da Daniele Poto | Dic 20, 2019
Le scapigliate avventure in barca di uno dei più prolifici autori del mondo, banalmente definito di genere. Simenon è come un calciatore esperto che sa giocare sulla fascia, al centro e persino in difesa. Come in questa operina minore (in letteratura non si butta niente) rieditata da un editore importante e prestigioso e dunque abilitata a una sicura e importante vendita. Qui lo scrittore di gialli vira nel giornalista corrispondente che si aggira nel Mare Nostrum Mediterraneo, tra Europa e Africa, cavando succhi basilari dalla vita di mare e da alcune esperienze molto ruspanti. Il deterrente sessuale è sempre molto vivo nelle sue fantasie senza particolari connotazioni di genere. Si carpiscono molte informazioni sul suo carattere e sulle sue abitudini, sulla sua passione per il mare e per le sue idiosincrasie. Giornalista parziale e dunque non fedelissimo della realtà, restituita attraverso gli occhi sensibili dello scrittore e quindi con un’accezione particolare. Non altissima letteratura ma fogli di giornale deperibili, peregrinazioni che possano apparire senza capo ne coda. Più che notizie giornalistiche, divagazioni, piccole fughe narrative con altrettanti microscopici episodi descritti con avidità di particolari. Il libro si arricchisce delle foto, un accostamento e in fondo una passione coltivata dallo scrittore francese per diversi decenni. C’è amore e odio per il Mediterraneo descritto come una serie ininterrotta di golfi. Un mare oggi improvvisamente poco pescoso e che costringe i pescatori nostrani a pericolosi sconfinamenti. Trapela un’ironia distante, un po’ radical chic. L’aristocratico mantiene sempre le distanze dal volgo. Gli scritti sulla goletta rivelano curiosità e stupore nei vari passaggi dalla Tunisia all’Italia e a Malta, sempre con l’occhio attento alle onde ma anche ai personaggi che popolano quel mare e che gli conferiscono un’identità precisa. Pezzi di apprendistato rivalutati dopo che la scoperta e la fama di Maigret hanno compiuto un’importante traversata nella letteratura mondiale.
data di pubblicazione:20/12/2019
da Daniele Poto | Dic 18, 2019
(Teatro Eliseo – Roma, 3/15 dicembre 2019)
Letteratura al cinema con qualche problema di mimesi e di rappresentazione. Duetto di attori per un’innocenza che viene contaminata dal sospetto di una insinuante cultura giornalistica del fango. Attualissimo richiamo ai nostri tempi.
Impresa ardua quella di trapiantare un classico del premiato autore tedesco a teatro nei limiti delle pareti esistenti e di una storia letterariamente assai dilatata. Lo scrittore aveva puntato sul dissidio tra la donna protagonista e il giornalista mentre la versione teatrale si apre a ventaglio ad altri scenari, in particolare al rapporto malcelato di affetto tra il datore di lavoro e la governante, progressivamente trascinata in uno scandalo dal quale non sembra poter uscire. C’è il poliziotto cattivo e quello buono. C’è la madre, c’è l’amica, c’è la moglie dei benestante. Il fascino di Katharina viene fuori progressivamente disvelato dal folle e irrazionale sentimento verso un presunto terrorista che alla fine si rivelerà un criminale abbastanza innocuo. Tanto rumore per nulla? No, perché ci scappa il morto. Il giornalista che deforma persino le interviste incurante di ogni possibile deontologia professionale. C’è catarsi e climax in questa esecuzione, legittima difesa dopo un tentativo di approccio sessuale. Risulta leggermente ostica la narrazione in terza persona di Katharina che serve a raccordare le storie e ad accorciare lo sviluppo della vicenda, espediente forse inevitabile. Mazzotta continua a rivelarsi ben più dotato dello stereotipo di Fazio, spalla di Zingaretti in Montalbano. Del resto aveva già rivelato il proprio talento in Anime Nere, il più fedele film sulla ‘ndrangheta della cinematografia italiana minuti. Non è uno spettacolo facile con qualche caduta di ritmo, frutto del voler dire tanto e dello sforzo immane di condensazione di un’opera letteraria che gode di un ritmo cadenzato.
data di pubblicazione:18/12/2019
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Dic 18, 2019
(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 12/22 dicembre 2019)
Teatro nel teatro, efficacemente. Dalle Brigate Rosse ai piccoli dissidi interni di una compagnia che punta al successo attraverso il sequestro del Grande Critico. Inutilmente..
Piccolo spettacolo di charme senza gli effetti speciali e la mondanità del Grande Eliseo. Con un pubblico di nicchia che scoppia a ridere nelle svolte micidiali della comicità a portata di mano. Quattro attori che diventano solisti nei momenti di maggiore climax. Sfigati? Irrealizzati più che altro, in cerca di successo. Soprattutto quello che potrebbe venire dalla visione dalla recensione di un critico radical chic che riflette tutti i peggiori difetti della categoria giornalistica. Vanesio, superficiale, bugiardo e super-impegnato. Così dopo che la piccola compagnia riesce a ritrovare un filo logico di programmazione dopo liti e chiarimenti faticosi il grande giorno sembra arrivato. Ma la delusione sarà cocente perché l’illustre ospite non arriverà. Ed allora il testo entra nel testo. Il flash back sulle Brigate Rosse diventa il sequestro del critico che legato e imbavagliato viene obbligatoriamente e coattivamente costretto ad assistere allo spettacolo. Ma si addormenterà e dunque svanirà consenso e recensione. Mesta uscita di scena e finale gramo, sconsolato che riflette un po’ metaforicamente lo stato di una categoria inappagata che fa fatica a sbarcare il lunario. Dunque la prova in cento minuti del quartetto di Lisma diventa anche una fotografia sullo stato difficile dell’arte teatrale. Delle difficile combinazione tra artigianato e sopravvivenza. Contenuta anche la caricata di un superatissimo teatro sperimentale dove primeggiava il corpo, l’occhiuto e strumentale richiamo a Pasolini. Vincerà la tesi del regista. Vincerà il naturalismo che è incontro di uomini, di storie e di contraddizioni. Dunque un sottotesto che si legge in maniera defilata rispetto ai fuochi artificiali di notevoli esplosioni di comicità.
data di pubblicazione:18/12/2019
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Dic 8, 2019
(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 28 novembre/8 dicembre 2019)
Una donna malata invecchiata precocemente si spegne nell’arco dei 70’ di spettacolo. Ma la sua vera malattia forse è la solitudine. Monologo arricchito condito con la grande empatia di Lunetta Savino.
C’è un solo personaggio che si relazione (fintamente) con tanti interlocutori immaginati, disegnati scenicamente con grande maestria dall’interprete. C’è la colf, l’amica fidata, il giovane che gioca sul pianerottolo, la nipote interessato, il fidanzato fittizio. La protagonista ha 27 anni ma ne dimostra 60 per gli esiti di una rara malattia che determina il suo invecchiamento precoce. Ma non si rassegna. Lotta e vive insieme con il pubblico, consolandosi con il canto, pubblico anche, in un bar e con l’aspirazione al primo rapporto carnale con un teorico fidanzato a cui manda innumerevoli regali ma che (guarda un po’!) non risponde mai ai suoi inviti. Esibizione di pregio di un’attrice che ha fatto passi da gigante nel curriculum e si dimostra pienamente all’altezza per una prova di rara difficoltà. Teatro pieno e applausi scroscianti. E forse fa parte dell’esibizione anche la rutilante uscita di scena del novello Scaramacai tornato essere umano e non personaggio quando si libera di una parrucca attrezzo di scena. Per una volta la scena non è nuda come spesso avviene quando l’attore monologa. La porta è il deterrente delle uscite in cerca di normalità della donna sfiorita innaturalmente presto. Esibizione piena di gesti comuni e di vita quotidiana, con ripetizioni che sfiorano il sublime nella normalità/anormale di un’esistenza presto destinata a spegnersi di fronte ai crudeli ed enigmatici annunci del medico e alla prospettiva della chemioterapia. La fine è nota e non se ne uscirà senza dolore. Tina fa i conti con un destino che le presenta il conto e contro cui non si ribella più.
data di pubblicazione:08/12/2019
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Dic 6, 2019
(Teatro SanGenesio – Roma, 27 novembre/8 dicembre 2019)
Uno scoppiettante classico evergreen regala lampi di comicità, a tratti demenziale. Il pastiche funziona anche grazie all’ottima sinergia interpretativa degli attori, la Compagnia Teatrale Sogni di Scena.
Non una scelta facile quella della family comedy. Sui generis una famiglia molto allargata. Ospiti indesiderati di una festa che si apre con un misterioso tentativo di suicidio. La comicità sta anche nell’attendere invano la comparizione dell’autore dell’insano atto. Tutti si affastellano attorno a lui, apparentemente per cercare di coprirlo ma, massimamente, per difendere la propria reputazione. Così tra la ruspante oca, la cuoca esagerata, si delineano manie e tic dei protagonisti che in una serata senza servitù devono cavarsela da soli fino alla fine dell’epilogo quando compare la polizia. E la versione di quello scelto per depistare più che convincente è ammaliante e scioglie anche la tensione di un investigatore mostrato come integerrimo. Si ride e si sorride in campo a due ore e due tempi di farsa disimpegnata che ha come primo obiettivo un’esplosione di comicità. Sono battute che arrivano presto alla pancia, qualcuna richiede una riflessione più attenta, certo non rivolta a quegli spettatori che nelle prime file confermano la propria dipendenza da uno smartphone acceso, nell’imperturbabilità sorridente del cast. Il testo di Simon invecchia lentamente ed è apprezzabile il tentativo di ribadirne l’originalità senza sconfinamenti forzosi nell’attualità da parte della regista. Lo spazio scenico viene sfruttato fino in fondo e l’elemento delle scale è la pietra d’inciampo di parte della comicità Non si bada a spese anche per i costumi di scena Trattasi di una serata di galla e le mise notturne delle attrici ribadiscono un’atmosfera, ben in coerenza con il plot farsesco. L’ennesima bella prova di un affiatato consesso di attori.
data di pubblicazione:06/12/2019
[sc.voto3t]
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