FASCISMO MAINSTREAM di Valerio Renzi – Fandango, 2020

FASCISMO MAINSTREAM di Valerio Renzi – Fandango, 2020

Un attualissimo pamphlet su un bubbone non completamente espulso dal dibattito contemporaneo anzi, più che mai attuale vista anche la risonanza rivalutata come la questione del Fascismo eterno, evocata dal compianto Umberto Eco. In un’analisi a tutto tondo Renzi indaga sulle varie forme di diffusione della dottrina politica che imbalsamò l’Italia per più di un ventennio, costringendo il Paese a una gravosa seconda guerra mondiale il cui senso, per certi versi, ha riflessi ancora presenti nella psiche di chi l’ha vissuta. Ma l’attenzione è più che altro rivolta ai riflessi odierni, ai vari filoni di diffusione di un’ideologia che si è avvalsa anche del contributo di punti di riferimento epocali come Julius Evola. La panoramica è globalizzata perché allargata all’orizzonte statunitense, con la particolarissima deriva trumpiana. Renzi si diffonde sul tramonto della religione antifascista di Stato dove l’anti spesso risulta un’etichetta vuota sotto la cui bandiera un po’ tutti possono riconoscersi. Sostiene la difficile esistenza nel Paese di una destra moderata, equilibrata e istituzionale. Rintraccia le contraddizioni nei partiti della destra coalizzata che, formalmente mettono al bando, gli estremisti ma poi se ne avvantaggiano come possibile serbatoio di voto. Mette a frutto la propria esperienza nel descrivere la deriva della destra con infiniti distinguo e sottili differenze. Una galassia sfrangiata in cui convivono come brodo di cultura riferimenti storici, ribellismo, movimentismo, la rivalutazione del concetto di patria. Dalla Meloni a Casapound passando per Roberto Fiore. Analisi non cristallizzata vista anche la cartina di tornasole del movimento no vax vistosamente influenzato dalla destra, propenso a momenti eversivi. Con Draghi configurato addirittura come il Diavolo, in sostituzione del deposto Conte. Una piazza in fermento, agitata e tutt’altro che disponibile a una riconciliazione istituzionale constatate anche le spinte razziste che spesso la animano.

data di pubblicazione:22/01/2022

MIRACOLI METROLITANI a cura di Carrozzeria Orfeo, drammaturgia di Gabriele Di Luca, regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi, con Elisa Bossi, Ambra Chiarello, Federico Gatti, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti,  Fderico Vanni, Aleph Viola

MIRACOLI METROLITANI a cura di Carrozzeria Orfeo, drammaturgia di Gabriele Di Luca, regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi, con Elisa Bossi, Ambra Chiarello, Federico Gatti, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti, Fderico Vanni, Aleph Viola

(Teatro Vascello – Roma, 11/23 gennaio 2022)

Black comedy con venature filosofiche. Due ore e pezzo performate senza risparmio da una delle compagnie di maggiore vivacità della scena italiana.

 

Il ritmo forsennatamente adrenalinico della prima mezz’ora quasi travolge lo spettatore che a volte non riesce a seguire il ritmo della controbattuta nei dialogo a due. In una squallida carrozzeria la filosofia dominante del cibo d’asporto contribuisce a minare i fragili equilibri di una famiglia, costretta a barcamenarsi con i rider, con un figlio di non preclara intelligenza, con la bipolarità di un’aspirante suicida e con le tendenze illegali di un collaboratore che entra ed esce di galera. Come si legge la deflagrazione è vicina mentre l’atmosfera esterna è quasi altrettanto irrespirabile. Tra escrementi che fuoriescono dalle fogne. Il personaggio dominante è l’arrampicatrice sociale, metafora di un mondo dell’immagine tutto apparenza e niente sostanza. Clara, ex lavapiatti, cova il sogno spuntato di un’ascesa sociale mentre tutto le rovina intorno. Nella seconda parte a scenografia intatta lo spettacolo prende un altro ritmo, più meditativo. Con frequenti rimandi a Camus e all’esistenzialismo. Qualche pezzo d’arte che forse meriterebbe più asciuttezza. Nessuno spoiler per il finale che non si sa che direzione può prendere. In effetti al bivio le divaricazioni possibili sono tante. Però mentre si attende una conclusione verosimile le diversioni sono molteplici in un eterno rimando. Come se la scena non avesse voglia di chiudersi. Generosità per eccesso della compagnia con personalità spiccate ma perfettamente sinergiche. E la gioia di trovare un teatro pieno e entusiasta dopo una settimana di programmazione. La capacità di vedere lontano del Vascello. La compagnia in altre stagione si era esibita al Piccolo Eliseo, ora piccola pertinenza di un affare da 24 milioni, affidato a un’agenzia immobiliare per ricchi.

