UN GIORNO COME UN ALTRO di Giacomo Ciarrapico, con Luca Amorosino e Carlo De Ruggieri, regia di Giacomo Ciarrapico

UN GIORNO COME UN ALTRO di Giacomo Ciarrapico, con Luca Amorosino e Carlo De Ruggieri, regia di Giacomo Ciarrapico

(Teatro Cometa Off, Roma, 26/30 aprile 2023)

Una giornata come tante altre ma al seggio elettorale. Deserto. Rimangono due personaggi molto diversi a scontrarsi. Inevitabilmente presidente e segretario di seggio. Lentamente s’intuisce che non verrà un solo elettore a votare mentre i loro piccoli drammi personali si addensano in un contraddittorio di fuoco, imperlato di comicità.

Si può fare teatro intelligente e contemporaneamente leggero con un innesco efficace per una delle migliori messe in scena teatrali della stagione. Ciarrapico, quello di Boris, sodale del compianto Mattia Torre, anche in proprio non perde i feroci umori contro una democrazia rappresentativa che ormai ha fatto il suo tempo. Sono giorni di Ponte e l’Italia preferisce le vacanze lunghe al dovere-diritto elettorale. Dunque sanno tanto di superstiti i due che hanno accettato di sacrificarsi per la causa. All’inizio si scontrano, poi si riconoscono come compagni di scuola agli antipodi. E progressivamente svelano le carte. L’uno, invisibile perché anonimo, è stato appena lasciato dalla moglie e sognerebbe di riconquistarla intonando Ricominciamo di Pappalardo (ma il tentativo non sarà ricompensato dalla presenza della partner, ed è uno dei momenti più spassosi nei 65 minuti di svolgimento); l’altro vive bancando scommesse impossibili come un possibile golpe nella Repubblica Centroafricana. Come si legge esistenze agli opposti che poi alla fine si rinsaldano in una sorta di condivisa omogeneità anche grazie al generoso apporto di vodka e vino. Si ride e tanto in uno spettacolo che sprizza vitalità in un ovvio tutto esaurito per la prima rappresentazione. Un testo che farà strada e per il quale prevediamo anche un possibile sviluppo cinematografico oltre che sale più grandi dell’accogliente teatrino di Testaccio. Bravissimi gli interpreti, intrisi di romanità con il turpiloquio che non è ingrediente fastidioso ma assai funzionale allo sviluppo del plot.

data di pubblicazione:28/04/2023


Il nostro voto:

SCORDATO di Rocco Papaleo, 2023

SCORDATO di Rocco Papaleo, 2023

Un titolo multi-senso. Scordato può essere il piano che l’accordatore Papaleo (attore molto introspettivamente vicino all’uomo lucano) fa fatica ad accordare. Ma scordato è anche un passato che ritorna e che invece di essere rimosso viene dolorosamente affrontato. Infine scordata è anche la schiena sconnessa del protagonista che psico.somaticamente avverte i disagi di una condizione irrisolta.

 

Pellicola molto personale che da Salerno a Lauria passando per Maratea, tra Campania e Basilicata riassume una sorta di tranche de vie del personaggio attore. Grovigli familiari complessi e che hanno a che fare con le vicende sentimentali della madre ma soprattutto della deriva terroristica della sorella. Angoli scabri che inevitabilmente vanno affrontati anche per merito dell’intraprendente fisioterapista, insospettabilmente ben interpretata da Giorgia che alla fine non trascura di rivelare la sua spiccata tendenza musicale. Papaleo evita gigionismi e si incammina con garbo nel racconto biografico con una misura gradevole cucendo un piccolo grande film che ha rallentamenti e guizzi secondo una trama di leggera discontinuità. Appesantisce il racconto la continua comparsa dell’alter ego che all’inizio scambi per il figlio, una presenza retorica che costituisce una scorciatoia per evocare il non detto coscienziale e che sarebbe stato più complicato rappresentare. Il fisico pieno di contratture va progressivamente incontro allo scioglimento non solo metaforico del plot. L’uomo mite e un po’ pavido che si sente fuori contesto liquida il conto con il passato immergendosi nel tessuto vasto e un po’ scivoloso della provincia e della propria adolescenza. Alle contratture seguiranno fratture come momenti di passaggio ma alla fine ne varrà la pena perché la ricomposizione sarà totale. Il rancore si scioglie nella compassione e nel perdono non solo auto-assolutorio. Scritto durante il lockdown, un film terapia che può funzionare anche per il pubblico. Dopo Basilicata coast to coast un’opera che esteticamente si iscrive al secondo posto nella filmografia di Papaleo.

data di pubblicazione:26/04/2023


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I PIONIERI di Luca Scivoletto, 2023

I PIONIERI di Luca Scivoletto, 2023

Film di genere che dalla originaria e promettente farsesca matrice politica vira sul road movie adolescenziale perdendo progressivamente di carica emotiva e tensione. Troppo divario tra gli attori professionisti e i giovani chiamati a recitare un ruolo troppo impegnativo nella trama ambiziosa della sceneggiatura.

 

Quanto è difficile recitare il credo comunista nella Sicilia del1990! Berlinguer visto con gli occhi degli adolescenti. L’avvio è promettente perché l’innesco nostalgico funziona nel cinema d’attualità (vedi Moretti, vedi Bellocchio, vedi Papaleo) ma poi il plot si perde in una fuga da casa da boy scout di sinistra dove si rivela il carattere velleitario insieme della deriva ma anche del senso del film. Scivoletto ha molte parti perché scrive il libro, lo traduce in sceneggiatura, se ne assume la regia e pure parte della colonna sonora. Forse troppo lavoro per un uomo solo. Peccato perché il cast degli attori professionisti meritava miglior coronamento. C’è anche un alter ego meditativo nella riproposizione di Berlinguer ma forse la retorica dell’apparizione ruota un po’ fine a se stessa. Dunque il film rimane a metà tra la testimonianza di un periodo definitivamente scomparso con l’abbattimento del muro di Berlino e una commedia all’italiana ricca di folclore di inflessioni dialettali senza una reale adesione a una storia di pronta presa. Leit motiv di tanto cinema italiano che rimane a mezza strada. Le vicende del quartetto di adolescenti nel bosco palesemente annoia perché troppo prevedibilmente digrada nel classico happy end. La contrapposizione Stati Uniti-Urss diverte con il suo taglio netto. Così uno dei ragazzini protagonisti all’altezza dei mondiali di calcio rivela di non tifare per l’Italia ma per l’Urss. Le colpe politiche dei padri ricadono sui figli? Fino a un certo punto. Perché l’ideologia è soprattutto infatuazione e progressivamente tutto rientra nella quiete di un familiare milieu borghese.

data di pubblicazione:19/04/2023


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NON MORIRO’ DI FAME di Umberto Spinazzola, 2023

NON MORIRO’ DI FAME di Umberto Spinazzola, 2023

Un apologo pauperista su come si può cambiare vita e come ti cambia la vita. Uno chef da Stella Michelin scende agli inferi in una parabola contro lo spreco alimentare. Si cala tra i barboni, fruga nei cassonetti, ma trova un riscatto che è accompagnato dal recupero dei sentimenti con la compagna straniera e con la figlia. Uno strepitoso Michele Di Mauro, l’attore di Call My Agent e de I Delitti del Barlume, qui in una in una terza diversissima e straniata interpretazione.

 

Un film che regala un senso preciso descrivendo la parabola esistenziale di un innamorato della cucina che, per circostanze casuali, precipita agli inferi ma saprà ritrovare un senso, cucinando per gli altri, non più per interesse ma per pura passione. All’attore principale fa da spalla uno dei più popolari attori polacchi. Jerzy Stuhr non viene doppiato e la trovata è efficace perché ci regala un italiano con forte inflessione dell’est molto omologo al suo ruolo di barbone partner. Sullo sfondo una Torino a durezze incandescenti con la sua periferia post-industriale e con il suo sottofondo proletario. Il titolo è quanto mai azzeccato perché il cibo non manca frugando nelle pattumiere, negli avanzi alimentari dei supermercati, nella ricchezza relativa dei mercati all’aperto nel momento della chiusura. Momenti di cinema verità sia pure con un budget ridotto. Efficacissima la caricatura dei locali alla moda, del finger food, della moda degli aperitivi e dello spritz. Una Torino da bere (metafora dell’Italia tutta, stessi usi e costumi) presa in giro e vista dal lato amaro di chi tutto questo non può permetterselo. Un piccolo grande film che meriterebbe un adeguato recupero e una migliore distribuzione. Ma oggi se i libri dopo tre mesi scadono per i film d’autore la vita è ancora più grama: dopo tre giorni finiscono la loro breve passerella.

data di pubblicazione:16/04/2023


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DOPO LA FINE di Dennis Kelly, traduzione di Monica Capuani, con Cristina Greco e Francesco Ippolito, regia di Luca Mascolo

DOPO LA FINE di Dennis Kelly, traduzione di Monica Capuani, con Cristina Greco e Francesco Ippolito, regia di Luca Mascolo

(Altrove Teatro Studio – Roma, 14/16 aprile 2023)

Un dramma distopico tratto da un interessante testo inglese portato con coraggio sulla piccola scena del teatro d’innovazione. Passione a due con continui rovesciamenti di fronte, tenzone dialettica ma anche fisica con toni sovraeccitati per quasi due ore di generosa performance.

Dopo la fine perché qualcosa è già successo. Prima. Così i due protagonisti dopo una molto veridica esplosione nucleare e il rifugio in un bunker anti guerra fredda, in uno scenario d’attualità ormai molto verosimile, fanno contemporaneamente pace e guerra tra ammiccamenti sessuali, tentativi di mantenere le distanze, ingordigia dell’altro, affetto e repulsione. Così di fronte all’atteggiamento aggressivo del maschio che tutto preordina e predispone, segue l’ovvia reazione della donna che non ci sta a passare per vittima e vira nel ruolo di carnefice. Come si legge un continuo rovesciamento delle parti per approdare a una finale inaspettato che non riveleremo. Lo spettacolo è una continua pirotecnica esplosione di posizioni e mutamenti richiedendo il massimo impegno, anche gestuale, dei due bravi attori Greco e Ippolito. Progressione non facile anche per il pubblico chiamato se non a prendere posizione, a seguire questo continuo modernissimo gioco delle parti, metafora dei conflitti contemporanei. I due si dilaniano invano provando a varcare la soglia dell’oltre e del dopo. L’angosciosa ricerca di senso è rivolta verso quello che c’è fuori, il mondo bellico che ha decretato la loro attuale condizione. Un teatro di ricerca poco rassicurante, emblematico della nuova scena inglese. The end è quel varco della canzone di Jim Morrison e dei Doors, un limite all’infinito dietro cui si cela una sorta di auto-annientamento del genere umano. Scena spoglia e musica contemporanea assolutamente indicata per rappresentare un’atmosfera, abbondantemente gettonata soprattutto quando i dialoghi si fanno più rarefatti volgendo al termine.

data di pubblicazione:15/04/2023


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