TROPPI SELFIE RENDONO CIECHI 2.0, di e con Stefano Vigilante e Paolo Pesce Nanna

TROPPI SELFIE RENDONO CIECHI 2.0, di e con Stefano Vigilante e Paolo Pesce Nanna

(Teatro Tor Bella Monaca – Roma,4/5 agosto 2018)

Un ensemble di sketches assolutamente funzionali al disegno strutturale della società contemporanea, meglio se vista da un angolo visuale molto romano, molto Centocelle, Tor Bella Monaca, Prenestino. Prova d’attore comico per due: riuscita. All’insegna di una sinergia dei tempi e delle situazioni rodata da una decina di anni di collaborazione.

 

In estate la comicità dilaga all’aperto ma funziona anche al chiuso, con l’aria condizionata. Non ci era mai capitato di affacciarci in un teatro a inizio agosto. Sarà stata la stagione 2018 o la stagione 2019? Abbiamo scavallato il problema per gustarci “the very best” di due collaudati partner che, uscendo dal ghetto della satira da bar, rodati dall’esperienze nei centri sociali, dove vantano centinaia di estimatori, si sono affacciati in un teatro ufficiale (debitamente pieno). E se i selfie, nella loro visione, rischiano di far diventare ciechi, la loro comicità ci vede benissimo, è magnificamente indirizzata verso le storture del vivere quotidiano. Avete mai provato l’emozione di perdere le chiavi del vostro stabile e di non riuscire a farvi aprire perché non conoscete più un solo inquilino dello stabile? Vi siete mai giocati un posto di lavoro al contrario dove pagate per prestare opera? Avete mai pensato che l’operatore telefonico che vi propone accattivanti offerte potrebbe essere una persona che vi conosce molto bene, così da guidare la vostra vita da un call center?

Un inseguirsi di episodi di vita quotidiana che si rifanno alla commedia dell’arte italiana e a quella degli equivoci. Se Pablo e Pedro, ben più moti, non vi hanno mai fatto ridere, sicuramente Paolo e Stefano fanno per voi! I due sono talmente fusi che è difficile riconoscere chi faccia da spalla. Quello che sicuramente è un punto di forza sono le voci fuori campo di Stefano Vigilante, imitando un negoziante cinese come una donna infoiata E il pezzo sulle complicazioni della raccolta differenziata è da hit parade in un catalogo ideale della burocrazia italiana.

data di pubblicazione:08/07/2018


Il nostro voto:

CAMMINARE di Erling Kagge – Edizioni Einaudi – Collezione Stile Libero, 2018

CAMMINARE di Erling Kagge – Edizioni Einaudi – Collezione Stile Libero, 2018

L’arte del camminare ha una lunga tradizione nella letteratura di viaggio e no. Ed Erling Kagge nel raccontarci l’epifania dei piedi e delle meraviglie che possono sviluppare, anche a livello di endorfine, più che attingere a una bibliografia internazionale preferisce rifarsi a esperienze personali. Ecco perché più che Handke e Walser, grandi camminatori ed elogiatori della pratica, troviamo comuni mortali, uomini della strada, rappresentanti di una categoria forse in via di estinzione perché sopraffatta da mezzi più veloci nell’era del consumo spiccio e della superficialità. Kagge ha camminato al Polo Nord come al Polo sud, ha percorso i bassifondi di New York, ha vissuto esperienze pratiche ma nell’agile volumetto Memoir a cavallo tra saggistica e letteratura, preferisce rifarsi alla vita di tutti i giorni. Era un cattivo studente, maldestro in ginnastica ma ha rivalutato il gesto pratico del camminare conferendogli un carattere sovversivo nel mondo del troppo buono e del troppo facile. Erano grandi camminatori anche i filosofi. Come non ricordare la scuola peripatetica ateniese, come non citare Kierkegaard che iniziò a spegnersi, in conseguenza della delusione amorosa provocatagli dal diniego di Regina Olsen, proprio quando smise di camminare. Tutto ciò può apparire vintage nell’epoca dei suv e dei jet supersonici ma il buon norvegese che scrive è un estimatore della natura e si rende che quanto più cammina lentamente tanto più gusta il paesaggio circostante. E il viaggio è più importante della meta finale perché ogni passaggio arricchisce e favorisce pensieri e accumuli. “Camminare ci ha reso possibile diventare quello che siamo e, se smetteremo di farlo, smetteremo anche di essere noi stessi. Allora, forse, saremo diventati qualcos’altro”. Camminando il cervello si libera di freni censori. Come nel sogno permette un’accurata ricognizione di sè stessi. Forse i più saggi nel mondo dello sport sono i marciatori. Oltre a bruciare grassi e a percorrere il giro del mondo (vedi Pamich) sono i più navigati “turisti della strada”.

data di pubblicazione:01/08/2018

LA STRADA E’ UN LIBRO APERTO di Andrea D’Urso – Vydia editore, II edizione 2018

LA STRADA E’ UN LIBRO APERTO di Andrea D’Urso – Vydia editore, II edizione 2018

Un libro funerario? Tutt’altro. Un libro di sana e goliardica allegria anche se la sinossi può ingannare. Apparentemente è un tema caro a Foscolo e alla letteratura nederlandese l’archeologia delle tombe, il viaggio filosofico-esistenziale verso i sepolcri dei personaggi importanti della formazione intellettuale. Ma per D’Urso, poeta tellurico, è solo il pretesto per parlare della vita di tutti i giorni, spiccatamente anche di sé o, meglio, di un quarantenne apparentemente senza arte né parte che però ha bisogno di punti di riferimenti letterari. Non necessariamente scrittori famosi ma gli autori che hanno contribuito alla sua formazione. Si direbbe un bildungsroman on the road. Così l’aspetto funebre viene riscattato da un “palazzeschiano” divertimento nel girare l’Italia, l’Europa e il mondo alla ricerca di cippi funebri, di consistenti libri e intellettualità in valutazione ma anche di amici d’occasione che possano ospitarlo. Letteratura, saggistica? Un libro che sfugge a ogni tentativo di catalogazione anche autobiografica. Fuori dagli schemi, simpaticamente e stagionalmente. Perché adatto all’estate. Non è vero che forse prima o poi tutti noi dobbiamo confrontarci con la morte? E se volete sapere chi sono i punti di riferimento di questo percorso possiamo citare scrittori fuori moda come Guido Morselli, Dolores Prato, Cristina Campo. Ma anche Premi Nobel come Wislawa Szymborska. Scelte personali dell’autore: motivate! Spesso biografie deraciné, vite che si sono concluse con un suicidio ma non per questo letterariamente meno ammirevoli. Se ci lasciamo prendere per mano da D’Urso ci accorgeremo che il percorso del viaggio – le sue modalità – risulta, risultano più interessanti del punto d’arrivo. L’uomo, l’autore è anche quello che sceglie, sbaglia, seleziona, contraddice. Nela letteratura così come nella vita. E se vi convince il D’Urso narratore potete anche scoprire il poeta ironico e disilluso.

data di pubblicazione:11/07/2018

SONNY LISTON, IL CAMPIONE CHE DOVEVA PERDERE CONTRO ALI’ di Maurizio Ruggeri –Minerva editore, 2018

SONNY LISTON, IL CAMPIONE CHE DOVEVA PERDERE CONTRO ALI’ di Maurizio Ruggeri –Minerva editore, 2018

