da Daniele Poto | Gen 24, 2024
drammaturgia di Simona Gonella, regia Andrea De Rosa, Carmelo Rifici, con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano, Catherina Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini
(Teatro Vascello -Roma, 19/27 gennaio 2024)
Tante mani (autori, dramaturg, regia) per un’opera pregna di temi. Tanti forse troppi. Generosamente spesa per eccesso in cento minuti la parabola di Galileo. Con una prima parte dentro il processo dell’Inquisizione e la sua dolorosa abiura. Una seconda proiettata nell’attualità che misura le sue scoperte con i temi attuali della scienza fino alle soglie dell’intelligenza artificiale.
Il saldo controllo dei due navigati protagonisti esalta anche le capacità attoriali dei più giovani comprimari. Dal seicento fino ai giorni nostri suscitando argomenti vasti di discussione. L’enorme spazialità della scena del Vascello tra fondali rigidi e austeri e piccoli campi da coltivare. La scienza e la quotidianità. Le ragioni della vita e le contraddizioni nel rapporto tra scienza e religione. Si discetta anche sulla bomba atomica, quella che doveva chiudere per sempre ogni ambizione bellica e invece ha aperto la strada alla deflagrazione nucleare. Un Galileo saggio, pacato, ago della bilancia tra le pulsioni degli altri con la Marigliano brava a scindersi con disinvoltura in ruoli diversissimi. Spettacolo intenso, a tratti subliminale. Con un linguaggio seicentesco adattato ai nostri tempi con rigore filologico. Una giovane donna al piano con abiti contemporanei è la cartina di tornasole del cammino degli ultimi quattro secoli con le sue storture. Citazioni per Copernico, Tolomeo, Giordano Bruno, Galileo non va al rogo, fa marcia indietro ma non deflette dalle sue scoperte, rivelatrici e anticipatrici di futuro. Intellettualità per un teatro che scava nella storia con rigore. Immenso e meritorio lavoro di preparazione per una lettura a più strati e con un residuo concettuale da metabolizzare senza fretta. Inutile dire che la sala di Monteverde è sempre generosamente piena e autentica nei prolungati applausi.
data di pubblicazione:24/01/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Gen 21, 2024
Tratto da alcune novelle di Luigi Pirandello, adattamento di Sergio Ammirata, con Vittorio Aparo, Francesca Biagi, Antonella Bruni, Luana Cannistraci, Francesca Di Meglio, Francesco Madonna, Annachiara Mantovani, Enrico Pozzi, Gianfranco Teodoro
TEATRO ANFITRIONE – Roma (27 dicembre 2023/28 gennaio 2024)
Come non ammirare l’indefessa attività di Sergio Ammirata che, non lontano dalla soglia dei novanta anni, con trascorsi illustri (un Amleto con Carmelo Bene, a esempio) continua a tener viva l’attività quarantennale dei un teatro di genere a San Saba, avamposto di una compagnia che ha fatto passi da giganti, dall’amatorialità al professionismo versatile.
Un Pirandello riveduto e corretto giocando sull’antica superstizione meridionale. Il pover’uomo che porta male ha una numerosa famiglia alle spalle che lo sorregge e lo invita a ritirare una pretestuosa querela mossa a caso nei confronti di due anonimi interlocutori. Perché l’interessato vuole un riconoscimento pubblico ufficiale alle propria attività, come se fosse una pratica sociale degna di un attestato. Su questa fissità paradossale pirandelliana il tema del malocchio viene sviluppato a ritmo di farsa. Ammirata compare in scena quasi alla fine del primo tempo debitamente sommerso di applausi. Il suo understanding funzionale è il valore aggiunto di un ensemble ben affiatato nonostante l’emergenza di dover sostituire in extremis l’attore che interpreta il cancelliere del tribunale. Pirandello non sarebbe dispiaciuto di questo piccolo ma assennato saccheggio che allude soprattutto a La patente. E questo spettacolo ha la tenuta di un mese, un fatto rarissimo nella programmazione dei teatri romani. Si parla in un siciliano di facile comprensibilità per una vicenda lineare che non ha un plot di particolare sviluppo e che si gioverebbe di una agile sforbiciata per una godibilità ancora più piena. Risuona la critica a una società pregna di luoghi comune e che etichetta i diversi a suon di pettegolezzi e pregiudizi attribuendo al protagonista addirittura la delittuosa chiusura di un teatro. Chi viene messo al bando può reagire in maniera inaspettata.
data di pubblicazione:21/01/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Gen 19, 2024
(Teatro Argot Studio – Roma, 18-21 gennaio 2024)
Un furioso corpo a corpo con la quotidianità. Linguaggi di strada, un the best of quanto mai gradevole vissuto a pochi centimetri dalla protagonista nel teatro bomboniera di Trastevere.
Ne ha fatta di strada Danco dalle comparsate di Un Medico di famiglia di un quarto di secolo fa quando si palesava nel ruolo di aspirante fidanzata (respinta) di Giulio Scarpati. Si è inventata un teatro di performance tutto suo, un sentiero poco battuto che l’accomuna ai grandi solisti della scena nazionale (Rezza ad esempio). Nella quattro giorni di Trastevere interpreta lacerti di repertorio della vita che respira per Roma. Non rinunciando all’invettiva, al turpiloquio, nello scontro verbale tra due protagonisti (uomo/donna, mamma/figlia) praticando l’arte dell’affabulazione sovraeccitata in cui è maestra. Non un semplice e lineare reading perché c’è viva partecipazione fisica. Picchiando la testa al muro, rotolandosi nella scena nuda, fingendo di dimenticare la parte (un palese scherzo al pubblico). Si è conquistata con quest’altra tappa la fiducia rinnovata dei suoi estimatori. E non potrebbe avere altro palcoscenico quello di teatri cantina dato che si perde negli ampi spazi di luoghi tradizionali. C’è accorata disperazione nel suo monologo alla caccia di senso di una città inafferrabile e per certi versi spietata che concede a tratti rari barlumi di umanità. Danco brandisce la mano e il volto per ghermirli in un afflato di commossa empatia con il pubblico. Un teatro che non ha bisogno di scenografie e di fondali che ci fa pensare a Lenny Bruce. Non è Roma nord lo scenario di autentici deliri quanto la capitale delle periferie e dell’emarginazione, nell’anelito della soddisfazione di bisogni primari. Un’ora funzionale di testi amari, a tratti suscitanti risate. E fa spettacolo anche la congerie di fogli del copione lanciati al vuoto che rappresentano la base per un’improvvisazione a tratti stordente.
data di pubblicazione:19/01/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Gen 17, 2024
di Federico Fellini, Tonino Guerra e Tullio Pinelli, adattamento e regia di Monica Guerritore, con Monica Guerritore e Massimiliano Vado
(Teatro Quirino – Roma, 16/21 gennaio 2024)
Trentasette anni dopo il cinema rivisitato a teatro passando per la televisione. Ma la tensione ormai è decotta. Berlusconi non c’è più e anche Mediaset, eliminato il trash, non si sente troppo bene.
I nomi tutelari di Fellini, Guerra e Pinelli campeggiano nella locandina ma appaiono infinitamente lontani da un progetto attuale di contestazione degli stilemi più efferati della televisione commerciale. Tanta brutta televisione non è passata invano e la sua critica è stata metabolizzata e ora appare scontata. Monica Guerritore, regista in affidamento di una complessa macchina scenica, non osa abbastanza per riscattare il lirismo del rapporto intimo e personale, un po’ nostalgico tra Ginger e Fred e deve fare i conti con una sinergia teatrale (e i suoi tempi) tutta da recuperare dopo che il partner è venuto meno per un incidente e il sostituto ha dovuto rodarsi in una settimana di full immersion. Dunque la continuità dello spettacolo appare e scompare, a volte si inabissa e la corrosività sulla televisione è evaporata, complice la scelta a monte del tema. E quasi spereresti che Guerritore si stacchi dal copione e si produca in qualche pezzo solista, manierato ma efficace. Si chiede la partecipazione del pubblico come per un programma in diretta. I sosia ce la mettono tutta in uno spettacolo costoso ricco di musiche e di coreografie oltre che di una scenografica complessa e interessante. Ma tra un Malgioglio e un classico della Rogers/Astaire non si respira l’aura felliniana se non per vaga approssimazione. Le atmosfere della prima sicuramente possono respirare di maggior calore nel prosieguo. Curiosità: Ginger Rogers aveva cercato di far causa a Felini per l’indebito sfruttamento del suo carisma.
data di pubblicazione:17/01/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Gen 17, 2024
Il ritrovo concentrazionario degli anziani in una casa di riposo e di cura non è ovviamente un inedito assoluto. Risi cerca su un progetto di lunga data di innestare il ricordo vivo e personale del lento spegnersi del padre Dino, un nome che qui si rimaterializza. Congrega di attori navigati e over 75 a contrasto generazionale con i due scapestrati giovani condannati ai servizi sociali. Un contrasto che è anche attoriale. Dalle iniziali incomprensioni si arriverà a un punto di svolta felice ma pure plumbeo.
È un mondo senza età, fatto di amnesie, tic piccole e grandi manie, quello degli anziani, qui rigorosamente chiamati ospiti, a cui portano la scossa i due giovani coattivamente costretti a rendersi utili dopo essere stati colpevoli protagonisti di un grave incidente stradale. Scontri iniziale e poi progressiva coesione. Il film risente di una programmaticità troppo estenuata e libera la leggerezza della sceneggiatura in almeno due scene che deviano dal tema previsto. Cinque anni di incubazione probabilmente non hanno giovato alla freschezza dell’impianto. Sulle note di Riderà di Little Tony si libera un ballo contaminante giovani/vecchi che trascina anche lo spettatore. Poi sulla neve gli anziani risvegliano pulsioni infantili. Risi fa deflagrare la contraddizione tra il mondo chiuso di esistenze destinati a spegnersi con l’ondata del Covid e il mainstream dei ragazzi, adusi alla cocaina e a un mondo di assoluta diversità. Merito del regista aver riunito una congrega importante di attori sottoutilizzati dal cinema che qui ritrovano verve nel progetto collettivo. Dal relativamente più giovane Maurizio Micheli a una quasi irriconoscibile Erica Blanc. Scherzano anche su se stessi gli over tra realtà e cinema. Per i più curiosi il punto di rugiada è l’intersezione meteorologica tra il freddo e il caldo: metaforicamente quello tra vecchi e giovani.
data di pubblicazione:17/01/2024
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