LA ROSA NON CI AMA di Roberto Russo

LA ROSA NON CI AMA di Roberto Russo

con Cloris Brosca e Gianni De Feo, regia di Gianni De Feo

(Teatro Lo Spazio – Roma, 22/25 febbraio 2024)

Il coraggio di puntare sulla ricostruzione di una vicenda del 1590, venendo premiati dall’interesse di un pubblico da tutto esaurito per l’ultima replica in virtù della ragione forte dello spettacolo, della sua abile costruzione e di un automatico passaparola ben predisponente.

Una storia di spada, di ammazzamenti e di quelle che nel passato si sarebbero definite corna. Il tradimento di una moglie può essere vendicato per giusta causa assoldando tre malviventi che si prestino all’agguato. È così che l’illustre Principe Carlo Gesualdo da Venosa, insigne musicista, infierì sul corpo della consorte Maria D’Avalos, sorpresa con premeditazione in colloquio intimo con il suo abituale amante, il Duca D’Andria Fabrizio Carafa. Si gravita attorno a Napoli, al suo idioma musicale condito da punte di spagnolo per la rievocazione del dramma. Tragedia a più voci perché i fantasmi della donna rimproverano al marito la spietatezza della decisione, provocata dal pettegolezzo popolare e da un malinteso senso dell’onore. I due protagonisti, empaticamente efficaci, ricoprono vari ruoli, facce e toni entrando nei panni del confessore, innesco della trama gesuitica, della ruffiana di corte che avvia la rivelazione e dunque provoca il delitto, costretta poi dal tribunale a una puntuale denuncia di quanto accaduto. La Brosca non è più teatralmente una rivelazione per chi la conosce negli antichi panni della chiromante televisiva. Il cubo di Rubik è il pretesto per lo sviluppo cromatico di una vicenda a più facce e a più percezioni. De Feo è vibratile e messo alla sbarra per quanto architettato e, nella fedeltà all’attitudine professionale del personaggio, fa sfoggia di bella e ben portata voce. Un’altra sensibile icona sulla scena è la rosa, un fiore che incarna un amore tradito e sbagliato. Toni potenti, mai velleitari per una rievocazione memorialistica di pregio, fuori dalle scelte del mainstream e dunque particolarmente apprezzabile. Con il valore aggiunto di madrigali arricchiti da testi scritti da Torquato Tasso.

data di pubblicazione:26/02/2024


Il nostro voto:

IL CAPPELLO DI CARTA di Gianni Clementi, regia di Michele La Ginestra

IL CAPPELLO DI CARTA di Gianni Clementi, regia di Michele La Ginestra

con Sergio Zecca, Francesca Baragli, Alessio Chiodini, Michele Enrico Montesano, Ilaria Nestovito, Maria Teresa Psscale, Tiko Rossi Vairo

(Teatro Sette – Roma, 30 gennaio/25 febbraio)

Riproposizione di un evergreen di Gianni Clementi con il focus su un episodio ancora ben vivo nella memoria collettiva. Il bombardamento su San Lorenzo è il flash sulla Roma che sta per uscire dalla guerra ma che vive, di stenti, di promiscuità, di una solidarietà che forse non sarà mai più ritrovata.

Un piccolo miracolo in un epicentro di Roma che compendia tre teatri. 25 giorni di tutto esaurito per il perfetto commovente ensemble di sette attori che documentano i nefasti della guerra, un tragico ammonimento sempre valido. Combatte la fame e la miseria la famiglia di un muratore che si trova ad accollarsi un nonno anziano, una zia zitella, un figlio sfaticato e l’aggregato supplementare di un fidanzato che ripete come un ossessione il refrain “e compagni cantando” Dinamiche familiari problematiche, acuite dall’improvvisa fuga del nonno che al cimitero del Verano va a cercare un dialogo impossibile con la consorte defunta. E si perde, vaga nella città per 40 ore. Quando si ripresenta sembra la liberazione da tutti i crucci. Ma in realtà è il prologo a un altro ritrovamento. Di un bambino ebreo in fasce consegnato quasi al volo da una famiglia deportata dai tedeschi al Portico d’Ottavia. Il grande cuore di Roma accoglie la new entry a cui si sforza di dare un nome. E quando l’ha trovato, come omaggio al nonno, l’anziano familiare si spegne. Dunque un messaggio simbolico di trasmissione generazionale e di accoglienza inclusiva. Ma in mezzo le battute comiche funzionano perché il dialetto romanesco è funzionale alla trama e anche il turpiloquio, come dire, è usato efficacemente a fin di bene senza intenti di facile presa. Testo che non tramonta di un autore prolifico che non ha smesso di stupirci e che è contemporaneamente presente su altre piazze teatrali.

data di pubblicazione:23/02/2024


Il nostro voto:

STASERA HO DECISO DI VENIRMI A TROVARE di Antonella Ottai e Bruno Maccallini

STASERA HO DECISO DI VENIRMI A TROVARE di Antonella Ottai e Bruno Maccallini

liberamente tratto dalle opere di Fritz Grunbaum, voce, corno e chitarra di Livia Cangialosi, musiche originali del maestro Pino Cangialosi, elementi di scena di Damiano Quaranta, luci di Giacomo Corsi, organizzazione Enrico Porcaro

(Auditorium Goethe Institut – Roma, serata unica e speciale 22 febbraio 2024, poi in tournèe)

Interessante recupero di un repertorio poco noto da parte di cultori della materia giusta e nella sede più azzeccata, in casa dell’Istituto di cultura tedesca intitolato a Goethe.

Grunbaum, attraverso lo strumento del doppio, sdogana l’umorismo ebraico in uno spettacolo di recupero non residuale, davvero raro per la scena italiana per una proposta che non può prescindere dalla musica. Una satira caustica nello stile di Karl Kraus per enunciare dettati di eminenti pensatori come Sigmund Freud o Albert Einstein, tra i più celebri dottrinari del Novecento. La scena restituisce un’aura di un universo che comprende il teatro della Repubblica di Weimar, il Bertolt Brecht che verrà, la fascinazione di Kurt Weill e del cabaret tedesco, esportato dalla voce di Ute Lemper. Risate liberatorie e quasi profetiche rispetto al mondo crudele che si sta per manifestare. Il titolo allude esplicitamente all’alter ego. La barbarie è in agguato ma non ancora pienamente manifestata. Eppure la vivacità artistica di questo milieu è indubitabile e ci fa rivisitare un secolo e un mood che più non ci appartiene, resuscitato dalla memoria e con stile non museale. Il distacco e la presa di distanza dall’io consente un’analisi feroce e spassionata sui mali del mondo. La Società per Attori produttrice completerà con un ulteriore spettacolo la panoramica sul periodo. Questo tipo di scena ci fa capire anche l’evoluzione del genere del cabaret, oggi in Italia superato dalla Stand Up Comedy. La visione non è nostalgia non è solo didattica ma esercizio di storia e di perfetto abbinamento con l’accompagnamento musicale che a volte prende il sopravvento.

data di pubblicazione:23/02/2024


Il nostro voto:

QUASI AMICI, adattamento e regia di Aberto Ferrari

QUASI AMICI, adattamento e regia di Aberto Ferrari

tratto dal film Intouchables di Eric Toledano e Olivier Nakache, con Massimo Ghini, Paolo Ruffini, Claudia Campolongo, Leonardo Ghini, Gianmarco Trulli, Giulia Sessich, Diego Sebastiani, Sebastian Misasi, scene di Roberto Crea, costumi di Stefano Giovani, disegno e luci di Pietro Sperduti, musiche di Roberto Binetti. Produzione Enti Teatro

(Teatro Il Parioli -Roma, 15/18 febbraio 2024)

In arte nulla si crea e nulla si distrugge. Così da una storia vera portata al cinema in Francia rielaborata in Italia nasce un terzo filone, questa volta teatrale. Nonostante il difetto d’inventiva il risultato è scoppiettante lungo due ore e trenta ricche di sorprese.

Si potrebbe pensare a uno spettacolo inverato sulle risorse della strana coppia Ghini-Ruffini ma se il secondo è un’autentica rivelazione fuori dai panni abituali è l’investimento di scena che stupisce, quasi strabilia. Perché la piece esce dai limiti del duetto e si affida a una storia corale dove entrano disabilità, emarginazione, amore, sesso, divagazioni esistenziali tanto che a un certo punto quasi ci si perde in una parentesi aperta e allungata indefinitamente prima di essere chiusa. Operazione riuscita nel viraggio all’italiana, anzi al 50% in Toscana, terra di umorismo fecondo (Benigni, Hendel, Monni), vista l’inflessione marcata di Ruffini Alla fine il riassunto di tutti questi variegati incroci è una summa sull’amicizia. Un’attrazione che supera classi sociali e cultura diverse, milieu all’opposto ma che si incontrano sul piano delle emozioni e delle necessità. Una ventata di ottimismo in tempi difficili. Prima di chiamarsi Teatro Costanzo il Parioli aggiunge un’altra piccola gemma al proprio curriculum per una proposta che meriterebbe indubbiamente più giorni di programmazione sulla piazza di Roma. Bravi anche i comprimari e in particolari i personaggi femminili che aggiungono calore e colore. Anche bambini in platea, difatti è un gradevole spettacolo per tutti. Difficile il confronto cinema/teatro ma questo adattamento all’italiana si confronta senza complessi con l’originale transalpino.

data di pubblicazione:16/02/2024


Il nostro voto:

SOUVENIR DE KIKI drammaturgia, immagini e regia di Consuelo Barilari

SOUVENIR DE KIKI drammaturgia, immagini e regia di Consuelo Barilari

con Manuela Kustermann, le voci di Hemingway, Soutine, Man Ray, Fujita sono rispettivamente di Roberto Alinghieri, Fabrizio Matteini, Nourredine, Davide Gallerello, luci di Liliana Ladeluca, suono e editing di Claudio Maccagno, proiezioni video di Gianluca De Pasquale, elementi scenici a cura di Cri Eco, costumi di Francesca Parodi, installazione “Libellus” di Marzia Migliora e Ilenia Corti. Produzione Schegge di Mediterraneo, Featival dell’Eccellenza al femminile

(Teatro Vascello – Roma, 13/18 febbraio 2024)

Si fa presto a dire reading. No, leggete la complessa macchina scenica allestita tra video, fotografie e raffinatissima musica d’epoca per restituire il puzzle-mosaico del mood di Kiki di Montparnasse, regina della Parigi di notte. Animatrice, scrittrice, modella, campionessa mondiale di cuori infranti.

Una donna che riassume un mondo. Tra libertinismo, dadaismo e futurismo. Attraversando la storia del tempo con gli incontri: Soutine, Fujita, Man Ray (un fidanzamento durato sei anni), Kisling, Calder, Cocteau. Kiki, all’anagrafe Alice Prin, nulla si negava. Scandalizzando i genitori che fanno irruzione nello studio di un pittore e la colgono nuda già a 14 anni. Stupendo i borghesi, vestendo senza mutande, in un tourbillon di amori folli, di droga (cocaina) prima del rapido invecchiamento e della triste fine. Manuela Kustermann ripercorre cronologicamente in cento minuti questa parabola arrestandosi nel punto più glorioso, evitando di documentare il declino. Fascinosa e charmante la tycoon del Vascello, si districa con agilità nel racconto assistito da un puntualissimo corredo iconico. Lo sforzo produttivo è imponente e all’altezza della sua recitazione che con abilità bypassa il gap anagrafico rispetto all’età raccontata del personaggio. L’atmosfera del tempo è restituita senza imbarazzi in un crescendo di libertà ma insieme di dissipazione. Questa volta nella prima s’innalza anche l’età media degli spettatori. E il teatro evita che la storia inghiotta chi ha firmato lo spirito del tempo in una capitale europea che nella prima parte del passato secolo era il cuore pulsante della cultura e dell’arte.

data di pubblicazione:14/02/2024


Il nostro voto: