’Arminuta è un piccolo grande film, di quelli che ci insegnano qualcosa, che ci allargano il cuore, che scalfiscono il muro dell’indifferenza e che ci inducono ad essere più aperti e generosi nei confronti dei più deboli.

In uscita nelle sale il 21 ottobre distribuito da Lucky Red.

data di pubblicazione:16/10/2021








PASSING di Rebecca Hall, 2021

PASSING di Rebecca Hall, 2021

New York anni’20 del 1900, essere neri non era certo affatto facile. Irene(Tesse Thompson)una donna nera benestante vedrà il suo mondo, i suoi equilibri e la sua famiglia sconvolti a seguito dell’incontro con una sua vecchia ed esuberante amica: Claire (Ruth Negga). Entrambe hanno sangue misto ed il colore della loro pelle è abbastanza chiaro, Claire ha lasciato Harlem da anni”passandosi” per bianca fino a sposarsi con un bianco del tutto ignaro delle sue vere origini.

 

L’inglese Rebecca Hall, figlia d’arte, quasi quarantenne ma già talentuosa ed affermata attrice prediletta da registi di fama, sceneggiatrice e scrittrice di successo, ha deciso di esordire nella regia con Passing riadattandone personalmente anche il soggetto dalla novella di Nella Larsen. “Passing” è un’espressione gergale americana che si riferisce a quegli afroamericani che “pretendono/provano a passare in tutto e per tutto per bianchi”.

Il film è in formato 4:3 come i vecchi film Hollywoodiani degli anni’40 e ’50 ed è in bianco e nero. Un bianco e nero splendido, e … non è un caso, è piuttosto una scelta narrativa esplicita perché proprio di “essere bianchi o di essere neri”, di quale identità razziale sentirsi parte è tutta l’essenza stessa del film. Irene e Claire vivono due realtà diverse, entrambe paiono benestanti, realizzate nelle loro famiglie, nei loro mondi e contesti, ma è solo una fragile apparenza. Tornando a frequentarsi le due donne, riparte fra loro un’attrazione fatta anche di silenziosa competizione, Irene invidia l’apparente felicità di Claire, e Claire a sua volta lo status ed i saldi principi di Irene arrivando quasi ad insidiarne il marito con la sua carica vitale. Le performances delle due protagoniste sono di alta qualità e recitano con charme ed eleganza, brillanti ed intense nei rispettivi ruoli, circondate a loro volta da uno stuolo di ottimi secondi ruoli.

Ciò non di meno qualcosa non va, il film pur se da un punto di vista estetico è indubbiamente elegante e raffinato appare però narrativamente squilibrato e fin da subito perde la fluidità necessaria per mantenere ciò che sembrava promettere all’inizio. Difatti i vari spunti di tensione, gli aspetti sociali, l’identità e l’appartenenza razziale, l’attrazione fra le due donne non evolvono ed in breve addirittura evaporano nel vuoto estetico senza mai essere veramente affrontati. Il ritmo narrativo poi, volutamente lento all’inizio per dar modo ai personaggi di svilupparsi, non si modifica affatto nel prosieguo ed i tempi diventano eccessivi, monotoni e ridondanti. La ricerca dell’intimismo psicologico implode di fatto in un eccesso di estetismi e simboli.

Peccato! Un peccato però perdonabile perché è indubbio comunque il talento dell’attrice dietro la cinepresa. Pur promettendo bene è però ancora imperfetta e dovrà, nel futuro, lavorare più sulla sostanza che sull’eleganza formale e molto più ancora sulla sintesi ed imparare a non perdersi in molteplici rivoli narrativi.

data di pubblicazione:16/10/2021







ORO BRETONE – SCOMPARSA A GUERANDE  di Jean-Luc Bannalec – ed. ISBN 2021

ORO BRETONE – SCOMPARSA A GUERANDE di Jean-Luc Bannalec – ed. ISBN 2021

Oro Bretone è l’ultimo dei tre libri di J. L. Bannalec finora tradotti in italiano e recentemente “rilanciati” per i tipi ISBN. In realtà, dal suo esordio nel 2012 ad oggi, l’autore ha pubblicato con successo crescente ben 9 romanzi con al centro le inchieste del suo Commissario Dupin. Non sappiamo quindi come siano nel frattempo evoluti il romanziere ed il suo personaggio, possiamo solo constatare per ora, sul filo di questi suoi primi tre racconti, che sia lo scrittore sia Dupin hanno indubbiamente e progressivamente assunto una loro ben definita personalità, le storie sono narrate con mano sempre più sicura e realistica, il ritmo e l’azione hanno una crescente dinamicità ed efficacia e … la Bretagna, pur restando il magico sfondo di tutte le indagini, è divenuta sempre meno banalmente cartolina illustrata e sempre più parte delle storie stesse.

In quest’ultima terza inchiesta Dupin si trova, suo malgrado, coinvolto in una sparatoria e poi costretto ad operare fuori dalla sua zona; a Guérande. La vicenda gira infatti attorno all’Oro Bianco delle sue saline naturali, celebri per il fleur de sel. Un caso dalle caratteristiche molto diverse e molto più dinamico e d’azione dei precedenti. Un’indagine in cui poi si inserisce autorevolmente (mettendo quasi in ombra lo stesso Dupin) un nuovo personaggio femminile dalla forte personalità,  efficiente, dinamico, intelligente, sornione e determinato: la Commissaria Sylvaine Rose con cui “il nostro” deve fare squadra per poter risolvere le ricerche in corso.

Intelligentemente Bannalec evita la banalità di una relazione fra i due Commissari e privilegia invece il gioco degli opposti o delle somiglianze nella diversità, fra i due e fra i loro diversi ma pur sempre efficaci  metodi di indagine. Dall’incontro le qualità di Dupin non si perdono affatto, anzi, al contrario, la sua figura ne guadagna in personalità, umanità e simpatia. Narrativamente la coppia funziona molto bene e se ne giovano sia il ritmo che diviene più serrato ed avvincente, sia la costruzione ed evoluzione della storia e le sue atmosfere.

In conclusione le inchieste del Commissario Dupin sono una piacevole scoperta/riscoperta, una gradevole lettura e dei buoni piccoli polizieschi. Le storie sono indipendenti l’una dall’altra ma, di sicuro, leggerle in sequenza le rende ancor più avvincenti. Dupin si conquisterà sicuramente anche in Italia il suo pubblico perché di libro in libro diviene più simpatico: un orso un po’ rude, burbero e poco comunicativo ma che è intuitivo, empatico, fascinoso senza saperlo e che sa anche apprezzare le cose belle della vita. E poi c’è la Bretagna … ricca di angoli meravigliosi, di ristorantini, bar sfiziosi, piccoli hotel … affascinante che viene voglia, potendo, di visitarla o di tornare a visitarla.

data di pubblicazione:15/10/2021

IL PALLONE DI STOFFA di Walter Pedullà- Rizzoli editore, 2020

IL PALLONE DI STOFFA di Walter Pedullà- Rizzoli editore, 2020

Più eloquente del titolo che rimanda al calcio giovanile, alla povera infanzia calabrese, illuminante è il sottotitolo: Memorie di un nonagenario. Perché Water Pedullà, esimio critico letterario, festeggiando un’età invidiabile, rivela il suo tonitruante Confesso che ho vissuto. E, in effetti, nella sua esistenza ha cumulato molte vite: professore emerito alla Sapienza, presidente della Rai, primo responsabile del Teatro di Roma, critico letterario de L’Avanti. Sempre in prima fila per battaglie sperimentali nel nome del Partito Socialista ma versione lombardiana, non proprio surrogato ideologico di Craxi. Un fiero combattente della vita che qui ci ricorda la lunga e sofferta gavetta, fino all’affermazione accademica sulla scia del grande e indimenticato maestro Giacomo De Benedetti. Novanta anni raccontati con grande lucidità di pensiero e con qualche pensiero acuminato. Inevitabile momento di bilanci per chi ha avuto tanto dalla vita ma parallelamente ha dato con generosità e slancio, sempre proteso verso il limite dell’ostacolo. Da Siderno ai Palazzi-bene della capitale ma sempre con il sorriso sulle labbra, pronto a demolire il mito sovietico e la labilità di certi irresistibili romanzieri italiani. Pedullà è stato un maestro per disvelare i frutti buoni del novecento italiano. Nel riscoprire Landolfi, nel valorizzare Pizzuto, nell’assecondare le pulsioni del Gruppo ’63 e le vena dell’avanguardia. Critico che era amico e frequentava gli scrittori, primo fra tutti il corregionale Saverio Strati. Insieme uomo di potere e di barricate, estrema sintesi dialettica per un intellettuale che ha sempre difeso con coerenza le proprie tesi, anche correndo il rischio di essere defenestrato da cariche importanti. La godibile lettura ci fa entrare in un mondo personale ricco di aneddoti, di emozioni, di amarezze, di risvolti, di piccoli ma apprezzabili colpi di scena. Con la chiave della militanza e dell’impegno sempre debitamente in primo piano. Un ampio florilegio di citazioni riassunte nell’indice di nomi permetterà di orizzontarsi in una mappa esistenziale complicata.

