da Daniele Poto | Mar 10, 2023
Tratto da un clamoroso fatto di cronaca che apre una luce sull’antropologia degli italiani. Su quelli che compravano nastrini musicali, messi in commercio da un trio di fratelli napoletani, borderline rispetto a una legge impreparata a bloccarli. La storia prende un po’ la mano al regista che, parlando di un fatto vero, lo mitizza, lo enfatizza spettacolarmente con qualche eccesso.
I fratelli Frattasio negli anni ’80 costruirono un vero impero musicale, più potente e diversivo rispetto alle major discografiche. Grazie a dieci studi di riproduzione invadevano l’Italia con i loro nastri pirata. Si calcola che vennero distribuiti 180 milioni di esemplari decretando la fortuna economica del trio che ha assaggiato il carcere e che ora si è ridimensionato vendendo scatole su dimensione più artigianale. Il plot è robusto ma il regista spreca qualche cartuccia. A che pro a esempio farci vedere la fine della storia sin dalle prime inquadrature con il mesto ingresso di Erry in carcere? La vicenda poteva essere trattata come un gustoso giallo ma così evapora in partenza la sua efficacia. C’è molto esagerato folclore nella discrezione di Napoli, dell’ambiente camorrista e nel poliziotto che persegue l’ipotesi di reato fino a incastrare definitivamente il trio. Le caratterizzazioni di Di Leva e di Gifuni certo sono più ficcanti della recitazione del trio dei protagonisti. Viene trasmessa l’immagine di una camorra molto di maniera. In realtà Erri (Enrico), l’inventore di una formula, voleva fare il disc jockey. Difatti in ambito processuale quando viene interrogato se dichiararsi colpevole o innocente sceglie inopinatamente la terza via: “disc jockey”, con lo sconcerto dei giudici. Un’ambizione frustrata che ha provocato una fortuna economica senza precedenti. Probabilmente indenne anche ai massicci sequestri di capitali operati dall’autorità pubblica. Il trio più che gestire una dimensione industriale si comportava in maniera naif e su questo il film è quanto mai esauriente e congruo.
data di pubblicazione:10/03/2023
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da Daniele Poto | Mar 7, 2023
Nel cinema nulla si crea e nulla si distrugge. Tutto si copia. Ecco perciò che il romanzo L’uomo che metteva in ordine il mondo, portato sul set in Svezia sotto il titolo di Mr Ove, otto anni dopo trasmuta in un film molto americano dove molto ci si dovrebbe commuovere e forse piangere. Tom Hanks è gigantesco in una parte tagliata con l’accetta e a sua completa misura.
Mr. Otto ricorda il Jack Nicholson inavvicinabile di altre pellicole (anche come età quasi ci siamo). Scorbutico fino al midollo quando lascia il lavoro, rifiutando i festeggiamenti dei colleghi, come principale occupazione ha quella di un giro di ronda nel suo circondario per cogliere in fallo le tante inadempienze dei vicini. Antipatico come non si può immaginare. Ma tutto cambia quando nella sua galassia compare una curiosa coppia di sopravvenuti vicini che hanno bisogno di tutto. Otto si lascia suggestionare e si presta persino a fare da baby sitter ai nuovi amici. Ma nel film succedono tante cose. A esempio ad intervalli regolari il personaggio principale tenta il suicidio. Ma una legge di Murphy al contrario sembra favorirlo. Dunque non morirà di impiccagione, né di gas, né di un colpo di fucile. Con un flash back un po’ lacrimevole poi il film spara le sue cartucce emotive. Otto è stato riformato al servizio militare perché ha il cuore troppo grosso e di quello morirà, un giorno o l’altro. E ha sposato l’amore di una vita che però per un terribile incidente sul bus, mentre visitavano le cascate del Niagara, perde mobilità e figlio oltre alla possibilità futura di ricreare. Otto vive per lei e quando ha sistemato i propri averi in destinazione dei nuovi amici è pronto per lasciare la terra non prima di aver ricomposto l’antica amicizia con un vicino di colore. Dunque siamo nel regno di un ritrovato buonismo dopo tanto esasperato cattivismo. Però il film discute i tempi fondamentali dell’amicizia, dell’amore e della morte e questo va a suo indiscutibile merito. Da notare che l’Otto giovane è interpretato dal figlio reale di Hanks, il giovane Truman, quanto mai somigliante al padre.
data di pubblicazione:07/03/2023
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da Daniele Poto | Mar 3, 2023
(Teatro 7- Roma, 21 febbraio/5 marzo 2023)
Il tema collaudato, a volte usurato, delle crisi di coppia, rivisitato brillantemente e leggermente attorno a un letto. Una coppia di mezza età cerca di ritrovare i brividi dell’intesa erotica in un albergo a ore. Senza riuscirci ma approdando a conclusioni inaspettate.
Si gioca sulla pruderie e sul sex appeal della protagonista per rianimare sensi spenti. Ma naturalmente il tentativo di accensione sessuale è legato a filo doppio ai motivi della perdita del desiderio, nei meandri di un’intesa ventennale smarrita nelle incomprensioni caratteriali. Dunque lei, più ardita, stimola fantasie peccaminose in cui lui non si ritrova per carenza di fantasia. Biancheria intima nera, travestimenti, tentativi di perversione e di seduzione fatalmente frustrati. Finché arriva lo champagne e un tentativo di chiarimento. Tutto ruota attorno al letto, strumento della possibile sublimazione positiva del rapporto. I due attori, legati da una perfetta intesa, si agitano, provocano, divertono, dimostrando che anche da un pretesto apparentemente logoro riescono a tirare fuori dialoghi e situazioni nuove. Lui il marito in crisi promette di spogliarsi successivamente nelle repliche a seguire anche se il pubblico evidentemente preferirebbe l’esibizione della più giovane partner. Ma lo spettacolo è fondamentalmente casto visto che anche il massaggio iniziale della coppia viene prodotto un po’ curiosamente su corpi vestiti. C’è un testo che sorregge il plot ed ha il titolo omonimo della proposta. Lei l’ha rubato in biblioteca scandalizzando ulteriormente il marito, di diciotto anni più grande. La ricerca del piacere è esercizio difficile soprattutto quando la routine prende il sopravvento nelle meccaniche familiari. Pubblico borghese divertito, gridolini alla fine e molti applausi per un’esibizione frizzante e non di maniera. Si vede la padronanza nel genere dei due attori protagonisti.
data di pubblicazione:03/03/2023
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da Daniele Poto | Mar 2, 2023
(Teatro Vascello -Roma, 28 febbraio/5 marzo 2023)
Una rivisitazione cecoviana fedele ma fortemente personalizza dal regista. Una decina di attori a disposizione in panchina, senza cambi di scena per una perfetta e veloce interazione tra dialoghi e situazioni Si pensa, si ride nel gorgo della profonda cultura russa. Con citazioni di Gogol e Turgenev, fari di riferimenti per aspiranti artisti.
Una coproduzione assortita per un progetto ambizioso che rilegge Cechov con note originali, fossero pure quella della Boheme e dei balli vorticosi che danno movimento alla scena dello spettacolo, inevitabilmente conficcata nella forza dei dialoghi. Virtuosismi d’attore cuciti dentro una corretta sinergia di gruppo. La vita soppianta il teatro. Un tragico senso del divenire cerca di ricacciare la noia e irrisolte questioni sentimentali. Togliendo il velo ai detriti del secolo si riscopre l’intatta modernità di un autore cardine. La tela della relazione è il filo rosso di personaggi che vivono a contatto. Chi ama viene respinto, chi si nega desta interesse. L’effervescenza dei sentimenti e la loro sparizione per improvvise cadute di interesse. E l’alea del suicidio per mancato appagamento artistico. Gli interrogativi di Cechov ruotano attorno alla missione del teatro, alla sua finzione spesso correlata a finzioni e apparenze della vita. L’inquietudine di chi scrive o recita, sempre insoddisfatto della propria mission, persino annoiato dal successo. E intorno invece la laboriosità di personaggi più umili, sorretti da una forte senso del dovere. Soldi dilapidati che fanno da contrasto all’amministratore che nega cavalli e che non perde mai un concreto senso degli affari e dell’amministrazione di una famiglia che, con gergo moderno, potremo definire allargata. Il progetto si completerà con Zio Vanja e Il Giardino dei ciliegi grazie al supporto del Teatro Stabile dell’Umbria, dello Stabile di Torino, dell’Ert dell’Emilia Romagna, in collaborazione con il Festival dei due mondi di Spoleto.
data di pubblicazione:02/03/2023
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da Daniele Poto | Feb 26, 2023
(Teatro de’ Servi -Roma, 25/26 febbraio 2023)
Un Pirandello correttissimo distillato in versione ultra-basica per 65’ di durata. Inevitabile misurarsi con l’intellettualismo cerebrale dello scrittore siciliano in una versione tradizionale di buon impatto. Si ride anche con un prete di maniera.
La vita come forma più che come contenuto nello strano contratto matrimoniale che viene proposto a un apparente spiantato. Ma Baldovino, aderendo a una proposta che ne cancella i debiti, sale in cattedra e detta condizioni per niente umili. Se matrimonio sia che ne rispetti tutti i dettami. Ecco la contraddizione che si scatena in una famiglia borghese dove viene frustrata la comodità del proponente, il cinico nobile che ha messo incinta l’amante e cerca riparo e giustificazione rispetto ai pettegolezzi della società. La lettura che nei mesi fa Baldovino della nuova realtà porta a un ribaltamento dei ruoli. Il nobile vuole solo sesso, il neo-marito insinua l’amore nell’emotività della giovane sposa. E anche la nascita di un bambino s’instaura nel complicato circuito dei rapporti e dei sentimenti. Pirandello così insinua la sua abituale corda pazza nel plot fino all’inaspettato capovolgimento dei ruoli. Un trucco contabile smaschera l’intenzione di liberarsi di Baldovino. Ma ecco scattare l’inaspettato. Le maschere lasciano il posto all’autenticità. La donna riconosce l’amore di Baldovino. E’ l‘occasione per liberarsi da grettezze e inganni per aderire a una nuova proposta di vita. Nel testo c’è tutta la pulsione di Pirandello perché i suoi personaggi si liberino dai legami delle consuetudini. Un soffio di vita permea la scena. La sublimazione della forma ha prodotto una nuova più congruente realtà. Attori per un set di completa affidabilità per un teatro pieno nel giorno della prima in un teatro che dunque non si dedica solo a un repertorio comico.
data di pubblicazione:26/02/2023
Il nostro voto: 
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