IL PREMIER di Giuseppe Manfridi

IL PREMIER di Giuseppe Manfridi

regia di Piero Maccarinelli, con Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Mersila Sokoli, Stefano Santospago, Galatea Ranzi, Duccio Camerini

(Teatro Argentina – Roma, serata unica e speciale 12 febbraio 2024)

Un risarcimento per un autore veterano, polivalente, eccellente affabulatore all’interno della rassegna “Lingua Madre” giunta alla terza puntata con il provvisorio trasferimento dal Parioli al principale Teatro di Roma. Reading di novanta minuti per cinquecento spettatori con il mattatore Lavia.

Come non pensare ai rivoli scandalistici della politica italiana. Da Berlusconi in avanti magari con il pensiero a Tangentopoli e alla corruzione. Sebbene scritto parecchi anni or sono e mai rappresentato il testo regge viste le invarianze in chi regge i destini della nazione. Attorno a un onorevole trafitto dagli scandali ma pure ansioso di ritornare in sella si affacciano inghippi e complicazioni di ogni tipo. Anche sentimental/sessuali, incesto compreso. Perché tutti sembrano tradire tutti e dunque non sembra esserci redenzione in chi ha pattuito che la propria vita debba essere improntata al potere e alla ricerca di un voto in più. La corruzione e il tradimento è un morbo contagioso che non risparmia chi gli è vicino. Bel coro di attori disposti in assembramento, fianco a fianco con relativo leggio e senza neanche il conforto di uno stacco musicale o di un intervallo. Testo denso, ricco di battute e di sommovimenti che resiste alla prova di un tempo considerevolmente più lungo dei tempi di un reading. Ovviamente Lavia spicca su tutti in un bel coro di personalità con Camerini nelle vesti del raccontatore didascalico. La rassegna si avvia al termine e il suo sottotitolo (“Il teatro italiano non fa schifo”) rappresenta un palingenetico atto di speranza. Del resto chi ha il coraggio di scrivere copioni per più attori senza avere buone chance di venire rappresentato? È il caso di questo testo passato di mano in mano ma senza che un produttore volesse investirci su per uno spettacolo. Eppure la spina dorsale del testo lascia intravedere ottime possibilità rappresentative.

data di pubblicazione:13/02/2024


Il nostro voto:

RECITAL di e con Francesca Reggiani

RECITAL di e con Francesca Reggiani

(Teatro Comunale di Poggio Moiano, 11 febbraio 2024)

Monologo diesel che parte con le marce basse ma poi scalda il pubblico sabino con un tema ineludibile e caro all’attrice: la condizione di single e i travagliati rapporti uomo/donna. Per il ciclo Sentieri in Cammino tutto esaurito per un’occasione da non perdere.

Il navigato mestiere della Reggiani pesca un punto di forza persino dal complicato rapporto con la scena, le luci e il lancio dei video che fanno da punto e virgola al suo fitto monologo. Ovvio che non ci sia troppa dimestichezza con un piccolo palcoscenico mai calcato prima. Comicità arguta che tende al sorriso più che al riso. Ma si parla anche di politica lanciando fendenti a destra e sinistra con le godibili imitazioni di Meloni e Schlein. La prima rappresentata con quel romanesco internazionalizzato pieno di sporcature e dialettismi; la seconda con le sue sibilline allusioni ai diritti dell’eguaglianza. La comica spesso cerca appoggio nel pubblico, peraltro un po’ pigro nel rispondere alle chiamate. Ricordiamo come pezzo forte del repertorio quasi recente dell’attrice l’intervista a due facce tra la già citata Meloni e la giornalista radical chic Conchita Di Gregorio. Evitando di essere travolta dal mainstream della situation comedy la Reggiani si tiene ancorata ai suoi pezzi forti da sempre. La maniera di Roma nord, il politicamente corretto sul cibo sano, la televisione in preda agli chef. Senza volgarità o turpiloquio ma con tanta malizia, allusioni e strizzatine d’occhio al nostro strano modo d’essere attuale. C’è tanta vita perché quando fa riferimento alle abitudini delle sue amiche si ha proprio l’impressione di entrare a casa Reggiani. Sono passati molte anni dall’onda di Serena Dandini ma la protagonista ci mostra un valido modo per tenersi a galla, veleggiando sull’attualità e su alcuni temi rivisti senza paura di stancare e, eventualmente, ripetersi.

data di pubblicazione:12/02/2024


Il nostro voto:

BOSTON MARRIAGE di David Mamet

BOSTON MARRIAGE di David Mamet

traduzione di Masolino D’Amico, regia di Giorgio Sangari, con Maria Paiato, Mariangela Granelli, Lorenza D’Auria

(Teatro India – Roma, 6/11 febbraio 2024)

Il Mamet che non ti aspetti per una grande prova d’attrice di Maria Paiato. Qui chiamata efficacemente a esagerare in un’esilarante parte dove la sovrabbondanza di movimenti e la ridondanza del linguaggio culmina spesso in una battuta fulminante. Assistita da college egregie. Il titolo allude a una sorte di emancipazione femminile del XIX secolo riferendosi a donne capaci economicamente di evadere dalla dipendenza maschile.

Maliziosi legami tra donne con allusioni al voyeurismo in una società che, chissà perché, immaginiamo puritana e persino bacchettona. Donne di costumi a volte facili che s’ingelosiscono, progettano menagè a trois ma con la morbidezza di sentimenti che scivolano sulla pelle della trama. In fondo non succede niente in scena quando in realtà succede tutto. Nei cambiamenti umorali scatenati da una collana traditrice. Mamet, se fosse presente, sarebbe entusiasta della Paiato, una sorta di contraltare al femminile della leadership virile di Popolizio. Non si lascia sfuggire neanche l’efficace di una sola battuta l’attrice veneta, magnifica padrona dell’assunto. La commedia è anche farsa, resistente a 25 anni di un invecchiamento che sa di maturazione. Le citazioni di scena di Oscar Wilde (lo snobismo), Henry James (l’atmosfera), Tennesse Williams (la morbosità) sono piuttosto pertinenti nel cocktail mametiano he vuole essere un morbido omaggio ai tempi. Il contraltare delle due protagoniste i cui dialoghi sono la scena portante del set è l’apparentemente ingenua cameriera, ingiuriata, bistrattata, sospettata di furto ma anche licenziata. Messa incinta in pochi secondi di contatto sessuale, perdendo la verginità. Il suo ruolo non marginale viene ribadito dall’ultima scena in cui, mollemente sdraiata sul divano padronale, fa veramente per la prima volta nella sua vita la signora. A trovare difetti c’è un quarto d’ora di troppo perché il tentativo di trovare una spiegazione alla disponibilità della collana è arzigogolata e la pratica delle chiromante non stimola affatto gli umori del pubblico, decretando un ovvio calo di tensione.

data di pubblicazione:11/02/2024


Il nostro voto:

L’AMMAZZO COL GAS

L’AMMAZZO COL GAS

UNA SKETCH COMEDY CON Gianni Ferreri e Danila Stalteri, regia e drammaturgia di Roberto D’Alessandro

(Teatro degli Audaci – Roma, 8/11 febbraio 2024)

Un forsennato ritmo comico per una coppia che scoppia. In un matrimonio c’è sempre qualcosa che non funziona. Attori e spettacolo collaudato, ritmi frenetici, cambi d’abito e di situazioni. Risate a volte crasse con l’allarme del politicamente corretto. In tempi di femminicidio la rivisitazione è d’obbligo.

La perfetta empatia attoriale tra gli interpreti è la chiave una serie di siparietti brillanti. A dimostrazione che il teatro leggero ha una sua precisa dignità e cifra. Dunque c’è una moglie sempre cangiante. Ricca e racchia, petulante, gelosa fino all’esasperazione. Sembra una commedia dalla parte degli uomini. Ma la risata non ha simpatie perché la sirena d’allarme censura le parole scabrose evitando però la cassazione sul titolo, ispirato a una scrittura antica. Copione funzionale con ricchezza di abiti e sfumature. Con Ferreri che si con cede un paio di recitazioni poetiche sul canovaccio dell’amore. La Stalteri nelle sue trasformazioni è quasi irriconoscibile in virtù di parrucche e colori mutevoli. Anche finti errori di scena vengono strumentalizzati ai fini delle gag. Comedy brillante in cui il turpiloquio non è mai osceno ma inevitabilmente rappresenta un’esca per applausi a scena aperta. Giusta alternativa al festival di Sanremo a cui viene inoltrata una virtuale sfida con la prima in un giorno cardine per la rassegna. La scena finale riconsegna al titolo. La moglie vieta al marito il giusto sonno e dunque non c’è altra situazione che ricorrere al gas. Naturalmente dopo aver trovato la via di fuga fuori di casa. Per gli spettatori un inevitabile riconoscimento nella temperie del matrimonio e della sua inevitabile routine. Il richiamo al sesso è inevitabile per qualche gag di grana più grossa. Amori calanti che fanno i conti con il vivere quotidiano e s’imbarcano in contrasti di varie portate.

data di pubblicazione:09/02/2024


Il nostro voto:

ROMA BANCO 24 di GabriellaSilvestri

ROMA BANCO 24 di GabriellaSilvestri

con Gabriella Silvestri e Valentina Marziali, aiuto regia Mariana Higuita Tamayo, direzione di scena Umberto Pischedda, luci Valerio Camelin, scene e costumi Area5lab – Produzione APS Teatro E

(Teatro De’ Servi – Roma, 6/18 febbraio 2024)

Duetto al femminile, madre/figlia. Antagoniste ma fino a un certo punto. I maschi stanno sullo sfondo. Negativi, usurai, violenti, sul fondale di un quartiere di una Roma degradato. Romanesco, sagace uso di parole forti. Un’antica professione (vero signora Warren?) che si riaffaccia. La protagonista a tratti sembra Anna Magnani, la ragazza dimostra i 17 anni della storia anche se rivela di essere molto più grande.

Un altro passo in avanti nel curriculum di Gabriella Silvestri. Assemblatrice del resto, regista e interprete. Popolana che si destreggia tra la poco redditizia gestione di un banco alimentare (tempi duri!) e il rimpianto accorato per il mestiere più antico del mondo. Però economicamente ha fatto il passo più lungo della gamba e, vedendosi rifiutato un mutuo dalla banca, ricorre ad autentici efferati strozzini. La figlia la contraddice continuamente e sembra aspirare solo al festeggiamento del compleanno che potrebbe farla riappacificare al suo ex, rivelando tutta la propria inesperienza nelle schermaglie amorose. Favola nera con sottofondi comici e scioglimento inaspettato che non riveleremo. Quando apre la valigia del mestiere, ricca di abiti provocanti e seducenti, per la passata disponibilità mercenaria, Silvestri quasi commuove nel tentativo di giustificare un mestiere che è anche apparizione, commedia, travestimento. Già, proprio come il teatro Quando si ubriaca e non è più cosciente, la figlia farà un gesto che risolverà la situazione dimostrando piena solidarietà per la sofferenza familiare. Confronto di generazioni e durezza della vita contemporanea. Un affresco riuscito. E la Silvestri è talmente padrona del dopo scena che si cimenta alla fine, dopo la prima, anche nel difficile esercizio, assai inconsueto e lodevole, di rispondere alle domande del pubblico. La pièce peraltro può significativamente funzionare anche fuori dai confini del raccordo anulare.

data di pubblicazione:07/02/2024


Il nostro voto: