DIVA – UNA SINFONIA PER WEIMAR, uno spettacolo di Bruno Maccallini

DIVA – UNA SINFONIA PER WEIMAR, uno spettacolo di Bruno Maccallini

drammaturgia di Antonella Ottavi, con Chiara Bonome, Bruno Maccallini e Pino Cangialosi, musiche originali ed elaborazioni suonate dal vivo da Pino Cangialosi, regia di Bruno Maccallini

(Auditorium, Goethe Institut – Roma, serata unica 29 febbraio 2024, poi in tournèe per l’Italia)

Rigorosa ricostruzione di uno dei periodi più emblematici della storia del passato secolo. Salto all’indietro di cento anni per captare umori e prodromi di quello che sarà il nazismo. Musica come complemento essenziale, grande fisicità della Bonome e fiuto e competenza di Maccallini

Goethe Institut come collocazione ideale per documentare la breve parabola di una parentesi del secolo ancora soggetta ad analisi. Spessore culturale avanzato a Weimar prima della repressione e della caduta nell’infausta stagione hitleriana. Conosciamo Bertolt Brecht, Kurt Weill, Marlene Dietrich ma qui si affacciano le sagome di giornalisti, polemisti, autori ingoiati poi dalla repressione se non condannati a morte in qualche lager discriminatorio. Attraverso la vita di un caffè si snoda lo spirito del tempo. Con i nuotatori, punte di una cultura avanzata e celebrata e, in un altro angolo della sala, i non nuotatori che aspirano ad entrare nell’atra categoria e magari non avranno il tempo di riuscirci. Il finto orgasmo nella danza erotica della Bonome è evidentemente uno dei momenti più divertenti sulla scena mala tensione teatrale è alta, sempre. La Diva o le Dive sono personaggi spregiudicati che riflettono lo spirito del tempo come punte avanzate, rivendicazione di una figura femminile al passo con la modernità. I video sullo sfondo di macerie dei bombardamenti riflettono il dopo che sarà ovvero il disastro di un’ideologia mortifera. Eppure la nuova donna di un secolo che non sarà breve era nata a Weimar, invano soffocata dal totalitarismo. L’originale approfondimento di Maccallini è un unicum del teatro contemporaneo. Ammirevole nel suo isolamento ma anche per la sua perspicuità. Pubblico di spessore in sala con molti addetti ai lavori capaci di apprezzare quanto proposto.

data di pubblicazione:01/03/2024


Il nostro voto:

16 MILLIMETRI ALLA RIVOLUZIONE di Giovanni Piperno, 2024

16 MILLIMETRI ALLA RIVOLUZIONE di Giovanni Piperno, 2024

Sta girando l’Italia e si ripromette di entrare nelle scuola questo documentario di montaggio che si appoggia a un immenso patrimonio archivistico con un focus sul più grande partito comunista dell’Europa Occidentale. Ha ottenuto il contributo economico della Presidenza del Consiglio, pur di opposta tendenza partitica perché c’è un fondo speciale dedicato agli anniversari. Carrellata nostalgica sul Pci che fu, attraverso le immagini di Berlinguer, la svolta della Bolognina di Occhetto, le sezioni, le manifestazioni, il riflusso con la marcia dei 40.000 quadri della Fiat a Torino, volta pagina della sconfitta..

 

Un film che stimola la memoria indipendentemente dalle idee politiche personali. Un grande viaggio all’indietro ricco di cinema militante (Gregoretti, Serra, Scola, Montaldo) quando c’era la speranza di invertire il senso della storia, prima che fallisse il compromesso storico e che 400.000 militanti abbandonassero il partito, una volta dismessa l’etichetta di comunista. Atmosfera dunque alla Nanni Moretti per un reducismo che non vorrebbe essere d’accatto. Le immagini del passato vengono contrappuntate dalla lunga intervista a Luciana Castellina (anni 95), quattro parentesi in prigione, protagonista del distacco dal Pci. Lei è una che non ancora smesso di credere a quella rivoluzione che l’Italia non ha mai avuto, a differenza della Francia e della Russia. Piperno informa ma si diverte anche mostrando i personaggi di quadretti familiari e amicali che appartengono alla sua personalissima storia. Erano i tempi in cui il Pci arrivò a dotarsi di 1,8 milioni di iscritti, toccando percentuali tra il 33 e il 34% tra il 1976 e il 1977. Tanto per dare un’idea dell’attuale disaffezione alla politica nelle ultime primarie del Pd hanno risposto all’appello in 152.000. Alla proiezione a cui abbiamo assistito c’era anche Lucia Mascino, ormai romana d’adozione. Un film che richiede un dibattito che difatti c’è stato. Anche per chiedersi perché la maggioranza degli italiani non va più a votare.

data di pubblicazione:28/02/2024


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PAST LIVES di Celine Song, 2024

PAST LIVES di Celine Song, 2024

Una romantica storia d’amore. Quasi un Matarazzo rivisto alla coreana per far capire che siamo dalle parti del mèlo senza dramma. Si potrebbe contare il numero infinitesimale di parole pronunciate nel film dagli scarsi dialoghi per carpire il fascino sottile del non detto.

 

Rituale è il dodici (anni). Due amici quasi fidanzati si rivedono a 24 e poi a 36 anni. Inevitabilmente ogni salto ha uno scatto nelle loro vite senza l’altro. Girovagando tra Seul, Toronto, una New York quasi da cartolina. Tra la cultura tradizionale coreana, la velocità del life style americano, un po’ di ebraismo dell’antagonista maschile. Melting pot da cui si estrae la storia di un rapporto che non sboccia in una relazione per l’asimmetria dei sentimenti. Storia tenera, dai risvolti interessanti al botteghino per l’apprezzamento che gode la cinematografia di questa parte d’Asia nel Vecchio continente (non evidentemente in America). Non ha coraggio di dichiararsi compiutamente il coreano mediaman che invano segue l’amore giovanile mentre lei piano piano declina i sogni di una grande carriera come sceneggiatrice. Un cinema che sa di verità e di scenari già percorsi. Negli scarni dialoghi ogni espressione è significativa e non sprecabile. Non c’è né ambiguità né morbosità nel rapporto sentimentale a tre con un angolo falso. Il momento più imbarazzante della visione è quando il trio converge in un bar e i due coreani si lanciano in un’animata quanto rara discussione, ignorando completamente il terzo ospite a digiuno della lingua parlata. Interminabili attimi vissuti con il cuore in gola per una reazione che non scatta, la massima comprensione per una spiegazione che deve avvenire tra i due irrisolti innamorati. Un film in cui il sottotesto e l’interpretazione è tutto, lasciando una traccia abbastanza profonda nello spettatore per la fascinazione che emana e per il tempo che si prende nella narrazione, uno slow cinema.

data di pubblicazione:28/02/2024


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DUNE PARTE DUE di Denis Villeneuve, 2024

DUNE PARTE DUE di Denis Villeneuve, 2024

Fantasmagorica riproposizione di un film di successo e con un cast e un budget senza pari. Quasi tre ore adrenaliniche con efffetti speciali assicurati per un ovvio atteso riscontro al botteghino. Sviluppi distopici di una trama complicata, a volte involuta, con un sicuro gancio al terzo episodio della serie. Sangue, poco sesso, una colonna sonora incalzante e inquietante.

Tutti gli ingredienti per un film di richiamo, soprattutto negli States ma con ingredienti di spettacolarizzazione globalizzata accettabili in tutto il mondo. Nel tempo della realtà deformata e dell’intelligenza artificiale l’umano troppo umano del film si ridimensiona perché nelle scene di maggior pathos si duella ancora con la spada, come nel Medioevo. Chiara distinzione tra buoni e cattivi che sfuma in contorni meno manichei nel finale. Sembra che non si possa fare un film senza la presenza di Chamalet (in Italia di Stefano Fresi) ma il contorno degli antagonisti/protagonisti è imponente, alcuni davvero irriconoscibili come Charlotte Rampling. Villeneuve non si lascia sfuggire l’occasione di girare in grande. Le scene di massa sono portentose e nella creazione artigianale il regista conta su un ensemble di prestigio con le presenze fondamentali del direttore della fotografia, del costumista e del supervisore agli effetti visivi, assemblati per l’ottimizzazione in fase di montaggio. Trama quasi irraccontabile. Il cine Bignami si limita a citare il mitico viaggio di Paul Atreides che si unisce a Chani e ai Fremen per cercare di vendicare chi ha sterminato la propria famiglia. Posto di fronte alla scelta tra l’amore e il destino dell’universo il protagonista intraprende la missione profetica per evitare la distruzione totale della sua gente. Non sfuggirà il senso blasfemo e un po’ onnivoro di questa filosofia che presuppone un superuomo. I raduni guerreschi alludono alle parate naziste.

data di pubblicazione:27/02/2024


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L’ORA NOSTRA di Sergio Pierattini, regia di Piero Maccarinelli

L’ORA NOSTRA di Sergio Pierattini, regia di Piero Maccarinelli

con Sandra Toffolatti, Emanuele Salce, Claudia Coli, Francesco Bonomo, Noli Sta Isabel

(Teatro Il Parioli – Roma, serata unica, 26 febbraio 2024)

Ultimo dei quattro appuntamenti della rassegna sul teatro non rappresentato. E degno epilogo per qualcosa più di un reading visto il livello degli attori in ballo. Una famiglia si riunisce, si confronta e litiga sulle ceneri della madre morta. Il tema del ritorno a casa, rispettivamente da Milano e dalla Cina, è squassante. Emergono contraddizioni, vezzi, deformazioni borghesi, una patina di evidente disinteresse. La convivenza forzata acuisce le tensioni e mostra un’omogeneità mai raggiunta. Trionfante il filippino che da badante si trasforma nel personaggio principale.

 

Noli Sta Isabel, il filippino erede di un terzo della defunta ultraottantenne, a lei fidanzato rompendo antiche abitudini omosessuali, recitando una parte difficile e scomoda, è il personaggio vincente della serata. Verità e finzione si affastellano perché è il sogno di una vita quella di poter recitare su un palcoscenico così importante e per intercessione convinta dell’autore Pierattini. Scorrono lacrime e applausi a scena aperta per un onesto lavoratore con l’hobby del teatro che dal ruolo di caratterista si erge a protagonista diventando imprenditore dell’azienda della defunta in coppia con il suo ritrovato amore, un altrettanto dinamico rumeno. In fondo la commedia è una graffiante metafora sull’inanità degli italiani rispetto a nazioni più giovani e dinamiche, capaci di evolversi e di raggiungere la piena affermazione sociale. Dopo la parentesi dell’escursione al Teatro Argentina, il Parioli si riprende la titolarità della rassegna che riguarda autori affermati a significare quanto sia difficile per i giovani proporre nuovi testi in assenza di produttori coraggiosi che vogliano rischiare per innovare. Ascoltando Salce come sempre si ripensa a Gassmann e a un’impostazione vocale che non deflette, dall’educazione familiare al teatro. Nel prologo presentato un interessante libro di Paolo Petroni che approfondisce la drammaturgia nostrana sul crinale del secolo.

data di pubblicazione:27/02/2024


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