LA MARIA BRASCA di Giovanni Testori

LA MARIA BRASCA di Giovanni Testori

regia di Andrée Ruth Shammah, con Marina Rocco, Mariella Valentini, Luca Sandri e Filippo Lai

(Teatro Vascello – Roma, 21/26 maggio 2024)

A un anno dal debutto milanese arriva al teatro Vascello di Roma La Maria Brasca di Giovanni Testori. Marina Rocco veste i panni della calzettaia di Vialba nel riallestimento dello storico spettacolo firmato da Andrée Shammah per celebrare i cento anni dalla nascita dell’autore e cinquanta dalla fondazione del Teatro Franco Parenti di Milano.

  

Sanguigna e testarda al limite del capriccio, la Maria Brasca di Marina Rocco è uno scrigno di speranza e di freschezza tutta giovanile. Donna del popolo e della periferia, milanese senza dubbio, per cui il sacrificio e il lavoro sono una ragione quotidiana e inevitabile. Non ha dimenticato i sogni dell’adolescenza eppure ha già sviluppato una corazza resistente, in merito dell’esperienza della vita. Energica e sfrontata al punto da sfidare a testa alta il pregiudizio di chi le contesta di aver avuto troppi amanti e ora un fidanzato più giovane, senza un lavoro, che sembra non disprezzare la compagnia di altre donne a soddisfazione di uno spirito machista tipico della vecchia Italia del dopoguerra. Caparbia e risoluta come solo una lombarda può essere, alla fine ottiene il consenso di Romeo a sposarla, facendo terminare in commedia una storia che poteva benissimo dalle premesse avere un finale drammatico.

Anche Roma festeggia Giovanni Testori in occasione dei cento anni dalla nascita. Autore prolifico e complesso, subito dopo la guerra inizia a raccontare la periferia del capoluogo lombardo con I Segreti di Milano, una raccolta di romanzi e racconti in cui si inseriscono i due lavori per il teatro La Maria Brasca e L’Arialda. Alla fine degli anni Cinquanta viene invitato a scrivere un testo per il Piccolo di Strehler e Grassi da Mario Missiroli, alla sua prima regia ufficiale dopo il diploma alla Silvio D’Amico. La Maria Brasca entra nel cartellone del primo teatro stabile, da poco costituito come ente autonomo, tra le novità italiane che sappiano raccontare i cambiamenti del belpaese per la stagione 1959/60. Protagonista è Franca Valeri che proprio con un testo (oggi perduto) di Testori, La Caterina di Dio, ebbe il suo debutto teatrale anni prima quando ancora si faceva chiamare con il suo vero nome, Franca Norsa.

Le scene sono di Luciano Damiani e tra il pubblico è presente Adriana Asti, trentadue anni dopo chiamata a ricoprire il ruolo della Maria nella regia della Shammah nello storico teatro, il Franco Parenti, aperto dalla regista insieme all’attore Parenti e a Testori cinquant’anni fa. Un altro importante anniversario da festeggiare. L’edizione del 1992, come quella di Missiroli, viene seguita e apprezzata dall’autore, all’epoca ricoverato al San Raffaele dove sarebbe scomparso l’anno dopo.

Lo spettacolo ospitato al Vascello è quindi carico di storia e di ricordi. In embrione ci sono tutti gli elementi che Testori svilupperà nella produzione successiva. C’è l’esempio di una grande donna. C’è soprattutto la periferia milanese, laboriosa e indigente ma già proiettata verso la crescita e il benessere. Questa la Milano evocata dalla Shammah, a cui la regista aggiunge un pizzico di spensieratezza che dà colore alla scena. Il grigiore del muro di mattoni nel cortile del casermone nei pressi delle fabbriche viene allietato infatti da un’umanità vivace e autentica.

Al centro della scena disegnata da Gianmaurizio Fercioni (curata nel riallestimento da Albertino Accalai in collaborazione per i costumi con Simona Dondoni) si apre a saracinesca uno squarcio rettangolare che mostra la cucina dell’appartamento della famiglia Scotti, punto focale di tutta l’azione. È qui che vive Maria, ospite nella casa del cognato Angelo (Luca Sandri) e della sorella Enrica, una strepitosa Mariella Valentini. Le due sorelle sono una il contrario dell’altra. Mentre Maria è ferma nelle proprie convinzioni e sa guardare gli uomini in faccia, soprattutto il suo Romeo (Filippo Lai), Enrica è una donna remissiva, guidata da un forte spirito di abnegazione, dedita alla famiglia, per cui sacrifica tutto, e molto attenta al buon nome e alla reputazione. La maldicenza e il giudizio degli altri stanno infatti al centro dei litigi familiari. Ma per Maria sono come quelle foglie morte che si ammassano nel cortile del fabbricato e che uno spazzino può spazzare via con un colpo di scopa. La dignità è solo quella che riesce a toccare con mano quando è con il suo Romeo.

Manca dall’elenco dei personaggi solo la Giuseppa, che nel testo svolge il ruolo dell’amica e confidente della Brasca. La sua funzione drammaturgica viene però compiuta da una donna scelta a caso tra la platea alla quale la protagonista si rivolge come a una vecchia conoscenza, come fosse una compagna di fabbrica. A lei e al pubblico consegna tutta la sua felicità che sta nell’aver saputo realizzare i propri sogni, seguendo il suo solo istinto.

data di pubblicazione:26/05/2024


Il nostro voto:

INTERNO CAMERA di Paola Giglio

INTERNO CAMERA di Paola Giglio

regia di Marcella Favilla, con Paola Giglio e Matteo Prosperi

(Teatro Tor Bella Monaca – Roma, 9/11 maggio 2024)

Fotografia fedele e riuscita di una coppia ordinaria alla ricerca di un posto nella società. Marta e Pietro sfidano un mondo che gira troppo in fretta, trovando nella lentezza l’antidoto al veleno della frenesia. (foto di Giovanni Chiarot)

Avvicinarsi alla soglia dei trent’anni nel secondo decennio del nuovo millennio pone sfide di una difficoltà non trascurabile. Crisi finanziarie, pandemie, guerre e cambiamento climatico sono fattori che interessano tutti. Ma per la generazione dei millennials, a cui appartengono i protagonisti di Interno camera, diventano una barriera ulteriore che impedisce una costruzione serena e lineare della propria carriera e posizione sociale.

È stato in scena negli spazi del bellissimo teatro di Tor Bella Monaca lo spettacolo scritto da Paola Giglio nel 2019 durante un laboratorio guidato dalla drammaturga Lucia Calamaro, il progetto SCRITTURE, che vede protagonista l’autrice affiancata dal compagno di vita e di lavoro Matteo Prosperi, diretti da Marcella Favilla.

In scena sono Marta e Pietro, una coppia che vive in un grazioso ma disordinatissimo appartamento di città. La stanchezza non celata di Marta difronte all’impossibilità di realizzarsi come scrittrice di romanzi, che per sbarcare il lunario è costretta a formulare contenuti trash su un sito internet, e il blocco di Pietro, che non riesce a terminare la sua tesi di dottorato in filosofia e per vivere effettua consegne a domicilio, sono motivi di stallo e depressione. Sono il riflesso dettagliato della condizione di un’intera generazione. Se da un lato a chi ora si affaccia all’età adulta è stata concessa l’opportunità di potersi formare per la professione dei sogni, dall’altro gli si preclude la possibilità di poterla praticare. Lavori precari e mal pagati sono il necessario compromesso per sopravvivere. Per non parlare dello sviluppo tecnologico che ha reso tutto più veloce e inconsistente, ponendo gli individui attraverso i social in continua competizione tra di loro.

Il testo drammaturgico fotografa con precisione questa condizione che interessa tanti giovani di oggi, mutando la parte dialogica direttamente dal vissuto quotidiano. Per questo linguaggio e trama si svolgono in maniera naturale, senza forzature o incantesimi anche nel finale positivo. La tentazione di diventare dottrinale viene poi evitata con una sana, pragmatica ironia. Paola Giglio e Matteo Prosperi affiancano a questo testo così credibile una recitazione spontanea, al limite dell’improvvisazione e per questo istintiva, che cela un grande legame e un’alchimia che sul palco si manifestano in naturalezza di espressione e divertente complicità. Teneri quanto coinvolgenti e veri.

Paradossalmente per Marta e Pietro superare lo stallo, generato dall’ansia dell’essere sempre all’altezza delle aspettative sociali, significa riprendere a camminare. In senso metaforico ma anche fisico, soprattutto per Pietro che parte solo per un lungo viaggio nel quale avrà tutto il tempo per ritrovare sé stesso. Concedersi il lusso di rallentare per rimettere a posto pensieri e progetti è finalmente la soluzione. Una lezione utile, che ancora una volta viene dal teatro, per chi si trova impantanato nella stanchezza e nella mancanza di ispirazione.

data di pubblicazione:20/05/2024


Il nostro voto:

LE FIGLIE DEL RE di Flavia Gallo

LE FIGLIE DEL RE di Flavia Gallo

regia di Flavia Gallo e Chiara Cavalieri, con Giovanna Cappuccio, Chiara Cavalieri e Giorgia Serrao, voci fuori campo di Betti Pedrazzi e Giancarlo Porcacchia

(Teatrosophia – Roma, 9/12 maggio 2024)

Trasposizione moderna della leggenda di Cordelia e delle sorelle Goneril e Regan davanti alla spartizione del regno lasciato loro in eredità dal padre ormai vecchio. Un’analisi veritiera dei complicati e a volte soffocanti processi che regolano le relazioni familiari (foto di Agnese Carinci)

Solitamente si associa la figura di un tavolo all’unione di una famiglia. Ma se si tratta di un tavolo da gioco anziché da pranzo e attorno vi sono sedute tre sorelle, allora la simbologia di una serena aggregazione si distorce. Se poi si aggiunge a questo l’immagine di un tirannico padre anziano che convoca le proprie figlie per spartire l’eredità, seduto dietro la scrivania dove si riunisce il Consiglio di amministrazione della sua azienda, ecco che il quadro si tinge di tinte ancora più fosche. La partita che si gioca premierà chi tra le figlie saprà quantificare meglio con le parole il suo amore per il capofamiglia.

Ha debuttato al Teatrosophia di Roma Le figlie del re, il nuovo spettacolo della scrittrice e regista Flavia Gallo, prodotto da ARS 29 insieme a Humanitas Mundi teatro. Un eccellente lavoro di drammaturgia contemporanea che sa tradurre dalla classicità un materiale umano modellato per essere uno specchio autentico delle nostre paure e frustrazioni. L’antica leggenda dell’anziano re Lear, da cui attinse ispirazione anche Shakespeare, rivive sulla scena attraverso i personaggi delle figlie che mantengono i mitici nomi di Cordelia, Regan e Goneril. I ruoli sono affidati rispettivamente a Giovanna Cappuccio, Giorgia Serrao e Chiara Cavalieri, quest’ultima alla sua prima prova come regista in rispettosa sinergia con l’autrice. Non sembra esistere infatti una gerarchia nell’invenzione registica e drammaturgica. La parola e l’azione si rigenerano in continuazione. Il racconto scenico segue la parola che a sua volta suggerisce immagini e situazioni.

La vicenda è raccontata come se fosse una favola nera, di cui ne traccia l’evolversi la voce fuori campo calda e rassicurante di Betti Pedrazzi. La situazione che vediamo coglie il momento tragico della reazione delle figlie al meccanismo del potere scatenato dal padre, che non compare mai in scena. Bloccate nell’anticamera in prossimità del suo studio, attendono che questo le convochi. La sua presenza è evocata solo nella voce, prestata dall’attore Giancarlo Porcacchia, che canta un vecchio brano italiano. Fisico semmai è il terrore che genera nel cuore e nel corpo delle figlie, che si traduce in rigidità e tic nervosi. Le due maggiori, Goneril e Regan, sembrano difendersi meglio da questa opprimente figura paterna. Goneril è la figlia compiacente, che sa calcolare e controllare ogni strategia. Regan invece è quella irrequieta e ribelle. L’unica che fatica a trovare un posto è la piccola Cordelia, che cerca di custodire la relazione e la memoria del genitore, sfidando la condanna che ne danno le sorelle più grandi. È il solo personaggio a mantenere una capacità lucida di giudizio e ad arrivare al perdono, anche se nell’economia dello spettacolo andrebbe sviluppato meglio nelle motivazioni, magari in una ripresa futura del testo che ha un potenziale eccellente nella scrittura poetica e nel tenere conto della realtà che viviamo.

data di pubblicazione:12/05/2024


Il nostro voto:

 

ESTERINO di Marco Rinaldi

ESTERINO di Marco Rinaldi

regia di Paolo Vanacore, con Riccardo Bàrbera, Roberto D’Alessandro e Antonello Pascale

(Teatro 7 Off – Roma, 2/12 maggio 2024)

Esterino ha otto anni e parla nei sogni con il nonno defunto. Preoccupati, i genitori lo mandano in analisi dal dottor Bellachioma. Ma il medico è un cialtrone disonesto, preoccupato unicamente di spillare soldi ai propri clienti. Per fortuna Esterino è un bambino sveglio e non ha bisogno delle cure dell’inabile dottore. (foto di Manuela Giusto)

 

Cosa hanno in comune l’Austria e l’Italia? Nulla, se il terreno di confronto è la psicanalisi. I capisaldi della scienza che si prefigge di curare i disturbi della mente nata con Sigmund Freud vengono smontati dalle domande e dalle considerazioni di un bambino di soli otto anni in cura da un medico cialtrone. E la proverbiale sapienza popolare all’italiana, con la sua scanzonata praticità a cavarsela in ogni situazione, vince sopra ogni teoria.

Tenero e divertente racconto che pone al centro l’affetto di un nonno per il nipote preferito, Esterino è il nuovo lavoro del commediografo Marco Rinaldi in scena fino a domenica al Teatro 7 Off dove ha debuttato in prima assoluta lo scorso 2 maggio per la regia di Paolo Vanacore, prodotto da CMR Project Camera Musicale Romana.

Per il piccolo Esterino, nonno Lello è un punto di riferimento. Gli piace sedere accanto al nonno e ascoltare i suoi assurdi racconti di quando era cacciatore di prede in Africa, anche se alle giraffe e agli elefanti preferiva di gran lunga le donne. Quando muore però Esterino non rimane da solo perché il defunto nonno torna a trovarlo nei sogni. Allarmati dal fatto che queste apparizioni siano solo il frutto dell’immaginazione turbata del bambino, i genitori mandano il piccolo in analisi. Ma il dottor Bellachioma, psicanalista imbroglione, è preoccupato più per i soldi che per la salute dei suoi pazienti. Esterino non fatica a tenere testa con la sua semplice logica e con i consigli del nonno che continua a visitarlo nei sogni alle astruse e inconcludenti teorie del seducente dottore. E così, nella battaglia che alterna sogno e realtà, questa favola si chiude con la consapevolezza che nella vita per crescere occorre prendere le cose per come vengono. L’esperienza ci aiuterà a risolvere i problemi, non di certo la psicoanalisi che ne esce ammaccata e sminuita.

Nel dirigere questo spettacolo, Paolo Vanacore sceglie di raccontare la storia in modo coerente e chiaro sdoppiando i piani della recitazione oltre e aldiquà di un velo. Il mondo dei sogni rimane così separato dallo studio del dottor Bellachioma, con le sue immancabili poltrone da terapia (la scena è di Alessandro Chiti). Fanno da collante al susseguirsi delle scene le musiche originali composte da Alessandro Panatteri, che riflettono il fare scanzonato e burlone della commedia. Ottima la prova del trio Bàrbera-D’Alessandro-Pascale, la cui inventiva e esperienza sul palco salva una commedia altrimenti debole dal punto di vista dell’intreccio, che fonda il suo potenziale comico solo nel farsi beffe della psicologia.

data di pubblicazione:7/05/2024


Il nostro voto:

MARSHMALLOWS scritto e diretto da Angela Ciaburri

MARSHMALLOWS scritto e diretto da Angela Ciaburri

con Simone Corbisiero, Luca Filippi, Bianca Mastromonaco e Adele Piras

(Spazio Diamante – Roma, 2 maggio 2024)

In corso allo Spazio Diamante fino al 12 maggio il Festival inDivenire per la direzione artistica di Giampiero Cicciò. Il vincitore tra i progetti in gara vedrà la possibilità di produrre per intero lo spettacolo. Tra i lavori in programmazione è andato in scena Marshmallows di Angela Ciaburri, prodotto da Progetto Superficie.

  

Prende spunto da un piccolo incidente realmente accaduto alla scrittrice e regista Angela Ciaburri questo studio di trenta minuti andato in scena al Festival inDivenire allo Spazio Diamante. Una spina di pesce le rimase incastrata in gola e un’amica, per darle aiuto, le consigliò di ingoiare un marshmallow. La caramella soffice, dalle striature bianche e rosa, diventa sulla scena una soluzione metaforica a una situazione ben più spinosa.

Frank, Daisy, Adele e Jack vivono nello stesso appartamento. Daisy è la padrona di casa e percepisce l’affitto dai suoi coinquilini, ma vorrebbe vivere guadagnando come artista. Jack è un percussionista che si avventura di notte a caccia di uomini. Adele, allarmista e ipocondriaca, fa la scrittrice ed è fidanzata con Frank, l’unico ad aver accantonato il sogno di diventare un rapper per trovarsi un lavoro con il quale può realmente mantenersi. È impiegato infatti in una fabbrica di marshmallows come addetto al controllo qualità.

Appartengono tutti alla generazione Y, quella dei cosiddetti millennials nati tra la fine degli anni ottanta e prima del duemila. La storia – non priva di colpi di scena già nella prima mezz’ora – si snoda attraverso l’interazione di questi quattro individui, nella cui vicenda risuonano i difetti e le promesse non mantenute della società che li ha cresciuti. Vivono una dispercezione, come la chiamano loro, rispetto alla realtà. Una sorta di complesso che li rende schizofrenici, obbligandoli a ingoiare in continuazione bocconi amari. Da una parte proiettati al futuro con tutto il loro bagaglio formativo che gli è stato concesso di ottenere; dall’altra in guerra con sé stessi e con gli altri, impossibilitati a realizzare i propri sogni in una società che non ha saputo mantenere le promesse fatte.

Nel gioco al massacro creato da Angela Ciaburri, che da vera esperta del palcoscenico non lascia solo nessun personaggio, ognuno punta il dito contro l’altro. Anzi una torcia meglio che il dito, come nella coreografia di ombre e luci nella quale i quattro sono immersi dalla regista. Si muovono in uno spazio con pochi oggetti, ma funzionale, delimitato a terra da un quadrato luminoso, perimetro della stanza comune nell’appartamento condiviso.

Ma dentro o fuori dal quadrato magico, qual è la realtà?

data di pubblicazione:6/05/2024


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