IL TEMPO CHE CI VUOLE di Francesca Comencini, 2024

IL TEMPO CHE CI VUOLE di Francesca Comencini, 2024

Intimistico ritratto a due: padre/figlia. Con la specifica della fama del regista Comencini, uno dei maestri della commedia all’italiana. Scelta deliberata quella di escludere il resto della famiglia per un focus su un rapporto speciale. Tranciando le altre storie di famiglia e persino Calenda, mostrato per qualche secondo in fasce.

 

Il tempo che ci vuole, oltre alla citazione interna nel film, è quello necessario per metabolizzare un rapporto intenso e portarlo sullo schermo, analizzando un rapporto contraddittorio, non sempre dialettico. La bambina dolce e docile dell’inizio, portata costantemente sul set, diventa nella parte centrale un adolescente problematica. Per un film senza effetti speciali e con cadenza teatrale occorreva un attore come Gifuni per sostenere la sceneggiatura e, a parte qualche banalità dialogica, in particolare quando ci si sofferma sulla dipendenza dalla droga, l’operazione riesce e la tensione narrativa viene mantenuta. La Comencini si mette a nudo senza troppi pudori con qualche libertà poetica e qualche digressione rispetto alla realtà storica. Si attraversa il terrorismo con la cronaca televisiva e l’epopea del cinema muto. Perché Comencini salvò un pezzo di storia del cinema d’anteguerra e le immagini del Pinocchio del 1911 (prima del celeberrimo tutto suo) sono chicche d’autore. Sullo schermo Comencini piange quando vede Paisà di Rossellini perché gli ricorda un’Italia (e un cinema) che non c’è più. Quando già la malattia incalza. Musica d’epoca, tra la classica, Nicola Di Bari, Neil Young. Ma del resto anche Sorrentino saccheggia niente meno che Cocciante. Un film la cui distribuzione si fermerà a Chiasso anche se c’è un pezzo di Parigi che fa molto cartolina. La Roma mostrata è quella dei quartieri alti e del centro che fa molto famiglia Comencini.

data di pubblicazione:05/10/2024


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KOSTAS – serie TV su RAIUNO, 2024

KOSTAS – serie TV su RAIUNO, 2024

Traduzione per il grande pubblico dei ben più complessi gialli dello scrittore greco-turco Petros Markaris. Regia non particolarmente creativa anche se si apprezza lo sforzo di ricreare una location evidentemente Ateniese (Partenope, Acropoli, souvlaki, Piazza Omonia). Persino in greco gli striscioni di una manifestazione sindacale.

C’è stata una stagione cinematografica in cui non si poteva girare un film se non c’era Stefano Fresi. Il corpulento polivalente attore in virtù della propria popolarità assume un personaggio che dovrebbe avere più sfrangiature e sottigliezze per ricalcare il prototipo narrativo. Fresi si sforza per approssimazione ma più dentro la parte sembra la sua moglie e partner Francesca Inaudi. Il legame matrimoniale è il collante ma anche l’altra faccia dell’attitudine investigativa. Per tenere vivi gli episodi (e le quattro puntate) si raccontano omicidi che poi si saldano con il delitto precedente, ingenerando un minimo di sovrabbondanza. Il ritmo è variabile, a tratti calante. Compare ironicamente anche Markaris, l’autore in una sorte di auto-citazione. Si leggono i crismi del film tivù più che di un’opera capace di svincolarsi dal genere e assurgere al rango di cinema. L’inscatolamento in interni nuoce alla varietà della volenterosa narrazione. Il gemello greco di Camilleri produce un Montalbano minore, meno tipizzato e brillante. Ma nel mare magnum dell’attuale produzione dell’ente pubblico la sufficienza non è stiracchiata e in fondo merita il primato di ascolti. Apprezzando il tentativo di sprovincializzare il mainstream degli investigatori all’amatriciana. Retrodatando le vicende si respira anche un po’ di politica, con l’aura in declino del regime dei colonnelli in una società che, a tratti, appare persino più asfittica e corrotta di quella italiana.

data di pubblicazione:04/10/2024 

IL LEONE DEL DESERTO di Mustafà Akkad, 1981- riedizione restaurata 2024

IL LEONE DEL DESERTO di Mustafà Akkad, 1981- riedizione restaurata 2024

Si porta addosso la nomea di film maledetto perché rievocando le discutibili imprese del colonialismo italiano si vide bocciato dalle censura (v. Andreotti) e costretto al solo mercato estero. Drammone che ha i tratti di un western per quasi tre ore di durata e un cast di tutto rispetto.

Ricompare dopo 43 anni e un lungo cammino di clandestinità una pellicola feroce verso la patria ma piuttosto fedele alla realtà storica. La sovrabbondante superiorità militare nostrana fa fatica a stroncare la resistenza dei beduini libici che non vogliono sottomettersi alle pretese dell’invasore. Lo scenario è quello degli anni ’30 ma illumina un pezzo di futuro e il Gheddafi che fu. Quando Mussolini (un efficace Rod Steiger) decide di forzare la mano, nomina il feroce Graziani come Governatore della Libia. E la repressione che ne segue è spietata. Impiccagioni, decimazioni, mutilazioni, rendono il Paese una sorta di terra di nessuno in preda alla carestia. E l’estrema ratio è un campo di concentramento in filo spinato che stronca le ultime resistenze. Una damnatio memoriae avvolge il film. Il baluardo del patriottismo libico Omar Al Mukhtar, ben reso da Anthony Quinn, è un eroe che conosce l’arte della guerra e che non abdicherà al proprio credo, rinunciando al salvacondotto e a una pensione di Stato dell’invasore. Film dal budget illimitato per l’epoca con ben rese scene di combattimenti. Proiettato al Cinema L’Aquila, sotto il controllo del Comune di Roma e per volontà dell’associazione “Un ponte per” che ha dato vita a una raccolta di firme per spingere al Rai a mandarlo in onda nei prossimi mesi su una rete generalista. Da notare in parti di assoluto contorno Lino Capolicchio, Claudio Gora, Mario Feliciani e Gianni Rizzo.

data di pubblicazione:01/10/2024


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L’ETERNA ILLUSIONE – L’ENCICLOPEDIA DEL NOIR

L’ETERNA ILLUSIONE – L’ENCICLOPEDIA DEL NOIR

Ha debuttato con lo strepitoso Non voglio perderti la rassegna L’eterna illusione, antologia del noir americano nella forbice che va dal 1941 al 1957 in programma al Cinema Quattro Fontane in Roma, tutte le domeniche alle ore 11 nella stagione 2024-2025.

 Matinèe al Quattro Fontane alle ore 11 con piccola guida critica. Ingresso gratuito per l’esordio, biglietto a 7 euro per una rassegna a cavallo del 2024-2025 che intrigherà i più appassionati cinefili, affezionati al genere, oltre che gli abituali frequentatori di una delle sale più rispettabili e apprezzate della capitale. Ci saranno titoli meno noti accanto a capisaldi del genere per un’immersione in uno delle più scoscese derivazioni del giallo. La rassegna curata da Cesare Petrillo e Simone Fabio Ghidoni con l’indispensabile collaborazione di Circuito Cinema ha visto la partecipazione di un pool di produttori tra cui Andrea Occhipinti, presente alla prima proiezione. Gli ingredienti abituali del noir sono la presenza di una femme fatale e di un detective. L’ambientazione più classica è nella provincia americana. Un cast di sceneggiatori di pregio lavorava dietro le quinte. Nomi come quelli di Cornell Woolrich (o William Irish che dir si voglia) e James Hadley Chase sono dei capostipiti del genere. Nella pellicola d’avvio giganteggia Barbara Stanwick in un’intricata storia di scambio di persone, una tematica che riaffiorerà spesso in Hitchcock o nei film tratti dai libri di Patricia Highsmith. Va da sé che la sala era ai limiti del tutto esaurito, a sottolineare il gradimento dell’iniziativa, nonostante la concorrenza dei film di Cannes, in proiezione nella sale romane. Onore al merito del regista Leisen, capace di passare con disinvoltura dalla commedia brillante al noir. Ma nomi illustri transiteranno nella rassegna anche considerando la densità di quanto ci hanno lasciato scrittori come Raymond Chandler o Dashiell Hammett. L’apertura mattutina enfatizza le possibilità del botteghino secondo una modalità molto cara alla Francia.

data di pubblicazione:30/09/2024

LA CENA di Giuseppe Manfridi

LA CENA di Giuseppe Manfridi

progetto teatrale e regia di Walter Manfrè, con Andrea Tidona, Chiara Condro, Stefano Skalkotos, Giulio Pampiglione. Una produzione Zerkalo

(Teatro Binario 30 – Roma, 28 settembre/20 ottobre 2024)

Crudele partita a quattro con omaggio allo scomparso Manfrè. Trentadue anni dalla creazione ma lo spettacolo non invecchia nella sua originale formula. Trenta spettatori al tavolone rinascimentale, un bicchiere di vino calabrese (Cirò) per gradire. L’incontro tra un padre e un genero si rivela una rovinosa sfida che passa per il conflittuale rapporto con la figlia.

Piatti rotti, tensione alle stelle fino alla scazzottata finale. A pochi centimetri il pubblico che non è chiamato a intervenire ma ad assistere. Non ho mai respirato uno spettacolo così’ vicino all’attore. A venti centimetri da Andrea Tidona, nell’ovvia abolizione del palcoscenico, per gustarne l’irrequieta capacità di mattatore nel mantenimento mimetico di un vivo senso di pericolo per quello che potrà accadere a momenti. Alimentando scommesse che sono assegni strappati a rimarcare il tic sempliciotto dell’aspirante sposo. Il terzo uomo è il cameriere che doveva essere marito e non è lo è stato. Perché c’è sempre un padre di mezzo a influenzare scelte ed umori degli astanti, figlia compresa. Tidona è il regista virtuale dell’architettura teatrale, dialoghi roventi e tempestosi. Così il cibo prodotto in scena (un brodo, un rollè con contorno di patate) diventa un fastidioso fardello di cui liberarsi. Tidona aveva già vissuto un’esperienza del genere nel Valle che fu occupato. Se il teatro è conflitto questa è la sua assoluta epitome. Nell’occasione Binario 30 si propone come la più piccola struttura romana anche se gli spettatori nelle successiva proposte potranno diventare 60. Un’associazione culturale chez Stazione Termini che rappresenta un’originale novità nella stagione appena decollata. I quasi omonimi Manfrè e Manfridi accomunati negli applausi.

data di pubblicazione:30/09/2024


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