ARTE di Yasmina Reza – Adelphi, 2018

ARTE di Yasmina Reza – Adelphi, 2018

Se il teatro è conflitto e scoppio delle contraddizioni attraverso un dialogo serrato, oggi Yasmina Reza, unitamente a David Mamet, rappresenta la punta più acuminata e popolare del mainstream scenico. Il suo Carnage ha fatto scuola e questo successivo piccolo atto unico ne è la diretta conseguenza e applicazione su un piano che -potremmo definire- più frivolo. Il nodo del contendere è un quadro. Una di quelle opere contemporanee che quasi nessuno capisce ed interpreta ma che ha un valore commerciale ragguardevole per la semplice firma dell’autore. Il quadro appunto è la scintilla che accende una vivace discussione tra due collaudati amici. E c’è un terzo incomodo piuttosto casuale. Che non ha alcuna competenza di arte ma che, molto semplicemente, non vorrebbe intaccare il legame di amicizia con i due. Se tre è il numero perfetto, anche a tre la concatenazione del dialogo teatrale punta fortemente su questo numero. Andamento prevedibile? Mica tanto. Lo spariglio è l’attentato alla composizione, il beffardo disegno che ne intacca la consistenza. Danno irreversibile? Niente affatto. L’amicizia è salva ed il sottofondo morale è che mantenerla in vita è più importante del valore effimero di una presunta opera d’arte. Naturalmente l’ambiguità è nel fondo. I due amici e litiganti sapevano della possibilità di restaurare il quadro facendolo tornare al primitivo splendore? O solo uno dei due sapeva ed ha lasciato fare l’altro? Come si vede la realtà anche teatrale può non essere mai facilmente decifrabile. Dunque anche in questo lavoro c’è un “Dio del massacro” attivo e funzionante. La ricetta della Reza è collaudata. A qualcuno potrà apparire un po’ ripetitiva ma gli ingredienti del cocktail funzionano in un crescendo nevrotico di grande efficacia. Lo spettacolo da cui è tratto il libretto ha avuto grande successo in Francia ed è stata tradotto e importato in Inghilterra e negli Stati Uniti, in attesa di approdare in Italia. Vista l’esiguità della trama in questo caso è estremamente improbabile una trasposizione cinematografica.

data di pubblicazione:15/11/2018

UOMO SOLO IN FILA di e con Maurizio Micheli, regia di Luca Sandri

UOMO SOLO IN FILA di e con Maurizio Micheli, regia di Luca Sandri

(Teatro della Cometa – Roma, 6/18 novembre 2018)

Monologo a tutto campo. Senza ritenzione né censura. One man show che funziona. Con il contributo sonoro di Gianluca Sambataro al pianoforte.

Tutto il mestiere e la capacità affabulativa di Maurizio Micheli, ormai più che settantenne (ma l’umorismo non ha età) in novanta minuti di spassoso divertissement attorno a usi e costumi italici. Una piccola copia del format di Mi voleva Strehler da parte di un attore a vocazione comica di sicuro mestiere e con numeri pirotecnici nel proprio bagaglio. A tratti divagazioni irresistibili mentre, sul filo della memoria, si scatenano note da karaoke, a soggetto e, apparentemente a libera improvvisazione. Il protagonista cuce lo spettacolo con il piccolo pretesto della permanenza in una sala d’attesa di Equitalia. Il clima è vagamente kafkiano. Vengono chiamati dall’altoparlante numeri a casaccio, c’è gente che aspetta da cinque giorni in quell’angusta sala. Il protagonista dunque ha tutte le possibilità di sfogarsi e suscita risate a scena aperta quando recita Leopardi con l’accento marchigiano. I due poli regionali della comicità di Micheli sono toscano-pugliesi. E dunque che si parli di Marina di Cecina o di Bari la sua inflessione dialettale rivela tutte le doti di imitatore-intrattenitore. Potrebbe anche leggerci l’elenco del telefono con quella verve ammiccante empatica che si salda con la viva simpatia dello spettatore in una pomeridiana di estimatori ma con pochissimi giovani (segno dei tempi?). E quando termina lo spettacolo vorresti chiedere il bis tanto la valigia dell’attore di Micheli s’immagina piena di ulteriori doni da porgere all’utente di teatro. L’interprete è unico e solo in scena ma la sua capacità evocativa crea, con il contributo di regia, altri personaggi imaginari che fanno parte di un vissuto a cui guardiamo con simpatia e con le capacità di una memoria che sembra non appartenere più al Paese e alla sua tradizione. Chi conosce realmente il proprio destino in una sala di Equitalia, un incubo per tanti italiani, ora burocraticamente dismessa ma non per questo dimenticata e rimossa?

data di pubblicazione:12/11/2018


Il nostro voto:

L’UOMO CHE TREMA di Andrea Pomella – Einaudi editore, 2018

L’UOMO CHE TREMA di Andrea Pomella – Einaudi editore, 2018

Per leggere un manuale sulla depressione ricorreremo a Borgna e a Recalcati. Per constatare la sua traduzione in letteratura, nella vita di tutti i giorni, possiamo avvalerci dell’eclettico Andrea Pomella che, oltre a combattere il male, riesce frequentemente a cambiare lavoro e a prodursi in saggi su Caravaggio, Van Gogh e i Musei Vaticani con la stessa disinvoltura con cui rientra nei panni del malato cronico. L’arte regala seducenti connessioni con la psico-somatica. Il trauma dell’autore è in distacco interiorizzato con il padre. Ma la tara viene saldata a fine libro perché dopo quaranta anni il personaggio rimosso torna a essere genitore, nonno, parente integrato nella famiglia di Pomella. Trattasi di un ritorno alle origini che non cancella la sofferenza precedenza ma la resetta. L’autore vive una depressione creativa in cui sfrutta l’eccesso di sensibilità per leggere un mondo diverso, filtrato dai medicinali specifici e dalle alterne fortune degli incontri con la psicoterapia (personaggi distratti, a volte sinceramente appassionati). Il merito del libro è di restituirci un universo fatto di normalità e di crisi. Un mondo molto capitolino, fatto di vive, di quartieri, di passeggiate riconoscibili. Ci troviamo a partecipare, sia pure dall’altra parte della barricata, come soggetti apparentemente sani e sull’altra, seconda barricata: quella di una lettura attenta e partecipe. Pomella si mette a nudo e infittisce la sua trama narrativa di cittadini puntualmente restituire in bibliografia finale. Appare chiaro che il rimando illuminante, l’accensione è Il male oscuro di Giuseppe Berto, romanzo che nel ’68 venne ridimensionato per la sua evidente estrazione borghese, finendo col venire ampiamente rivalutato in seguito. Pomella alimenta un rapporto quasi fisico con quella trama attraverso la casa di Berto e il suo ricordo. Quel romanzo è un memoir, un percorso da seguire quasi obbligato per uscire dalle spire della depressione e combattere un male che a volte è un nemico esplicito e non più tanto oscuro. La voce dell’uomo che trema è uno scritto importante, a tratti profondo. Che stimola più che far discutere.

data di pubblicazione:12/11/2018

 

IL GATTO di Georges Simenon, regia di Roberto Valerio

IL GATTO di Georges Simenon, regia di Roberto Valerio

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 25 ottobre/11 novembre 2018)

Letteratura a teatro. Più nera che gialla. Piccoli crimini coniugali all’interno di una famiglia squassata. Muoiono un gatto e un pappagallo. Troppo facile rinvenire l’assassino.

 

Due attori esperti per tradurre un romanzo breve (o un racconto lungo) in palcoscenico in una scena simbolicamente semplice. Un tavolo, due poltrone dedicate, una scala che porta a un’immaginaria camera da letto. Questa la minuta logistica dove si traduce il massacro quotidiano della vita domestica di due over che, per solitudine e per mancanza di alternative, non hanno trovato niente di meglio che mettersi insieme, sposarsi e continuare a coltivare la propria insopportabilità del vivere. Lei odia il gatto, lui ricambia con un profondo disamore per il pappagallo. Nell’instancabile gara alla consumazione delle energie psichiche e nervose dei protagonisti sono i due animali domestici a farne le spese. Ma la sorpresa è dietro l’angolo. Perché anche quell’odio è insostituibile e non può essere surrogato da crudeltà accessorie. Simenon quando vuole sa essere spietato. La sua pagina è evocata, distante come una didascalia ma letterariamente icastica e di grande efficacia. Il piccolo mondo degli orrori quotidiani è quello che lui stesso ha sperimentato tradendo innumerevoli volte la consorte con una vita replicante alternativa. Elia Schilton e Alvia Reale con grande esperienza fanno rivivere il dramma domestico dissimulando ironia (i due si parlano alla fine solo con dei bigliettini insultanti). Descritto un orrore realistico e claustrofobico che allude a una banlieu parigina spoglia e disadorna. Era lo spettacolo d’apertura di stagione. L’amore è lontano e in questo secondo matrimonio dei due è impossibile ritrovarne le perdute tracce. Dunque disprezzo, rabbia, desiderio di libertà e frustrazione nella piccola e meschina vita di tutti i giorni. Lei cuce, lui legge il giornale, scorre il silenzio della loro divisione, specchio di incomunicabilità. La produzione è della compagnia di Umberto Orsini che ha creduto in questo piccolo ma significativo teatro drammatico da camera.

data di pubblicazione:29/10/2018


Il nostro voto:

BOXE CAPITALE di Roberto Palma, 2018

BOXE CAPITALE di Roberto Palma, 2018

Fotografia su uno sport ridotto alla pura sopravvivenza per cattiva gestione di sistema. Vitale ancora a Roma, nicchia di un folclore che non si cancella ma semmai si trasforma.

Un film documentario che è quasi un lasciato testamentario su quello che è rimasto del pugilato a Roma, lontano dai fasti mediatici e televisivi di un tempo. Piazza di Siena ospitò nel 1933 un campionato mondiale vincente di Primo Carnera con decine di migliaia di persone assiepate nei luoghi dell’attuale Concorso Ippico. Oggi Davide Buccioni, l’unico organizzatore pugilistico della capitale, promuove nei luoghi più impensati, quando non addirittura all’aperto, quello che rimane dello sport di un tempo. Le interviste illuminanti ai maestri e ai campioni di una volta aprono uno spaccato nostalgico sulla boxe che fu. Quella che ti faceva assaporare il profumo del sudore. Un ambiente borderline, naif e insieme ruspante. Sottoproletariato di periferia spesso appannaggio di una violenza che usciva dalle sedici corde. E questo spiega anche il successo delle grandi famiglie zingare che rimbalzano dallo sport alla cronaca giudiziaria: i Casamonica, gli Spada, i Di Silvio. Alberi genealogici ricchi di campioni italiani e di partecipanti alle Olimpiadi. Mario Romersi, ex campione italiano dei medi, racconta delle epiche scazzottate con Monzon, prima che questi cancellasse Nino Benvenuti dal trono dei medi. 71’ filanti e coinvolgenti, e insieme distaccati per valutare a distanza un passato irripetibile. Il pugilato è decaduto per un’infinità di motivi ma la decadenza è ancora più viva a Roma che era una fucina di pugili e di luoghi attrezzati per questo sport in via di estinzione. Nonostante la presenza in poche sale specializzate la pellicola sta diventando oggetto di culto per chi ama una disciplina che ha regalato pagine drammatiche di letteratura, una filmografia intensa proprio in ragione della sfida cruenta uomo contro uomo. Uno sport in crisi ma che sta riscoprendo una passione tutta femminile che, in fin dei conti, potrebbe servire a rianimarlo.

data di pubblicazione:15/10/2018