NON MORIRO’ DI FAME di Umberto Spinazzola, 2023

NON MORIRO’ DI FAME di Umberto Spinazzola, 2023

Un apologo pauperista su come si può cambiare vita e come ti cambia la vita. Uno chef da Stella Michelin scende agli inferi in una parabola contro lo spreco alimentare. Si cala tra i barboni, fruga nei cassonetti, ma trova un riscatto che è accompagnato dal recupero dei sentimenti con la compagna straniera e con la figlia. Uno strepitoso Michele Di Mauro, l’attore di Call My Agent e de I Delitti del Barlume, qui in una in una terza diversissima e straniata interpretazione.

 

Un film che regala un senso preciso descrivendo la parabola esistenziale di un innamorato della cucina che, per circostanze casuali, precipita agli inferi ma saprà ritrovare un senso, cucinando per gli altri, non più per interesse ma per pura passione. All’attore principale fa da spalla uno dei più popolari attori polacchi. Jerzy Stuhr non viene doppiato e la trovata è efficace perché ci regala un italiano con forte inflessione dell’est molto omologo al suo ruolo di barbone partner. Sullo sfondo una Torino a durezze incandescenti con la sua periferia post-industriale e con il suo sottofondo proletario. Il titolo è quanto mai azzeccato perché il cibo non manca frugando nelle pattumiere, negli avanzi alimentari dei supermercati, nella ricchezza relativa dei mercati all’aperto nel momento della chiusura. Momenti di cinema verità sia pure con un budget ridotto. Efficacissima la caricatura dei locali alla moda, del finger food, della moda degli aperitivi e dello spritz. Una Torino da bere (metafora dell’Italia tutta, stessi usi e costumi) presa in giro e vista dal lato amaro di chi tutto questo non può permetterselo. Un piccolo grande film che meriterebbe un adeguato recupero e una migliore distribuzione. Ma oggi se i libri dopo tre mesi scadono per i film d’autore la vita è ancora più grama: dopo tre giorni finiscono la loro breve passerella.

data di pubblicazione:16/04/2023


Scopri con un click il nostro voto:

DOPO LA FINE di Dennis Kelly, traduzione di Monica Capuani, con Cristina Greco e Francesco Ippolito, regia di Luca Mascolo

DOPO LA FINE di Dennis Kelly, traduzione di Monica Capuani, con Cristina Greco e Francesco Ippolito, regia di Luca Mascolo

(Altrove Teatro Studio – Roma, 14/16 aprile 2023)

Un dramma distopico tratto da un interessante testo inglese portato con coraggio sulla piccola scena del teatro d’innovazione. Passione a due con continui rovesciamenti di fronte, tenzone dialettica ma anche fisica con toni sovraeccitati per quasi due ore di generosa performance.

Dopo la fine perché qualcosa è già successo. Prima. Così i due protagonisti dopo una molto veridica esplosione nucleare e il rifugio in un bunker anti guerra fredda, in uno scenario d’attualità ormai molto verosimile, fanno contemporaneamente pace e guerra tra ammiccamenti sessuali, tentativi di mantenere le distanze, ingordigia dell’altro, affetto e repulsione. Così di fronte all’atteggiamento aggressivo del maschio che tutto preordina e predispone, segue l’ovvia reazione della donna che non ci sta a passare per vittima e vira nel ruolo di carnefice. Come si legge un continuo rovesciamento delle parti per approdare a una finale inaspettato che non riveleremo. Lo spettacolo è una continua pirotecnica esplosione di posizioni e mutamenti richiedendo il massimo impegno, anche gestuale, dei due bravi attori Greco e Ippolito. Progressione non facile anche per il pubblico chiamato se non a prendere posizione, a seguire questo continuo modernissimo gioco delle parti, metafora dei conflitti contemporanei. I due si dilaniano invano provando a varcare la soglia dell’oltre e del dopo. L’angosciosa ricerca di senso è rivolta verso quello che c’è fuori, il mondo bellico che ha decretato la loro attuale condizione. Un teatro di ricerca poco rassicurante, emblematico della nuova scena inglese. The end è quel varco della canzone di Jim Morrison e dei Doors, un limite all’infinito dietro cui si cela una sorta di auto-annientamento del genere umano. Scena spoglia e musica contemporanea assolutamente indicata per rappresentare un’atmosfera, abbondantemente gettonata soprattutto quando i dialoghi si fanno più rarefatti volgendo al termine.

data di pubblicazione:15/04/2023


Il nostro voto:

IL RITORNO DI CASANOVA di Gabriele Salvatores

IL RITORNO DI CASANOVA di Gabriele Salvatores

Tratto dal racconto di Arthur Schnitzler, con Toni Servillo, Fabrizio Bentivoglio, Sara Serraiocco, Bianca Pianconi, Antonio Catania, Natalino Balasso, Sara Bertelà, Elio De Capitani. Film a due piani narrativi girato in sole nove settimane con un tema riflessivo introspettivo e felliniano. Salvatores riflette dubbi e turbamenti di artista (forse in declino)  con tutte le perplessità produttive sull’uscita di una nuova pellicola che deve misurarsi con una giovane e agguerrita concorrenza. Ipocondrie d’ambiente miscelate con il declino di Casanova che non vuole rassegnarsi alla lenta decadenza.

 

Non si riesce a immaginare lo script se non in funzione della stampella recitativa di due grandi interpreti del cinema e del teatro italiano. Volto e voce da Napoli (anzi Afragola) e Milano rispettivamente per la grande prova di Toni Servillo e Fabrizio Bentivoglio, quasi coetanei alle prese con un ultimo film che stenta a maturare e una conquista estorta solamente previo compenso economico. Fanno contorno amici e sodali del regista di stampo comico: Balasso, il polivalente Catania, Ale e Franz. Unici volti giovani quello delle giovani protagonista sedotte da maschi di altra generazione, volenti o nolenti. Volutamente evitata una storia unitaria a cui viene preferita una scrittura frammentaria, sempre spezzata, a tratti anche asimmetrica nella vicende dei due personaggi cardine. Al regista si ribellano per distonia anche gli oggetti di casa. La presa in giro del jet set si concretizza ancora meglio nell’atmosfera festivaliera di Venezia. La sconfitta viene mitigata dalla ricomparsa della fidanzata incinta in una riappacificazione da happy end sulle rive del Lido. Si respira aria di nevrosi e di polemica con la stampa. Invece di stabilire rapporti di buon vicinato il regista punge e allontana con il fioretto i seccatori. Quanto a Casanova sarà vincente pentito in duello con un giovane rivale che bacerà in bocca, quasi a scusarsi per l’accaduto. In definitiva un piccolo grande film di profilo basso ma di eccellente riuscita. In attesa di prendere la rincorsa per progetti più ambiziosi.

data di pubblicazione:07/04/2023


Scopri con un click il nostro voto:

RAGAZZE AL MURO, di e con Eleonora Danco

RAGAZZE AL MURO, di e con Eleonora Danco

(Teatro Vascello, 4/7 aprile 2023)

La ragazzaccia ai muro rivisita un testo di 27 anni fa che non ha bisogno di  furbe riattualizzazioni ma semmai di una riverniciatura con il contraddittorio della partner dissonante Bartoni. Il Danco fan funziona, visto che all’orario d’inizio della prima c’è una fila di venti metri al botteghino.

La coatta androgina sprizza vitalità nello spettacolo più corto nel nostro vagabondare cinquantennale per i teatri italiani. Mezz’ora di rappresentazione monologante ad alta condensazione drammatica. C’è la Roma dolente delle periferie non più pasoliniane con momenti di pregnante illuminazione comica. Come la traumatica visita dal ginecologo. La Danco è talmente brava che bypassa il gap generazionale rispetto al personaggio descritto.  Nonostante la staticità di un dialogo surreale davanti alla fermata di un autobus invariabilmente perso, la scena si colora di un florilegio di movimenti. Persino con i movimenti di un taekwondo che in questo caso più somiglia al karate. La Danco generosamente si spende spandendo fisicità e contaminando il pubblico con un romanesco facilmente comprensibile. La fidanzatina spaurita di “Un  medico in famiglia” è ormai una matura one woman show. La metafisica dello spettacolo restituisce il clima di una dolente solitudine che non ha speranze di riscatto e di affermazione. Un vuoto che l’aggressività del linguaggio tenta di negare con tutti i mezzi. Ma non ci riesce. Quei corpi, quelle parole in libertà disegnano un destino alla cui irredimibilità non si potrà sfuggire. E la musica è la colonna serena di un muro che separa le storie segnate da quelle che potranno avere un percorso oltre la barricata, al centro, dove c’è ancora una ratio e una direzione. La Danco ha raccolto tutta la propria produzione in un agile volumetto pubblicato nel 2022


Il nostro voto:

UNO SGUARDO DAL PONTE di Arthur Miller, con Massimo Popolizio, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Mavaracchio, Gabrielle Brunelli

UNO SGUARDO DAL PONTE di Arthur Miller, con Massimo Popolizio, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Mavaracchio, Gabrielle Brunelli

(Teatro Argentina – Roma, 14 marzo/2 aprile 2023)

74 anni dopo la prima stesura di Arthur Miller (poi riveduta e corretta) un classico molto rinfrescato (troppo?). Popolizio artefice e insieme vittima del rango di mattatore, di riconosciuto n. 1 del teatro italiano. Ma il regista invade l’attore in uno spettacolo che dal dramma ha cadute quasi da music hall

Giochino impossibile ma Arthur Miller si sarebbe riconosciuto in questa versione che ha la volontà di riassumere tutto quello che è passato nella storia del teatro e nel cinema per le innumerevoli repliche del testo? Progetto ambizioso nella metabolizzazione che porta a risultati un po’ sconnessi. Popolizio è interprete potente che oggi nel mainstream non pretende di essere guidato se non da se stesso. Ovviamente il pubblico si riconosce nel suo estro che ammacca un po’ il fil rouge del dramma che da par suo è potente ma viene percepito come vintage e dunque ampiamente rimaneggiato. Alcuni ritrovati di scena sembrano pleonastici. Perché a esempio un telefono deve grossolanamente cadere dall’alto per riprodurre una voce con la sua artificialità? Non abbiamo l’età per testimoniare ma siamo sicuri che i vari interpreti tra palcoscenico e set come Van Heflin, Raf Vallone e Paolo Stoppa, abbiamo fatto ricorsi a toni così gridati e stentorei? In realtà un dramma teatrale ha bisogno di pause, sfumature, attimi trattenuti di attesa. E qui invece il ritmo è da puntillismo consumista. Piace al pubblico la gente che piace. E non c’è dubbio che Popolizio strapiaccia secondo un gusto di magnificazione attoriale che poggia solide basi del divismo e sul suo ruolo di n. 1 della scena. Ma se lui è gigante non per forza gli altri devono essere nani. Spicca nel cast la maestria del narratore, l’avvocato che raccorda i fili della tragedia e che si è rivelato impotente nel domare gli eventi luttuosi del plot.

data di pubblicazione:16/03/2023


Il nostro voto: