da Daniele Poto | Nov 28, 2024
Un viaggio emozionale in Romania: dalla Transilvania al Mar Nero, cancellando vecchi luoghi comuni. Tipo la Disneyland allestita attorno al Conte Dracula, mito e leggenda locale, che attira gli americani con una location castellana imperniata su finzioni e facili ammiccamenti. In realtà Dracula è soprattutto un personaggio dell’omonimo libro di Bram Stoker, dunque figlio di una letteratura immaginifica. Ciampi, viaggiatore instancabile, ci fa vedere una Romania varia e diversa, viaggiando in modo naturale, su un pullman, senza accelerazioni e forzature. E’ il Paese da poco entrato nella Comunità Europea che ha spedito in Italia oltre un milione di connazionali in cerca di un futuro migliore, che ha recentemente promosso nella politica il pacifista di destra Georgescu, che frequenta un idioma latina molto vicino al nostro e cova secoli di storia e di frontiera, non ultima la coincidenza di seicento chilometri di confine con l’Ucraina a rischio. Ciampi ci fa vivere con partecipazione il percorso e quasi ci sentiamo compagni di viaggio nella condivisione delle esperienze, del culminare nell’affascinante delta del Danubio, verde e non blu dove la natura riprende il sopravvento prima dello sbocco al mare. Storia, geografia e folclore con qualche bagliore del passato regime di Ceasescu, ricordo di 35 anni fa. Immagine inedite, seminali, vive e non retoriche. Narrativa di viaggio instancabile, a tratti febbrile che sembra premesse a altre peregrinazioni. Mai abbandonando il tono leggero Ciampi comunque è rigoroso nell’accumulo di sensazioni e percezioni. Abbracciando con simpatia tutto quello che gli capita lungo il percorso. Bottega Errante si conferma l’editore più attento all’interessante sboccio di una bibliografia sui paesi dell’est. Di cui sappiamo sempre troppo poco. Da domani parleremo un po’ meno di Dracula e un po’ più delle aspirazioni attuali della Romania. Ricordandoci dell’oro trafugato dai romani nelle miniere locali e del tributo al Daci.
data di pubblicazione.28/11/2024
da Daniele Poto | Nov 28, 2024
tratto da “Uno psicologo nel lager” di Viktor E. Frank, con Raul Bova, testo e regia di Luca De Bei, disegno luci di Marco Laudando, contributi video di Marco Renda, musiche originali di Francesco Bova, aiuto regia Barbara Porta, costumi di Francesca Schiavon
(Teatro Il Parioli, Roma, 27 novembre/8 dicembre 2024)
Un sobrio e sommesso omaggio al nuotatore francese di origine ebraica che vide interrotta la propria carriera dal conflitto e dalla persecuzione razziale pur riuscendo, a titolo onorifico, a partecipare all’Olimpiade del 1948. Nuotatore come Bova che sguazza nel suo ambiente naturale.
Era atteso alla prova nella solitudine dell’attore solo in scena Raul Bova e la prova è superata, come una gara. Non era Don Matteo ma esame ben più severo. Non fanno storia lievi incespicature sul testo nel combinato disposto tra reading e memoria con una scenografia spoglia che poggia su musiche ridotte, l’oscillazione tra due leggii e contributi video che, saggiamente preferiscono non rievocare Auschwitz per non conferire un’attitudine ancora più punitiva al contesto. Al primo racconto di un’adolescenza serena e di un cammino sportivo per il protagonista, fatto di primati e di titoli in Francia, subentra la fissità spettrale della deportazione che rompe i vincoli familiari. Nel campo di concentramento però si riattiva vita e solidarietà. E, quando riemerge dagli orrori della guerra, ma senza più famiglia (sterminata nelle camere a gas) il legame con l’acqua si riannoda e per molti decenni il nuoto sarà ancora passione e hobby con percorsi di tre chilometri giornalieri. Anche la fine, serena, sarà nel contesto dell’elemento naturale che fa di se maggioranza nel corpo umano, conseguenza di un malore marino. Spettacolo denso che richiede impegno e concentrazione senza alcun facile effetto speciale.
data di pubblicazione:28/11/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Nov 22, 2024
con Vittoria Belvedere, Benedicta Boccoli, Debora Caprioglio, Ermegildo Marciante, Beatrice Coppolino e Claudio Cammisa. Regia di Enrico Maria Lamanna, traduzione e adattamento di Marioletta Bideri e Enrico Maria Lamanna
(Teatro Manzoni, Roma, 7/24 novembre 2024)
Giallo vaudeville dai dialoghi scoppiettanti. Non fa in tempo ad arrivarti una battuta che è già in cantiere la successiva. Allo scarso interesse per l’identità dell’assassino corrisponde la vivacità dei personaggi in una versione completamente al femminile. Si intuisce un ritmo americano, di altro continente. E le caratterizzazioni sono riuscite. Ampia tenitura (18 giorni) e successo corrispondente.
Non sono solo starlette televisive o cinematografiche le tre attrici che intessono la fitta di due tempi che sono evidentemente più comici che drammatici. E mostrano una perfetta empatia tra di loro, senza strapparsi le battute contando sul supporto di bravi caratteristi. Dunque il percorso è più importante dell’approdo finale (la rivelazione dell’assassino). Che non riveleremo. Ma ovviamente la sorpresa è in serbo con un teatro leggero ma intelligente. Provocazioni sul politicamente corretto. Non a caso la citazione più gettonata è quella delle tette. Le attrici fanno in gara a sottolineare una sorta di competizione tra le proprie misure con un vivo senso dell’ironia, ovviamente concessa a soggetti femminili. Storia di amicizia, di rivalità dissimulate, di intrighi, di amori, di dissidi familiari e di sesso opacizzato e virtuale. Il Manzoni mostra segni di grande rinnovamento di repertorio mentre le attrici scherzano con disinvoltura sulla propria età. Ma questa è la classica evoluzione sui palcoscenici teatrali. Teatro leggero per tutto loro nella maturità di carriera, magari sulla scia quarantennale di una Paolo Quattrini. C’è chi copre più ruoli con abilità anche se non ha il dono dell’ubiquità. Il serial killer è troppo spassoso per essere vero. E sarà poi un uomo o una donna?
data di pubblicazione:22/11/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Nov 18, 2024
L’opera prima nella fiction di Millet ha le porte spalancate per il successo. Primo Premio nel Concorso Amore e Psiche del concluso e riuscito MedFilm Festival 2024, sta entrando nel circuito italiano della grande distribuzione dopo essere stato presentato a Cannes nel luglio scorso. Inoltre si sprecano i rumor per una possibile nomination nella selezione europea degli Oscar.
Storie di spie ma soprattutto di un’ossessione. Quella montante in progressione geometrica di Hamid, un profugo siriano, girovago tra Francia e Germania, inserito in un network spionistico che cerca di rintracciare nel vecchio continente i torturatori dell’odiato regime di Assad. La sua missione riguarda l’identità di uno di questi. La motivazione è forte come la rabbia che lo ispira. Ma la missione gli prende la mano e ne travalica intenzione e incarico. Così il pedinamento diventa paranoico e lo spinge ai confini di una possibile frequentazione con il potenziale carnefice rintracciato grazie a una foto non troppo chiara. L’ispirazione di un thriller, assecondata da una colonna sonora ritmica e pregnante, è il forte biglietto da visita del film. Incertezza e tensione montano improvvisamente anche se alla fine l’unico sangue che scorrerà sarà proprio quello del protagonista, trafitto dall’incauta coltellata di una collega troppo zelante nel desiderio di vendetta. Il film avvince per il fascino del mood ed è contrassegnata dalla scarsità dei dialoghi. Pochi ma significativi. Le azioni e i sottotesti coprono i buchi di una narrazione coerente e ispirata fino all’epilogo finale che, per ovvie ragioni, non riveleremo. Il network spionistico è chiamato a mettere ai voti la risoluzione sul torturatore: esecuzione o processo? E’ il dubbio che ha agitato anche i sonni del protagonista che nella vita privata è un professore di letteratura ormai senza famiglia e completamente sradicato dalla Siria.
data di pubblicazione:18/11/2024
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da Daniele Poto | Nov 16, 2024
intorno alle opere di J.R. Wilcock, drammaturgia di Tommaso Cardelli e Tommaso Emiliani, regia di Alessandro Di Murro, con Jacopo Cinque, Alessio Esposito, Amedeo Monda, Laura Pannio. Produzione Gruppo della Crosta e Fattore K
(Teatro Basilica -Roma, 14/17 novembre 2024)
Eccentrico ispirato accumulo di contributi legati alla figura di Wilcock, dimenticato santone dell’Intellighentsia morto nell’anonimato perché trapassato nello stesso giorno del rapimento di Aldo Moro. Tormentone sulla morte e poi sul prototipo del bravo padre di famiglia, all’occasione violentatore e latore di alcun i dei peggiori istinti umani.
Spettacolo di corpo e di mozione con largo spazio all’improvvisazione. In meno di un’ora podismo, provocazioni, strizzatine d’occhio al pubblico che con il passaparola alimenta gli entusiasmi di una platea che più giovane non si può. Caricatura della pornografia, gli uomini messi in mutande (anzi in boxer) da una donna che sa essere feroce. Più ridicoli del solito per l’occasione con le gambe sghembe e un’impressione perplessa sul volto. Come si intuisce mise en scene vivace e irraccontabile. Il meglio in avvio perché l’intervista su come debba svolgersi il fine vita è ricca di richiami tanatologici. Il divano è il baricentro dell’azione e finirà male, preso a calci come per dissipare tutto quello che è avvenuto al suo cospetto, prima. Il parlarsi addosso è quello di una generazione che spesso presume troppo da se, smarrita e incerta. Si discetta sull’idea di progresso e sulle variabili che le ruotano attorno: crescere vivere, morire, mangiare e dormire: elenco di bisogni primari. Spettacolo generazionale per un una nuova ancora non troppo chiarita idea di teatro. Che finisce e sgorga con pasticcini e caffè. Del secondo si sente l’odore, i primi vengono offerti anche al pubblico in un empito di ritrovato ottimismo.
data di pubblicazione:16/11/2024
Il nostro voto:
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