data di pubblicazione:15/10/2021

THE EYES OF TAMMY FAYE di Michael Showalter, 2021

THE EYES OF TAMMY FAYE di Michael Showalter, 2021

Stati Uniti, anni ’70 ed ’80 del secolo scorso, Tammy Faye (Jessica Chastain) ed il suo carismatico marito Jim Baker (Andrew Garfield) si fanno spazio nel mondo dei televangelisti affascinando l’America profonda e creando dal nulla un network televisivo che estende i suoi interessi in molteplici attività. Un busines che va ben al di là della diffusione delle parole di Fede. Chi manipola? Chi è manipolato?Tutto è ambiguo! Fino a quando …

Pandemia Anno Secondo! Ma, nonostante tutto, la Festa del Cinema di Roma torna per la 16ma volta consecutiva! Certo, a primo acchito, sembra essersi un po’ persa, complici i tanti vincoli imposti dal Covid e l’obbligo di prenotazione on line dei film con relativa assegnazione automatica dei posti, quella bella atmosfera da Kermesse e di Festa, di improvvisazione e di scelte istintuali tipiche di un Festival, di una Festa di popolo, quasi “de noantri” come era poi Roma. Ci si andava per vedere film ma anche per ammirare attori ed attrici e per farsi notare fra la folla. Oggi, almeno per ora, ci sono solo i film! E … non è affatto poco! pensando a quanto abbiamo temuto di perderlo!

Il film con cui si è aperta la nuova edizione, diciamolo subito, non resterà certo negli annali, ma potrà essere semmai ricordato essenzialmente per l’ottima interpretazione della Chastain in uno di quei ruoli “totali ed immersivi” che in America spesso portano dritti, dritti all’Oscar. La Critica autorevole dà infatti già per scontata, almeno una sua nomination per la sua intensa interpretazione.

La Chastain dà infatti vita e sostanza al percorso esistenziale ed alla personalità atipica, complessa, fragile e, nel contempo, determinata di Tammy Faye disegnando un ritratto eccezionale ed affascinante di una donna dal carattere dai tanti risvolti. La Chastain scompare letteralmente sotto il trucco e le protesi per riapparire come Tammy Faye a suo totale agio recitativo. E’ in scena costantemente e tutto il film poggia sulla sua magnifica interpretazione che, a tratti, sembra quasi intenzionalmente sfiorare la caricatura, riuscendo però a discostarsene con un solo sguardo intenso che riesce a far emergere tutta la fragilità ed i tormenti interiori che si nascondono nel fondo di un personaggio complesso le cui esperienze familiari e personali giovanili hanno influenzato le sue attese, la religiosità e la Fede. Una Fede che resta in sostanza, fortemente ingenua ed infantile condizionata da nodi irrisolti. Un essere umano che pur dietro un look ed atteggiamenti eccessivi e caricaturali, merita simpatia piuttosto che pietà e disprezzo, e … gli occhi della Chastain lavorano magistralmente per ricordarcelo! Una performance recitativa ed interpretativa veramente rimarchevole, tutta centrata sul contemperamento degli eccessi della personalità con l’interiorità.

Basato su un documentario di egual titolo il film è un classico dramma biografico sulla storia della coppia di telepredicatori, un ritratto forse troppo lusinghiero e compassionevole, un’ambiguità maggiore avrebbe infatti meglio rispecchiato la realtà, ma, soprattutto, avrebbe dato alla narrazione anche un tocco di complessità e realismo maggiore. La regia, supportata da una forte sceneggiatura, è sapiente ed equilibrata, evita di cadere nelle possibili sbavature od eccessi e dimostra una buona capacità di direzione artistica in un film centrato tutto sulle esuberanze recitative e sa ben evitare, pur rasentandolo, il kitsch.

Sullo sfondo, ma non marginale, la religione dei telepredicatori come business, il ruolo dei circoli religiosi, veri organismi corporativi che operano secondo le regole delle grandi imprese capitaliste. I conflitti di idee, di interessi, le relazioni politiche, il controllo delle masse, delle donazioni, dei voti e le collusioni con il Potere. Oltre ad Andrew Garfield il carismatico marito, ed allo stuolo di eccezionali secondi e terzi ruoli, va segnalata poi anche Cherry Jones (nei panni della mamma di Tammy) che con la sua capacità recitativa fa da contrappunto di concretezza nel delirio di illusioni.

data di pubblicazione:14/10/2021








PENG  di Marius Von Mayenburg, traduzione di Clelia Notarbartolo, regia di Giacomo Bisordi, con Fausto Cabra, Gianluigi Fogacci, Sara Borsarelli, Giuseppe Sartori, Anna C, Colombo, Francesco Giordano, con la partecipazione di Manuela Kustermann

PENG di Marius Von Mayenburg, traduzione di Clelia Notarbartolo, regia di Giacomo Bisordi, con Fausto Cabra, Gianluigi Fogacci, Sara Borsarelli, Giuseppe Sartori, Anna C, Colombo, Francesco Giordano, con la partecipazione di Manuela Kustermann

(Teatro Vascello – Roma, 24 settembre /10 ottobre 2021)

Un progetto dinamitardo di teatro sovversivo/adrenalico. Due ore tirate allo spasimo per un adeguato impegno fisico di una compagnia omogenea e polivalente. Teatro situazionista e non letterario per due ore di un sano se non istruttivo “lasciatemi divertire”.

Esplodono anche colpi da arma da fuoco in scena (avviso per i più impressionabili) segno che lo spettacolo può riservare qualunque sorpresa. Dagli intermezzi pubblicitari della padrona di casa Manuela Kustermann al pubblico ludibrio di una secchiata di concime in testa riservata alla donna vittima. Del resto lo slogan dominante dell’autore è la massima “il teatro dovrebbe essere un luogo in cui non sentirsi al sicuro”. Difatti lo spettatore avvampa di fronte alle scatole cinesi in finta diretta alla “Grande fratello” sadica e stizzosa dove l’infante Peng è il protocollo di una nuova logica di controllo, auspicando il momento in cui i giovani prendano il sopravvento sui genitori politicamente corretti. Peng, creatura di laboratorio scenico, è completamente all’opposto. Spietato, dissacrante, morboso nella sua voglia di affermazione. Una grandiosa parodia dell’esistente europeo che cerca di ribadire i valori mentre non riesce ad affermarli. Così la donna strapazzata è un essere da rilegare in cantina che si esalta solo nei quiz dove (naturalmente) sarà la peggiore a vincere perché all’avversaria non sarò dato modo di esprimersi. Due ore di svolgimento convulso e senza una trama riassumibile. E, viva la faccia, con grande spreco di materiale nei fai da te in cui gli attori ribaltano scenografie, piani d’incontro, prospettive. Lo spiazzamento è la regola della casa. Nell’occasione il teatro contiene la televisione e il video cinematografico in un affastellamento al quadrato e persino al cubo della fruizione artistica. Il teatro di Monteverde ha investito molto su questa proposta anticonvenzionale che esprime una grande durata in cartellone rispetto all’abituale programmazione. Scelta ripagata da un pubblico plaudente e entusiasta anche per la grande profusione di fisicità dei componenti. Non è un caso che lo script sia venuto nel periodo di massimo imbarazzo per la presidenza-Trump.

data di pubblicazione:07/10/2021


Il nostro voto:

L’UOMO, LA BESTIA E LA VIRTU’ di Luigi Pirandello, regia di Giancarlo Nicoletti, con Giorgio Colangeli, Valentina Perrella, Cristina Todaro, Alessandro Giova, Alex Angelini, Giacomo Costa, Giuseppe Carvutto

L’UOMO, LA BESTIA E LA VIRTU’ di Luigi Pirandello, regia di Giancarlo Nicoletti, con Giorgio Colangeli, Valentina Perrella, Cristina Todaro, Alessandro Giova, Alex Angelini, Giacomo Costa, Giuseppe Carvutto

(Teatro Sala Umberto – Roma, 28 settembre/1 ottobre 2021)

Pirandello in salsa vintage. Regge la storia e in parte anche il linguaggio in una rilettura mainstream che non si preoccupa del politicamente corretto e non si pone il problema di criticare l’evidente misoginia del testo, tutto sbilanciato sul versante maschile. Non sperimentazione ma scapigliata rilettura del testo.

Il romanissimo Giorgio Colangeli, premio David di Donatello per il cinema, è un verace e sempre più godibile mattatore teatrale per due ore di rappresentazione che, peraltro, non sono affidate all’one man show. Un Pirandello laterale su uno stuzzicante tema in cui galoppa per l’occasione un sottotesto stuzzicante ed ammiccante. Che scenicamente guarda soprattutto alla trasformazione della Perrella (attrice) Perella (personaggio) da una scialba donnetta, messa incinta dal protagonista e quasi inconsapevole di quello di cui è insieme carnefice a e vittima, in una provocante dark lady rivestita di un rosso attillata, truccata per l’occasione dal suo manipolatore. Dunque quello che era una dramma del suo tempo diventa un vaudeville per l’ovvio limite di credibilità attuale. Pirandello come Feydeau? Non proprio. Rimane una solida trama di impianto siciliano con una superfetazione sul ruolo delle governanti e sull’accentuazione caricatura del ruolo giovani. Solo così del resto si poteva avviare lo svecchiamento e godere come di un sorridente giallo lo scioglimento verso il finale positivo. Il signor Paolino si salverà perché potrà attribuire al marito dell’amante il figlio che nascerà dal suo seme, evitando una tragedia familiare che ai tempi di Pirandello avrebbe provocato uno sconquasso e che invece ora si deliba con serenità. Gli uomini tengono in pugno la situazione ma, alla fine, il potere della seduzione femminile e di un misterioso prodotto in un dolce al cioccolato (oggi sarebbe il viagra, sic!) muove come un deus ex machina la lieta conclusione del plot. Nell’occasione bravi i caratteristi dei ruoli minori.

data di pubblicazione:06/10/2021


Il nostro voto:

NOSTRI FANTASMI di Alessandro Capitani, 2021

NOSTRI FANTASMI di Alessandro Capitani, 2021

Un giovane vedovo, che ha perso il lavoro, si nasconde col figlio nel sottotetto della ex abitazione spaventando chiunque tenti di abitarla. Con il bambino architetta una serie di situazioni (si fingono fantasmi) tali da terrorizzare gli aspiranti inquilini e indurli a lasciare presto la casa. L’arrivo di una giovane mamma israeliana con relativa figlioletta complicherà non poco le cose, anche per l’arrivo indesiderato del violento padre della bambina…

 

Ci si lamenta spesso e a ragione della debolezza delle sceneggiature dei film italiani: mancanza di idee, ricorso alla volgarità gratuita, trame ridotte a semplici sketches, presenza di attori che ripetono sempre se stessi. Godiamoci allora questo piccolo, diverso, I nostri fantasmi, sbucato dalla sezione Autori dell’ultimo Festival del Cinema di Venezia che, a dispetto della solita miope distribuzione vanta diverse frecce al suo arco. Per cominciare, ha un avvio intrigante: sembra un horror ma non lo è! Ha una storia abbastanza nuova e originale (la coppia che si nasconde nel sottotetto col papà che illude il figlio trattarsi di un gioco fra loro, i buoni e gli altri, gli invasori, i cattivi) che si dipana in diverse direzioni, tutte plausibili. C’è un’attenzione a problematiche, purtroppo sempre attuali: la disoccupazione, il razzismo, la violenza domestica, la rabbia sociale. Tematiche, peraltro, sfumate all’interno di un plot narrativo che ha un suo ritmo minimale, cadenzato, mai esagerato o urlato. È confortato dalla presenza di attori perfettamente a loro agio nei rispettivi ruoli: Michele Riondino (Valerio), un padre credibile, scarno e misurato pur se devastato da problemi terrificanti (mantenere un figlio, senza una casa, senza un lavoro, con i servizi sociali pronti a sottrargli il minore); Hadas Yaron (Miryam) la dolce ebrea, mamma di una piccina, in fuga da un marito possessivo e manesco, interpretato dall’accigliato e bravo Paolo Pierobon. Nei panni di un vicino, colonnello in pensione burbero-ma-comprensivo, Alessandro Haber, fa il suo.

A completamento dei meriti della pellicola di Alessandro Capitani, regista e co- sceneggiatore (già vincitore di un David di Donatello nel 2016 per il cortometraggio Bellissima) di questo gioiellino c’è da segnalare la sceneggiatura, (condivisa da Capitani con la già collaudata Francesca Scialanca e l’esordiente Giuditta Avossa) sincera, tenera, ma mai buonista, come pure il commento musicale di Michele Braga e l’attenta fotografia di Daniele Ciprì. Senza gridare al capolavoro, una piccola ventata di aria pulita nell’asfittico panorama del cinema autoriale di casa nostra.

data di pubblicazione:05/10/2021


Scopri con un click il nostro voto: