ASCOLTA NEL VENTO THE ROKES di Luciano Ceri – Iacobelli editore, 2020

ASCOLTA NEL VENTO THE ROKES di Luciano Ceri – Iacobelli editore, 2020

Inevitabilmente profumo di anni ’60 con il libro omaggio alla band che, venendo dall’Inghilterra, spopolò in Italia, debuttò al Piper e, tra Cantagiro e grandi manifestazioni nazional-popolari fece concorrenza all’autoctona Equipe ’84 per la supremazia nel beat nostrano. Shel Shapiro e i suoi, inventori della chitarra a freccia, partecipanti a tre festival di Sanremo, sarebbero arrivati presto al successo ma non sarebbero andati lontano perché l’arco temporale della loro fama è tutta racchiusa nel quadriennio 19666-1970. Il precoce scioglimento del gruppo celebra in questo infausto 2020 il cinquantennio e il libro dell’esperto collaudato, preparatissimo Luciano Ceri, già cantautore oggi musicologo, ci racconta ogni retroscena della loro gloriosa epopea, compreso il risvolto più inconsueto ovvero la cura maniacale e perfezionista nel rielaborare in forma di cover canzoni che non sempre avevano avuto adeguata valorizzazione oltreoceano. Un lavoro certosino e cronologico che si puntella sulla discografia. L’interruzione della parabola dei Rokes (s’intuisce ampiamente) fu dovuta alla scarsa valorizzazione delle loro risorse predisposta dalla RCA che ogni volta preferì puntare su altri cavalli., Poi i membri del quartetto, chi più chi meno, hanno continuato a vivere di musica, soprattutto l’allampanato Shel Shapiro, ancora attivo nonostante che gli anni siano quasi 80. Un sua réunion con il finto rivale (in realtà amico) Maurizio Vandelli è evento di appena due anni fa. Oggi non possiamo dimenticare l’italiano maccheronico delle loro canzoni ma anche la loro sottovalutata bravura tecnica. Nell’era dei complessi meritano un posto a parte, particolare e originale. Il sogno dei Rokes sarebbe stato di sfondare anche negli States ma il mancato investimento sul loro appeal fu l’inizio della fine, complice anche la difficile convivenza tra personalità molto spiccate. Il libro è anche uno spaccato quasi antropologico sull’Italia degli anni ’60, quella del boom, certo più serena, felice e appagata di quella odierna. I Rokes rimangono un’icona lucente di un decennio indimenticabile e ormai quasi leggendario nella sua intraducibilità attuale.

data di pubblicazione:22/12/2020

BOBBY & AMY di Emily Jenkins, traduzione di Natalia Di Giammarco

BOBBY & AMY di Emily Jenkins, traduzione di Natalia Di Giammarco

(Teatro Belli in streaming – Roma, 16/19 dicembre 2020)

Affresco di vita dolce e crudele, spaccato dell’Inghilterra povera e rurale, pennellate alla Steinbeck per un Furore britannico disegnando la scena nuda con fantasia attoriale.

Che fatica per gli attori, entrare in pochi secondi nella pelle di personaggi diversi, rimanendo fedeli al plot che per accumulazione inventa una scena in realtà nuda, prova a colorarla. L’esasperazione domina nel recitato con un mono tono che non è monotono ma febbrile e orgasmico. Bravi i due interpreti sinergicamente coesi nel disegnare, con povere armi a disposizioni, una storia che cambierà per sempre la vita nella comunità agricola che fa capo alla sonnolenta cittadina di Costwold. Non sono i destini individuali in ballo ma quelli di tutta una comunità che fa i conti alla fine degli anni novanta con l’afta epizootica che stermina le mandrie di mucche e mette a repentaglio il teorico benessere della popolazione. Tutti i dialoghi in forma di dialogo a due virano verso la ricostruzione di questo andamento con un richiesto ampio impegno del pubblico. Perché il recitato è impegnato, strillato, anzi urlato, tanto è drammatico il quadro che si tende a ricostruire. Quindi, attorno ai due protagonisti principali Bobby e Amy si sviluppa un florilegio di personaggi-spalla assolutamente non minori, una sorta di afflitta Spoon River localistica anche se qui si parla di viventi in difficoltà, tutt’altro che proni ad accettare la situazione di disagio e carestia. Si parla di una minaccia che viene da lontano e che potrebbe essere metafisica, richiamo a una difficoltà esterna più grande: insuperabile. Si parla di amicizia e forse di amore per i due protagonisti principali a cui è richiesto un grande impegno in una macchina oleata a dovere. Immaginiamo il grande lavoro a monte della traduttrice Di Giammarco.

data di pubblicazione:19/12/2020


Il nostro voto:

L’ATTRICE di Anne Enright – La nave di Teseo, 2020

L’ATTRICE di Anne Enright – La nave di Teseo, 2020

Quante sorprese presenta la letteratura, quante sacche insondabili di fiction può riservare un libro. Leggi pagine trecento e oltre di un massiccio volume virato sull’epopea di un’attrice dal gloriosi trascorsi e dalla mesta decadenza ed immagini che sia vicenda autobiografica che ha toccato l’autrice. Invece niente di tutto questo. E il disvelamento avviene nei ringraziamenti quando vengono citati intrecci di storie simili e racconti collaborativi di protagonisti del palcoscenico, Ed allora tanto più lode va girata al mestiere di Anne Enright che ci tocca e ci commuove con una story all’interno di complicati grovigli familiari. Vissuta dall’interno, emotivamente riflessa sul lettore. Con picchi di coinvolgimento e prolisse diversioni. Perché più che il plot è interessante l’atmosfera. Come viene descritta un’interprete di fama che si perde nei meandri della vita e finisce addirittura in carcere per aver sparato a un uomo con cui intrattiene rapporti equivoci. L’autrice tiene mano salda nel dipanarsi di flash back e di racconti di vita in un arco cronologico piuttosto vasta. L’eco della promiscuità del mondo dello spettacolo, della sua vacuità, dell’effimero successo sono richiami a un orizzonte esistenziale più ampio. La memoria della diva che poi è anche la madre della protagonista narrante si dipana in un flusso di coscienza amaro e pieno di rimpianti. Nel progressivo distaccarsi dalla realtà e nell’avvicinarsi alla follia, a un mondo succedaneo che metta al riparo la donna ormai anziana dalla disillusione e dalla crudezza della realtà. La figlia è la mente lucida ma non distaccata che osserva lo sfacelo che poi è l’invecchiamento, la malattia psichica, la decadenza. Una parabola quasi fisiologica per ogni cosa o persona in divenire. Una narrazione laica, a tratti dura, a tratti delicata. Per una lettura gradevolmente non inutile, ammesso che la letteratura debba per forza considerarsi utile. Con il libro si entra in un enclave femminile fatta di umori, di ricerca della fama e di una consacrazione, di amore e anche di sesso.

data di pubblicazione:19/12/2020

STRONCATURE di Davide Brullo – Gog Edizioni, 2020

STRONCATURE di Davide Brullo – Gog Edizioni, 2020

Il titolo è una parola che va di moda. Due libri usciti negli stessi giorni, un sito che si sta facendo strada. Una gran voglia di esercitare il pensiero critico circola nel mondo. Brullo ha dispensato un sottotitolo che non lascia dubbio sulle sue intenzioni: il peggio della letteratura italiana (o quasi). Un pamphlet che tira dei grandi fendenti all’accademia, al recensore in pantofole, alla classifica dei libri più venduti e ai protagonisti più ammirati in televisione. Si salva forse chi non c’è più. Ma tutti i più famosi rientrano in questo paniere di stroncature anche coraggiose visto il rischio di azioni giudiziarie e di diffide. Brullo ha dovuto fare i conti con la querela di D’Avenia, esibita quasi come un titolo di merito. Un elenco dei reprobi? Presto fatto: Stefania Auci, Alessandro Baricco, Aldo Busi, Gianrico Carofiglio, Paolo Cognetti, Maurizio De Giovanni, Paolo De Paolo, Elena Ferrante, Michela Murgia, Francesco Piccolo, Antonio Scurati. C’è il Gotha della letteratura italiana attuale. Ma Brullo non spara a salve ma documenta con estrapolazioni la labilità di certa prosa e si stupisce del successo dei protagonisti, valori riconosciuti e stabili anche in virtù di potenti staff editoriali alle spalle. Ma non ci sono solo romanzieri tra le vittime di queste verosimili invettive. Nella seconda parte i bersagli sono altrettanto importanti se citiamo i nomi di Corrado Augias, Massimo Recalcati, Michele Serra e, udite udite, Roberto Saviano. La sua è un critica letteraria militante di pronto utilizzo che ricorda il celebre volumetto con cui Goffredo Fofi smitizzava valori consacrati del cinema italiano. Saggismo tutt’altro che embedded, puntuale reazione all’intorpidimento dei critici dei quotidiani, spesso proni all’ossequio, quindi non rendendo un buon servizio al pubblico utente che dovrebbe avere un riscontro più oculato rispetto ai propri consumi culturali. Qui la voglia di osare non manca e con un certo sprezzo del pericolo perché Brullo racconta senza falsi pudori il progressivo allontanamento da testate che hanno preso a considerarlo come un collaboratore fastidioso, perché troppo pungente e/o intemperante.

data di pubblicazione:16/12/2020

THE COLLECTOR di Mark Healy, dal romanzo di John Fowles, traduzione di Giorgio Lupano, regia di Francesco Bonomo, con Giorgio Lupano e Beatrice Arnera

THE COLLECTOR di Mark Healy, dal romanzo di John Fowles, traduzione di Giorgio Lupano, regia di Francesco Bonomo, con Giorgio Lupano e Beatrice Arnera

(Teatro Belli in streaming – Roma,10/13 dicembre 2020)

Black comedy della nuova scena inglese. Groviglio a due con l’avvio dei tipici meccanismi di attrazione/repulsione di un sequestro. La presunta oggettività di una percezione è in realtà la deriva della mente malata del protagonista.

La malattia mentale si nasconde sotto spoglie di apparente normalità. E ci appare convincente e quasi seduttivo il protagonista quando nel monologo iniziale sciorina un programma che sembra realistico, un godersi la vita in seguito a una grande vincita alla lotteria. Ma in realtà il denaro evidentemente dà alla testa se sequestra una giovane con donna con l’intento pervicace di farla innamorare. Missione impossibile perché la ragazza è sotto sequestro per un numero di settimane definito dai due dopo una lunga trattativa. E la donna non ha nessuna intenzione di farsi assoggettare, anzi mette in gioco tutte le proprie capacità, anche seduttive , per riuscire a procurarsi un’ora d’aria prima e per scappare poi. Ma il suo persecutore si rivela ancora più duro e dopo qualche tentennamento e qualche errore strategico, dopo aver abdicato a un tentativo di amplesso, si fa sempre più crudele trascinandola in un gioco che avrà conseguenze letali. Il bello e il brutto insieme è che si convincerà che quella conclusione se l’è proprio andata a cercare. Delirio corrosivo nel gioco a due del teatro da camera che questa volta offre anche un minimo di scenografia in una scena quasi completamente riempita dai dialoghi e da qualche uscita dei due protagonisti. Il tasso di determinazione e di accanimento sado ma anche un po’ masochistico cresce con il passare dei minuti e così la tensione in un climax che degenera ma che poi viene tranquillamente metabolizzato dal protagonista. Che un minuto dopo si metterà in caccia di ulteriori giovani pulzelle che possano riempire il suo enorme vuoto sentimentale. Teatro forte, all’altezza dei tempi che viviamo.

data di pubblicazione:12/12/2020


Il nostro voto: