SE DEVI DIRE UNA BUGIA DILLA GROSSA di Ray Cooney, versione italiana di Iaia Fiastri in ricordo di Pietro Garinei, con Antonio Catania, Gianluca Ramazzotti, Paola Quattrini e Paola Barale e Nini Salerno

SE DEVI DIRE UNA BUGIA DILLA GROSSA di Ray Cooney, versione italiana di Iaia Fiastri in ricordo di Pietro Garinei, con Antonio Catania, Gianluca Ramazzotti, Paola Quattrini e Paola Barale e Nini Salerno

(Teatro Quirino Gassmann – Roma, 16/28 marzo 2022)

Farsa evergreen con efficace adattamento italiano. La Quattrini vicina agli 80 anni è il trait d’union con la gloriosa storia di uno degli spettacoli di punta della Premiata Ditta Garinei & Giovannini.

Immaginate una commedia di Feydeau riattualizzata per un pubblico borghese dei nostri tempi. Munitevi di una bacchetta magica e riesumate la pochade trenta o quaranta anni dopo i fasti della prima al Sistina. Funziona lo stesso e con vivacità scoppiettante. Tra giochi di porte, scambi di coppie, equivoci, l’ammiccamento al politicamente scorretto sui gay. E con palesi luoghi comuni (il politico con aspirazione all’adulterio, la bonona che non si fa troppi scrupoli, la moglie ancora vogliosa, il portaborse a tutto pronto) rivitalizzati dalla verve degli affiatatissimi attori tra cui non sfigura, nonostante chiari limiti, la stessa Barale. Catania si conosce: un gattone pronto a giocare di rimessa. Ramazzotti è un guastatore comico capace anche di notevoli contorsioni fisiche, vera anima dello spettacolo, oltre che abile manipolatore del progetto originale. E la Quattrini con la sua aria disincantata da oca giuliva (ma fino a un certo punto) che mette a segno zampate esulceranti. Così la mayonese non impazzisce ma si posa su un tessuto di spettacolo divertente e arioso con le brave caratterizzazioni di Marco Cavallaro e Alessandro D’Ambrosi. Contribuisce alla riuscita l’indefettibile scenografia. Un parallepipedo girevole che ci porta all’interno dell’intimità delle stanze da letto fino alla reception, nodo di snodo dei complessi intrighi della piece. La saga di questa commedia porta a raffronti generazionali. Il ruolo della Barale è stato sostenuto in passato da Gloria Guida e Anna Falchi e le motivazioni estetiche sono di facile decifrazione. Era dal 2000 che il progetto originario non veniva ripreso e il riprovarci più di venti anni dopo è segno di calcolato coraggio.

data di pubblicazione:20/03/2022


Il nostro voto:

VARIAZIONI ENIGMATICHE di Eric-Emmanuel Schmitt, con Glauco Mauri e Roberto Sturno, regia di Mattaeo Tarasco

VARIAZIONI ENIGMATICHE di Eric-Emmanuel Schmitt, con Glauco Mauri e Roberto Sturno, regia di Mattaeo Tarasco

(Teatro Il Parioli – Roma, 4/13 marzo 2022)

Pièce piena di colpi di scena da non rivelare in un continuo accendersi di spoiler e di rivolgimenti di realtà. Dato che il teatro è anche artificio tutto è concesso all’autore!

 

A 92 anni Glauco Mauri, il più anziano attore italiano sulla scena (ma potrebbe anche essere un record mondiale di longevità attoriale, chi può dirlo?) non ha paura di cimentarsi con la nuova drammaturgia contemporanea, ben in linea con la nuova linea impressa al teatro di Roma Nord da Piero Maccarinelli. Meno De Filippo, meno Pirandello, più spazio all’eterogeneità. Non c’è da tuffarsi sulla trama che è un continuo florilegio di sorprese rispetto alla quieta apparenza del primo tempo. In avvio lo sviluppo sembra lineare. Un cronista non di primo pelo ha avuto l’onore di vedersi concessa un’intervista da un Premio Nobel nell’eremo della propria isola. Conversazione continuamente interrotta tra i dissapori dei due affabulatori. Persino inframmezzata da qualche colpo di pistola. Il dialogo non procede se non tra sussulti, equivoci e incomprensioni. Ma le parole con cui si chiude la prima scansione sono propedeutiche alla forte accensione e ripartenza della seconda. L’affiatato connubio Mauri-Sturno mette in campo tutta la propria sinergia empatico-mimetica e il dramma deflagra. Ci basti dire che sullo sfondo c’è l’ologramma di una donna misteriosa, sospesa tra i due, a vario titolo. Una seducente esplosione di virtualità campeggia accanto al reale e all’esistente vibrante della discussione. Sprazzi di volgarità, di solidarietà, con qualche intemperanza verbale. I due alla fine non saranno mai stati così unito e, contemporaneamente divisi. Chi vedrà lo spettacolo potrà capirci. E il titolo, che corrisponde al plot, è un riff musicale che ogni tanto viene acceso e riprodotto in scena. I giochi a due sono i preferiti di Schmitt anche se questa volta i protagonisti sono uomini e la comparsa sullo sfondo la donna che è il tramite della coppia, peraltro non sospetta di pulsioni omosessuali.

data di pubblicazione:12/03/2022


Il nostro voto:

M, IL FIGLIO DEL SECOLO – uno spettacolo di Massimo Popolizio tratto dal romanzo di Antonio Scurati, collaborazione alla drammaturgia di Lorenzo Pavolini

M, IL FIGLIO DEL SECOLO – uno spettacolo di Massimo Popolizio tratto dal romanzo di Antonio Scurati, collaborazione alla drammaturgia di Lorenzo Pavolini

(Teatro Argentina – Roma, 4 marzo/3 aprile 2022)

Ambiziosissimo tentativo di riassunto di un romanzo fluviale in trenta tableaux d’epoca. Scenografia senza risparmio con generosa prestazione di un irripetibile cast di 18 attori più una ventina di figuranti.

 

Un plauso al coraggio per il tentativo di un’opera difficilmente traducibile. Chi si tuffa nell’impresa va lodato, compresi gli spettatori per tre ore di messinscena con un secondo tempo decisamente più adrenalinico rispetto al primo di sostanziale preparazione. Gavetta, preparazione e presa del potere di Mussolini fino all’altezza del conflittuale assassinio di Matteotti che getta un’ombra pesante sulla sua legittimità. Quadri garbati e significativi di un’epoca con risorse a filmati, immagini, acute caratterizzazioni di D’Annunzio, Sarfatti, Balbo, Bombacci. Spettacolo che non può dire tutto ma fa scelte decise e riassunti con una capacità di captatio visiva notevole. Chiarito il contesto, inevitabile che predominino i sovratoni più che i dialoghi, l’assertività più che la dialettica tra i personaggi anche se il botta e risposta con Nenni è notevole. Però se il teatro è sviluppo di contraddizioni Popolizio non manca il bersaglio. Il suo Mussolini è più invasivo diretto, spietato rispetto alla relativa pacatezza del Duce di Ragno, più riflessivo, introiettato, incline alla malinconia. Popolizio restituisce la durezza e la crudeltà di un regime che, impostosi inizialmente per via elettorale, non tarda a confermarsi con violenze mortali e con scorciatoie umilianti, come l’utilizzo schernente dell’olio di ricino. Fuor di retorica la descrizione di un’Italia che fu, a tratti Italietta ma con un consenso inquietante. Quando c’è l’occasione per disarcionare Mussolini il Parlamento eloquentemente tace spalanco gli argini alle scelte al disastro che seguirà. Con le leggi razziali e l’adesione al diktat invasivo di Hitler.

data di pubblicazione:09/03/2022


Il nostro voto:

LE SEDIE di Eugène Ionesco, traduzione di Gian Renzo Morteo, con Michele Di Mauro, Federica Fracassi, regia di Valerio Binasco

LE SEDIE di Eugène Ionesco, traduzione di Gian Renzo Morteo, con Michele Di Mauro, Federica Fracassi, regia di Valerio Binasco

(Teatro Vascello – Roma, 1/6 marzo 2022)

Uno Ionesco a torto considerato minore, che marca la differenza con Beckett. Assurdo? Fino a un certo punto. Splendida coppia di attori e scenografia agghiacciante e impattante.

Se ci fosse un Oscar per la migliore stagione teatrale nel secondo anno di pandemia avremo pochi dubbi su a chi attribuirlo per densità di spettacoli, qualità e quantità. Non era in partenza seducente la sfida al botteghino nel nome di Ionesco ma è stata una scommessa vinta a giudicare dai minuti di applausi nella rodata replica a cui abbiamo assistito, con la fantastica coppia di interpreti quasi a celiare con il pubblico in nome di un idillio e di un’empatia stabilita fin dalla prime battute. Eppure al primo apparire sembravano due mostri artefatti i coniugi che si presentavano in un orizzonte spettrale con decine di sedie disposte in precario equilibrio. Poi si stabilisce la sintonia con il pubblico e la scena ci arricchisce, grazie alla loro recitazione ma anche grazie all’evocazione di personaggi inesistenti che fanno, se possibile, vivacemente salotto e amplificano la dialettica del duetto. Il salto nel vuoto finale è spettacolare e sancisce la perfetta rispondenza della recitazione con luci e suoni all’interno di uno spettacolo. Crudele meccanismo teatrale rappresentante la solitudine, la minorità sociale anti-convenzionale e, in definitiva, di marchio anti-borghese. Ionesco squassa i luoghi comuni con la forza di un argomentare semplice e pacato. Non è un caso che Federica Fracassi abbia vinto il premio “Le maschere del teatro italiano” per questa interpretazione in combinato disposto per la scenografia con Nicolas Bovery. I protagonisti potrebbero essere nostri anonimi vicina di casa, fuori dalla storia e da ogni possibilità di contare nonostante la costante allusione a un discorso che potrebbe avere la virtù di cambiare il mondo. Metafisica di un grande disperante vuoto da riempire.

data di pubblicazione:05/03/2022


Il nostro voto:

COSE DELL’ALTRO MONDO, tratto da testi di fine ‘800, inizio ’90, con Vittorio Aparo, Mirella Banti, Paolo Bonanni, Luana Cannistraci, Francesca Di Meglio,  Francesco Madonna, Annachiara Mantovani, regia di Sergio Ammirata (anche attore)

COSE DELL’ALTRO MONDO, tratto da testi di fine ‘800, inizio ’90, con Vittorio Aparo, Mirella Banti, Paolo Bonanni, Luana Cannistraci, Francesca Di Meglio, Francesco Madonna, Annachiara Mantovani, regia di Sergio Ammirata (anche attore)

Teatro Anfitrione – Roma, 19 febbraio/13 marzo 2022)

Deliziosa farsa vintage di quella che non si tentano più con tanti attori, tanti costumi con un profumo irresistibile di vaudeville e di passatismo nel teatro giusto per la rappresentazione. E un abbondante pizzico di nostalgia.

Sergio Ammirata a 85 anni non si è stancato di animare la compagnia La Plautina che per quasi un mese intero (fatto più unico che raro) tiene banco nell’abituale parterre casalingo del teatrino di San Saba. Calore e partecipazione meritata per un testo che viene da lontano, addirittura da due secoli fa. E brava la compagnia a approfondire uno spunto da barzelletta per 80 minuti di rappresentazione. La coloritura e gli eccessi sono all’ordine del giorno in questa pochade in cui ovviamente l’ importante è calcare la mano. Si rappresenta una morte scomoda. Tutti i variegati personaggi si sono abituati alla morte dell’amico, ora non più così amico da morto. Così il ritorno in scena è una parentesi scomoda e imbarazzante. Meglio il ritorno a miglior vita, un ritorno al passato che fa comodo a tutti. Ovviamente l’innesco è propedeutico a una riflessione pessimistica sullo stato dei rapporti tra gli esseri umani, improntati a una finta solidarietà che si scioglie per incanto di fronte alla straordinari emergenza. Ammirata non gigioneggia ma trasmette un solido mestiere alla compagnia in cui, incredibile dictu, ricompare Mirella Banti, apprezzata attrice di cinema alla prese con un’inaspettata riconversione. E poi ad animare la serata la coda di canzoni napoletane chiamando sul palcoscenico a viva forza anche spettatori più o meno intonati per una proposta decisione riuscita. La dedica di fine recita è ovviamente nel segno di Patrizia Parisi, animatrice in loco di tanti spettacoli oltre che fedele partner di Ammirata.

data di pubblicazione:04/02/2022


Il nostro voto: