GIUSTO A META’, con Marina Vitolo, Tiziana De Chiara e le Incoronate Comiche, spettacolo accessibile ai non udenti

GIUSTO A META’, con Marina Vitolo, Tiziana De Chiara e le Incoronate Comiche, spettacolo accessibile ai non udenti

(Teatro de’ Servi – Roma, 1 dicembre 2021)

Una donna divisa a metà. La passione per il teatro, le esigenze della famiglia e di un lavoro stabile. Una precarietà che fa da sfondo comico non vittimistico per un personaggio su misura dell’interprete Marina Vitolo. Una stand up comedy condita da molta musica con canzoni vecchie e nuove da riscoprire.

Teatro leggero, lieve, piacevole. Cabaret con musica. Le vicissitudini di una donna divisa a metà (come tante oggi), sospesa tra il desiderio di un inquadramento stabile e professionale nel mondo dell’arte e le tante delusioni riservate dall’apprendistato in un mondo fatto di provini di termini quasi inaccessibili come shooting o flyers. Sulla soglia dei cinquanta anni tutto diventa più difficile per un’attrice che non fa dell’estetica un punto di forza ma ha la giusta pretesa di appoggiarsi alla bravura. Esistenza forzosamente schizofrenica ma protesa verso un ideale realizzativo di problematico compimento. Dunque vita e finzione collidono nel progetto scenico di fronte a un pubblico ben disposto, vellicato da musiche d’occasione, scelte come da un jukebox dai testi di scena. Con le Incoronate comiche, un progetto in itinere, la Vitolo si sente meno sola per uno spettacolo che legittimamente per le sue premesse non può durare più di sessanta minuti. Marina è forte e determinata e fa pesare la sua napoletanità, quella cazzimma che è una sorta di valore aggiunto per tutte le espressioni più vitali della comunicazione. Le note sono un pigmento ferace ed è buona l’armonia per le partner di scena: una capace e ironica cantante, la collaboratrice che sottotitola per i non udenti ma partecipa brillantemente all’azione e il figlio che asseconda felicemente il tappeto sonoro. Replica unica e sola prima di spostamenti in altri teatri romani alla ricerca del perfetto cocktail empatico.

data di pubblicazione:02/12/2021


Il nostro voto:

ANTICHI MAESTRI di Thomas Bernhard, drammaturgia di Fabrizio Sinisi, regia di Federico Tiezzi

ANTICHI MAESTRI di Thomas Bernhard, drammaturgia di Fabrizio Sinisi, regia di Federico Tiezzi

(Teatro Vascello – Roma, 23/28 novembre 2021)

Raggelante ma pur commovente invettiva del furente scrittore e drammaturgo austriaco contro il suo Paese. L’arte è povera e demitizzabile ma è pure uno dei pochi strumenti di salvezza e riscatto..

Tre attori (due parlanti, uno muto) rivolgono per quasi tutta la durata dello spettacolo le spalle al pubblico. Si girano quando parlano tra loro anche se c’è sentore di monologo. Il resto del tempo è dedicato all’osservazione di un quadro nella più prestigiosa Pinacoteca di Vienna, pluricitata. L’ipocondriaco protagonista riflette sulla mediocrità di quello che lo circonda trovando un sia pur momentaneo sollievo nella Sala Bordone dove riflette sull’insopportabilità dell’Austria, sui suoi troppo esaltati artisti. Un elogio della solitudine un po’ paranoica che diventa la metafora dell’esilianda condizione umana. Gli antichi maestri sono consolatori anche se hanno chiari limiti. Dunque Beethoven, Mozart, Durer sono oggetti di feroci stilettate del severo recensore che appare afflitto da depressione (ha perso la moglie) ma conserva lucidità e un perfido spirito critico. Drammaturgia ineffabile e quanto mai attuale. Il rito della visita alla Pinacoteca si ripete immancabilmente da trent’anni, seguito dalla permanenza in un albergo viennese. Abitudini che aiutano a vivere mentre la vita scorre accanto insolente. Nulla sfugge alla banalità dell’esistenza, neanche i divertimenti del Prater. Ma poi c’è da accontentarsi cercando compagnia in un teatro per assistere a uno spettacolo di Kleist. Tempi drammaturgici perfetti per un’opera di rara concisione ed efficacia. Il linguaggio occupa saldamente la scena e lo smontaggio dei quadri è l’anticipo di un finale in qualche modo consolatorio e riparatore. Tiezzi & Lombardi si confermano all’altezza di un eccellente curriculum accompagnati dagli applausi di un pubblico fortemente solidale con l’impeccabile drammaturgia. La riflessione sull’arte è potente e quanto mai attuale.

data di pubblicazione:25/11/2021


Il nostro voto:

IO SONO BABBO NATALE di Edoardo Falcone, con Marco Giallini e Gigi Proietti, 2021

IO SONO BABBO NATALE di Edoardo Falcone, con Marco Giallini e Gigi Proietti, 2021

Pellicola di genere, confezionata nel 2019 e sfornata, con grande anticipo sulle prossime festività, come un cine-panettone, a novembre 2021. Con un’implicita commemorazione: l’ultimo film di Gigi Proietti. Che non gli rende merito, colpa della modesta regia e di una sceneggiatura davvero minimale.

 

Film di buoni sentimenti ma dai risultati tristanzuoli per una platea di under con gli over tentati dall’uscire dopo il primo tempo che si conclude con un’overdose di effetti speciali. Figurarsi, sulla slitta di Babbo Natale (Proietti) il tardo peccatore Giallini viene trasportato in una sorta di miscellanea dei luoghi comuni a Parigi e Londra per distribuire i regali di Natale. Intristisce constatare come un attore come Proietti si sottoponga a una dolorosa prova d’attore quando il male lo stava già minando. E le scene in cui si accompagna a un bastone sono realistiche e immaginifiche sui suoi ultimi mesi. Se in America per i noti problemi sul mercato del lavoro faticano a reclutare i Babbo natale, qui c’è uno sfornato con una creatività minimale. Capace di accogliere e dare asilo a un ex detenuto senza arte né parte. Ovvio che il buono per eccellenza redima il cattivo e gli faccia persino ritrovare la gioia degli affetti familiari perduti (moglie e figlia). Il plot ha una prevedibilità esagerata e nessun guizzo. Gl attori stano stretti in panni troppo prevedibili con la melassa del buono che digrada in un buonismo d’accatto. Purtroppo, tendenza generale, i bravi attori italiani (anche Favino, anche Germano) troppo spesso accettano proposte che più che valorizzarli li sviliscono. Alla fine di questo film viene voglia di urlare: “A ridatece Rocco Schiavone”. Giallini avrò occasione per riscattarsi, Proietti (mai valorizzato sui set) purtroppo no. Alla fine della proiezione rimane un vago senso di malinconia. Più che per l’occasione perduta, per lo spreco di ambizioni frustrate.

data di pubblicazione:24/11/2021


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AMLETO di William Shakespeare, traduzione di Cesare Garboli, adattamento e regia di Giorgio Barberio Corsetti

AMLETO di William Shakespeare, traduzione di Cesare Garboli, adattamento e regia di Giorgio Barberio Corsetti

(Teatro Argentina – Roma, 17 novembre/9 dicembre 2021)

Lo spettacolo più rappresentato e universale in una versione ariosa e incandescente con alcune punte di eccentricità. Eccezionale omogeneità della compagnia per un classico immortale che è bel biglietto da visita per la stagione del Teatro che si farà Fondazione.

Senza limiti di spese per la scenografia, varia e di facile smontabilità interattiva, e senza limiti di tempo per il dramma scespiriano che fa faticare a tratti nel primo tempo mentre digrada verso l’immaginabile sviluppo liberando lo spettatore dopo tre ore di tensione. Fausto Cabra che declama l’essere o non essere in avvio, svelando la missione programmatica di quanto succederà di lì a poco, è un’autentica rivelazione. Di bravura inversamente proporzionale alla ancora ridotta popolarità. Esibizione anche fisica e muscolare, non tanto per l’accenno mimico nella simulazione dei duelli quanto per l’ardore con cui alimenta un corpo che asseconda il declamare nella forbita traduzione di Garboli. Spettacoli come quasi non se ne fanno più per la pandemia con un numero generoso di attori e con l’uso indiscriminato degli spazi. L’Amleto rappresenta l’inquietudine e una progressiva montante ansia di vendetta. L’adattamento non tradizionale incuriosisce e a tratti strega riscattando la grande conoscenza del plot. Attori in abiti borghesi, con estrema libertà interpretativa. La macchina teatrale va a frugare dentro l’anima interiore, interrogata sulle sue pulsioni non sempre benevole. Danimarca, Inghilterra, Italia, Elsinore. Il mondo è lontano (il secolo di Shakespeare, anche) ma è anche terribilmente vicino. Usurpazione e oltraggio di una storia che ci si ripresenta ogni giorno con altri linguaggi e altre situazioni. Alla prima teatro stipato in ogni ordine di posti, nonostante la difficoltà della prova spettatoriale. Buon segno per il futuro e per il più importante teatro di Roma: quello che dovrebbe indicare la strada agli altri. Anche quelli attualmente chiusi.

data di pubblicazione:18/11/2021


Il nostro voto:

GATTA MORTA di e con Francesca Reggiani, scritto da Valter Lupo e Gianluca Giugliarelli

GATTA MORTA di e con Francesca Reggiani, scritto da Valter Lupo e Gianluca Giugliarelli

(Teatro Olimpico – Roma, 16/21 novembre 2021)

One woman show che parte con le marce basse ma poi passa gradualmente alla quarta e alla quinta in un crescendo autoriale. La gattamorta è la quintessenza di un certo tipo di donna. Molto italiana.

 

Due anni in standby per uno spettacolo che si arricchisce nell’attualità con gli ovvi spunti della pandemia e dell’overdose di virologi. L’avvio lascia perplessi perché i video imitatori di Ilaria Capua e Vittorio Andreoli mostrano protagonisti che non sono proprio al top della popolarità anche se la capacità mimetica della Reggiani è autorevole. Lo spettacolo cresce con colpi di coda e in presenza fino ad approdare al succo polposo evocato dal titolo. La Reggiani ha corpo e volto d’attrice uscendo fuori dai limitati panni del comico in perfetta empatia con il suo ritrovato pubblico, che l’approva di testa quando esprime verità consacrate e mai abbastanza dette (le giravolte sul Covid, la difficoltà di mantenere un rapporto sentimentale in regime di virtuali arresti domiciliari) e ride di pancia in progressione. Lo spettacolo monta quando, riproducendo un format di successo, si sfidano al video Giorgia Meloni e Concita Di Gregorio ovvero la coattona politica di destra e la radical chic di sinistra. E qui la Reggiani è perfetta nell’intonazione, nella forma e nel contenuto. Ma l’hit parade è indubbiamente il monologo finto dialogo telefonico, sulla scia di Franca Valori, Bice Valori, Cinzia Leone. La veterana tiene bene l’immenso spazio teatrale con una resa a cui contribuiscono le musiche (Vivaldi, Buena Vista Social Club), i raggi di luce multicolori, la sua corposa presenza. Quanta verità nella caricatura delle donna italiana messa a confronto con la donna russa! Un match a vantaggio della seconda nella prime riprese ma che a gioco lungo si chiude a favore della prima: i mariti tornano sempre a casa a fronte di pretese sempre più smodate delle donne dell’est.

data di pubblicazione:17/11/2021


Il nostro voto: