AUTORITRATTO di e con Davide Enia

AUTORITRATTO di e con Davide Enia

Musiche composte e eseguite da Giulio Barocchieri

(Teatro India – Roma, 20 maggio/1 giugno 2025)

Un controcanto di giustizia e umanità alla ferocia delle stragi di mafia. La testimonianza vera e cruda di un periodo doloroso e difficile. Con il patrocinio della Fondazione Falcone, è in scena all’India l’ultimo spettacolo di Davide Enia, prodotto dal CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli-Venezia Giulia, insieme al Piccolo di Milano, Accademia Perduta Romagna Teatri e al Festival dei Due Mondi.

Questa è una storia di voci. Di testimonianze. La prima e più significativa quella di Davide Enia, nato a Palermo nel 1974. L’anno è importante. Ci dice implicitamente che l’infanzia e l’adolescenza le ha vissute in un periodo bollente per la storia della città e della Sicilia. Gli anni ’80 e ’90 sono stati segnati dalle stragi di mafia, quelle condotte con le bombe. Delle guerre tra clan, che lasciavano cadaveri per strada. Anni di violenza definiti dal braccio armato di Cosa nostra, i Corleonesi: il modo più atroce e violento di essere un mafioso. Il Capo dei Capi era Totò Riina, “uno abituato a scannare i maiali” e che sul sangue ha fondato il suo regno. Un periodo segnato da una carneficina continua: «Il primo morto ammazzato lo vedo a otto anni, tornando a casa da scuola, facendo il medesimo percorso concordato con i miei genitori». Così inizia il suo racconto, che si può anche felicemente leggere nel volumetto stampato da Sellerio nell’anno in corso. Il sottotitolo recita “istruzioni per sopravvivere a Palermo”, ed è rivolto a chi cerca un’arma culturale per cambiare una mentalità sbagliata sulla quale si fonda il pregiudizio per un’intera popolazione.

Davide Enia è il testimone di una lotta continua, estenuante ma necessaria. Dipinge il ritratto di una generazione di uomini e donne ponendo al centro della narrazione i suoi ricordi personali rispetto agli omicidi più efferati condotti da Cosa nostra. Nei sanguinosi fatti ricordati c’è il sequestro e la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo; l’omicidio di don Pino Puglisi; le stragi che hanno coinvolto i giudici Falcone e Borsellino con gli agenti delle scorte. E dove la memoria si fa debole, sopperiscono altre testimonianze. Come le interviste fatte ai componenti della DIA (la Direzione investigativa antimafia). La ricostruzione delle storie non è attinta dalle pagine dei giornali o dal web. Si avvale invece dei racconti di chi in quel momento era in prossimità dell’evento. Di chi ha guardato da vicino il male, per trasmetterne con verità la ferocia e l’efferatezza dei gesti. Andare vicino come fa Enia è fare memoria, non vuota liturgia. Lo spettatore rivive nella carne la paura e la nevrosi di quei momenti.

Nel teatro di narrazione di Enia, a vocazione pedagogica, la forma è significativa quanto il contenuto. Gli strumenti di trasmissione sono principalmente la voce – anche nella sua manifestazione più criptica del canto dialettale – e il corpo, che si muove a scatti e a urti come di chi è legato e cerca disperatamente di liberarsi. E soprattutto la musica, come amplificatore di emozioni, ma anche come impalcatura sulla quale posa la costruzione delle immagini. I movimenti melodici disegnano una terra, una cultura. Nel contrappunto, nel controcanto e nelle armonizzazioni di Giulio Barocchieri – compagno immancabile nelle avventure teatrali dell’autore siciliano – si basa la tecnica che dà il verso anche alla narrazione. Così un’armonizzazione in terza più alta o bassa fa emergere ribellione o descrivere arresa o sottomissione a un sistema la cui caratteristica inconfutabile è la ferocia. Il controcanto crea l’alternativa a un sistema illogico e bestiale. Singolare è il racconto dell’amicizia con il compagno di scuola Peppe Malato: un legame sano, puro, di fiducia che si contrappone all’infamia e alla corruzione mafiose. Le stesse voci di Falcone, Borsellino e don Puglisi sono state un controcanto.

Palermo ha saputo ascoltarle e farne tesoro. Sono passati tanti anni da allora e un testo come Autoritratto diventa necessario per tenere vivo il nuovo sentimento di rabbia che nacque in città dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Il volto della mafia è cambiato, “non spara più” si dice. Ma il grido di giustizia e resistenza deve continuare a tenere sveglio il bisogno di denuncia.

data di pubblicazione:30/05/2025


Il nostro voto:

«ANCORA QUA … EH GIÀ»

«ANCORA QUA … EH GIÀ»

presentazione della stagione 2025/26 del Teatro Quirino

(Teatro Quirino – Roma, 5 maggio 2025)

Mentre vanno in scena gli ultimi spettacoli di questa stagione, il Teatro Quirino di Roma ha presentato il nuovo cartellone 2025/26. Sono 20 i titoli in elenco, tra classici e nuove scritture si aggiungono spettacoli di successo che ritornano a soddisfare la richiesta del pubblico. Tanti gli artisti che si avvicenderanno sul palco di via delle Vergini, nel consueto incontro tra pubblico e addetti ai lavori, fulcro del fare teatro. Un teatro popolare e non elitario lo descrive Guglielmo Ferro, alla direzione artistica. Ed è proprio il Teatro Quirino come edificio a essere il protagonista di questa presentazione, aldilà delle questioni riguardo la vendita e il diritto di prelazione della Quirino s.r.l., al centro dell’attenzione mediatica nell’ultimo periodo, che pure hanno meritato un chiarimento. L’immagine scelta per accompagnare il calendario dei lavori teatrali mostra la sala in tutta la sua bellezza, vista dalla prima balconata del teatro. “Il Quirino è ancora qua” grida lo slogan ripetuto da Rosario Coppolino, direttore amministrativo della sala romana. Qua, dopo più di 150 anni dalla fondazione.

La stagione

Il regista Davide Sacco incornicia la stagione con due lavori tratti da Shakespeare. Apre con Titus – why don’t you stop the show. L’assoluta superficialità con cui i social mettono sullo stesso piano tragedia e commedia è l’oggetto della rivisitazione del Tito Andronico. Un’indagine sulla sopraffazione, l’inasprirsi della violenza e l’arroganza nelle relazioni umane con protagonisti Francesco Montanari e Marianella Bargilli (dal 30 settembre). Chiude invece dirigendo Emilio Solfrizzi con un testo più leggero, Falstaff – l’arte di farla franca (5-17 maggio). Del bardo inglese vedremo ancora il grande classico Sogno di una notte di mezza estate a novembre (11-16) con Melania Giglio diretta da Daniele Salvo, insieme a una giovane compagnia perfettamente bilingue a cui verrà chiesto di recitare sia in italiano che in inglese. La produzione è del Teatro Quirino in collaborazione con Bis Tremila.

Oltre ai già citati lavori, infatti, la Quirino srl produrrà altri tre spettacoli del cartellone. Dal 14 al 26 ottobre Cesare Bocci e Vittoria Belvedere saranno la coppia di Indovina chi viene a cena (regia di Guglielmo Ferro). L’adattamento di Mario Scaletta ha tolto qualche granello di polvere che si è posata sulla celebre pellicola del 1967 e assicura attualità e freschezza. In coproduzione con la francese Theatre des Bouffes Parisiens arriva per la prima volta in Italia a fine novembre La vedova scaltra di Carlo Goldoni (con Giulio Corso e Caterina Murino; regia di Giancarlo Marinelli). Mentre a febbraio (3-8) Piero Maccarinelli dirige Massimo Venturiello e Stefania Rocca in L’amore non lo vede nessuno, spettacolo tratto dall’ultimo romanzo di Giovanni Grasso.

Grandi autori classici

Oltre a Shakespeare, saranno in scena anche testi di altri grandi autori classici. Goldoni – già presente in elenco con La vedova scaltra – sarà affrontato in una versione contemporanea e divertente da Roberto Valerio ne Gli innamorati (24 febbraio/1 marzo). La sua regia ha per protagonista Claudio Casadio e un ricco cast di interpreti. Di Italo Svevo, invece, vedremo due lavori. Il primo è un ritorno. Alessandro Haber è Zeno Cosini de La coscienza di Zeno (regia di Paolo Valerio, 20-25 gennaio), mentre Nello Mascia e Roberta Caronia saranno protagonisti di uno degli ultimi lavori drammaturgici dello scrittore, La rigenerazione (10-15 febbraio, regia di Valerio Santoro). Di sicuro non poteva mancare Pirandello, che si accompagna al ritorno di due attori conterranei dello scrittore. Pippo Pattavina (Il piacere dell’onestà, 28 ottobre/9 novembre) e Enrico Guarnieri (Il berretto a sonagli, 17-22 marzo). E ovviamente i due Eduardo napoletani. Diretto da Leo Muscato, Gianfelice Imparato sarà Don Felice Sciosciammocca de Il medico dei pazzi di Scarpetta durante le feste natalizie, a cavallo fra il vecchio e il nuovo anno. Di De Filippo invece vedremo a marzo (24-29) La grande magia, la sua ultima commedia surreale (con Natalino Balasso e Michele Di Mauro; regia di Gabriele Russo). Nella rosa degli autori classici ci sarà anche Machiavelli con La Mandragola (7-19 aprile, regia di Guglielmo Ferro).

Altri ritorni

Torna sul palco del Quirino anche Silvio Orlando alla regia e interpretazione di La vita davanti a sé (9-21 dicembre). In tournée ormai da diverso tempo, l’attore ha egli stesso curato la riduzione teatrale del commovente e attualissimo romanzo di Romain Gary. È un ritorno anche quello di Nancy Brilli. Ce la ricordiamo nel 2019 nei panni di Teodolinda della divertente commedia di Jaja Fiastri A che servono gli uomini, e ora torna con un testo più impegnato. Il padrone di Gianni Clementi ci riporta alla Roma del 1956, quando gli ebrei del ghetto tornano a riprendersi le proprietà che anni prima, a causa delle leggi raziali del ’38, avevano intestato ad altri per non perderle (3-15 marzo; regia di Pierluigi Iorio). Infine, torna anche quest’anno Tullio Solenghi dopo il successo che ha riscosso la scorsa stagione, con Pignasecca e Pignaverde. Il secondo capitolo dell’avventura goviana è ancora un testo divertente, una sorta di Avaro di Moliere in salsa genovese, con protagonista appunto Solenghi da sé stesso definito non tanto imitatore quanto clone di Gilberto Govi. Adattato insieme a Margherita Rubino, sarà in scena dal 21 al 26 aprile.

Completano la stagione altri tre lavori. Il pubblico seguirà le indagini del Tenente Colombo – Analisi di un omicidio (18-23 novembre). Gianluca Ramazzotti sarà il detective trasandato e proletario creato dalla memorabile coppia di giallisti Richard Levinson e William Link. La regia è di Marcello Cotugno. Per la prima volta in Italia Fabio Marra (della francese Mat & Scene Productions) porta Insieme (27 gennaio/1 febbraio), la sua commedia già tradotta in 14 lingue e adattata al cinema, con protagonista Laura Morante. E infine Vanessa Gravina e Nicola Rignanese saranno i protagonisti di Pazza di Tom Topor (17-22 febbrario). Fabrizio Coniglio dirige il suo adattamento – ricontestualizzato per il pubblico italiano – che racconta l’orrore celato dietro la normalità nella vita di una donna, Claudia. Una donna che può essere tutte le donne.

Buon teatro a tutti!

data di pubblicazione:11/05/2025

COSÌ PER CASO scritto e diretto da Angelita Puliafito

COSÌ PER CASO scritto e diretto da Angelita Puliafito

con Valeria Mafera, Gloria Luce Chinellato, Alessandra Vagnoli, Manfredi Gelmetti e Paolo Andreotti

(Teatro Tordinona – Roma, 15 aprile 2025)

Esattamente ottanta anni fa, il 15 aprile, l’esercito delle forze alleate entrava nel campo di prigionia di Bergen-Belsen. Marta Ascoli veniva finalmente liberata dalla prigionia, insieme ad altre 60mila persone, vittime della follia nazista. Il racconto della deportazione e detenzione è scritto con parole essenziali ma potenti nel suo libro-testimonianza, Auschwitz è di tutti. Angelita Puliafito ne ha tratto nel 2014 lo spettacolo Così per caso e da allora non è passato un anno senza che sia andato in scena, soprattutto nelle scuole.

Ci sono voluti decenni prima che Marta Ascoli trovasse la forza di mettere per iscritto la storia della sua deportazione. Auschwitz è di tutti esce la prima volta nel 1998 (con Rizzoli è giunto alla seconda ristampa). La testimonianza è breve, detta con parole asciutte. Eppure spaventosa e terribile. Quello che è successo a lei e ad altri milioni di persone va ricordato perché nessuno dimentichi o, peggio ancora, nutra dei dubbi che sia realmente accaduto. Angelita Puliafito ha raccolto la testimonianza di Marta Ascoli e ne ha messo a punto la drammaturgia che affida a un gruppo di attori sinceramente commossi. Così per caso porta avanti la memoria della Shoah attraverso le parole di una dei sopravvissuti.

Trieste 1944. Le giornate tra Ida (Alessandra Vagnoli) e la giovane Marta (Gloria Luce Chinellato), madre e figlia, si svolgono tra i compiti di scuola e le faccende domestiche. Attendono che il padre e marito Giacomo (Manfredi Gelmetti) faccia ritorno a casa dal lavoro. Intanto, le notizie riferiscono di ebrei perseguitati. L’istinto è quello di pensare alla sicurezza della propria vita. Ma di lì a breve verranno catapultati a forza nella storia. La loro è una famiglia mista: il padre ebreo, la madre cattolica. L’ordinarietà delle cose viene improvvisamente interrotta. La sera del 19 marzo di quell’anno la famiglia viene arrestata e condotta nello Stammlager (in tedesco il campo dei prigionieri di guerra) della Risiera di San Sabba. Da qui transitarono migliaia di persone dirette poi a Buchenwald, Dachau. E naturalmente ad Auschwitz, dove venne deportata Marta insieme al papà Giacomo, che qui vi trovò la morte.

Sul forte contrasto tra la tranquillità del soggiorno di casa Ascoli e la tragedia del lager di Auschwitz si svolge il lavoro di messa in scena della Puliafito. I due ambienti sono mostrati in simultanea. Tutto accade in un eterno presente di luoghi e personaggi. La Marta adulta (Valeria Mafera) testimonia oltre il tempo con la sé da giovane. Appaiono insieme a tutti gli altri personaggi, congelati sul palco come fotografie o ricordi. Ognuno di loro è oggetto di un’indagine introspettiva da parte dell’autrice, che ne fa risaltare con profondo lirismo la solitudine e l’abbandono. La forma del monologo è preferita rispetto al dialogo, che appare solo all’inizio prima che la tragedia accada. Anche l’ufficiale delle SS (Paolo Andreotti) sarà colto nell’isolamento del suo delirio ariano.

Marta prigioniera prende coscienza dell’orrore. La ragazza si convince che per sbaglio è finita nel lager. Ed è per caso, poi, che si è salvata. Nel dicembre del ’44 viene trasferita al campo di Bergen-Belsen (lo stesso in cui trovò la morte Anna Frank). Un luogo dove i prigionieri venivano ammassati ad attendere la morte. Il 15 aprile del 1945 il campo veniva liberato e per Marta comincia la marcia di ritorno verso casa. È un periodo pieno di incubi. La forza di volontà, la fiducia negli esseri umani e l’ottimismo sono scomparsi.

La Marta adulta conduce ora una vita normale. Ha imparato a memoria in tedesco il numero tatuato sul braccio. Lo mostra senza imbarazzo perché a provare vergogna devono essere i suoi aguzzini, chi le ha causato tutto quel male, non lei. Su tutto una riflessione: pensi che le cose stiano accadendo altrove, lontano. Così per caso, invece, sono più vicine e possibili di quanto non si creda.

data di pubblicazione:03/05/2025


Il nostro voto:

QUESTA È CASA MIA di e con Alessandro Blasioli

QUESTA È CASA MIA di e con Alessandro Blasioli

(Centrale Preneste – Roma, 4 aprile 2025)

Da circa otto anni Alessandro Blasioli porta sui palcoscenici italiani il dramma delle famiglie colpite dal terremoto dell’Aquila il 6 aprile 2009. Il lavoro autoprodotto di cui è autore, interprete e regista – riconosciuto con ben 17 premi – punta l’attenzione sulle vicende che hanno reso difficile la ripresa dopo il sisma.

 

È una voce di denuncia quella di Alessandro Blasioli, legittimata dalla provenienza geografica delle sue origini teatine. Si fa portavoce di un dramma collettivo, di cui è stato testimone ancora giovane in prima persona. Il suo lavoro è una missione rivolta a mantenere vigile l’attenzione su una questione tutta italiana: la crisi abitativa delle famiglie aquilane colpite dal terremoto di sedici anni fa. Descrive attentamente la devastazione sociale e economica, dirette conseguenze della sciagura dovuta al sisma. I dati sono presi dalla cronaca. L’elenco riporta il numero delle vittime e quello dei nuclei familiari sfollati. La quantificazione dei danni al patrimonio artistico e storico – con la conta delle abitazioni non più agibili, da abbattere, da riparare o recuperare – fotografano con nitidezza e obiettività una realtà purtroppo ancora non del tutto risanata. L’incuria, il dedalo burocratico per la ricostruzione, lo sciacallaggio mediatico della politica (meno attenta invece alle concrete esigenze dei cittadini in sofferenza) sono solo una parte delle tematiche trattate. L’attore le sviluppa in una narrazione solitaria eppure affollata di tanti personaggi.

Paolo e Marco sono amici da sempre. Fin da bambini passano le estati al mare a Silvi Marina con le rispettive famiglie, felici tra feste popolari mangiando la tipica pizzonta. Ma l’estate del 2009 è diversa. Paolo è costretto a trasferirsi con i genitori Rocco e Piera in un hotel della costa. La loro casa è stata dichiarata momentaneamente inagibile, indicata con la lettera B. Nella scala che classifica i danni agli edifici si va da A, agibile, a F, che sta per “fregatura”, tutto da demolire. La madre è sotto psicofarmaci perché il terremoto agisce anche all’interno delle persone. Dalla stanza al decimo piano dell’albergo si vede il mare, scostando appena le tende damascate. Non è ancora stagione turistica, ma la visione dell’orizzonte attenua per un attimo lo sconforto. Consola anche chi è abituato a vivere tra le montagne. Con l’arrivo dei turisti la famiglia di Paolo è obbligata a farsi da parte. In fondo sono ospiti nella struttura, non clienti. Niente servizi per le famiglie aquilane. La situazione si complica, il senso di libertà viene meno. Vengono alloggiati nelle tendopoli dove vige un rigido regolamento dettato dalla Protezione civile e dall’Esercito. Così non rimane altro da fare che adoperarsi per riprendere ciò che la natura ha portato via e la lentezza della burocrazia stenta a riparare. Immota manet è la locuzione latina motto della città: rimane salda e determinata a ricostruire con le mani dei suoi abitanti ciò che è stato confinato nella zona rossa, oltre le recinzioni.

Alessandro Blasioli mescola nel racconto ricordi personali e drammi realmente vissuti dalla comunità del capoluogo abruzzese. Parla degli equilibri umani sconquassati dall’energia distruttiva del terremoto. La stessa che ha interrotto relazioni e tradizioni (l’amicizia tra Paolo e Marco si incrina, le processioni sono costrette a cambiare il loro tragitto secolare). Ha interiorizzato una tragedia accaduta a una cultura precisa fatta di sapori, dialetto, riti religiosi e canti folkloristici. Lo spettacolo è ricco di suggestioni scatenate dall’immediatezza della parola, ma anche da una spiccata capacità nell’imitare personaggi e parlate differenti, frutto di un’attenta osservazione del carattere popolaresco della regione. L’intercalare della lingua abruzzese ha presa sul pubblico. Ma soprattutto la musicalità è una sua peculiare caratteristica. La misura della battuta musicale conferisce ritmo alla recitazione e quando la musica è presente, come commento o parte della narrazione, è sempre veicolo di emozioni.

Una chiara lezione abbiamo imparato da questa catastrofe: bisogna fare prevenzione. Questo è ribadito da Alessandro Blasioli, che a commento del titolo aggiunge la frase del poeta latino Ovidio dolor hic tibi proderit olim (un giorno questo dolore ti sarà utile). Le ferite del passato possono essere davvero di aiuto solo se nel futuro si farà più attenzione.

data di pubblicazione:28/04/2025


Il nostro voto:

IL PICCOLO PRINCIPE … IN ARTE TOTÒ scritto e diretto da Antonio Grosso

IL PICCOLO PRINCIPE … IN ARTE TOTÒ scritto e diretto da Antonio Grosso

con Antonio Grosso e Antonello Pascale

(Teatro Cometa Off – Roma, 9/13 aprile 2025)

Torna in scena per il pubblico romano del Cometa Off Il piccolo principe … in arte Totò scritto e interpretato da Antonio Grosso, prodotto da La Bilancia e 3atro. L’attore ripercorre la vicenda umana di Antonio De Curtis prima del successo arrivato con il cinema negli anni Cinquanta.

 

Come un’equazione perfetta, Totò sta a Peppino De Filippo come Antonio Grosso sta ad Antonello Pascale. Necessari l’uno all’altro, ogni comico vuole la sua spalla. E se il paragone appare improprio o azzardato, basta andare a veder recitare la commedia di questi due attori per avere conferma che il miracolo dell’intesa (comica) si perpetua nelle nuove generazioni di artisti. Si divertono – assai! – loro e per osmosi la platea.

Divertimento e commozione. Perché la motivazione che spinge ad andare a teatro è anche un’altra. Altrettanto importante e forse più urgente: rendere omaggio alla memoria del Principe della risata. Onorare un attore famosissimo eppure poco ricordato. Passeggiando per Napoli si incontra il volto di Totò disegnato sui muri; una targa ricorda la sua casa natale in via Santa Maria Antesaecula, nel Rione Sanità. Eppure non c’è ancora un museo a lui dedicato, nonostante sia in piedi da decenni un progetto per realizzarlo. Lo spettacolo di Antonio Grosso è quindi un momento prezioso. Un gesto più che gradito e apprezzato. Non solo per Napoli, ma per tutto il pubblico italiano.

Il racconto si sofferma sugli episodi della vita di Totò partendo dalle umili origini fino alla consacrazione di critica e pubblico che lo vide acclamato finalmente anche nella sua Napoli. A scuola riceve involontariamente un pugno dal maestro che voleva insegnargli la boxe. L’incidente gli devia il setto nasale. Ma torna utile quando è il momento di decidere quali caratteristiche dare alla sua maschera. Debutta come attore nelle periodiche, ma sono prove deludenti. La somiglianza con il comico fantasista Gustavo De Marco è troppo evidente. Intanto si esercita con le imitazioni, ispirandosi ai personaggi osservati per strada (nasce così la celebre macchietta di Gagà).

Quindi la decisione di andare via da Napoli, arruolandosi come volontario per la guerra. Grazie alla simulazione di un attacco epilettico schiva il pericolo di andare al fronte in Francia. La difficile relazione con il caporale del reggimento è una scuola di vita e fonte di ispirazione. Da qui nasce l’espressione – e più tardi un film – Siamo uomini o caporali, contrapponendo l’abuso meschino di un superiore all’umiltà di un uomo perbene. E alla fine Roma, la città piena di opportunità. La gavetta nella compagnia di Umberto Capece, i primi contratti offerti dall’impresario Giuseppe Jovinelli. E così il successo e il ritorno a Napoli per la prova più grande: la conquista del pubblico che lo aveva fischiato da giovane.

Antonio Grosso recita senza chiudere il personaggio dentro i confini di una caricatura già vista. Le caratteristiche della comicità di Totò ci sono tutte, inconfondibili, ma non c’è imitazione. Semmai il ricordo della mimica e della gestualità, delle battute dette a raffica e dei giochi di parole. Antonello Pascale interpreta con perfezione da orologiaio tutti gli altri personaggi della storia.

La scena, curata da Marco Maria Della Vecchia, è semplice. Due altalene penzolano dalla graticcia. Una per lui e l’altra per Eduardo, la figura romanzata del cugino e confidente, sempre presente in ogni avventura di Totò. Mentre sono le luci di Giacomo Aziz a disegnare le tappe del complesso girovagare dell’artista. Repentine nei cambi, riflettono gli umori di una vita fra alti e bassi, difficoltà e successi. Come in una giornata di cielo sereno variabile, magari davanti al mare, a passeggio lungo il golfo della amatissima e bellissima Napoli.

data di pubblicazione 12/04/2025


Il nostro voto: