VIVIEN di Donatella Busini

VIVIEN di Donatella Busini

con Alessandro Calamunci, Ilaria Fantozzi, Caroline Pagani, Mauro Toscanelli, Massimo Zannola, regia di Mauro Toscanelli

(Teatro Lo Spazio – Roma, 14/17 marzo 2024)

Vivien Leigh e il suo doppio. Riscoperta della popolare attrice che trova finalmente pace e si ritrova grazie a una figlia che si dibatte nella difficile rieducazione in un ospedale psichiatrico. Gradevole e fedele ricostruzione di un transfert con attori multi-ruoli. Prova di scrittura e di regia per una prima di successo.

Ricordata per la parte di Rossella ‘O Hara in Via col Vento, la Leigh è colpevolmente dimenticata per una carriera teatrale importante in combinato disposto con Laurence Olivier, forse il più grande talento del passato secolo. Ma qui c’è di mezzo una misteriosa figlia che, per le dottrine degli anni ’70, viene curata con l’elettrochoc. La scena del trattamento è la più intensa e vivida dello spettacolo. L’attrice e il suo doppio, tra realtà e fantasia, tra sogno e incubo, Così l’incontro tra le due è il pretesto per rivivere un’esistenza tra alti e bassi, tra soggiorni in Italia, malattia e diverbi sentimentali. Un’abbondante ora in cui scorre tutta la sua dimenticata vita. Il crudelissimo ma capace direttore del’Ospedale Psichiatrico procede indefessamente nel suo tentativo di recupero psichico della più giovane, nello scetticismo dei suoi più immediati collaboratori. Lo spettacolo è un omaggio ad una donna fragile, vera colta e anti-conformista, qui schermata attraverso le cure psicoanalitiche della supposta figlia. Un omaggio alla storia al teatro, a una vita che non perde ragione d’essere fuori dalle tavole del palcoscenico, ribellandosi all’umana caducità. Un significativo recupero di un’attrice significativa. Valore aggiunto, gli attori che interpretano i due grandi attori sono straordinariamente somiglianti agli originali. Capace uso degli spazi su due pedane e fedele ricostruzione di un’esistenza attraverso cambi di scena e incontri con sagace uso dell’accompagnamento sonoro.

data di pubblicazione:15/03/2024


Il nostro voto:

DRIVE-AWAY DOLLS di Ethan Coen, 2024

DRIVE-AWAY DOLLS di Ethan Coen, 2024

L’unione fa la forza. Anche al cinema Ethan separato dal fratello firma un road movie che potrebbe essere quasi apparentato ai B movie. Una vacanza dal grande cinema. Un road movie in versione lesbo che non appassiona né come trama né come giallo. E il richiamo ripetuto all’omosessualità ha timbri pesanti al di là di ogni possibile moralismo.

  

La trama replica temi già visti nell’interessante filmografia battezzata dai Coen. I delinquenti maldestri, gli inconsapevoli latori di una fortuna che sfuggono a mille trappole. Dopo un avvio sanguinolento in 84 minuti la sinossi può essere ridotta a un inseguimento con nemmeno troppi imprevisti e con una conclusione frettolosa scarsamente appassionante e persino prevedibile. Non è un caso che il film abbia avuto scarsa eco negli Stati Uniti, soprattutto nei giorni degli Oscar, e un riscontro americano al botteghino davvero modesto per registi di questa portata. Il tesoro in questione è il calco di peni importanti. In ballo c’è anche un candidato alla Presidenza. La strana coppia di donne si rende conto tardi dell’importanza ricattatoria della preda. Tra gli spunti più felici del film l’abbinamento tra la spregiudicata lesbica che seduce piano piano la timida indiana e la porta progressivamente sul suo stesso terreno di spregiudicatezza. Il film insiste molto nella frequentazione di ambienti omosessuali. Non sarà contento il calcio femminile la cui immagine viene resa sessualmente unidimensionale. Il McGuffin caro a Hitchock qui viene sbandierato con lucida ripetitività. Commedia pulp intinta di vivaci cambi di inquadratura e di una tensione latente che movimenta la sceneggiatura. Aspettiamo migliori notizie in futuro: i due Coen torneranno a lavorare insieme e sicuramente sforneranno un’opera più significativa, questa ha in sapore di una vacanza dal grande cinema.

data di pubblicazione:14/03/2024


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SALVEREMO IL MONDO PRIMA DELL’ALBA, uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo

SALVEREMO IL MONDO PRIMA DELL’ALBA, uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo

drammaturgia di Gabriele Di Luca, con Sebastiano Bronzato, Alice Giroldini, Sergio Romano, Roberto Serpi, Massimiliano Setti, Ivan Zerbinati, regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi. Produzione Teatro dell’Elfo, Marche Teatro, Teatro Nazionale di Genova Fondazione Teatro di Napoli- Teatro Bellini

(Teatro Vascello – Roma, 5/17 marzo 2024)

Teatro italiano di massima innovazione e sperimentazione. Rappresentazione distopica dal ritmo incessante. Perlustrazione su un futuro atterrente. Gli ospiti di una clinica di riabilitazione di lusso diretti da un coach cercano di ristabilire un rapporto sano con la vita, liberandosi di dipendenze varie. Segni di un disagio esistenziale svolto tra liricità e divertimento.

 

La provocazione questa volta spara abbastanza salve nell’accumulo di troppi materiali, di un eccessivo uso di parentesi aperte e mai chiuse. Per un finale continuamente rimandato che si allarga addirittura alla fine dell’umanità. L’ambizione dello spettacolo si rifrange su un boomerang scagliato con troppa indeterminatezza per colpire un solo bersaglio. Ammirevole la tenuta degli attori per uno spettacolo che si conclude quasi a mezzanotte e che vede la più intensa partecipazione giovanile,visti gli eccellenti precedenti della compagnia, un soffio nuovo in un mainstream tradizionale. Ma la battuta per la risata fine a se stessa (la tisana al finocchio, la metafora di Adamo ed Eva, il linguaggio buffo del servitore del Bangla Desh, la gara di disegno con a tema la vagina) finisce con l’annacquare la tensione. La scrittura collettiva di tante mani attinge a un numero copioso di temi che proviamo ad enumerare: la dipendenza da cocaina, l’omosessualità con un desiderio di paternità, il business esasperato, il cambiamento climatico. L’umanità disintegrata sembra avere scarse possibilità di riscatto. Dunque l’iperrealismo mette tanta carne al fuoco in cerca di un focus in progress che si fatica a individuare. Più del finale conviene cogliere i singoli momenti che equivalgono a mini-tappe sperimentative. Un fermento che troverà nel futuro più comodo approdo.

data di pubblicazione:13/03/2024


Il nostro voto:

FORBICI FOLLIA, allestimento originale americano di Bruce Jordan e Marylin Abrams

FORBICI FOLLIA, allestimento originale americano di Bruce Jordan e Marylin Abrams

versione italiana di Marco Rampoldi e Gianluca Ramazzotti, regia di Marco Rampoldi, con Max Pisu, Nino Formicola, Giancarlo Ratti, Lucia Marinsalta, Giorgio Verduci, Roberta Petrozzi, scene di Alessandro Chiti, costumi di Adele Bargilli

(Teatro Manzoni – Roma, 29 febbraio/24 marzo 2024)

Un classico della comicità che ricalca le scene italiane con buona assiduità. Un meccanismo di giallo a orologeria che funziona come un cluedo. Tutti gli assassini sono buoni perché altamente plausibili. Nel senso che ogni sera propone un finale diverso a scelta del pubblico con funzionalissimi moventi e indizi nonché salvifici alibi..

Un cast con tre punte comiche: Pisu centravanti di sfondamento nel ruolo del rilasciatissimo gay parrucchiere e proprietario del luogo che è scena del crimine; Giancarlo Ratti dall’affabulazione sorniona, centrocampista di contropiede; infine Nino Formicola regista e direttore dei lavori che si rivelerà l’ispettore a cui toccherà il compito grato di tirare i fili della vicenda con vivaci interpellanze al pubblico. Due ore e mezzo di solido divertimento tirate su a buon ritmo, condite di doppi sensi e qualche ragionevole turpiloquio. Il teatro di Prati ha investito su un evergreen a lunga durata tenendolo in cartellone per quasi un mese, attendendo la risposta a un’esperienza di vivace teatro partecipato. In effetti succede di tutto, gli spettatori si vedono offerta partecipazione e caffè. Il delitto è il pretesto per la perlustrazione di esaurienti tipizzazioni. Comicità che sfiora ma evita la volgarità in un florilegio di battute dal ritmo incalzante. Dalle parti della commedia dell’arte con gli attori che vistosamente si divertono e sforano dal copione. Come quando Pisu e Formicola incappano in un bacio sulla bocca e se ne ritraggono inorriditi ma divertiti. Bravi anche i comprimari che si appoggiano a efficaci caratterizzazioni, sorretti da dialoghi funzionali, riveduti e corretti in chiave nazionale, a tratti capitolina.

data di pubblicazione:11/03/2024


Il nostro voto:

LA LEZIONE di Eugène Ionesco

LA LEZIONE di Eugène Ionesco

con Nando Paone, Daniela Giovannetti, Valeria Almerighi, regia di Antonio Calenda

(Teatro Basilica – Roma, 6/10 marzo 2024)

Esemplificazione del teatro dell’assurdo per una prima rappresentazione del 1951, riferimento naturale la Francia e principalmente Parigi per la fuga di massa degli intellettuali romeni. Fuori dalla cronaca e dalla politica ma qui con un chiaro riferimento al nazismo e alla sua insensatezza. Certo non il principale focus dell’autore.

 

Rapporto a tre: il professore, l’allieva e la governante, prima ostile, poi fattiva collaboratrice di un omicidio. Anzi assassini in serie contando fino a quaranta, in un rituale macabro e ripetitivo. Di andamento ciclico. Cioè un’allieva viene inizialmente ben accolta e assai lodata per l’assolvimento di semplici operazioni matematiche per l’acquisizione di un presunto titolo di studio totale. Poi il rapporto si intorbida, i quesiti diventano sempre più complessi e sempre più assurdi. Così l’aggressività e la violenza del professore, prima latente, si manifesta completamente nell’accoltellamento che pesca la discente in un atteggiamento osceno. Il manifestarsi del suo disagio in un metaforico e sempre più insostenibile mal di denti. Gli interrogativi ora linguistici e non più matematici si dispiegano nel non senso con lambiccate tentativi di traduzione dall’italiano al rumeno al francese. Se il teatro è contraddizione, qui la manifestazione del busillis è evidente e fastidiosa, fino a mettere lo spettatore in una situazione di voluto quanto comprensibile disagio. Era il minaccioso teatro degli anni ’50 anche se questa vulgata non rappresenta certo il culmine dei grovigli ioneschiani. La vita sembra un continuo punto di partenza. Il professore ucciderà ancora in un rituale ripetitivo che sembra riprodurre il ferino homo homini lupus hobbesiano. Il male di vivere è una ripetizione ostinata che non ha vie di salvezza. Un pessimismo cosmico avvolge la rappresentazione. Bravi e imperfettibili gli interpreti: attore giusti canonicamente gestiti da Calenda.

data di pubblicazione:10/03/2024


Il nostro voto: