da Daniele Poto | Feb 12, 2019
(Teatro Rivellino di Tuscania – Viterbo, 10 febbraio 2019, poi in tournée in Italia)
Malinconico one man show di un attore fuori dalle quinte da molto tempo. Purtroppo si vede e si vede. Con grande rispetto per la perduta grandezza.
Flavio Bucci, attore borderline, è stato un grande protagonista della scena italiana degli anni ’70 e ’80 occupando una pole position mediatica anche grazie ai grandi ascolti di fiction televisive come quella in cui impersonava Ligabue. Recitazione sopra le righe, altisonante e tonitruante, da mattatore, con il rischio del birignao dietro l’angolo. Poi ha accumulato il peso di vizi personali, dissipando un talento con passatempi costosi e distraenti. Alla metafora dell’attore che muore in scena ha preferito il saggio ventennale ritiro. Ora, per passione o necessità, è tornato a calcare i palcoscenici con l’amorevole contributo dell’amico regista Marco Mattolini che con pazienza ha cercato di scuoterne la pigrizia e la ruggine professionale. Dopo l’esordio al Belli di Roma ha in programma una vasta tournée in giro per l’Italia con uno spettacolo che non si può dire rodato. Il primo tempo scorre via tecnicamente disastroso. La piccola troupe ha ritardato l’inizio dello spettacolo arrivando all’ultimo momento dalla capitale e un sentore di improvvisazione si è respirato con continue ripetizioni e la scarsa sincronia tra il parlato di Bucci e le immagini che scorrevano sulla scena. Bucci non si abbandona al flusso degli aneddoti ma rimane nella medietà di una narrazione quieta e un po’ banale. Nel secondo tempo il regista Mattolini sembra intervenire in scena per raddrizzare la barca. S’improvvisa giornalista e stimola Bucci con domande appropriate. Il protagonista si scioglie e si anima, la tensione s’impenna, anche perché Bucci fa ricorso al bagaglio della memoria per restituire in scena, sia pure vestendo panni borghesi, le interpretazioni classiche che lo hanno reso famoso. L’attore è un atleta, se non si allena peggiora. L’augurio è che le repliche possano snellire e sciogliere un lungo strutturato monologo che ha bisogno di qualche guizzo e di una messa a punto omogenea.
data di pubblicazione:12/02/2019
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Feb 7, 2019
Facebook ha festeggiato i 15 anni di vita. Ma non è stato un genetliaco felice. Il fenomeno di abbandono di gran parte dei due miliardi di utenti sugli oltre sette miliardi di popolazione mondiale è evidente e sotto gli occhi di tutti. Provate a cliccare sul profilo dei vostri amici: alcuni sono morti, altri sono digitalmente scomparsi e non si hanno notizie, altri si sono cancellati dal vostro elenco. La ricerca di Spitzer sembra prendere questa tendenza come un fenomeno positivo. C’è una corrispondenza diretta tra il numero dei link postati da un iscritto e il suo relativo grado di infelicità. La sua lontananza dal mondo reale è certificata da questa apparente vicinanza al mondo digitale. La coesione tra virtuale e reale è una sintesi e una sinergia possibile ma estremamente difficile nella pratica, se non altro per una questione di tempo a disposizione. L’iperconnessione porta a risultati di “stampo giapponese”. C’è chi addirittura muore per questo, travolto da un abisso esistenziale che non sembra lasciare spazio per altri attività. La connessione con il mondo è sintonia che si stabilisce su ben altre frequenze. La solitudine induce al dolore. Un dolore misurabile attraverso esperimenti di laboratorio. Provate a scrivere su facebook a una persona che non vi risponde? Non ne ricavate un senso di profondo e irrimediabile frustrazione? Al contrario la partecipazione alla vita sociale e di comunità allunga la vita. Come pure un matrimonio rispetto alla condizione di single. La risposta femminile al lutto e la sua maggiore aspettativa di vita è direttamente funzionale alla migliore predisposizione alla socialità del soggetto femminile e alla sua migliore risposta interattiva agli stimoli esterni. L’autore crea una corrispondenza tra la solitudine e una percentuale più elevata di disturbi cardiaci e di sviluppi tumorali. L’uso prolungato di smartphone atrofizza la capacità di istituire relazioni profonde e autentiche, invita alla passività e a un senso che potremo definire di ripiegamento pessimistico di fronte agli imprevisti della vita.
data di pubblicazione:07/02/2019
da Daniele Poto | Feb 6, 2019
(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 31 gennaio/17 febbraio 2019)
Il fosco interno della vita di un calciatore che somiglia molto a Cristiano Ronaldo. Difatti si chiama Cristian. Per tutti quelli che diventano Totti (ma anche non lo diventano).
Il calcio fuori dal rettangolo di gioco. Con tanti, forse troppo elementi. Quello che i tifosi non vedono: superomismo, omosessualità, egolatria, razzismo uomo contro uomo in senso hobbesiano ovvero il mio successo è la tua rovina. Ritratto del football in un interno con scene ripetute di nudo, di amplessi, di linguaggio scurrile. Uno spettacolo forte, ai limiti dell’hard rigorosamente vietato ai minori di diciotto anni. Con interpreti che oltre a recitare si cimentano in una prova muscolare in cui si dimostrano artisti del salto alla corda, maghi delle flessioni. E sanno anche palleggiare bene il pallone. La vita del calciatore in tre scene. Nella prima due under si misurano con il futuro in una partita in cui uno solo uno dei due prevarrà. Nella seconda il più cinico è arrivista si misura con il prezzo del successo nell’incontro ravvicinato con una ballerina escort incaricata di filmarne le debolezze a scopo pubblicitario. Ma è stata proprio lui (si scoprirà) a commissionarle la ripresa. Nella terza i due amici di un tempo si rivedono. Il primo ha incassato milioni, ha girato il mondo; è ricco, famoso e viziato; il secondo ha ripiegato su un lavoro ordinario, deluso dall’impatto con il football. Ma c’è un’attrazione ambigua che li lega e in una serata di follie e di eccessi a base di sostanze psicoattive coinvolgeranno nella pseudo-orgia un ignaro quanto poi disponibile inserviente. La conclusione è tutt’altro che rassicurante. Alla fine le luci si spengono (e il sipario cala) sul protagonista che vuole essere un vincente ma che invece rappresenta la frustrazione del fine carriera e dell’isolamento a cui lo ha condannato il successo e l’illimitata e finta possibilità di potere attribuitagli dal denaro. Titolo originale The Pass: il denaro non regala sempre felicità anche se su Instagram hai collezionato trenta milioni di like. Il testo teatrale ha avuto anche una versione cinematografica.
data di pubblicazione:06/02/2019
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Gen 28, 2019
(Teatro di Carbognano – Viterbo, 27 gennaio 2019 e poi in tournée)
Una soap opera per soli uomini. Tra colpi di scena, malintendimenti sessuali, le consuete e note storie di corna. Si ride, a volte a crepapelle.
Una prima nazionale riuscita per un format che vive da almeno dieci anni ad attori cambiati con una scena funzionale, una succulenta torta di matrimonio girevole che mostra interno e esterno del claustrofobico luogo che racchiude le vicende di quattro single ai ferri corti con la vita. In coabitazione per difficoltà economiche, con problematici rapporti con l’altro sesso. 3 + 1 perché la variabile impazzita è l’arrivo in questo universo fatto di regole, di ordine e di apparente pulizia un vicino di casa in rotta con la moglie. Nicola Pistoia, il diversivo, è una presenza scenica importante ed è un po’ il centro dell’affabulazione con i suoi numeri istrioneschi che derapano dal copione e lo vivacizzano con tic, brusche svolte neuronali, cambiamenti di umore. Invano il trio preesistente cerca di assorbirlo e/o respingerlo. L’invasore s’insedia nei confini di casa e tracima di problemi irrisolti. Quando uno dei tre cercherà di convincere la moglie a riprenderselo si scatenerà la gag più farsesca delle due ore di commedia, spesso con grossa grana di comicità. Altro che persuasione, la moglie adirà a un secondo tradimento facendo saltare in aria tutte le finzioni e i buoni propositi. Lo spettacolo è godibile, in due tempi. Con un quartetto che promette di mettere a regime una buona coesione, recuperando qualche piccola incespicatura con il mestiere e una discreta dose di improvvisazione. Sta nel mestiere dell’attore sfruttare persino la balbuzie per far ridere il pubblico. Ora il cast girerà fino a tutto marzo battendo i luoghi della provincia italiana, sfruttando una formula convincente di teatro leggero. I movimenti di scena sono significativi. Una finestra è utile per un’idea di fiducia. Fuori c’è il mondo, spesso incomprensibile, se è mondo di donne per questi single allo sbando.
data di pubblicazione:28/01/2019
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Gen 24, 2019
Una guida didattica, una cartolina dall’Italia o un caleidoscopio dei meravigliosi borghi non conosciuti di quello che una volta era definito il Bel Paese? Il sottotitolo è illuminante:“più di venti ragioni per visitare venti regioni”. Gioco di parole a parte questo è un libro da sfogliare e da centellinare in occasioni di viaggio perché per ogni regione italiana offre luoghi inconsueti e poco frequentati, ricette abbastanza misteriose, curiosità e folclore. Di tutto un po’ all’insegna della divulgazione della ricerca di conoscenza senza particolare ambizioni intellettualistiche. Il gran formato è adiuvante per l’estetica delle foto. L’impaginazione è spartanamente schematica ma il valore aggiunto sono le testimonianze di cittadini del luogo (scrittori, entusiasti archeologi) che spendono un eloquente biglietto da visita per la propria terra. L’Italia è l’unico Paese europeo con 100 città (circa) da 100.000 abitanti e oltre. E ciascuna con una propria specificità e un rigoglioso patrimonio culturale. Non a caso nell’anagrafe dei luoghi tutelati dall’Unesco l’Italia è saldamente al primo posto con un 6% di presenze. Purtroppo a questa materia prima estetica non corrisponde un analogo primato del turismo. In questo settore addirittura l’Italia è scivolata giù dal podio occupando al momento il quarto posto, superata persino dalla lontana Cina. Il manuale regionale tocca luoghi impensati e impensabili compresa quella regione su cui si fa spesso ironia:“Ma il Molise esiste?” La chiarezza espositiva ne fa un gradevole compendio scolastico, strumento per non specialisti appartenendo in modi molto estensivi al repertorio della letteratura da viaggio.
Un originale capitolo a parte è dedicato alle feste tradizionali e qui si immerge in un mondo ancora per molti versi inesplorato la cui ricerca a suo tempo fu innescata dagli studi sulle tradizioni popolari di De Martino e Carpitella. Italia unica, diseguale, contraddittoria, ricca di fascino e purtroppo anche di una natura spesso devastata colpevolmente dall’uomo.
data di pubblicazione:24/01/2018
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