Dimenticato dalla storia come un Carneade che sia sacrificato per un compito più grande: fare spazio al mito di Cassius Clay poi Muhammad Alì. Ma Sonny Liston, perito per droga nel 1970 all’età ipotetica di 38 anni, è il protagonista di incontri dubbi e discussi con il campionissimo. Match probabilmente indirizzati a suo sfavore dalla mafia di Frankie Carbo, anche considerando che i bookmakers quotavano 7 1 l’incontro. Da campione in carica sfida il giovane fenomeno che danza sul ring ma mette a segno pochi colpi. Si tratta un match equilibrato ma, a sorpresa, Liston abbandona all’inizio della settimana ripresa per un dolore alla spalla. Non c’è frattura, non è un grave infortunio ma tanto basta per decretare l’ammain’arm di uno dei più spaventosi picchiatori del ring. Né più brillante è la rivincita dove Liston pur essendo favorito crolla inebetito al tappeto con una pessima simulazione già dalla prima ripresa per un colpo che viene subito definito fantasma. Il libro è affascinante perché da quel rematch fa partire le due diverse storie. L’epopea di Alì, affiliato ai Musulmani neri, impossibilitato a combattere per quattro anni mentre Liston scivola progressivamente nell’anonimato. Per rifarsi una verginità va a combattere il Svezia dove il suo pugno continua a far male. Inseguendo invano una possibile rinascita. Dubbi i suoi incontri e dubbia pure la sua morte perché sembra che abbia iniziato a fare fastidio la sua pretesa contrattuale di ricevere, come pattuito il 10% dei proventi degli incassi dei successivi match del campione in carica. Dunque la morte per overdose sarebbe una montatura inscenata ad arte per depistare le indagini. Di questo campione sfortunato, pluri-detenuto, odiato dai bianchi, rimane un record di tutto rispetto: 54 incontri con 50 vittorie e 39 successi per ko. Ruggeri ama i dubbi e i perdenti e sollecita persino incertezze sulla reale data di nascita di Liston che potrebbe essere stata contraffatta addirittura di quattro anni.

data di pubblicazione:01/07/2018

LUNGO LA VIA LATTEA di Emir Kusturica – Feltrinelli, 2016

LUNGO LA VIA LATTEA di Emir Kusturica – Feltrinelli, 2016

L’epica zingaresca, tout court ex jugoslava, di Emir Kusturica, si riverbera in sei racconti lunari. Conscio di non avere il respiro lungo per il romanzo il popolare regista bosniaco dimostra doti non comuni anche da scrittore con le curiose epifanie dei suoi personaggi picareschi. Non necessariamente confinati dentro le mura di Sarajevo.

L’eco della guerra e della profonda divisione tra i popoli sembra non aver scalfito la sua hibris, il suo sentirsi profondamente jugoslavo e neanche ex. L’orgoglio della nazione che fu trapela con moti d’orgoglio, rispettosa da una parte delle svolte storiche maturate ma dall’altro con una sintonia di fondo, il piccolo miracolo, artefice anche Tito, di aver riunito popoli di etnie e religioni diverse in un’Europa che allora predicava l’unità e oggi tante divise frammentazioni.

Sei racconti per restituire il fascino di un popolo fieramente sopra le righe, descritto come barbaro ma probabilmente imbarbarito dalla storia delle sopraffazioni subìte. Nel resto si respira l’atmosfera delle prime prove cinematografiche quando l’ispirazione pulsava di autobiografismo. L’immaginazione è sostenuta dai ricordi del bambino Emir. Qui c’è tutto di reale e tutto di fantastico in un melting pot in cui non è necessario distinguere i due “forni” narrativi. La Via Lattea forse era il lungo incedere verso il mare – sponda croata di Dubrovnik- o la nostalgia delle montagne olimpiche di Sarajevo per l’organizzazione di un’Olimpiade che oggi appare come un miracolo di buona volontà considerando poi la violenza degli anni a venire. Dunque dalle stelle all’acqua con un completamento che sembra la metafora del puzzle jugoslavo, di un indomabile spirito di fondo non fiaccato dalle guerre e dagli odi intestini.

Ci si tuffa in un mondo affascinante che è lontano dalla narrativa italiana almeno quanto quella sudamericana. E non ci annoia mai. Il profumo d’infanzia si scontra con il mondo già crudele degli adulti e ci fa capire come ad est si maturi prima per le prove che la vita ti porta presto ad affrontare.

data di pubblicazione: 11/6/2018