STREMATE, ULTIMO ATTO di Giulia Ricciardi, con Federica Cifola, Beatrice Fazi e Ludovica Di Donato

STREMATE, ULTIMO ATTO di Giulia Ricciardi, con Federica Cifola, Beatrice Fazi e Ludovica Di Donato

(Teatro di Carbognano, 13 gennaio 2019; Teatro Sette – Roma, 15 gennaio/10 febbraio 2019)

La saga della Stremate colpisce ancora. Una nemesi che si ripercuote sui loro destini trent’anni dopo. Un piccolo giallo di famiglia.

 

Prima nazionale in Tuscia, verso dell’approdo nel piccolo feudo teatrale capitolino di Michele La Ginestra nell’occasione co-regista dell’operazione. Questa volta la saga delle Stremate arriva alla tapa conclusiva. Perché il trio è confinato in una casa di riposo da cui sembra destinato a non uscirne più. I nodi delle puntate precedenti si sciolgono in un giallo di famiglia forse un po’ macchinoso per chi non è al corrente degli sviluppi delle precedenti puntate. Ma più del risultato finale contano le tappe intermedie di una scoppiettante machina di comicità. Un teatro leggero che assolve però piacevolmente e senza volgarità il proprio compito: l’intrattenimento. La maggiore età porta a vuoti di memoria, a fenomeni di sordità. I difetti abbondano nelle simpatiche vecchiette con ampie storie alle spalle. Pastiche per sole donne che godono di una formidabile sinergia interpretativa in una macchina oleata a dovere. L’interazione dei dialoghi è praticamente perfetta e qualche movimento di scena, relativa alla scarsa mobilità del trio anziano, vivacizza l’andamento.  In provincia lo spettacolo funziona a dovere con la collaborazione di un pubblico che quasi anticipa le battute e i tic delle invecchiate ragazze in scena. Il dispiacere è per il capolinea della vicenda ma non si può escludere un ultimo guizzo di classe considerando le capacità di recupero affabulativo del collettivo muliebre. Sinceri applausi a scena aperta con Federica Cifola che piazza le battute più mordaci. Come anticipato meno ci interessa lo scioglimento che appare piano e un po’ frettoloso in capo a ottanta minuti di felice esibizione. Non era sicuramente il giallo e la ricerca del colpevole il focus dell’operazione teatrale.

data di pubblicazione:14/01/2019


Il nostro voto:

ER NASO DE GOGOLLE testo e regia di Pierpaolo Palladino, con Francesco Acquaroli

ER NASO DE GOGOLLE testo e regia di Pierpaolo Palladino, con Francesco Acquaroli

(Teatro della Cometa – Roma, 8/20 gennaio 2019)

Una rivisitazione gogoliana in salsa romanesca. Un monologo multi voci che sarebbe piaciuto a Luigi Magni, omogeneo all’atmosfera dei Papa.

 

Ci stupisce Francesco Acquaroli che il grande pubblico ha conosciuto per le grandi caratterizzate parti di cattivo in Suburra e in Rocco Schiavone. Non è Samurai e non è Samuele a teatro dove riacquista i panni del protagonista assoluto in una prova d’attore lunga sessanta minuti, con ampio uso del romanesco ottocentesco. Mutuando Gogol e la perdita di un naso che sembra equivalere a una penosa perdita dell’identità per il protagonista che una mattina si risveglia senza naso e vaga per la città alla ricerca di questo fondamentale sporgente attributo che è anche un modo per farsi riconoscere ed accettare in società. E’ un innesco kafkiano che permette all’attore di mutuare tante voci, persino quelle femminili, Il tema affronta il pregiudizio sociale sulla presunta anormalità. L’uomo senza naso si dibatte in una Roma popolaresca, dominata dalla curia e dalla voglia di sopravvivenza, una jungla dove la sua ricerca si fa quasi disperata. Perché il naso trovato inizialmente non calza e dunque il volto non è più quello di prima. E un uomo senza naso che uomo è? Grande è il suo sollievo quando dopo la discesa agli inferi riacquista questo pezzo fondamentale che è vita, olfatto, riconoscimento sociale. L’alter ego del Kovalev gogoliano ci fa scoprire la Roma sparita, il porto di Ripetta, Trastevere d’antan e si avvale del prezioso sottofondo sonoro e creativo delle musiche originali di Pino Cangialosi, suonate dagli altri componenti della famiglia, cioè Flavio Cangialosi e Livia Cangialosi mentre Alessia Sambrini ha molte parti in commedia occupandosi di scene, costumi, disegno, luci e aiuto regia. Uno spettacolo gradevole nei limiti spettacolari del piano A di partenza. Un monologo dai colori cangianti in cui Acquaroli non straripa ma spazia su vari registri tutti molto coerenti e omogenei.

data di pubblicazione:12/01/2019


Il nostro voto:

L’ANIMALE CHE MI PORTO DENTRO di Francesco Piccolo – Einaudi editore, 2018

L’ANIMALE CHE MI PORTO DENTRO di Francesco Piccolo – Einaudi editore, 2018

Uno degli scrittori più letti, reclamizzati e (forse) sopravvalutati del mainstream ha voluto offrirci un nuovo manifesto del maschilismo. Più probabilmente il successo dei precedenti testi ha indotto l’editore a invitare Piccolo a raschiare il pozzo dei ricordi autobiografici regalandoci questa summa di avventure sessuali, pensieri maliziosi, tradimenti che fa fatica a convivere con il quadretto pacifico della vita nella famiglia Piccolo.

Lo scrittore avrà voluto miscelare gli accadimenti e raccontare alla moglie che gran parte della narrazione è pura fiction? Se così cadrebbe rovinosamente il presupposto biografico, il tema della verità del rivelarsi agli altri che è una sorta ermeneutica del libro. In ogni caso dunque incappiamo in una contraddizione. Piccolo non emana simpatia e dall’infanzia alla maturità un po’ decadente dei suoi 54 anni (non portati benissimo diremo) ci dispensa un repertorio di erezioni, masturbazioni, atti sessuali di impotenza, non risparmiandoci particolari neanche sulla fimosi (circoncisione) e sulle proprie emorroidi. Una caduta agli inferi greve e spesso immotivata che non giova alla compostezza del racconto. Che non è più letteratura ma saggistica con frequenti citazioni letterari su influenze che sembrano atte ad allungare il brodo. Così il volume appare un po’ lo specchio di tante infelice e poco ispirata letteratura italiana contemporanea, la rivelazione di scrittori che scrutano il proprio ombelico e si sentono padroni dell’universo. In fondo è una valutazione che fa bene alla letteratura perché indirettamente ci spinge a rivolgerci alla lettura di Saul Bellow, Bernard Malamud, Philip Roth, a temi più universali e sostenibili.

L’animale che è dentro Piccolo, mai frenato, ci solleva la curiosità di conoscere il prossimo escatologico orizzonte letterario del celebrato scrittore contemporaneo, arricchito dalle sceneggiature ma in fondo assolutamente risolto nel rapporto con sé stesso. Se dobbiamo credere a quanto vuole farci credere in questo libro di amena ma certo non indispensabile lettura. Si arriva fino in fondo con un certo sentore di stupefazione per il vuoto pneumatico del concetto di fondo: l’uomo italiano è incorreggibile.

data di pubblicazione: 27/12/2018

CRONISTORIA DI UN PENSIERO INFAME di Edoardo Albinati- Baldini + Castoldi, 2018

CRONISTORIA DI UN PENSIERO INFAME di Edoardo Albinati- Baldini + Castoldi, 2018

Storia di un retropensiero infame. Un gossip, un pettegolezzo ripreso dai giornali e diventato un caso social di Stato. Uno scrittore importante durante la presentazione di un suo libro meditando sulla sorte riservata alla nave Aquarius si abbandona in pubblico a un commento catastrofico, quasi augurandosi che dalla morte di un bambino il Paese potesse rimeditare il trattamento riservato ai migranti. Trattasi di pensiero politicamente scorretto specie se proveniente dalla sinistra politica. Così il giorno dopo (e i mesi dopo) Albinati deve fare i conti con un conto salato da pagare a un’affermazione che non è ideologica ma appartiene a quelle derive a cui spesso noi ci abbandoniamo. Altro dire è che da questa esile vicenda (così vanno le cose in Italia) un editore gli chieda un seguito. E quindi che da una mezza gaffe, da una parola uscita di senno, nasca un libro che richiederebbe ben altra complessità. Dunque poco più di cento smilze pagine per un piccolo affresco sociologico sul come, sul dove, sul quando della piccola vicenda quasi che Albinati (absit iniuria verbis) volesse sfruttare l’incidente per costruirci su altri incassi editoriali. Indubbiamente l’input è solo lo spunto per una riflessione più generale sulla società dello spettacolo e del pregiudizio, su come i mass media e un finto diritto alla partecipazione permetta a tutti di intervenire su tutto. Che non è democrazia ma tecnicamente chiacchiericcio di fondo, spesso non basato su reali argomentazioni. Così Albinati si abbandona a una lunga auto-difesa e divaga volentieri per dare costrutto a un libro su richiesta, di quelli che si montano su in quattro e quattro otto ma si dimenticano altrettanto velocemente perché basati su deperibili fatti d’attualità. Il problema dell’editoria italiana è che sono questi principalmente i libri che si comprano e si leggono. E bisognerebbe chiedersi il perché se qualcuno fosse interessato a sviscerare i limiti culturali di queste operazioni costruite a tavolino.

AMATI ENIGMI  di Clotilde Marghieri, con Licia Maglietta

AMATI ENIGMI di Clotilde Marghieri, con Licia Maglietta

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 6/30 dicembre 2018)

Un’appassionata ricognizione dentro un’anima ferita. Una prova d’attrice illuminata per un recupero letterario di scarsa utilità e di dubbio appeal.

 

Il teatro se non è utile è didattico. Ma è contraddizione, sviluppo scenico, movimentazione, dialettica dei contrari. Se tutto questo non viene messo in gioco il fondale è fermo e persino un po’ stucchevole. Questo il dubbio mossoci dal recupero di una poco conosciuta scrittrice napoletana (Clotilde Marghieri), espressasi in tarda età, vincitrice con questo testo del Premio Viareggio nell’ormai lontano 1974. Licia Maglietta recupera una base vintage e un linguaggio lirico ma non proprio d’attualità per virarlo su una prova d’attrice assoluta in cui non è minimamente in dubbio la sua abilità e una recitazione volutamente sopra le righe, decisamente di stampo filodrammatico. Eppure è uno degli spettacoli di punta della succursale dell’Eliseo, reggendo praticamente da solo il cartellone di dicembre. Uno spettacolo difficile e breve (sessanta minuti) che si regge sulla tensione, sulla dovuta attenzione dello spettatore. Chi era presenta in sala era venuto per l’attrice e non per la scrittrice. La saldatura tra le due mediazioni è difficile e problematica. Non ci si riesce ad appassionare se nella notte di capodanno la scrittrice si rivolge al suo giovane e seducente interlocutore Jacques (riferimento scespiriano) muovendo enigmi sulla vita, sugli anni trascorsi. C’è sentore di decadenza e di bilanci. Nel ricordo immagini di incontri con artistici e letterati, il profumo del Vesuvio, l’attaccamento alla terra, le delusioni di amicizie non ripagate. La monologante è quasi sempre immobile e recita enfaticamente, sorretta a tratti solo dal suono suadente di un’arpa…

data di pubblicazione:10/12/2018


Il nostro voto: