da Daniele Poto | Set 9, 2024
Un road movie che curiosamente passa su Netflix senza trovare per ora un adeguato passaggio nei circuiti italiani. Eppure trattasi di un blockbuster di sicuro richiamo adrenalinico se ci si abbandona al parossistico climax dei film americani al di là di ogni possibile verosimiglianza. La copia Wahlberg (stranito quanto basta)-Berry funziona. Lei, abbandonati i ruoli sexy che sfruttavano il suo corpo statuario, è un agente segreto a prova di stuntwoman.
Union è un corpo parallelo al servizio degli Stati Uniti. Come la Cia o l’Fbi. Omogeneo alle altre istituzioni ma fino a un certo punto. Gioco di spie con tradimenti anche familiari. La prerogativa del film è il ritmo, Tenerti sempre sulle spine muovendo continuamente possibili sorprese. Così il protagonista maschile viene rimosso dalle pigre e consolidate abitudine per diventare un punto di forza di questa Spectre. Un film che non lascia tracce o segni ma che comunque tiene inchiodato lo spettatore anche se la fine è nota, l’happy end e la storiellina d’amore dietro l’angolo. Progressivamente un senso di ripetitività ti coglie nell’orgasmo della concitazione fatta di inseguimenti, cruente esecuzioni e giravolte narrative. Come se l’opera lasciasse una traccia per un possibile sequel. Wahlberg è sornione quanto basta. Produzione che non bada a spese e che nel momento clou si arrocca addirittura nella meravigliosa Istria da cartolina con il facile riconoscimento di Capodistria. L’ironia nei dialoghi è sempre dietro l’angolo, a volte celata ma se attenti si può cogliere. Tra l’altro la realtà non è troppo diversa considerando tutte le guerre scatenate dagli Usa in giro per il mondo con il pretesto di restaurare la democrazia. I cattivi nel film sono inevitabilmente i russi e gli iraniani. Ma tratti si può collaborare anche con loro perché il mondo delle spie gode di una narrazione imperscrutabile.
data di pubblicazione:09/09/2024
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da Daniele Poto | Lug 17, 2024
Vivisezione di un amore scansionato lungo tre età della vita. Tra banchi di scuola, disavventure professionali, lutti e incidenti di percorso. Sullo sfondo una Verona ben conosciuta dal regista con i suoi iconici luoghi simbolo. Un difficile e problematico ritrovamento prima del sé e poi dell’altro.
Un film che ha contemporaneamente il punto di forza e di debolezza nella struttura che per mano di quattro sceneggiatori affonda a piene mani nel romanzo di Matteo Bussola (appunto uno dei quattro), qualcosa di difficilmente e immediatamente traducibile in visivo. Dunque la pregnanza del testo, le citazioni non sgorgano pienamente naturali messe in bocca agli attori, condizionati dalla cappa del sottotesto che potrebbe funzionare anche a teatro. Il regista è umile nell’utilizzare la base di partenza ed è bravo a non far sembrare banale lo stratagemma con cui il protagonista Milo (da Miles Davis, un Guanciale nella mimesi dal volto perennemente triste e spento) fingendosi altro cerca di ritrovare l’amore perduto. Scrittura nella scrittura in un film che si esprime tanto per mail e per lettera, alla faccia della modernità ma che può far breccia nel pubblico sentimentale, non necessariamente femminile. Giravolte sentimentali un po’ complicate a cui il dono dell’emozione può regalare fiducia. C’è un Paolo Rossi utilizzato nel ruolo drammatico che non ti aspetti. C’è la seduzione della musica con un Rino Gaetano che da forza e prende forza nel plot. Molto convincente Francesco Montanari nella parte del fratello dissacrante, l’antitesi del protagonista, immediato e intuitivo di fronte a tante troppo strane parabole intellettuali. I personaggi cercano un centro nella vita. L’architetto fa il cuoco, la scrittrice passa dall’agenzia di pubblicità alla cura dei necrologi cercando l’editore giusto. Lo scatenamento dei sensi produce anche febbrili scene di sesso, quando l’amore ancora regna sovrano. Anteprima al 70° Festival di Taormina, dal 18 luglio nelle sale.
data di pubblicazione:17/07/2024
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da Daniele Poto | Lug 15, 2024
Un collaboratore della polizia si trova sbalzato in un gioco più grande di lui. Tratto da una storia, vera. Il Johnson reale fu capace di far arrestare settanta potenziali assassini fintamente accettando l’incarico di killer. I problemi arrivano quando una seducente fanciulla gli propone di far fuori il marito.
Linklater ha la mano ferma nel girare e nell’assecondare la valida sceneggiatura tratta da un libro di successo. Ma non è un biopic perché la seconda parte del film è di pura fantasia. Difatti il protagonista si fa prendere la mano e si trova invischiato in un legame sentimentale con la fidanzata palesemente rea confessa dell’omicidio che inizialmente gli aveva proposto a contratto. Divagazione libera ma divertente nell’intreccio. Perché il protagonista cerca di salvare capra e cavoli ma si trova ricattato da un collega. La sua eliminazione è un colpo di fantasia che esce dalla biografia reale ma cinematograficamente aggiunge azione e incertezza. Powell ha il volto del bravo ragazzo americano. E la Ajrona trabocca sesso dallo sguardo acuminato e malizioso. Il primo lo vedi una volta ma te lo dimentichi subito, la seconda no. Coppia ideale per un film del genere. Dialoghi veloce e intelligenti, nessun velleitarismo estetico. Diremo mood molto americano perché in Italia non si è arrivato ancora a questa specializzazione. Tanto meno con la rischiosa collaborazione con i corpi di polizia. Un film estivo garbato e intelligente, di non eccelse pretese. Ma la storia si fa seguire con attenzione fino all’ultima sorpresa. Per la cronaca il coraggioso disvelatore di tentati omicidi si è spento in serenità a 75 anni, senza ulteriori complicazioni i intraprendendo una brillante carriera secondaria, affiancata a quella di facondo insegnante di vita.
data di pubblicazione:15/07/2024
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da Daniele Poto | Lug 8, 2024
(Casa del Cinema di Roma, Festival del cinema rumeno)
Un impietosa fotografia della corruzione in una povera provincia rumena, specchio di una condizione universale nel rapporto tra ricattatore e ricattato. Un giallo che prepara una svolta violenta aprendo le porte a un inaspettato finale western..
Un poliziotto in crisi sembra dominato dalle circostanze della vita. Lasciato dalla moglie, senza figli, assoggettato a una routine in cui il suo sindaco sembra indirizzare tutti i più riposti pensieri. Il suo unico sogno di riscatto parte dal possesso di un frutteto, unico scopo della sua residua motivazione esistenziale. Non lo scuote anche l’ingenuo impulso di giustizia del suo giovane sottoposto che di fronte a un omicidio muove un’inchiesta seria che lui, il protagonista, cerca progressivamente di spegnere senza troppo clamore. Ma dietro l’uccisione, che è un vero e proprio regolamento di conti, c’è la corruzione, un contrabbando importante, i fili retti dal primo cittadino della cittadina in cui vive. Il poliziotto subisce, incassa, si vede regalato il frutteto in cambio del silenzio. Ma alla fine poi, come ne Il borghese piccolo piccolo, esplode e, in una rivalsa violenta che non avrà testimoni, manda a carte e quarantotto la ragnatela che gli è stata cucita intorno. Un film crudo, violento, indelicato che scuote le coscienze e che riflette un pezzo di vita in Romania ma anche nel mondo, nel finto torpore della provincia. Postelnicu è stato l’autentco protagonista della rassegna rumena comparendo in due pellicole, passando dai moti anti-Ceasescu di Sibiu a questo funzionale ritratto di un uomo di Stato travolto dalla propria apatia. Si è proposto in conferenza stampa spiegando che la storia voleva funzionare senza troppi intenti moralistici. L’ironia del titolo del film svela già tanto.
data di pubblicazione:08/07/2024
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da Daniele Poto | Lug 8, 2024
regia e adattamento di Cinzia Maccagnano, con Edoardo Siravo, Gabriella Casali, Raffaele Gangale, Luna Marongiu, Cristina Putignano, Marta Cirello e tutti i giovani del laboratorio Plautus Festival, musiche Lorenzo de Seta, costumi Monica Mancini. Produzione Teatro dei due mari
(Anfiteatro Trebula Mutuesca di Monteleone Sabino, 6 luglio 2024, poi in tournèe estiva)
Nello scenario suggestivo di un teatro romano un classico della comicità che viaggia incessantemente d’estate dopo aver debuttato al Teatro Arcobaleno di Roma. Siravo s’impone con la sua bonomia in una congerie di bravi e giovani interpreti che svecchiano l’autore a ritmo di musical. Battute fuori programma con citazioni per Vannacci e per le peripatetiche della Salaria.
La commedia è una fabula ricca di personaggi e dunque di interpreti con tutti i consacrati schemi della narrazione plautina. L’amore di due giovani, il servo spregiudicato, il soldato fanfarone, la vecchia beona, il lenone interessato solo ai soldi, immersi in un gioco degli equivoci, leggero e divertente che è solo il prologo allo scioglimento finale in cui tutti i nodi della vicenda vengono brillantemente risolti. Più che il finale ci sono dunque da gustare i singoli siparietti cuciti dalla voce della narratrice che tira i fili dell’intricata matassa. C’è la Roma antica con i suoi vizi e le proprie virtù sotto lo sguardo trasognato dell’autore che sorride di fronte a tanti colpi di scena. Curculio è il parassita perennemente affamato, come si direbbe volgarmente un morto di fame, a cui viene intitolata la commedia. Caricature, mascheramenti bugie digerite con il sorriso sulle labbra. Immancabilmente alla fine i giovani promessi potranno sposarsi. E Curculio approfitterà di un ricco e lauto pranzo pasquale. Gioco di rotture, di spiazzamenti in cui i ruoli di uomini e donne possono essere validamente scambiati. Un teatro che trionfa d’estate ma che meriterebbe una riscoperta anche d’inverno vista la sua intatta leggerezza, sottofondo di modernità. Per la cronaca Curculio è un insetto del grano. Sinonimi: parassita, punteruolo, gorgoglione.
data di pubblicazione:08/07/2024
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