data di pubblicazione:19/01/2022


Il nostro voto:

A QUESTO POI CI PENSIAMO di Mattia Torre – Mondadori, 2021

A QUESTO POI CI PENSIAMO di Mattia Torre – Mondadori, 2021

Un piacevole testamento spirituale. Non sembri accostamento azzardato e ossimoro il giudizio sull’ultimo definitivo libro di Mattia Torre, noto ai più come co-sceneggiatore di Boris, alle prese con un lungo tunnel sanitario che non gli ha impedito un felice sprazzo di letteratura umoristica e drammatica. Conscio dell’ineluttabilità della fine lo scrittore ha scommesso sul proprio futuro con questo manifesto. Che rivela fiducia nella sensibilità dell’arte, della testimonianza concreta di come anche una risata può salvare il mondo. Opera libera che è manifestazione di pensiero nell’affastellarsi di sketch situazioni in cui fiction, saggistica, vita vissuta e teatro si confondono, un po’ come succede nei libri di Piccolo. Piccole e grandi percezioni di vita filtrate dal senso di precarietà. Il libro è pieno di inneschi, di trame accennate che avrebbe meritato ancor più pieno sviluppo. Però, contemporaneamente, è un libro esaustivo oltre che l’ultimo regalo che Torre ci ha fatto. Rimangono di lui i reading degli amici (Aprea, Mastandrea) che continuano a farne vivere ricordo e memoria senza retorica. Siamo vivi finché qualcuno leggerà le nostre cose (parafrasi del pensiero di Baricco). In questo senso Torre è più che mai vivo e attuale nel pensiero riverberato del suo milieu. Il senso di libertà di questo materiale informa è testimoniato da una scrittura attenta ma poco sorvegliata, libera dal dovere della consegna e da obblighi contrattuali. Dunque un’intimità diaristica tanto più apprezzabile quando l’autore senza pudore rivela anche io propri buchi neri e le proprie lacune, in un esercizio quanto mai funzionale di autocoscienza creativa al servizio della letteratura. Se n’è andato a meno di cinquanta anni Torre lasciandoci spunti validi per un’infinita di ripercorribili trame. Radici seminali piantate un po’ ovunque, ironizzando su una società italiana (e sui suoi strani personaggi) ricca di contraddizioni ma non per questo meno interessante.

data di pubblicazione:12/01/2022

DIS- ORDER di Neil Labute, regia di Marcello Cotugno, con Benedicta Boccoli e Claudio Botosso

DIS- ORDER di Neil Labute, regia di Marcello Cotugno, con Benedicta Boccoli e Claudio Botosso

(Teatro Lo Spazio – Roma, 16/19 dicembre 2021)

Tosta drammaturgia contemporanea con un Labute che sa di Mamet. Duetti per due tempi con una gravidanza irrisolta di mezzo. Dialoghi ruvidi e realistici per una piéce godibile e di estremo charme attoriale.

Si può fare anche grande teatro con due soli attori, una scenografia scarna ma con la forte stampella di un testo potente da recitare. Bravo il regista Coutugno a sfruttare la logistica del teatro di San Giovanni ricavandone margini di movimento con l’ariosa scala e con il bar a cui si approvvigionano, bevendo finto gin, i due protagonisti. Scontri di coppia nel segno di una sofferta gravidanza. La prima sfuma per un procurato aborto, la seconda per il suicidio della madre in attesa. Fateci caso due vittime a tempo e un solo sopravvissuto: nel primo tempo la donna, nel secondo l’uomo fedifrago. L’avatiano Botosso predomina in avvio, la Boccoli giganteggia in chiusura con un attacco al coniuge che meriterebbe un prolungato applauso se non ci fosse una continuità teatrale da rispettare. Il disordine del titolo è l’elemento caratterizzante sulla scena. Perfetta interazione tra i protagonisti con scene che sanno di vero e l’attualità che irrompe. Nel primo caso l’attentato alle torri gemelle, più crepuscolare il secondo spunto: un tradimento scoperto a mezzo telefonino, oggetto feticcio dei nostri tempi, documentando drammatiche urgenze delle vite odierne. Comunque la distonia è l’elemento principale dello spettacolo, dunque innesco ideale per il conflitto fertile generatore di teatro. Si ride più che sorridere per il palese tentativo dell’uomo nel tentativo puerile di giustificare il proprio tradimento. Storie riviste e riviste ma credibili per l’acutezza del confronto dialettico tra i coniugi. Ed è anche perfetto l’incastro con le musiche di scena, con ogni probabilità scelte dallo stesso autore. Per la cronaca i titoli originali dei due tempi sono rispettivamente Land of death e Helter Skelter.

data di pubblicazione:19/12/2021


Il nostro voto:

DOLORE SOTTO CHIAVE-SIK SIK L’ARTEFICE MAGICO di Eduardo De Filipo, regia di Carlo Cecchi, con Vincenzo Ferrera, Angelica Ippolito, Dario Iubatti, Remo Stella e Marco Trotta

DOLORE SOTTO CHIAVE-SIK SIK L’ARTEFICE MAGICO di Eduardo De Filipo, regia di Carlo Cecchi, con Vincenzo Ferrera, Angelica Ippolito, Dario Iubatti, Remo Stella e Marco Trotta

(Teatro Argentina – Roma, 10/23 dicembre 2021)

Eduardo forever, immaginando il grande De Filippo con i suoi napoletanismi, le sue pause. Il leggendario Cecchi non è erede ma epigono nella tradizione. Un po’ privo di energia ma ancora profondamente carismatico, perché altrimenti, con diverso interprete, il teatro non sarebbe positivamente semipieno.

 

Due brevi attivi unici per 80 minuti complessivi di spettacolo. Che sembrano un po’ l’aperitivo e il prologo a un piatto più gustoso. Che non arriva. Ossatura da fragili sketch, seppure gustosi e corroboranti. Impresentabili da soli se non altro per la brevità della durata fanno pendant e valore aggiunto per una serata di gala nel nome di uno dei grandi interpreti del teatro italiano, collante e additivo per il botteghino. Forse una proposta che meritava uno scenario più familiare e angusto perdendosi nella maestosità del primo teatro di Roma. Angelica Ippolito, fedele nei secoli al copione, è presenza autorevole e non dimessa della pièce. Cecchi si muove fisicamente con un po’ di disagio dovendo rappresentare un personaggio considerevolmente più giovane ma si muove perfettamente a suo agio nell’incastro perfetto delle interazioni drammaturgiche. Lo zoccolo duro delle due proposte ruota intorno al tema della morte e del trucco. Nel primo si agita la tragedia inconsapevole, nel secondo l’illusionismo maldestro e chapliniano di un tipico personaggio partenopeo. Sik Sik a suo tempo covò un successo clamoroso a Napoli con oltre 450 repliche, con Eduardo sulfureo e malandrino al centro della scena, affiancato dal figlio Luca e dall’immancabile Ippolito. Proposta che s’incastra magnificamente con il tema natalizio come hanno intuito gli assemblatori della stagione. Non si può perdere l’occasione di ammirare Cecchi in un pezzo forte del suo repertorio replicante.

data di pubblicazione:16/12/2021


Il nostro voto: