CABARET STORY di e con Pierfrancesco Poggi, collaborazione sonora di Lamberto Macchi

CABARET STORY di e con Pierfrancesco Poggi, collaborazione sonora di Lamberto Macchi

(Teatro Off/Off – Roma, 12/14 aprile)

Una micro storia della canzone italiana in cento minuti. Poggi è stordente perché efficace e completo e veloce come un juke box. Nei più mondano dei teatri romani si affaccia puntualmente ogni anno in virtù del collaudato rapporto con il patron Silvano Spada. Il cabaret è il cuore dell’esibizione ma prima e dopo c’è molto altro.

L’avvio è perentorio. Una dozzina di canzoni in altrettanti minuti. Con la sua chitarra Poggi sembra in grado di riprodurre ogni suono: dalla canzone popolare a quella d’’autore, rivelando all’interno del repertorio le canzone censurate e quelle censurabili (tra cui una sua composizione, un peccato di gioventù). Da De Gregori agli Squallor scovando un insospettato capostipite del genere in un napoletano di fine ottocento a quasi tutti sconosciuto. Ma c’è molta Napoli in E.A. Mario, nome d’arte, autore di alcuni struggenti e indimenticati pezzi. Attore, imitatore, comico, regista l’underdog dello spettacolo italiano offre il meglio nei dialoghi multi voce. Ma il pezzo più spassoso è la fedele riproduzione di un clima che non esiste più, quello delle Feste dell’Unità che lo vedevano protagonista, un po’ per caso, subìto più che ricercato secondo un catalogo frusto di partito. Poggi ha memoria dell’ultimo cinquantennio della canzone italiana, di Gaber, dei francesi e stabilisce una perfetta sinergia con il pubblico, chiamato con lui suggerire, temi e note, a cantare persino. Viene un po’ di malinconia a pensare quanti dei protagonisti tirati in ballo non ci siano più, tra i primi il caustico Enrico Vaime con cui faceva “triello” in radio (il terzo angolo era impersonato da Simona Marchini). Ma i tempi sono cambiati e oggi Francesco De Gregori canta in coppia con Checco Zalone. Mah…

data di pubblicazione:15/04/2024


Il nostro voto:

LA STELLA DI SAN LORENZO di Gianni Clementi

LA STELLA DI SAN LORENZO di Gianni Clementi

regia di Carlo Emilio Lerici, con Rodolfo Laganà e Sandra Collodel

(Teatro Ciak – Roma, 12/21 aprile 2024)

Il tragico bombardamento di San Lorenzo risuona ancora nelle menti e nella drammaturgia innescata dal ben noto prolifico e fecondo Gianni Clementi. Ma un sorriso gioviale accompagna l’atto di guerra attraverso il dialogo intimo, quasi una confessione, tra un sacerdote e una sua parrocchiana fin troppo fedele.

A sipario chiuso intermezzi di un atto sessuale. Ma la sorpresa è quando l’azione  rivela che uno dei due protagonisti è un prete. Che quando cadono le bombe cade in preda a un’amnesia vera o finta che sia e si ritrova in mutande bloccato da una pesante trave.  Il fermo immagine della scena è funzionale all’attuale condizione di immobilità di Laganà, alle prese con una feroce sclerosi multipla che non gli ha tolto la gioia di vivere e di recitare. Così il peso dei movimenti e della vivacizzazione della scena è tutta affidata all’indubbia bravura della Collodel. I testi sono all’altezza della situazione drammaturgica tra la paura di essere scoperti e la malizia dovuta all’insolito incontro ravvicinato. Puro succo di teatro fecondo con finale imprevedibile. C’è di mezzo anche la voce del Papa e l’indubbia eco che suscitò in Roma l’accaduto. Clementi è tradizionalmente vicino a questi tempi e ha pescato gli interpreti giusti per restituire un’emozione profonda che si rianima in vicinanza dell’iconico 25 aprile. La scena è quanto di più veritiero si possa immaginare in un catafascio di rovine e di confusione. Si ondeggia tra il sacro e profano. Con ostie che servono a sfamare i due protagonisti, se non consacrate, ma che diventano cibo religioso con la comunione. E il prete non può dimenticare fino in fondo di essere anche un uomo. Religione e carnalità fanno ping pong agitando quella contraddizione che è perfetta sintesi teatrale.

data di pubblicazione:14/04/2024


Il nostro voto:

ZIO VANJA- Progetto Cechov seconda tappa, di Anton Cechov

ZIO VANJA- Progetto Cechov seconda tappa, di Anton Cechov

regia di Leonardo Lidi con Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speciani, Giuliana Vigogna, scene e luci di Nicolas Bovery, costumi di Aurora Damanti, suono di Franco Visioli. Produzione Teatro Stabile dell’Umbria in coproduzione con Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale Spoleto Festival dei Due Mondi

(Teatro Vascello – Roma, 9/14 aprile 2024)

Seconda tappa del progetto Cechov pattuito in collaborazione anteprima con il Festival di Spoleto. L’ironia sottile del drammaturgo russo qui diventa aperta irrisione di un costume antico nel segno dei tempi che cambiano.

