da Daniele Poto | Mar 2, 2021
Documentario di vibrante impegno civile che centra il focus sullo scandalo dei disinfettanti negli ospedali rumeni. Scandalo di Stato in parte impunito, reso quasi in presa diretta. Un martellante pamphlet che ha tutte le carte in regola per concorrere agli Oscar nella sezioni “documentari”
Una tragedia nazionale che comincia con una strage in discoteca. Suona un complesso punk, scoppia un incendio e la uscite di sicurezza non sono a norma. Decine di morti ma soprattutto decine di ricoverati negli ospedali rumeni e principalmente in quello specializzato nella cura dei “grandi ustionati”. Il vero dramma parte da lì perché il prodotto disinfettante viene diluito e quindi partono infezioni batteriche irrisolvibili anche di fronte a ustioni di non eccezionali gravità. Si può scrivere che faccia più vittima il sistema ospedaliero di quante non ne abbia fatte l’incendio in discoteca. Il documentario segue in presa diretta, con la viva partecipazione dello spettatore, uno scandalo che pervade la nazione. Nella prima parte attraverso gli occhi e l’azione del principale denunciante, il giornalista Tortoltan, ben assistito dallo staff della propria testata, la Gazeta Sporturilor (traduzione La Gazzetta dello Sport, ma ben diversa dal foglio rosa nostrano). Le proteste di piazza portano al siluramento del Ministro della Sanità in carica, travolto dalla quantità inverosimile di bugie dispensate in conferenza stampa. Nella seconda parte invece il protagonista diventa il suo successore che nei generosi quanto indispensabili tentativi di cambiamento si imbatte in una magmatica corruzione, scoprendo che tutti i dirigenti ospedalieri sono manovrati dalla politica. Evidentemente l’auspicata palingenesi è un’utopia impossibile anche perché il partito che più rappresenta questo quadro illegale di lì a qualche settimana trionfa alle elezioni con una percentuale schiacciante e quasi maggioritaria. Il docu-film ha momenti di forte e drammatico impatto mostrando i corpi infetti degli ustionati e le conseguenze di una cattiva gestione di un forte momento di crisi. Opera corale che ovviamente documenta un sistema della sanità marcio le cui lacune non potranno che essere ribadite dalla pandemia attuale.
data di pubblicazione:02/03/2021
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da Daniele Poto | Feb 28, 2021
Un omaggio ad Alberto Sordi, non il primo né l’ultimo in un momento di estrema incertezza per l’industria cinematografica. Dal 10 al 12 marzo nelle aule dell’IISS Cine- Tv Roberto Rossellini si svolgerà la prima edizione della rassegna Fabbrica del Cinema con un omaggio al grande attore romano. Si tratta di un’iniziativa dell’Associazione Nove Produzioni con il contributo e il patrocinio della Direzione Cine e Audiovisivo, costola del Ministero per i Beni e le attività culturali. I primi destinatari della proposta sono gli adolescenti, trampolino ideale per un pubblico ancora più maturo e vasto. Scriveva del resto Sordi: “I vostri ricordi con me, raccontateli quando sarò in orizzontale. Allora mi farete felice perché sarà anche un modo per non farmi dimenticare dal mio pubblico che ho amato come se fosse la mia famiglia”. Sono previste quattro proiezioni altamente significative per la sua filmografia: Un borghese piccolo piccolo, La grande guerra, Il Marchese del Grillo e Il Romanzo del giovane povero. Saranno co-protagonisti degli incontri gli attori/registi Giorgio Gobbi e Rolando Ravello che rilasceranno testimonianza dal vivo sul loro impatto con il grande attore comico. Nell’occasione sarà intitolato a Sordi una sala dell’IISS in una cerimonia a cui prenderà parte l’avvocato Ciro Intino, direttore della Fondazione Alberto Sordi. Il ricordo dell’attore peraltro è perpetuato dalla grande mostra che migliaia di romani hanno avuto modo di conoscere in una struttura allestita contiguamente alla sua indimenticabile abitazione romana. Lì ospitati tutti i suoi cimeli e i ricordi una vita intensa, ricca e gratificante, oltre che dedita a una beneficenza tenuta sempre discretamente nascosta. E siamo anche a pochi metri dagli studi cinematografici della Ponti-De Laurentiis dove Sordi ha girato tante della sue fortunata pellicole.
data di pubblicazione:28/02/2021
da Daniele Poto | Feb 28, 2021
Ha 67 anni, gode di ottima salute ed è il più incredibile criminale-terrorista ancora in circolazione, vivente espressione di un periodo che si può circoscrivere dal 1975 ai giorni nostri. Quasi mezzo secolo di oscuri misteri italiani vissuti dall’ormai sessantasettenne Paolo Bellini, reggiano, un curriculum malavitoso da far paura, una lista di omicidi alle spalle che giustificherebbero la sua definitiva messa al bando dalla società. Invece protetto dai servizi, assistito da adeguati programmi di copertura, a volte salvato dalla prescrizione, Bellini continua a discettare misteri di Stato a piccole dosi. A esempio ha rivelato, 34 anni dopo, di aver aperto la lunga scia di omicidi agendo da killer nei confronti dello studente di lotta Continua Alceste Campanile. Un omicidio che non ha avuto colpevoli per decenni e di cui Bellini si è accusato solo quando ha avuto la certezza di non pagare dazio, a reato, ormai prescritto. Bellini è l’ultimo indagato per la strage alla stazione di Bologna, riconosciuto casualmente dalla moglie in un fermo immagine d’epoca. Il suo curriculum fa decisamente paura. Pilota d’aerei sotto il nome falso di Da Silva (identità brasiliana) è uno dei pochi criminali che sia riuscito a intessere con pari disinvoltura rapporti sia con la ‘ndrangheta che con Cosa Nostra. Con trame talmente pericolose che persino Riina in una dichiarazione spontanea rilasciata in Tribunale ha ritenuto opportuno sconfessarlo. Trafficante d’arte, ideologicamente legato all’estrema destra, Bellini è una meteora impazzita il cui problematico e quasi irriconoscibile, percorso viene ricostruito con dovizia di particolari da Giovanni Vignali in quello che è insieme un pamphlet ed un dossier e di estrema attualità. Il criminale giusto al posto giusto secondo la logica dell’illegalità. Una primula nera che appare e scompare dai capitoli più ambigui e ancora misteriosi della storia italiana, non ultimo la famosa e mai chiarita trattativa tra Stato e Mafia.
data di pubblicazione:28/02/2021
da Daniele Poto | Feb 25, 2021
Insegnante alla scuola Holden, giocatore di basket incompiuto, Poddi è solito affidare le proprie storie a un preciso riferimento storico. Fu così in una precedente opera per la leggendaria finale di basket olimpico tra Stati Uniti e Urss del 1972, si ripete ora per una centenaria che ha occupato tutto il secolo scorso, nel suo caso tutt’altro che breve perché vissuto passionalmente, intensamente e pericolosamente. Il personaggio al centro del plot è Leni Von Riefenstahl, regista, attrice, scrittrice e tante altre cose ma soprattutto autrice di testimonianze di spessore sulla cultura e sullo sport nazista, con adesione entusiastica, però a volte ambigua con il credo hitleriano. L’intento di Poddi è piuttosto presto svelato nel magico e incantato scenario acquatico delle Maldive. La dialettica è stabilita con la sua guida nei mari che non è lì per caso perché è la figlia di una donna che interloquito pesantemente il proprio destino con quello della film maker. Non ci addentreremo più oltre nello spoiler ma è evidente la conflittualità del rapporto. E l’ora di cui si parla nel titolo è un prolungato drammatico fermo immagine in queste esplorazioni subacquee. C’è un certo senso di espiazione nel comportamento di Leni che va a temperare la durezza introspettiva della sua interlocutrice. Un grosso lavoro di documentazione c’è alle spalle di un romanzo che è figlio di una tendenza ormai generalizzata (v. Culicchia,Bajani ed altri). Vicende storiche diventano metastoriche attraverso reinterpretazioni, legittime tanto qual è il libero arbitro letterario. Il romanzo è scritto benissimo anche se la direzione del plot e la sua prevedibilità nuocciono a lungo andare a una speranza di sorpresa. Un testo che apre tante porte, stimola la curiosità sulla personalità della regista tedesca e semina qualche dubbio politicamente scorretto, sul contrasto tra come lei stessa desidera apparire e le sue disinvolte capriole ideologiche. L’unita di luogo e di tempo è continuamente infranto a quello che la storia ha seminato e, purtroppo, non ha sempre insegnato.
data di pubblicazione:25/02/2021
da Daniele Poto | Feb 16, 2021
Un documentario sconvolgente. Che turba le coscienze. E dimostra, una volta di più, come gli affari di Stato siano molto più importanti delle vite umane. Jamal Khashoggi entra con la massima fiducia nel consolato dell’Arabia Saudita a Instanbul il 2 ottobre 2018 non ne esce più. Un disvelato mistero della camera chiusa alla Dickson Carr? Molto di meno ma molto di più come grande cinema.
Una docufiction che è un pugno nello stomaco. Due ore di tensione per un giallo che in realtà giallo non è. Pura cronaca nera di Stato ovvero come il principe Mohammed Bin Salam ha ordito la macchinazione per far fuori un feroce critico del suo potere assoluto. Viene da sorridere amaramente a pensare come un uomo politico italiano abbia potuto recentemente alludere a questo Paese come artefice di un nuovo Rinascimento riscuotendo un compenso di 80.000 dollari per una conferenza prezzolata in loco. In realtà questa non è la nazione della democrazia ma quella dove chi comanda esercita un feroce potere assoluto che falcia i nemici senza porsi problemi di correttezza multiculturale. Khashoggi aveva lasciato l’Arabia Saudita per smania di libertà ed era ingenuamente entrato in quel Consolato per fruire del documento che avrebbe potuto permettergli di sposare la fidanzata turca. Le telecamere mostrano il suo ingresso ma non la sua uscita. Perché in quella sede consolare verrà selvaggiamente fatto a pezzi secondo i dettami di un piano premeditato affidato a crudeli esecutori. Un aereo di Stato aveva trasportato in Turchia 15 uomini (vertici, portaborse e killer) per questa esecuzione. Il giornalista rappresentava un pericolo perché i suoi articoli e i suoi twitt spargevano dubbi sull’operato del Principe. E il columnist era sul punto di fare un salto di qualità trasformandosi da opinionista in attivista anche grazie alla prova (giudicata colpevole) di un finanziamento di 35.000 dollari a suoi colleghi che intraprendevano una battaglia sui social, riaffermando il principio del diritto a un pensiero alternativo e avversativo. Cinema civile, teso, profondo con una colonna sonora martellante che non abbandona mai le immagini e le riempie di significato.
data di pubblicazione:16/02/2021
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