LA LETTRICE DI CECHOV di Giulia Corsalini – Edizioni Nottempo, 2019

LA LETTRICE DI CECHOV di Giulia Corsalini – Edizioni Nottempo, 2019

Un libro a lenta maturazione (dieci anni), parzialmente autobiografico che sta rastrellando premi prestigiosi incamminando l’autrice sullo stesso cammino di successo che è stato all’interno della stessa casa editrice, di Milena Agus. Un mood cechoviano permea l’atmosfera percettiva della badante-professoressa atipica con un piede in Ucraina e un piede in Italia. Divisa sentimentalmente tra l’amore della figlia, l’inevitabile distacco da un marito morente e l’attrazione indefinita, a tratti impalpabile, per il suo professore, sensibile alla fascinazione molto orientale della sua non fedele sottoposta. La storia più che per eventi si sviluppa con sensazioni, atmosfere, impressioni, intuizioni, piccole svolte psicologiche. Una gestione rarefatta ma non statica del plot che si alimenta con una lingua brillante, con dialoghi che funzionano, con un ritmo lento ma funzionale. La trama non riassume l’indicibile e, più prosaicamente, il non detto di una possibile relazione sospesa. Momenti topici perché rimandano a possibili svolte esistenziali che sono all’angolo, nel mirino delle possibilità, della vita di tutti noi. Con passo cechoviano l’autrice instaura un teatro cechoviano ricco di citazioni del prestigioso autore russo costruendo un ritratto di donna sfaccettato e credibile. Soggetto al femminile forte, irriducibile, in cerca di una direzione di vita, capace di adire a scelte decise e radicali, riscattando un’esistenza minima fatta però di dubbi e di un problematico rapporto con la prole. La protagonista è attesa a un bivio che risolve con istinto e non con razionalità. Nel segno dell’ambiguità del rapporto sentimentale e senza trepidazioni per la carriera che potrebbe schiuderle l’Istituto di slavistica, sotto l’egida e l’impulso del professore che l’adora. Il ritratto di donna che rifiuta i compromessi è vincente ed accattivante. Per Paolo Di Stefano la sospensione nell’inespresse rende il libro della Corsalini inedito e coraggioso. Certo un libro che si differenzia enormemente dal trend attuale della letteratura italiana mainstream. Nel contesto anche dettaglia sulla burocrazia e le storie clientelari della vita universitaria di provincia.

data di pubblicazione:30/05/2019

BELLUNO. ANDANTINO E GRANDE FUGA di Patrizia Valduga – Einaudi, 2019

BELLUNO. ANDANTINO E GRANDE FUGA di Patrizia Valduga – Einaudi, 2019

 

Ad essere pignoli 392 versi che contengono meno parole della nota e della glossa finale. Ma un dono prezioso e minimalista di una poetessa sensitiva che distilla ricordi di un legame indimenticabile. Il sodalizio con Giovanni Raboni, stimato rappresentante della poetica lombarda, che discende da Carlo Porta. La coppia vive ancora nell’umorismo disperante, dell’ultimo sghignazzo di chi sta per essere impiccato. La vita si trascina senza illusioni e, apparentemente senza guizzi. Ma la Valduga la rianima con una percezione, un’intuizione, il risveglio del corpo, un adagio in dialetto veneto. Risorse esistenziali che si sublimano nell’arte per un’interprete del suo tempo che ha fatto epoca e che vuole uscire dalla retorica e dalla storia per abbracciare empiti di verità. Una poesia materica e molto concreta nel commento beffardo delle avances dei pretendenti, pallide copie del compagno che fu per quindici anni, sodalizio di vita e di poesia. Così la Valduga dopo sette anni di silenzio, si meraviglia per la mancata celebrazione del cineasta Dreyer e da applaudito funambolo si sdoppia in Don Giovanni Da Ponte. Così versi strazianti risultano anche umoristici per una piena presa di possesso di una vita che sembra non riservare più gioie e sorprese. Un verso che fa…il verso, che rompe la metrica, che si dibatte, annaspando in brandelli di realtà. La vita di tutti i giorni, quella che non esce dalla routine ma che, interpretata da un poeta, si ribella, regala palpiti se non illusioni. Il poeta parla ancora. E la città che offre il titolo nelle statistiche è quella in cui si vive meglio in Italia. In effetti c’è un grande profumo di provincia nella bizzarra silloge che segna un gradito ritorno. Poesie che possono essere filastrocche o litanie ma che contengono sempre un estremo guizzo di vivacità.

data di pubblicazione:23/05/2019

 

UN UOMO SOLO di Christopher Isherwood – Adelphi editore, 2018

UN UOMO SOLO di Christopher Isherwood – Adelphi editore, 2018

Coltiva l’ambizione del racconto lungo perfetto questa pubblicazione che l’autore definisce un romanzo, ed alla quale era sinceramente attratto riconoscendola come in suo piccolo capolavoro. Trattasi di componimento solidamente omogeneo alla linea editoriale di Adelphi. In bilico tra commozione e distacco, rievocando un’epopea dove si affacciano molti personaggi e altrettante comparse che, progressivamente fanno largo alla solitudine un po’ snob del protagonista. I vezzi dell’epoca vengono debitamente stigmatizzati con una scrittura in cui più che narrazione c’è (e risalta) l’elemento descrittivo. Non c’è una reale evoluzione della storia ma la fissazione di un momento, assecondando un’ambizione letteraria molto alta. Poteva essere un velleitario tonfo ma la qualità indubitabile della scrittura riabilita qualche momento di noia. L’evoluzione concentrica ci ha ricordato il teatro di Alan Bennett, quasi creando un palcoscenico, un fondale, una storia sospesa. Secondo il recensore Mario Fortunato in questa operina non c’è una virgola di troppo, né una di meno. Il libro è stato scritto e concepito nel 1964 e ha avuto una rilevante fortuna editoriale con continue ristampe dalla prima pubblicazione italiana del 2009. Da questo testo è stato tratto l’omologo film di successo per la regia calligrafica di Tom Ford con protagonisti Colin Firth e Julianne Moore. Per ricondurlo a parametri italiani si può pensare a La Capria o a Berto. La sospensione del tempo immersa in un’atmosfera ovattata dove contano percezioni e sfumature. Un libro per molti ma non per tutti per l’esclusività tenue dello sviluppo. Da leggere con adeguata concentrazione. Probabilmente in una stanza dove si è da soli, garantiti da una luce altrettanto tenue. La copertina, firmata da Ben McLaughlin, riproduce questo scenario, un anonimo tavolo dove probabilmente si siederà il protagonista. Racconto ispirato dalla maturità dell’autore, una sorta di memoir senza infingimenti. Ribadendo che la vita è anche una questione di proporzioni tra soggetti e cose.

data di pubblicazione:21/05/2019

CANI SCIOLTI di Mimmo Calopresti

CANI SCIOLTI di Mimmo Calopresti

Il rinnovato cinema Aquila (Pigneto, Roma) nella sua palingenesi ha organizzato quattro incontri- evento con proiezioni al centro della scena e degna conclusione, dopo il rituale (e mai passato di moda) dibattito con brindisi biologico a base di vino friulano. Il 17 maggio la tappa ha avuto come epicentro la proiezione di Cani sciolti, mediometraggio firmato proprio dal padrone di casa, il direttore artistico della sala, il calabrese Mimmo Calopresti, cineasta felicemente insediato operativamente a Roma. Il “cane sciolto” in questone è Eduard Limonov, irreggimentabile pensatore russo, un po’ bolscevico, un po’ nazionalista, irreversibilmente immortalato e consegnato alla storia (anche della letteratura) dal mirabile saggio di Emanuele Carrère intitolato L’avversario. Limonov è raccontato attraverso il suo viaggio in Italia (principalmente a Roma) che condensa il momento più emotivo sulla tomba di Pasolini con la recita di alcuni versi liberi, testimoniati dalla macchina da presa. Limonov riconosce in Pasolini un formidabile contradditore e quasi un alter ego. Ne aveva sfiorato la conoscenza in un precedente viaggio a Roma, nel 1974, quando cercava un appartamento in affitto dal prezzo congruo a Ostia, quasi negli stessi luoghi dove il poeta sarebbe andato incontro alla morte un anno dopo. Limonov ha attraversato nella propria irripetibile epopea tante stagioni, contestando Putin e poi diventandone sostenitore. Dissidente persino in America rispetto ai tanti secessionisti russi. Fautore di una “grande madre russa” di cui ne interpreta lo spirito arringante. Suo mentore in Italia l’editore Sandro Teti che gli ha chiesto tre contributi editoriali per documentarne estri e grandezza. Nel poco contestabile “minestrone ideologico” di Limonov ci sono Evola, Guevara, Marx in una poco definita distinzione tra destra e sinistra che forse ha anticipato il sovranismo di sinistra oggi invalso e reso nella politica italiana dalle posizioni di Fassina. Un personaggio singolare, un polemista che farebbe la fortuna dei talk show italiani da cui, anche per motivi logistici, per fortuna si guarda bene dall’andare. Calopresti lo porta a Corviale dove, secondo leggenda, si arresta il ponentino per fargli assaggiare un originale piano urbanistico per il popolo. Oggi, riveduto e corretto con le opportune varianti.

data di pubblicazione:20/05/2019

È COSA BUONA E GIUSTA  di Michele Benniceli e Michele La Ginestra, regia di Andrea Paolotto

È COSA BUONA E GIUSTA di Michele Benniceli e Michele La Ginestra, regia di Andrea Paolotto

(Teatro di Carbognano, 5 maggio 2019; Teatro Sistina – Roma 10/19 maggio 2019)

Il mood di La Ginestra funziona ancora. One man show condito dall’apprezzabile professionalità dei ragazzi dell’Accademia di Teatro del Sistina.

Efficace il pretesto di insegnare la vita e i primi rudimenti del teatro ai giovani per un’immersione autobiografica nel mondo di Michele la Ginestra. Dove tutto può apparire vero e contemporaneamente finto. Perché sempre di teatro parliamo. Però l’operazione funziona e confonde perché miscela meravigliosamente realtà e fantasia. Il vissuto dell’attore solista e dei suoi primordi con l’ingenuità e le domande dei ragazzi di diversa personalità che si abbeverano alla fonte della sua esperienza. Lo spettacolo ha toni leggeri ma attinge a un lirismo profondo nella rievocazione del distacco mortale dal padre. La Ginestra non scorda la lezione del Sistina perché lo spettacolo attinge a brani popolari (De Gregori anche) con le cadenze di un music hall in cui occorre saper cantare (in coro anche), ballare, gestire l’interazione con il protagonista principale. E l’interprete si offre con generosità attraverso una doppia replica che gli concede solo 45’ d’intervallo, dandosi senza respiro a un pubblico ricettivo di provincia, certo diverso da quello del Sistina che nelle repliche lo attendono dopo un’anteprima rodante. Il laureato in legge è enormemente a suo agio nell’arte dell’intrattenimento. Ironizza su sé stesso quando lo includono nella top fine degli interpreti del Rugantino che poi sono stati cinque in tutto. Allude al momento del definitivo lancio nella hit parade dei grandi interpreti leggeri. Una popolarità che è stata corroborata dalla pubblicità per una nota marca alimentare e dalle apparizioni felici in programmi di intrattenimento gastronomico. Feroce la critica al mondo virtuale dello smartphone che ha fatto perdete l’immediatezza e la spontaneità giovanile a un’intera generazione. Ma non è mai troppo tardi per ravvedersi anche attraverso la leggerezza di uno spettacolo che fa riflettere sorridendo. Come nelle corde del protagonista che ti fa immergere nelle pieghe di un convincente ragionamento espresso con grande empatia.

data di pubblicazione:06/05/2019


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