Non ci si attenda nella seconda puntata il puntuale rispetto della tradizione. Per affabulazione, costumi, ritmo. Figurarsi, c’è persino un paziente cane in scena che sembra assecondare i movimenti dei protagonisti. Un professore spompato che spesso controlla l’andamento del proprio pene è l’ipotetico centro di una dimensione parafamiliare. Ma è un centro fittizio perché attorno a lui tutti tradiscono, irrorati dall’irrequietezza di Zio Vanja. Amori non corrisposti e febbrili pulsioni sessuali mentre attorno c’è una Russia che cambia ma che sarebbe un eufemismo definire moderna. Quando i protagonisti posano tutti insieme per una virtuale immagine del gruppo sembra balenare la fedele riproduzione di un quadro di Hopper. Parrucche e camuffamenti sobri. Ecco il balenare di una modernità che fa fatica a comparire sia pure preannunciata da qualche vagito. Età media in platea sorprendentemente bassa nel segno di rispetto di una compagnia che non tradisce nella chiarezza del proprio proposito. Far si che la corrosione satirica sia la spinta centrale di uno sviluppo che ha pure un suo plot, un suo filo sotterraneo in cento minuti di scena. Sinergia drammaturgica molto collaudata e scena basica. Apparire e sparire, voci anche senza corpi. E scene mute altamente significative ancorché spiazzanti e amene. Una citazione particolare per l’interpretazione sulfurea di Massimo Speciani.

data di pubblicazione:10/04/2024


Il nostro voto:

CHI L’HA VISTA testo e regia di Paola Tiziana Cruciani

CHI L’HA VISTA testo e regia di Paola Tiziana Cruciani

con Paola Tiziana Cruciani, Enzo Casertano, Manuela Bisanti, Alessandro Cecchini

(Teatro Manzoni – Roma, 4/21 aprile)

Novanta minuti di one woman show al secolo Paolo Tiziana Cruciani, assistita da quel adattissimo caratterista che è Enzo Casertano, con il condimento di giovani interpreti/ figli fuori dalle righe ma perfettamente in parte.

Gradevole commedia primaverile a cui bisogna concedere la tara dell’invenzione che è l’innesco del grottesco. L’assunzione di un bicchierino di centerbe nel ricordo della nonna fa improvvisamente diventare invisibile una madre di famiglia agé su cui ricadono tutte le pene di una famiglia consumata dalla routine. A tavolo non c’è dialogo, ognuno si assesta con il proprio smartphone ignorando gli altri. Però quando il perno dell’aggregato si volatilizza vengono fuori le magagne. I tradimenti del marito, i traffici illeciti del figlio maschio, il progetto di separazione di una figlia che è pure incinta. Tutto il non detto e il nascosto diventa palese e così la ricomparsa in scena prelude a un regolamento dei conti che pure viene assolto in modo bonario. Potrà tornare tutto come prima? Traccia di finale aperto. Si ride a tratti amaramente perché il riconoscimento di situazioni in essere è ovvio e naturale. Gli interpreto sguazzano in un liquido amniotico estremamente familiare. Non a caso il teatro di Prati propone lo spettacolo fino al giorno del Natale di Roma contando di ripetere stabilmente il tutto esaurito della prima. Nella famiglia patriarcale all’italiana la donna è ancora al centro di ogni responsabilità e, in fondo, di ogni pena. Chissà che il colpo di scena agnitivo tra i coniugi non riscatti la molla dell’interesse e dell’attrazione perduta. Si ride di cuore, con gusto e di pancia anche a volta senza volgarità. Dignitoso teatro d’intrattenimento senza sottotesti particolari.

data di pubblicazione:06/04/2024


Il nostro voto:

LE PREZIOSE RIDICOLE liberamente tratto da Molière

LE PREZIOSE RIDICOLE liberamente tratto da Molière

con Benedicta Boccoli, Lorenza Mario, Stefano Artissunch, regia, adattamento e ideazione scenografica di Stefano Artissunch, costumi di Mario Nateri, maschere e pupi di Giuseppe Cordivari, musiche di Andrea Bianchi, organizzazione generale e distribuzione di Daniela Celani, produzione Fondazione Atlantide Teatro Stabile di Verona/Daniela Celani per Synergie Arte Teatro

(Teatro Sala Umberto – Roma, 26/30 marzo 2024)

Molière è solo un pretesto per calcare liberamente nell’avanspettacolo o music hall (più elegante) che dir si voglia attraverso canzoni d’epoca, balli e recitazione di una scalcagnata compagnia di giro assemblata con materia prima da Roccacannuccia e Capracotta. Innesco fresco pretestuoso, ensemble brillante e sfavillanti scenografie.

Il titolo può ingannare perché lo spettacolo spazia su un repertorio ammiccante agli ultimi anni della seconda guerra mondiale. La trama è appena una bozza e un innesco con la cornice (le interpreti) che sono meglio del quadro (il testo, lo sviluppo). Nelle parti di stagionate interpreti del varietà Boccoli e Mario se la cavano magnificamente auto-ironizzando sulla propria condizione, cercando (inutilmente) di non farsi vessare dal manager che è anche il creatore del testo e della regia. Si prende un po’ da tutto, incluso Petrolini con una rievocazione d’epoca che non può che piacere alla borghesia in sala. La pretesa di un messaggio è fuori dal contesto. Così la gravidanza di una delle due, incinta per colpa di un nazista non gentiluomo, è palesemente presa da La Storia di Elsa Morante. La censura che cancella le parole straniere sa di deja vu, lieve l’accenno alla censura in cui incappò Molière. E dunque quello che più colpisce è il rutilante assemblaggio, il fascino di intramontabili motivetti, la grazie delle protagoniste per una proposta calzata mani e piedi sul loro charme. Le defunte luci del varietà, quando lo spettacolo veniva gettonato unitamente a un film, nel mondo del teatro sembrano destinate a non spegnersi mai. Polvere di Stelle al cinema ammiccava a questo mondo.

data di pubblicazione:27/03/2024


Il nostro voto: