QUASI AMICI, adattamento e regia di Aberto Ferrari

QUASI AMICI, adattamento e regia di Aberto Ferrari

tratto dal film Intouchables di Eric Toledano e Olivier Nakache, con Massimo Ghini, Paolo Ruffini, Claudia Campolongo, Leonardo Ghini, Gianmarco Trulli, Giulia Sessich, Diego Sebastiani, Sebastian Misasi, scene di Roberto Crea, costumi di Stefano Giovani, disegno e luci di Pietro Sperduti, musiche di Roberto Binetti. Produzione Enti Teatro

(Teatro Il Parioli -Roma, 15/18 febbraio 2024)

In arte nulla si crea e nulla si distrugge. Così da una storia vera portata al cinema in Francia rielaborata in Italia nasce un terzo filone, questa volta teatrale. Nonostante il difetto d’inventiva il risultato è scoppiettante lungo due ore e trenta ricche di sorprese.

Si potrebbe pensare a uno spettacolo inverato sulle risorse della strana coppia Ghini-Ruffini ma se il secondo è un’autentica rivelazione fuori dai panni abituali è l’investimento di scena che stupisce, quasi strabilia. Perché la piece esce dai limiti del duetto e si affida a una storia corale dove entrano disabilità, emarginazione, amore, sesso, divagazioni esistenziali tanto che a un certo punto quasi ci si perde in una parentesi aperta e allungata indefinitamente prima di essere chiusa. Operazione riuscita nel viraggio all’italiana, anzi al 50% in Toscana, terra di umorismo fecondo (Benigni, Hendel, Monni), vista l’inflessione marcata di Ruffini Alla fine il riassunto di tutti questi variegati incroci è una summa sull’amicizia. Un’attrazione che supera classi sociali e cultura diverse, milieu all’opposto ma che si incontrano sul piano delle emozioni e delle necessità. Una ventata di ottimismo in tempi difficili. Prima di chiamarsi Teatro Costanzo il Parioli aggiunge un’altra piccola gemma al proprio curriculum per una proposta che meriterebbe indubbiamente più giorni di programmazione sulla piazza di Roma. Bravi anche i comprimari e in particolari i personaggi femminili che aggiungono calore e colore. Anche bambini in platea, difatti è un gradevole spettacolo per tutti. Difficile il confronto cinema/teatro ma questo adattamento all’italiana si confronta senza complessi con l’originale transalpino.

data di pubblicazione:16/02/2024


Il nostro voto:

SOUVENIR DE KIKI drammaturgia, immagini e regia di Consuelo Barilari

SOUVENIR DE KIKI drammaturgia, immagini e regia di Consuelo Barilari

con Manuela Kustermann, le voci di Hemingway, Soutine, Man Ray, Fujita sono rispettivamente di Roberto Alinghieri, Fabrizio Matteini, Nourredine, Davide Gallerello, luci di Liliana Ladeluca, suono e editing di Claudio Maccagno, proiezioni video di Gianluca De Pasquale, elementi scenici a cura di Cri Eco, costumi di Francesca Parodi, installazione “Libellus” di Marzia Migliora e Ilenia Corti. Produzione Schegge di Mediterraneo, Featival dell’Eccellenza al femminile

(Teatro Vascello – Roma, 13/18 febbraio 2024)

Si fa presto a dire reading. No, leggete la complessa macchina scenica allestita tra video, fotografie e raffinatissima musica d’epoca per restituire il puzzle-mosaico del mood di Kiki di Montparnasse, regina della Parigi di notte. Animatrice, scrittrice, modella, campionessa mondiale di cuori infranti.

Una donna che riassume un mondo. Tra libertinismo, dadaismo e futurismo. Attraversando la storia del tempo con gli incontri: Soutine, Fujita, Man Ray (un fidanzamento durato sei anni), Kisling, Calder, Cocteau. Kiki, all’anagrafe Alice Prin, nulla si negava. Scandalizzando i genitori che fanno irruzione nello studio di un pittore e la colgono nuda già a 14 anni. Stupendo i borghesi, vestendo senza mutande, in un tourbillon di amori folli, di droga (cocaina) prima del rapido invecchiamento e della triste fine. Manuela Kustermann ripercorre cronologicamente in cento minuti questa parabola arrestandosi nel punto più glorioso, evitando di documentare il declino. Fascinosa e charmante la tycoon del Vascello, si districa con agilità nel racconto assistito da un puntualissimo corredo iconico. Lo sforzo produttivo è imponente e all’altezza della sua recitazione che con abilità bypassa il gap anagrafico rispetto all’età raccontata del personaggio. L’atmosfera del tempo è restituita senza imbarazzi in un crescendo di libertà ma insieme di dissipazione. Questa volta nella prima s’innalza anche l’età media degli spettatori. E il teatro evita che la storia inghiotta chi ha firmato lo spirito del tempo in una capitale europea che nella prima parte del passato secolo era il cuore pulsante della cultura e dell’arte.

data di pubblicazione:14/02/2024


Il nostro voto:

IL PREMIER di Giuseppe Manfridi

IL PREMIER di Giuseppe Manfridi

regia di Piero Maccarinelli, con Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Mersila Sokoli, Stefano Santospago, Galatea Ranzi, Duccio Camerini

(Teatro Argentina – Roma, serata unica e speciale 12 febbraio 2024)

Un risarcimento per un autore veterano, polivalente, eccellente affabulatore all’interno della rassegna “Lingua Madre” giunta alla terza puntata con il provvisorio trasferimento dal Parioli al principale Teatro di Roma. Reading di novanta minuti per cinquecento spettatori con il mattatore Lavia.

Come non pensare ai rivoli scandalistici della politica italiana. Da Berlusconi in avanti magari con il pensiero a Tangentopoli e alla corruzione. Sebbene scritto parecchi anni or sono e mai rappresentato il testo regge viste le invarianze in chi regge i destini della nazione. Attorno a un onorevole trafitto dagli scandali ma pure ansioso di ritornare in sella si affacciano inghippi e complicazioni di ogni tipo. Anche sentimental/sessuali, incesto compreso. Perché tutti sembrano tradire tutti e dunque non sembra esserci redenzione in chi ha pattuito che la propria vita debba essere improntata al potere e alla ricerca di un voto in più. La corruzione e il tradimento è un morbo contagioso che non risparmia chi gli è vicino. Bel coro di attori disposti in assembramento, fianco a fianco con relativo leggio e senza neanche il conforto di uno stacco musicale o di un intervallo. Testo denso, ricco di battute e di sommovimenti che resiste alla prova di un tempo considerevolmente più lungo dei tempi di un reading. Ovviamente Lavia spicca su tutti in un bel coro di personalità con Camerini nelle vesti del raccontatore didascalico. La rassegna si avvia al termine e il suo sottotitolo (“Il teatro italiano non fa schifo”) rappresenta un palingenetico atto di speranza. Del resto chi ha il coraggio di scrivere copioni per più attori senza avere buone chance di venire rappresentato? È il caso di questo testo passato di mano in mano ma senza che un produttore volesse investirci su per uno spettacolo. Eppure la spina dorsale del testo lascia intravedere ottime possibilità rappresentative.

data di pubblicazione:13/02/2024


Il nostro voto:

RECITAL di e con Francesca Reggiani

RECITAL di e con Francesca Reggiani

(Teatro Comunale di Poggio Moiano, 11 febbraio 2024)

Monologo diesel che parte con le marce basse ma poi scalda il pubblico sabino con un tema ineludibile e caro all’attrice: la condizione di single e i travagliati rapporti uomo/donna. Per il ciclo Sentieri in Cammino tutto esaurito per un’occasione da non perdere.

Il navigato mestiere della Reggiani pesca un punto di forza persino dal complicato rapporto con la scena, le luci e il lancio dei video che fanno da punto e virgola al suo fitto monologo. Ovvio che non ci sia troppa dimestichezza con un piccolo palcoscenico mai calcato prima. Comicità arguta che tende al sorriso più che al riso. Ma si parla anche di politica lanciando fendenti a destra e sinistra con le godibili imitazioni di Meloni e Schlein. La prima rappresentata con quel romanesco internazionalizzato pieno di sporcature e dialettismi; la seconda con le sue sibilline allusioni ai diritti dell’eguaglianza. La comica spesso cerca appoggio nel pubblico, peraltro un po’ pigro nel rispondere alle chiamate. Ricordiamo come pezzo forte del repertorio quasi recente dell’attrice l’intervista a due facce tra la già citata Meloni e la giornalista radical chic Conchita Di Gregorio. Evitando di essere travolta dal mainstream della situation comedy la Reggiani si tiene ancorata ai suoi pezzi forti da sempre. La maniera di Roma nord, il politicamente corretto sul cibo sano, la televisione in preda agli chef. Senza volgarità o turpiloquio ma con tanta malizia, allusioni e strizzatine d’occhio al nostro strano modo d’essere attuale. C’è tanta vita perché quando fa riferimento alle abitudini delle sue amiche si ha proprio l’impressione di entrare a casa Reggiani. Sono passati molte anni dall’onda di Serena Dandini ma la protagonista ci mostra un valido modo per tenersi a galla, veleggiando sull’attualità e su alcuni temi rivisti senza paura di stancare e, eventualmente, ripetersi.

data di pubblicazione:12/02/2024


Il nostro voto:

BOSTON MARRIAGE di David Mamet

BOSTON MARRIAGE di David Mamet

traduzione di Masolino D’Amico, regia di Giorgio Sangari, con Maria Paiato, Mariangela Granelli, Lorenza D’Auria

(Teatro India – Roma, 6/11 febbraio 2024)

Il Mamet che non ti aspetti per una grande prova d’attrice di Maria Paiato. Qui chiamata efficacemente a esagerare in un’esilarante parte dove la sovrabbondanza di movimenti e la ridondanza del linguaggio culmina spesso in una battuta fulminante. Assistita da college egregie. Il titolo allude a una sorte di emancipazione femminile del XIX secolo riferendosi a donne capaci economicamente di evadere dalla dipendenza maschile.

Maliziosi legami tra donne con allusioni al voyeurismo in una società che, chissà perché, immaginiamo puritana e persino bacchettona. Donne di costumi a volte facili che s’ingelosiscono, progettano menagè a trois ma con la morbidezza di sentimenti che scivolano sulla pelle della trama. In fondo non succede niente in scena quando in realtà succede tutto. Nei cambiamenti umorali scatenati da una collana traditrice. Mamet, se fosse presente, sarebbe entusiasta della Paiato, una sorta di contraltare al femminile della leadership virile di Popolizio. Non si lascia sfuggire neanche l’efficace di una sola battuta l’attrice veneta, magnifica padrona dell’assunto. La commedia è anche farsa, resistente a 25 anni di un invecchiamento che sa di maturazione. Le citazioni di scena di Oscar Wilde (lo snobismo), Henry James (l’atmosfera), Tennesse Williams (la morbosità) sono piuttosto pertinenti nel cocktail mametiano he vuole essere un morbido omaggio ai tempi. Il contraltare delle due protagoniste i cui dialoghi sono la scena portante del set è l’apparentemente ingenua cameriera, ingiuriata, bistrattata, sospettata di furto ma anche licenziata. Messa incinta in pochi secondi di contatto sessuale, perdendo la verginità. Il suo ruolo non marginale viene ribadito dall’ultima scena in cui, mollemente sdraiata sul divano padronale, fa veramente per la prima volta nella sua vita la signora. A trovare difetti c’è un quarto d’ora di troppo perché il tentativo di trovare una spiegazione alla disponibilità della collana è arzigogolata e la pratica delle chiromante non stimola affatto gli umori del pubblico, decretando un ovvio calo di tensione.

data di pubblicazione:11/02/2024


Il nostro voto: