IL GRANDE VUOTO di Fabiana Iacozzilli, dramaturg Linda Dalisi

IL GRANDE VUOTO di Fabiana Iacozzilli, dramaturg Linda Dalisi

con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e, per la prima volta in scena, Mona Abokhatwa, musiche di Tommy Grieco, luci Raffaella Vitiello, video Lorenzo Letina

(Teatro Vascello – Roma,15/19 novembre)

Il coraggio di affrontare un tema difficile, la disgregazione mentale, l’Alzheimer che non ti aspetti. La dissoluzione, appunto il grande vuoto. La prima scena rappresenta una coppia anziana alle prese con una vettura indocile. Si ride, c’è serenità. Poi il quadro cambia, la donna è sola, la compagnia della figlia non attenua il declino.

 

L’iperrealismo di una vasta scenografia spalanca l’abisso su una malattia insidiosa, capace di dimidiare l’equilibrio mentale di intere famiglie. Così l’iterazione ripetuta di un ricordo teatrale dell’attrice malata scatena l’ira della figlia che non sa rassegnarsi alla condizione della genitrice avendo sperimentato ben diversi percorsi nella loro relazione. Con il conforto del video, con un continuo richiamo al prima e al dopo, con una recitazione sgomenta per assenza, si rappresenta la fotografia del male. Con durezza e senza concessioni allo spettacolo. Davanti agli occhi di un Nanni Moretti, ormai consueto habituè con mascherina del Vascello, gli oggetti fanno da spesso tramite alla manifestazione del disagio. Il vecchio torna bambino e infantile anche rinunciando al pudore per svestirsi liberamente. Ma il finale è catartico in una scena di grande bellezza e complessità. L’accettazione e la sublimazione del male assurge al valore più alto dell’amore e della comprensione alludendo alla capacità di riuscire a trasformare il dolore in bellezza. Attori straordinariamente bravi e solita profusione di generosi applausi di una platea giovane ed entusiasta. La tensione cala solo quando sciorinando il catalogo degli oggetti trascorrono troppi minuti senza che una sola fase di dialogo sia pronunciata. Anche quello un vuoto troppo grande.

data di pubblicazione:17/11/2023


Il nostro voto:

ASTEROID CITY di Wes Anderson, 2023

ASTEROID CITY di Wes Anderson, 2023

Un cast stellare per un film irraccontabile. Lo sai già. Quando vedi un film di Wes Anderson, regista di nicchia, non c’è narrazione coerente che tenga. E il tentativo di riassumere il plot misero e poco significativo, per chi si accontenta: in un artificiale paesaggio desertico nel 1955 i visitatori occasionale della cittadina di Asteroid assistono a incontro ravvicinato. La quarantena costringe tutti a rivedere abitudini e filosofie di vita. La fotografia sembra copiata da Barbie nel paludamento di un ottimismo di facciata.

Il regista procede per frammenti e le star distillano piccoli gioielli di cammei tanto da farti chiedere che risultato si avrebbe se al loro posto ci fossero modesti e poco noti caratteristi. Scorri una collezione di figure importanti e alla fine ti accorgi che all’elenco manca Goldblum. Mistero? No, Il lungagnone interpreta l’alieno e dunque il suo volto rimane celato fino all’ultimo. Il film si può interpretare ovviamente come una dissacrante satira dell’American life. Un’umanità eccentrica e scombinata che vive valori deformati e schizofrenie assortite. Persino i lutti fanno sorridere per il modo inconsueto con cui vengono affrontati. Il personaggio principale, un fotografo, sembra perdere l’occasione della vita quando manca lo scatto su una Scarlett Johansson senza veli. Un’atmosfera disincantata circola nella pellicola, un vasto sentore di disillusione. Non si sa quanto funzionale sia l’inquadramento del cinema in un’opera teatrale con tanto di scene numerate e tempi che nulla aggiungono alla tensione e all’interesse. Le riprese sarebbero dovute avvenire a Roma ma all’ultimo momento furono spostate in Spagna. La finzione dei fondali è avvertibile sin dal primo momento ma è omogenea al mood tutto particolare del regista. Opera per cinefili con precisi limiti di fruizione e anche di incasso.

data di pubblicazione:14/11/2023


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UN CURIOSO ACCIDENTE di Carlo Goldoni, regia di Gabriele Lavia, con Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Simone Toni, Giorgia Salari, Andrea Nicolini, Lorenzo Terenzi, Beatrice Ceccherini, Lorenzo Volpe, Leonardo Nicolini

UN CURIOSO ACCIDENTE di Carlo Goldoni, regia di Gabriele Lavia, con Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Simone Toni, Giorgia Salari, Andrea Nicolini, Lorenzo Terenzi, Beatrice Ceccherini, Lorenzo Volpe, Leonardo Nicolini

(Teatro Argentina – Roma, 31 ottobre/19 novembre 2023)

Recupero di un’opera minore di Goldoni qui forse esageratamente dichiara un capolavoro. Lavia deve riscattare la semplicità del plot con una serie di trovate sceniche estrose. Una fetta di pubblico va in scena, gli attori zigzagano in platea cercando conforto ed empatia con il pubblico.

L’azione si svolge in Olanda per una parentesi internazionale di Goldoni del 1760. Dunque si sfottono i francesi, si riesuma proditoriamente l’antica maschera di Arlecchino, un pianoforte condisce entrate e uscite di scena. Lavia dilata un copione semplice in due ore e mezzo di spettacolo confermandosi nei panni del primattore che fa ridere con battute inopinate, sensi girati, accentuazioni. Nella povertà delle attuali proposte teatrali uno spettacolo ricco di un teatro capostipite ancora in cerca di un direttore artistico e di una continuità di programmazione. Ma il pubblico risponde positivamente nonostante qualche alto e basso di tensione. Il registro grottesco spesso prende la prevalenza, Ma non ci annoia mai e questo è già un gran bel merito della compagnia. Divertimento di charme senza abbassare troppo il livello drammaturgico. Per Lavia Goldoni è nell’alveo degli autori importanti. Nell’incontro pomeridiano ha sottolineato la sua filiazione dall’illuminismo, corroborata dall’amicizia con Voltaire e si è rammaricato di non potersi cimentare nel dimenticato Brecht, un polo decisamente lontano dalle corde del teatro attuale, a causa dei budget non sostenibili dell’eventuale progetto. Goldoni del resto raccolta di aver ricavato la vicenda da un fatto vero riferito nel Caffè della Sultana in Piazza San Marco a Venezia, nel luogo dove oggi si propone ai turisti il prestigioso Caffè Florian. E Lavia si diffonde volentieri sul mito della Sultana, una intraprendente donna italiana alla corte dei turchi.

data di pubblicazione:11/11/2023


Il nostro voto:

KILLERS OF THE FLOWER MOON di Martin Scorsese, 2023

KILLERS OF THE FLOWER MOON di Martin Scorsese, 2023

Splendido affresco su uno dei tanti complessi di colpa della Grande Madre America. In questo caso uno sterminio locale di una tribù di Osage per il possesso del petrolio. Il denaro sta sullo sfondo ma è la metafora dell’America di oggi, inspirata a una logica di sopraffazione dove le armi sono sempre a portata di mano. E dove l’eccesso rasenta la follia. Per uccidere un paio di uomini nel caso filmico si fa saltare in aria un’intera abitazione con un’overdose di dinamite.

 

Pur ben oltre la soglia degli ottanta anni Scorsese mantiene una vitalità filmico-narrativa invidiabile. Così tre ore e un quarto di proiezione superano ampiamente il rischio della noia con un ritratto vivace, teso, aggressivo e con un confronto quasi scespiriano tra Di Capri e De Niro il cui primo impatto sul set è datato 1993. Verrebbe voglia di scrivere un trentennale felice tanto che non si può immaginare questa pellicola senza il duo. Il più anziano che manovra il giovane fino alle estrema conseguenze salvo un ravvedimento operoso dell’ultim’ora che non attenua però le conseguenze della giustizia degli uomini. Di Caprio si muove in panni accidentati mentre lo script riservato a De Niro è più lineare e più facilmente coerente. Come non riconoscere nel cinico imprenditore di Fairfax, l’ombra del mafioso che fu!. Mutatis mutandis sempre affari di mezzo e crimini portati alle estreme conseguenze. Un sentore di western permea il film ricostruendo un’America pionieristica e spregiudicata dove i veri valori morali sono incarnati dai nativi indiani, ingenuamente alla mercé dell’uomo bianco. Cinema puro in cui Scorsese non risparmia un giudizio impietoso e durissimo sui suoi connazionali proiettando un’ombra di attualità sull’America attuale. Il titolo non avvicina il pubblico italiano alla proposta ma il carisma di Scorsese farà la differenza al marketing. E questo mese un festival su Scorsese è fruibile alla Casa del Cinema di Roma. I suoi film più famosi e quelli che gli stanno più a cuore in grande e bella fruizione.

data di pubblicazione:03/11/2023


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‘O SCARFALIETTO di Eduardo Scarpetta, con Fabio Gravina, Sara Religioso, Antonio Lubrano, Maria Liuzzi, Giuseppe Vitolo, Alessandro Casola, Claudia Spedaliere, Michele Sibilio, Patrizia Santamaria, Raffaele Balzano, Carmine Iannone, Gianni Quinto, scene e costumi Francesco De Summa, regia di Fabio Gravina

‘O SCARFALIETTO di Eduardo Scarpetta, con Fabio Gravina, Sara Religioso, Antonio Lubrano, Maria Liuzzi, Giuseppe Vitolo, Alessandro Casola, Claudia Spedaliere, Michele Sibilio, Patrizia Santamaria, Raffaele Balzano, Carmine Iannone, Gianni Quinto, scene e costumi Francesco De Summa, regia di Fabio Gravina

(Teatro Prati – Roma, 13 ottobre/26 novembre)

Forse nella stagione teatrale romana non c’è spettacolo di più lunga programmazione di questo. Perché i ritmi di Scarpetta sono aggressivi ed accattivanti e i dodici attori in combinato disposto di farsa assistono meravigliosamente un plot di oltre due ore senza pause e cadute, a parte un frettoloso quanto indispensabile finale consolatorio.

 

Si sa che da Scarpetta discendono a pioggia i De Filippo (forse più Peppino che Eduardo). Dunque un succo seminale di teatro fatto di guitti, di ammiccamenti, di facilitazioni comiche coraggiose e vigorose. Il Teatro Prati è l’indispensabile presidio di questa comicità, con cultore principale Fabio Gravina che da 25 anni si è specializzato in questa propagazione di testi poco rappresentati e che non hanno niente da invidiare ai ritmi forsennati di Feydeau o Labiche. Un teatro senza lambiccamenti intellettuali di pura intelligente pancia. Gli attori non risparmiano il meglio del proprio impegno con un buon mix uomini/donne e un paio di interpreti che irriconoscibilmente si sdoppiano. Il tema della separazione è alla base del racconto e, incredibile dictu, è uno scaldaletto il tema del contendere. I due coniugi fondano due partiti virtuali e nel terzo tempo, quello della resa dei conti, si ritroveranno in tribunale per lo scioglimento del vincolo salvo ritrovarsi affiattati e ritrovati in un comune denominatore. Galeotto fu il cameriere, bonario ma in fondo perfido. Si ride tanto e con grande soddisfazione. Felice Sciosciammocca è un must e la riattualizzazione è d’obbligo considerando che l’originale è stato scritto nel 1881 ed anche il concetto di famiglia è stata stravolto da allora. Scenografie di pregio e tutt’altro che all’insegna del risparmio.

data di pubblicazione:20/10/2023


Il nostro voto: