LA SIGNORINA PAPILLON di Stefano Benni

LA SIGNORINA PAPILLON di Stefano Benni

con Valeria Monetti, Ludovica Di Donato, Mauro Conte e Piero Di Blasio, regia di Piero Di Blasio

(Teatro de’ Servi – Roma, 11/14 gennaio 2024)

La vita dell’ingenua e sognatrice Rose viene disturbata da tre figure che tentano di corromperla allontanandola dal suo giardino di rose e farfalle dove vive serena. Una spassosa analisi dei pericoli nascosti nella nostra società intercettati dalla penna arguta e ironica di Stefano Benni e portata di nuovo in scena dopo il successo della scorsa stagione da un eccezionale gruppo di attori, che fa del gioco teatrale lo scopo del suo divertimento.

 

 

 

A pensar male si sbaglia, ma spesso si indovina recita il famoso detto. Coniugato su La signorina Papillon di Stefano Benni in scena al teatro de’ Servi – tempio indiscusso della scena comica romana, gestito e diretto dalla società La Bilancia che ha prodotto lo spettacolo – si potrebbe affermare non bisogna fidarsi dei brutti sogni, ma un poco di verità la nascondono. Il sottotitolo della divertente e ancora attuale commedia – apparsa in stampa la prima volta venticinque anni fa per Feltrinelli – recita infatti Nel paese dei brutti sogni, dando avviso del pericolo che corre l’ingenua e pura Rose.

Nell’immaginario mondo ottocentesco creato dall’autore bolognese l’eroina, interpretata in scena da una formidabile Valeria Monetti, è immersa in un giardino alle porte della città di Parigi, tra finte rose e farfalle dipinte, pappagalli impagliati e abiti di raso dai colori sgargianti. Un mondo volutamente finto, che la recitazione di testa della Monetti rende ancora più artificioso e caricaturale. A turbare la tranquillità delle sue giornate arriva Armand – nella buffa interpretazione di Piero Di Blasio, anche regista dello spettacolo – un sergente rozzo e volgare membro di una loggia segreta, attaccato così tanto al potere da non aver timore di uccidere. A lui si unisce Millet (Mauro Conte), un poeta opportunista e menzognero dalle scarse doti artistiche che si finge giardiniere per introdursi nella proprietà dell’ignara Rose. E poi c’è Marie Luise, l’amica corruttrice e spregiudicata, pronta a tutto pur di essere notata, che brilla di esuberanza e comicità nell’interpretazione di Ludovica Di Donato. Insieme progettano di distruggere il fantastico mondo di Rose, ma il racconto si rivela essere solo un brutto sogno della protagonista. E il bello del fare un brutto sogno, dice l’autore, è proprio il fatto di essere svegliati così da interromperlo. Ma davvero era un brutto sogno?

Stefano Benni si conferma un autore ancora attuale, con la sua comicità fatta di dissacrazione e improvvise trovate esilaranti. Le sottili battute sono zavorre che si attaccano agli svolazzi romantici, facendo precipitare nella risata lo spettatore. Ma il merito lo condivide la compagnia e la regia di Piero Di Blasio, che ha saputo sfruttare le possibilità del testo che permette, anzi esige di essere attualizzato (trovano spazio battute sulle truffe legate ai panettoni e la pronuncia della parola facocero, oggetto di ricerca tra i linguisti di IG, nonché riferimenti ai motti fascisti tornati di moda). Uno spettacolo ancora fresco dove leggerezza e divertimento sono assicurati.

data di pubblicazione:15/01/2024


Il nostro voto:

LOVE AND MONEY di Dennis Kelly

LOVE AND MONEY di Dennis Kelly

regia di Saverio Giuseppe Paoletta, con Valentina Carrino e Saverio Giuseppe Paoletta

(Trend – Teatro Belli – Roma, 7/9 dicembre 2023)

David ha una nuova compagna dopo che sua moglie Jess si è tolta la vita a causa dei debiti accumulati per la sua folle mania di acquistare oggetti di ogni tipo. Un racconto frammentato che mostra la pericolosità delle regole legate al consumismo e sulla disperata ricerca di una felicità irraggiungibile. Un ulteriore sguardo sugli interrogativi che pone la società contemporanea indagati a Trend, la rassegna di drammaturgia inglese curata da Rodolfo di Giammarco al teatro Belli di Trastevere.

  

Un prologo fuori dal testo annuncia la tragedia che Dennis Kelly, autore di Love and Money, ha diviso in sette atti. Si prega di non applaudire tra un quadro e l’altro, per non perdere la concentrazione su un dramma che chiede sforzo e silenzio per essere seguito. Nella prima scena David (interpretato da Saverio Giuseppe Paoletta, anche regista e cofondatore dell’Associazione Universarte che cura la produzione dello spettacolo) scambia una serie di messaggi di posta elettronica con la sua nuova amante, Sandrine. Si è rifatto una vita dopo che sua moglie Jess (Valentina Carrino) è morta e ha comprato anche una nuova auto. Nelle email Sandrine gli chiede di parlare di come sia morta la donna e David, anche se non vorrebbe, alla fine concede il suo racconto. Si è suicidata e lui non ha fatto nulla per impedirlo. La scena successiva è nel cimitero dove è sepolta Jess. A vegliare sulla tomba ci sono i suoi genitori, catturati e infastiditi dalla sepoltura della donna a fianco che per sfarzo supera quella della figlia. Come se l’amore per una figlia possa essere definito da quello che si riesce a darle.

Un inaspettato salto narrativo trascina lo spettatore nel passato. Gli atti che seguono tenteranno di dare un’idea di come Jess sia arrivata alla morte. Ma la vicenda è ricostruita in modo frastagliato. David cerca di ottenere un lavoro con una paga migliore, mentre Jess è rinchiusa in un ospedale preda delle voci che le ronzano in testa e dell’ossessione per lo shopping che l’ha portata ad accumulare un debito inverosimile. L’ansia continua per i soldi è la protagonista. Divora tutto, anche l’amore, che si riduce a uno sterile atto assistenzialista. Così la vita di chi sta accanto sfugge e non si può fare nulla per riscattarla dal buio in cui viene inghiottita. Dello stesso buio e di vuoto è fatta la scena. La regia di Saverio Giuseppe Paoletta punta a mettere in risalto la parola del testo attraverso una messa in scena sobria, essenziale, che riduce al minimo i movimenti del gruppo di nove attori, insolitamente numeroso per gli spettacoli visti a Trend.

La legge che regola l’universo non è fatta di amore, ma di numeri e formule quantificabili come lo sono gli oggetti e i soldi. Il fine ultimo è la felicità, ma questa non si raggiunge per accumulo di cose. L’esito inevitabile è la disperazione e, come per Jess, il suicidio.

data di pubblicazione:10/12/2023


Il nostro voto:

GENTLY DOWN THE STREAM di Martin Sherman

GENTLY DOWN THE STREAM di Martin Sherman

regia di Piero Maccarinelli, con Massimo De Francovich, Francesco Bonomo e Pietro Giannini

(Trend – Teatro Belli – Roma, 2/3 dicembre 2023)

Tre omosessuali di tre epoche diverse. Due relazioni che si formano nell’arco di quindici anni. La storia di Beau, Rufus e Harry si inserisce nello spazio che la rassegna Trend. Nuove frontiere della scena britannica, in scena al teatro Belli e diretta da Rodolfo di Giammarco, dedica agli orientamenti arcobaleno.

 

Gently down the stream è un testo con un potenziale narrativo e teatrale affascinante, soprattutto se presentato da bravi e preparati attori come quelli voluti in scena dal regista Piero Maccarinelli. Si percepisce chiaramente il valore artistico che appartiene al lavoro del 2017 del drammaturgo e scrittore Martin Sherman (autore di Bent, la storia che racconta la persecuzione nazista contro gli omosessuali), realistico e attuale nonostante Maccarinelli abbia scelto di fare per la messa in scena una lettura agita, con gli attori che tengono tra le mani il copione. Una debolezza tuttavia compensata nell’impianto scenico, dove l’arredamento composto di sedie, tavoli, lampade e un divano crea l’ambientazione e fornisce dinamicità e movimento all’azione.

Massimo De Francovich è Beau, un anziano omosessuale americano con un passato da pianista di successo che ora vive a Londra. Siamo all’inizio del nuovo millennio e internet sta lentamente entrando nella vita delle persone. Incontra Rufus (Francesco Bonomo) su Gaydar, un sito di incontri per persone omosessuali antenato delle più moderne app per smartphone. Rufus è un avvocato che trova sexy e interessante tutto quello che viene dal passato. Sarà per questo che si innamora di Beau, di molti anni più vecchio di lui. Ma se per gli americani tutto deve avere un senso, non è così in Inghilterra. Rufus infatti trova interessanti gli uomini maturi perché hanno un passato da raccontare e Beau ha tante storie e molta esperienza da condividere. Intanto è stato il pianista di Mabel Mercer, le cui canzoni fanno da colonna sonora alla narrazione e che definisce un miscuglio di Harlem e Buckingham Palace per essere figlia di un musicista nero americano e una cantante inglese di music hall. Poi ha avuto tante storie e con queste tante ferite che lo hanno reso l’uomo disilluso, pragmatico ma ancora curioso che è oggi. Uno dei suoi vecchi compagni è morto di AIDS negli anni ’80; un altro è rimasto vittima dell’attacco incendiario al locale gay Upstairs Lounge di New Orleans nel 1973. Accetta allora di avere una relazione con Rufus, facendosi carico anche dei problemi del ragazzo. Rufus è bipolare e ha bisogno di cure e attenzione.

Il passare del tempo però trasforma i papà in nonni e allora qualcosa comincia a cambiare. Rufus si innamora a sua volta di un ragazzo più giovane di lui e lascia Beau per Harry (Pietro Giannini). L’abisso che separa il nuovo arrivato dal vecchio Beau è enorme. Per Harry, iperattivo e ansioso fino alla patologia, è normale pensare di unirsi civilmente e desiderare dei figli. Nel 2015 le cose sono cambiate, soprattutto in materia di diritti. Per Beau invece tutto questo suona quasi come uno scandalo, che De Francovich esprime con sincera incredulità. Il suo personaggio appartiene alla vecchia scuola.

La storia prosegue senza eccezionali colpi di scena. Rufus e Harry hanno una figlia. Beau approfondisce la conoscenza delle chat di incontro e parte per incontrare altri uomini a Sitges, meta spagnola molto popolare tra i gay. Prendendo spunto dal titolo della pièce, tutti e tre i personaggi alimentano ognuno a suo modo questo dolce e a volte accidentato ruscello che è la vita. Gently down the stream è una piacevole e divertente passeggiata che consigliamo di fare. Attenzione solo a non confondere nel giudizio le patologie dei personaggi con il loro orientamento sessuale.

data di pubblicazione:09/12/2023


Il nostro voto:

BELONGINGS di Morgan Lloyd Malcolm, regia di Jacopo Bezzi

BELONGINGS di Morgan Lloyd Malcolm, regia di Jacopo Bezzi

con Massimo Roberto Beato, Federica Quaranta, Stefano Guerrieri e Veronica Rivolta

(Trend – Teatro Belli – Roma, 27/29 novembre 2023)

Quando Deb rientra in Inghilterra dalla missione di pace in Afghanistan, dove è stata soldato, trova tutto cambiato. La nuova compagna del padre è Jo, una vecchia amica di Deb. Nessuno sembra capire il disagio che vive e anche lei fatica a capire l’attuale ordine delle cose. Intanto la sua mente torna al deserto e alla vita nell’esercito appena conclusa. (ph. Manuela Giusto)

 

Dal quartiere romano di Garbatella arriva sul palco del teatro Belli la Compagnia dei Masnadieri dello Spazio 18B. Jacopo Bezzi – direttore della compagnia insieme a Massimo Roberto Beato – è il regista di Belongings della drammaturga e scrittrice inglese Morgan Lloyd Malcolm, spettacolo inserito nella rassegna di drammaturgia contemporanea inglese Trend, giunta alla sua ventiduesima edizione sotto la direzione artistica di Rodolfo di Giammarco.

La giacca che indossa Federica Quaranta per il suo personaggio Deb non è esattamente della sua taglia, come non lo è la vita nella cittadina inglese da cui proviene e dove ora è tornata dopo un anno e mezzo di missione come soldato in Afghanistan. I pochi oggetti che ancora le appartengono sono chiusi in una sacca che si trascina dietro, mentre quello che era rimasto a casa nella sua cameretta è stato portato via per far posto al nuovo ufficio del padre Jim (Massimo Roberto Beato). Non è esattamente il padre comprensivo che ci si aspetta di trovare, anzi, è totalmente centrato sulla sua attività di gestione di siti pornografici e non coglie il dramma che vive la figlia. La casa non è più quella di prima, soprattutto dopo che la madre è scappata per andare a vivere da qualche parte in Grecia. Jim intanto si è rifatto una vita e ora sta con Jo (Veronica Rivolta), una vecchia compagna di scuola della figlia di cui Deb si scopre ancora innamorata. Jo è una donna frivola, di poco spessore, che si fa bastare quel poco che la vita le ha offerto: un compagno che non la rispetta, che la costringe a una squallida vita da casalinga, che si arrabbia se brucia le lasagne e che all’occorrenza la sfrutta per produrre video e foto per il suo sito. Di certo l’opposto di Deb, tanto che viene da chiedersi come possa essersi innamorata di lei. Gli ideali di Deb sono nobili e puri.

Il contrasto con quello che Deb trova in Inghilterra le provoca insofferenza. Nel profondo sogna di fuggire da tutto questo e lavare via lo sporco così come quando era nel deserto, quando una doccia fredda mandava via la polvere e la calura. I ricordi riaffiorano nella mente e la narrazione si intreccia ai momenti vissuti in missione. Le piaceva la vita nell’esercito, la faceva sentire orgogliosa, utile. Ma da donna doveva dimostrare qualcosa in più, soprattutto davanti a un commilitone come Sarko (Stefano Guerrieri) che la teneva in considerazione solo nella speranza di ricevere favori sessuali, ignorando e sminuendo il fatto che fosse lesbica.

Belongings apre una riflessione importante sul ruolo che alla donna affida la società in cui viviamo, ancora troppo maschilista e intrisa di pregiudizi di genere. Uno spettacolo che calza con il momento storico che viviamo, in cui la lotta all’eliminazione della violenza contro le donne è più che mai urgente.

data di pubblicazione:2/12/2023


Il nostro voto:

THE WAITING di Simon Bovey

THE WAITING di Simon Bovey

regia di Alessandro Di Murro, con Matteo Baronchelli, Jacopo Cinque, Alessio Esposito e Laura Pannia

(Trend – Teatro Belli – Roma, 23/26 novembre 2023)

Un gruppo di delinquenti aspetta che il loro capo arrivi per dare il via al prossimo colpo. Alla porta si presenta improvvisamente un giovane che fa nascere sospetti, gettando scompiglio nel gruppo. Un progressivo crescendo di tensione porta a un’inaspettata soluzione finale.

  

In The Waiting di Simon Bovey l’attesa di Bennett e Walker, due dei quattro componenti della banda di ladri in scena, comincia già prima che il pubblico faccia il suo ingresso in sala al teatro Belli di Trastevere, dove è in corso fino al 17 dicembre Trend. Nuove frontiere della scena britannica per la direzione di Rodolfo di Giammarco.

Una luce fredda taglia di traverso il palco, illuminando sinistramente i due attori. La luce che viene da fuori, dalla finestra, è invece calda, calma e rassicurante. Contrasta con un dentro caotico, dove una catasta indistinta e intrecciata di sedie prende tutta la lunghezza del proscenio, schiacciando la scena in uno spazio bidimensionale angusto, soffocante. Mentre Bennett (Matteo Baronchelli) gioca al solitario con le carte, prevedendo trappole nel gioco per arrivare alla vittoria, Walker (Alessio Esposito) se ne sta dall’altro lato della stanza solo ad ascoltare musica. Già qui si percepisce una certa intolleranza e incomunicabilità tra i personaggi, che si palesa quando entra Turner (Jacopo Cinque), il terzo storico componente della gang incaricato di rubare una macchina per fuggire via dopo il furto che stanno per compiere. Il bottino è ghiotto e servirà a cambiare le loro vite. Ma tra Walker e Turner ci sono antichi dissapori e la lite esplode, obbligando Bennett a mettersi in mezzo. In barba ai tre moschettieri, il loro motto è “tutti per uno, ognuno per sé”. Meglio fidarsi di sé stessi che degli altri.

Il colpo non si fa se non c’è Goodall – il capo della banda – a guidarli, ma lui non arriva e loro continuano ad aspettare ansiosi. Così quella che doveva essere una storia di azione si trasforma in un’assurda commedia beckettiana. Nella narrativa teatrale di Simon Bovey capita di partire da una situazione per poi trovarsi coinvolti in tutta un’altra storia (Testimony). E la situazione precipita quando a entrare dalla porta è Stone (Laura Pannia), un ragazzo inesperto di appena ventitré anni, già con una famiglia da campare sulle spalle, che vuole entrare a far parte dell’operazione. L’improvvisa apparizione genera scompiglio e incertezza, ma proprio attraverso i dialoghi serrati vengono palesate le motivazioni che spingono il gruppo a compiere azioni criminali. Lo scontro fa emergere la vera umanità dei personaggi e quella catasta di sedie, per un gioco che passa attraverso l’analisi, alla fine si sistema in un ordine regolare e armonico. Dopotutto il confronto con gli altri ci aiuta ad allargare la visione delle cose e ad allontanarci dalle nostre sterili convinzioni, molto spesso confuse e piatte.

La disfatta finale arriva quando una telefonata di Goodall avverte che il colpo è rimandato (una soffiata ha fatto spostare i soldi alla polizia). Il gruppo si riconosce come perdente, sconfitto. L’affare che salta uccide l’entusiasmo e la voglia di riscatto. Ma se questo colpo non va a segno, di certo la regia di Alessandro Di Murro centra il bersaglio con una messa in scena ben costruita, che sa inquadrare i personaggi nei caratteri senza trasformarli in caricature. Lo slang del criminale ancora prima che nel linguaggio (la traduzione è di Natalia di Giammarco) è nei movimenti e nel comportamento. La partita, tutt’altro che in solitaria, la vince l’intera squadra della Compagnia della Creta del teatro Basilica che vede, oltre ai già citati, Tommaso Emiliani (assistente alla regia), Michela Caccavallo (costumi), Bruna Sdao (direttrice organizzativa), Cristiano Demurtas (progetto grafico).

data di pubblicazione:2/12/2023


Il nostro voto: