da Paolo Talone | Nov 4, 2022
(Teatro Belli – Roma, 1/2 novembre 2022)
Un’attrice senza lavoro in cerca di una scrittura. L’occasione di avere una parte in una trasposizione teatrale del celebre Psycho di Hitchcock. Un regista morto ammazzato in circostanze misteriose. Questi gli ingredienti di Psychodrama (produzione Proprietà Commutativa), il lavoro andato in scena al teatro Belli per Trend, la rassegna sulla drammaturgia inglese contemporanea diretta da Rodolfo di Giammarco.
Il personaggio ironicamente psicotico a cui dà corpo e voce Valentina Virando vive blindato in un mondo tutto suo. Si muove in uno spazio asettico, immerso e isolato in una stanza completamente bianca. La donna che interpreta è un’attrice che non recita da diverso tempo per mancanza di proposte ed è costretta a mantenersi lavorando come commessa in un negozio di abbigliamento. Una condizione fin troppo comune oggigiorno per molte persone, costrette a fare i conti con una realtà che non coincide quasi mai con le aspettative e i desideri che si vorrebbero realizzare. È un individuo dall’eloquio caotico e frammentato appena guarito da un esaurimento nervoso, su cui sono evidenti i segni di una malattia che riguarda la nostra società disorganizzata.
La regia di Valerio Mieli coglie proprio l’aspetto psicotico e schizofrenico del personaggio quando sul muro bianco che fa da fondale alla scena appaiono proiettate sotto forma di allucinazioni le immagini dei luoghi dove la donna svolge la sua esistenza (le creazioni video sono di Giulio Cavallini), ma anche l’ombra di lei, nera e definita, che sdoppia la sua presenza in scena. Il testo drammaturgico è del 2021 e pur non parlando di pandemia ne traccia comunque quelle caratteristiche di disagio che hanno colpito molti lavoratori, in particolare nel mondo dello spettacolo. Valentina Virando ne è un’ottima interprete, mostrando di essere ben calibrata e creativa nella recitazione delle follie del personaggio e nella capacità di adattarsi ai suoni e alle immagini con cui la regia esprime la sua lettura.
Un giorno però il miracolo si compie. La sua agente la chiama al telefono per proporle un provino. In città è arrivato un famoso regista che sta lavorando a un adattamento teatrale di Psycho, il celebre film del 1960 diretto da Alfred Hitchcock. La ragazza si propone per il ruolo di Marion, la giovane segretaria che viene accoltellata nella doccia della celebre scena, ma dai particolari che emergono nel racconto – il regista viene ritrovato nel bagno della sua suite di albergo brutalmente ucciso – capiamo che il suo ruolo si rivelerà più simile a quello di Norman, l’assassino proprietario del motel degli orrori.
data di pubblicazione:04/11/2022
Il nostro voto: 
da Paolo Talone | Ott 30, 2022
(Teatro de’ Servi – Roma, 25 ottobre/6 novembre 2022)
Il sodalizio artistico di Tonino e Maria li porta a scalare lo Stivale in tutta la sua lunghezza e vastità partendo da Palermo. Agnese Fallongo e Tiziano Caputo ci prendono per mano e ci portano a visitare la nostra bella Italia, tra racconti e leggende, fino ad arrivare alle stelle.
Cos’altro si nasconde dentro quel baule delle meraviglie, quello scrigno pieno di storie e sogni, attrezzature, costumi e personaggi, che Agnese Fallongo e Tiziano Caputo si trascinano dietro sui palcoscenici italiani e non solo? Dopo Letizia va alla guerra e I Mezzalira ecco il terzo capitolo della trilogia che racconta i personaggi e i valori dell’Italia popolare e semplice del dopoguerra. … Fino alle stelle è uno spettacolo divertente e a lieto fine, pieno di musica e ricordi che riaffiorano alla nostra mente. Memoria di un passato che se non ci appartiene per una questione anagrafica, lo è per via del fatto che certe storie ci sono state raccontate.
In una calda estate palermitana degli anni ’50 Tonino, un cuntastorie che sbarca il lunario con la sua musica, incontra Maria per la prima volta al mercato della Vuccirìa. Tra i due nasce un’intesa artistica all’inizio, di sentimento più avanti. La ragazza ha una bellissima voce e si rivela essere la partner ideale per Tonino. L’idea è quella di fare una fuitina artistica e lasciare la Sicilia. Rincorrendo il successo percorrono tutta l’Italia per arrivare nella Roma delle trattorie e degli stornelli, dove sono tanti impresari, per poi proseguire oltre nel Nord del paese, che per due siciliani è praticamente l’estero. Tra litigi e gelosie, sorrisi e riappacificazioni, i due affrontano la fame e le difficoltà. La felicità non cade dal cielo – dicono – ma la si deve conquistare ogni giorno, anche a costo di passare per illusi. Insieme superano ragni e tarantelle, fughe e sparatorie, abbandoni e insulti di un pubblico non sempre benevolo per arrivare fino in America. La storia si snoda attraverso la musica, quella che viene dalle canzoni popolari di un’Italia di racconti e leggende. I testi dei brani più conosciuti si inseriscono all’interno del racconto rispecchiando sempre le caratteristiche e le vicende dei personaggi.
Lo spettacolo celebra l’amore che nasce tra i due personaggi tra le gioie e i dolori, dopo essersi più volte scannati e riconciliati. Ma celebra anche il sodalizio artistico sulla scena dei due attori romani, che chiamarli attori è riduttivo. Non pecchiamo di retorica se li definiamo artisti con la “a” maiuscola. La meraviglia che lascia incantati, con tutti i suoi ingegnosi artifici e le sue mascherate, proviene da quello che questi due talentuosi artisti riescono a fare sul palco. Non sono solo eccellenti nella recitazione e nel canto, ma provvedono da sé al cambio dei costumi, delle scene, all’accompagnamento musicale (Tiziano Caputo è un ottimo musicista e Agnese Fallongo un’eccellente cantante), offrendo così uno spettacolo completo dietro il quale c’è una profonda preparazione tecnica. Il tratto comico, mai volgare e sempre allegramente spiazzante, è solo un aspetto delle loro capacità. Una cosa è certa: quando due talenti di questa bravura si trovano, l’unione delle loro potenzialità non può che portare alle stelle. E le stelle sono ciò che per ora abbiamo trovato nel loro baule. Ma siamo certi che da lì sapranno tirare fuori tanta altra meraviglia.
data di pubblicazione:30/10/2022
Il nostro voto: 
da Paolo Talone | Ott 28, 2022
(Teatro Belli – Roma, 25/27 ottobre 2022)
Secondo appuntamento per la XXI edizione di “Trend. Nuove frontiere della scena britannica” al teatro Belli di Trastevere. The river di Jez Butterworth porta lo spettatore in una baita vicino a un fiume dove un uomo ama andare a pescare. È in cerca della trota di mare che solo per un momento ha tenuto per le mani e forse è in cerca della donna giusta, tra le tante che porta con sé nel suo nido nascosto.
Entrando in sala si è accolti dal suono dello sciabordio dell’acqua che scorre incessante nel fiume vicino alla baita. L’uomo interpretato da Alessandro Federico, anche regista dello spettacolo (produzione Proprietà Commutativa), sta approntando con meticolosa pazienza e in solitudine la sua attrezzatura da pesca. Gli stivali di gomma sono calzati, il gilet indossato, l’esca è fissata all’amo. Alle sue spalle entra una donna, la nuova fidanzata. Tra i due sembra esserci una bella intesa. Lei è romantica e arrendevole, curiosa di conoscere meglio quest’uomo che le ha permesso di entrare nel suo remoto rifugio. Lui le trasmette tutta l’eccitazione che prova nel pescare la trota di mare, nell’unica notte all’anno senza luna, quando fuori è così buio da non riuscire a vedere chi hai vicino e l’acqua prolifera di pesci. Ha ancora negli occhi il ricordo del primo pesce pescato, che tenne tra le mani il tempo di un battito di ciglia prima di vederlo sparire per sempre nell’acqua. Nella scena successiva lui è in preda al panico: la donna sembra essere sparita nel nulla durante la pesca notturna. Improvvisamente però riappare, ma è un’altra lei. Un’altra fidanzata, più vivace della prima, dai modi sensuali e provocanti. Al primo impatto sembra di essere davanti a un tradimento, ma gli indizi disseminati nel racconto portano verso una diversa interpretazione dei fatti. Nonostante lo spazio rimanga quello della tranquilla baita sulle rive del fiume, il tempo si blocca e si frantuma in una doppia storia. Le due donne appaiono e scompaiono nel susseguirsi delle scene, diventano quasi dei fantasmi della mente. Come loro probabilmente ce ne saranno state anche altre nella vita di quest’uomo. Il passato è un incubo che il presente non riesce a dimenticare. The river diventa così una metafora dal significato oscuro. L’immagine del fiume riflette il flusso continuo della ricerca senza sosta di un uomo condannato a non ritrovare più qualcosa che ha perso. La differenza caratteriale delle donne è la prova tangibile del fatto che non sa cosa cercare, così lontane tra loro per il mondo che rappresentano. Le due attrici, Silvia Aielli e Mariasole Mansutti, sanno definire in maniera impeccabile e chiara questo contrasto, ottime protagoniste insieme ad Alessandro Federico, che invece manifesta senza eccedere la sua mascolinità e insieme la malinconia di un uomo avvolto nei pensieri più cupi, quelli che capitano di avere quando si pratica uno sport in solitudine come la pesca. E così rimane solo, a vedersi scivolare via dalle mani un’altra trota, un altro tratto di questa misteriosa, insondabile vita.
data di pubblicazione:28/10/2022
Il nostro voto: 
da Paolo Talone | Ott 24, 2022
(Teatro Belli – Roma, 20/23 ottobre 2022)
Testimony di Simon Bovey inaugura la XXI edizione di Trend, la rassegna di spettacoli tratti dalla drammaturgia contemporanea inglese diretta da Rodolfo Di Giammarco, sostenuta dal Ministero della Cultura, dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma. Occhi puntati su questioni attuali della società in cui viviamo, che si rispecchiano nei 16 lavori teatrali in scena fino al 18 dicembre al teatro Belli di Trastevere
Una lampada a neon illumina il tavolo di una fredda stanza per interrogatori di un commissariato di polizia. Il caso a cui stanno lavorando l’ispettore Trent e sergente Harris vede la scomparsa di Kelly Anders, una ragazza di quattordici anni dagli occhi innocenti e i capelli mori. L’ultima volta è stata vista in compagnia di David Vincent all’uscita di un locale. I sospetti cadono inevitabilmente su di lui, anche perché ha un passato da criminale recidivo che l’ispettore Trent conosce molto bene. David Vincent si ritiene innocente e estraneo ai fatti, ma i modi violenti dell’ispettore, contestati dal sergente Harris poiché sfiorano l’abuso di potere, conducono l’indagato a confessare dei piccoli particolari che sembrano portare alla soluzione del caso. Estorcere una confessione con mezzi brutali solo perché si nutrono dei pregiudizi sulla persona indagata non è di certo professionale e non serve a risolvere il giallo. Così il dramma, con un sapiente gioco teatrale, sposta l’indagine dal fatto di cronaca alle motivazioni intime e psicologiche che spingono l’ispettore Trent a comportarsi con violenza nei confronti dell’imputato. La trama facilmente ascrivibile al filone delle serie TV che trattano di casi di cronaca nera si trasforma in un’indagine sottile della personalità dell’ispettore, che come ogni uomo cova mostri nell’ombra. Solo a teatro questa trasformazione è possibile, perché è il luogo deputato per affrontare questo tipo di analisi introspettiva. Le scene che si susseguono spingono lentamente lo spettatore in una morsa claustrofobica che mette la soluzione del caso in secondo piano. Alla fine chi dovrà deporre la sua confessione sarà proprio l’ispettore: l’indagatore diventerà il principale indagato.
La regia del giovane Armando Quaranta sa cogliere perfettamente questa trasformazione, con semplici ma significativi gesti che restituiscono una profonda comprensione dell’opera tradotta da Natalia Di Giammarco. Ogni personaggio ad esempio occupa nello spazio un punto ben preciso. Per questo quando l’ispettore va a sedersi sulla sedia dell’indiziato è facile capire che sarà lui a dover fornire una confessione. Ma il punto di forza è nel realismo della recitazione, reso ancora più estremo nella giusta scelta degli attori che per età e caratteristiche sono simili ai personaggi che interpretano. Maurizio Mario Pepe nei panni dell’ispettore Trent, Giulio Forges Davanzati in quelli di David Vincent e Jacopo Olmi Antinori in quelli del sergente Harris.
Testimony è uno spettacolo di qualità, che testimonia l’alto tenore dei lavori scelti per questa XXI edizione di Trend. Nuove frontiere della scena britannica. Prossimo appuntamento venerdì 25 ottobre con The river di Jez Butterworth.
data di pubblicazione:24/10/2022
Il nostro voto: 
da Paolo Talone | Ott 8, 2022
(Teatro Cometa Off – Roma, 1/9 ottobre 2022)
Debutta al Teatro Cometa off di Testaccio il Macbeth di Alessandro Sena. Una lettura personale e contemporanea del personaggio shakespeariano che per la sete di dominio, insieme alla moglie, perpetua una serie infinita di omicidi ai danni di chi minaccia la sua terribile ascesa al trono. Una visione che desidera farsi riflesso dell’umanità intera da oriente a occidente, con i suoi complessi meccanismi di conflitto e ambizione sfrenata di cui è preda.
All’inizio Macbeth è un eroe vittorioso. Il merito sta nell’aver sedato una rivolta contro il re Duncan insieme ai compagni Banquo e Macduff. Ma il destino dei re è quello di essere traditi, come lo fu Cesare pugnalato da chi più avrebbe dovuto amarlo. Così l’incontro con le Tre Streghe, sorelle fatali apparse sul cammino di Macbeth e Banquo, instilla nel valoroso condottiero il pensiero che un giorno otterrà anche il trono. Per farlo però dovrà uccidere a tradimento il sovrano ospite nella sua casa. Dubbioso se compiere l’assassinio o lasciare che il corso degli eventi lo porti a governare, viene spronato sulla strada della conquista dalla consorte. È Lady Macbeth a scavare nella coscienza del marito e a muovere la sua ambizione. Incastrato nel buio di una scena che rispecchia la notte dell’anima, in preda a una frenesia che lentamente fa breccia nella sua mente portandolo quasi alla pazzia, alimentata dalla presenza in scena oltre lo spazio concesso da Shakespeare delle Tre sorelle fatali – riflesso di una mente ottenebrata dall’avidità più che espressione del dato esoterico dell’opera – il misfatto si compie con un realismo che sgomenta, tanto che il corpo assassinato del re viene mostrato addirittura sulla scena. Ma il tradimento non si ferma con la morte del sovrano. Banquo, a cui le streghe avevano predetto che sarebbe stato padre di una stirpe regale, deve morire insieme ai suoi figli. Dunque anche l’amicizia verrà tradita e con essa ogni soluzione di pace e armonia tra gli uomini. Solo la volontà del giovane re Malcolm, assurto al trono dopo la sconfitta di Macbeth, stanco alla vista del male, metterà fine a questa catena di delitti e abbandonerà a terra la corona imbevuta di troppo sangue e dolore.
Il Macbeth di Alessandro Sena mantiene solo in parte la natura di tragedia dell’ambizione. Il dramma, tradotto e adattato dal regista romano, sposta la riflessione sull’ossessione per il potere e sulle dolorose ferite provocate dal tradimento, in un allestimento moderno, imperniato di un esplicito linguaggio simbolico, ma nella totalità fedele alla tradizione. Un lavoro visivamente coerente e ben pensato, messo in scena da una compagnia di attori di diversa esperienza e formazione, ma coesa nella realizzazione, tra cui spicca per intensa profondità di interpretazione l’attrice armena Marine Galstyan nel ruolo di Lady Macbeth. Menzione particolare poi per Stefano Antonucci nei panni regali di un saggio e distinto Duncan, che illumina il personaggio di quella giusta rettitudine esemplare che verrà drasticamente azzittita.
Il lavoro drammaturgico ridotto all’essenziale per numero di personaggi e scene salva l’ossatura originale della tragedia. Alessandro Sena poggia il piede su Shakespeare e insieme pesca nel fluire ininterrotto del fiume della creatività immagini e parole che arricchiscono la storia di armoniose interpolazioni fino a condurre la tragedia verso una catarsi inaspettata, che passa per il pentimento e il risveglio della coscienza. Il cuore ostaggio dell’odio alla fine si ravvede e implora quella bontà e quella gentilezza che Chaplin – citato alla fine della pièce con le parole che concludono il suo capolavoro Il grande dittatore – esalta più che l’abilità a compiere il male. La bellezza del mondo è quella di essere un luogo dove c’è posto per tutti.
data di pubblicazione:08/10/2022
Il nostro voto: 
Gli ultimi commenti…