FAHRENHEIT 451 di Ray Bradbury, a cura di lacasadargilla, regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni

FAHRENHEIT 451 di Ray Bradbury, a cura di lacasadargilla, regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni

(Teatro India – Roma, 2/3 settembre 2023)

Grande e intramontabile classico della letteratura di fantascienza, Fahrenheit 451 diventa uno spettacolo multimediale in forma di melologo nell’ambito del ricco programma di IF/INVASIONI (dal) FUTURO_DARK AGES*2023, progetto multidisciplinare accolto negli spazi del Teatro India, dedicato alle scritture e ai temi sempre più contemporanei della fantascienza. L’armoniosa architettura scenica fatta di musica, suoni e immagini sposa il testo che narra il declino di una società cupa e ingrigita, dove i libri sono banditi e bruciati per la loro presunta pericolosità e dove una crudele dittatura delle immagini ha soppiantato la capacità di pensiero degli esseri umani.

 

Due enormi quinte separano lo spazio scenico in due zone di azione, una dedicata alla lettura del testo l’altra a un gruppo di musicisti. La scena è livida, immersa in un’oscurità rischiarata appena dalle immagini proiettate sugli schermi di tela semitrasparenti che la dividono. Le luci di taglio che illuminano gli attori sul proscenio rendono ancora più inquietante l’atmosfera. La lettura procede rispettosa della struttura del romanzo, il lavoro non delude la curiosità del pubblico. Protagonista e narratore della vicenda è l’incendiario Montag, un vigile del fuoco che nel mondo creato da Ray Bradbury non ha più il compito di spegnere gli incendi, ma di appiccarli laddove ci siano ancora dei libri posseduti clandestinamente da qualcuno. La legge del Governo imperante considera un reato la lettura e un dovere carbonizzare la memoria. È soddisfatto del suo lavoro, ma l’incontro con Clarisse, una giovane ragazza fatta di sogni e poesia, e l’immagine dell’anziana donna che si lascia bruciare insieme alla sua casa suscitano in lui il dubbio che nei libri possa esserci qualcosa di davvero speciale. Sicuramente custodiscono la strada che porta alla libertà e al pensiero, attitudini che mancano ai personaggi che circondano Montag, in particolare la moglie Mildred, che trascorre il suo tempo inerte davanti a giganti televisori inghiottita dal vuoto di senso delle immagini trasmesse. Sarà lei a denunciare il marito e a scatenarne la fuga quando lui, con un gesto provocatorio e sovversivo, aprirà un libro per leggerne il contenuto.

La parte posteriore del palco accoglie un gruppo di musicisti, divisi in due sezioni. Pianoforte e vibrafono descrivono i momenti di maggiore lirismo (è seducente l’accompagnamento al brano My Heart’s in the Highlands cantato a più riprese dal personaggio di Clarisse), mentre le percussioni evocano tra suoni e rumori la catastrofe e la distruzione che si creano attorno e nella mente di Montag. L’ambiente sonoro si compone così di momenti contrastanti, che amplificano il senso del testo insieme al grumo di immagini proiettate, cariche di materia viva. Non c’è accenno a nessun futuro che è prossimo ad accadere, non si afferma nessuna teoria distopica. Semmai lo spettatore è portato in sintonia con i tempi a riflettere sul qui e ora di un presente che ha concesso alle immagini un potere assoluto e fagocitante, che ammette come unica volontà quella di apparire. Anche i costumi, che ben caratterizzano i personaggi, non prefigurano nessun avvenire ma costringono chi osserva a fare i conti con la realtà che lo circonda.

Nella fuga Montag oltrepassa il fiume e si imbatte in un gruppo di fuoriusciti dalla società, nomadi all’esterno ma biblioteche dentro. Hanno trovato il modo di ripetere a memoria i libri che hanno letto in passato. Intanto nell’aria c’è la minaccia di un conflitto, che si avverte imminente e catastrofico. Non si conoscono le parti che sono in guerra, né interessano i motivi che la scateneranno. La guerra è percepita tutt’al più come un crogiolo di purificazione, un’occasione concessa all’umanità per rinascere dalle ceneri dei propri errori, un po’ come la leggendaria Fenice. La differenza che passa però con l’uccello è che l’uomo conserva la capacità di rendersi conto delle colossali sciocchezze che ha commesso scongiurando di non ripeterle. Sempre che ci sia qualcosa come un libro, appunto, a ricordarglielo.

Lisa Ferlazzo Natoli collaborerà come regista negli appuntamenti domenicali al Teatro Argentina sulla divulgazione scientifica, in programma questo autunno per la prima edizione di Quando la scienza fa spettacolo: lo spazio. Incontri tra scienza e poesia in collaborazione con il Teatro di Roma.

data di pubblicazione:15/09/2023


Il nostro voto:

APPELSINPIKEN dal romanzo di Jostein Gaarder, performance teatrale ideata e diretta da Alessia Cristofanilli

APPELSINPIKEN dal romanzo di Jostein Gaarder, performance teatrale ideata e diretta da Alessia Cristofanilli

(Teatro di Documenti – Roma, 30 giugno 2023)

Georg aveva appena quattro anni quando il padre morì. In eredità gli lascia una lettera che il ragazzo leggerà solo molti anni dopo e nella quale è contenuta la sua storia d’amore con ragazza delle arance (Appelsinpiken in norvegese). Ma la lettera contiene anche una domanda: se avresti potuto scegliere, saresti venuto alla vita?

 

 

È andata in scena lo scorso venerdì 30 giugno in doppia replica, davanti a un totale di sessanta fortunati spettatori, la performance di teatro immersivo Appelsipiken. Chi era pronto a entrare per la replica serale ha visto uscire con il sorriso gli spettatori della recita del pomeriggio. È il segnale che misura la buona riuscita di un progetto. Lo spettacolo, basato sull’omonimo romanzo dell’autore norvegese Jostein Gaarder, è l’ultima creazione della talentuosa autrice e regista Alessia Cristofanilli insieme ai ragazzi che hanno partecipato a L’Atelier – Spazio aperto di ricerca teatrale. Il racconto della storia è frammentato in un percorso di sette tappe che si snoda all’interno del dedalo di spazi del Teatro di Documenti di Testaccio. Progettato e realizzato da Luciano Damiani alla fine degli anni ’80 e diretto da Carla Ceravolo dal 2007 (anno della scomparsa dello scenografo e regista di fama internazionale), il teatro di Documenti è infatti il luogo unico e ideale per dare vita a questo lavoro, con le sue sale, i corridoi, le scale e le botole che mettono in comunicazione più livelli scenici. Lo spazio impone una convivenza tra la scena, gli spettatori e gli attori, chiamati ad agire e a reagire tra loro attraverso un atto di completa fiducia. Lo spettatore, inghiottito da una piccola porta e condotto nel mondo di ricordi di Georg, è chiamato a essere parte attiva del racconto. Deve prendere delle decisioni, compiere delle scelte attingendo al suo bagaglio di memorie, ai suoi più intimi ricordi e lasciare così che la storia proceda nel suo svolgimento. L’esperienza, che sarebbe stata resa più fluida se le indicazioni del passaggio tra una tappa e l’altra fossero state inserite nel testo drammaturgico, è sia individuale che collettiva a cui ognuno è chiamato contribuire nel suo piccolo. La vita, ci dice il padre di Georg nella lettera, è come una caramella alla vaniglia: possiamo scegliere di mangiarla o lasciarla incartata. A noi la scelta di consumarla fino alla fine, con le sue trappole e le sue gioie, oppure no.

Alessia Cristofanilli piega sapientemente lo spazio alla sua immaginazione e da questo ne è certamente ispirata, arrivando a toccare punti di commovente poesia. Ne deriva una sensazione di libertà e di possibilità creativa che altrove sarebbe quasi impossibile raggiungere. Alla sua creazione ha partecipato anche il gruppo di attori non professionisti protagonista sulla scena. Seri e impegnati nell’esperimento Luca Argenta, Brunella Bonetti, Daniela Cavarra, Giulio Condogni, Maria Chiara Guarino e Giulia Zaccardelli, sono stati doppiamente messi alla prova non solo per aver recitato davanti a un pubblico, ma tra e con il pubblico, privati della difesa della quarta parete. A loro il nostro applauso per essere stati capaci di coinvolgerci e farci apprezzare la storia che ci hanno raccontato.

data di pubblicazione:03/07/2023


Il nostro voto:

 

PROSIT! Nuove drammaturgie per un nuovo teatro

PROSIT! Nuove drammaturgie per un nuovo teatro

(Altrove Teatro Studio – Roma, 30 aprile 2023)

Fatmachine di Matteo Francomano vince la seconda edizione di PROSIT!, il concorso ideato dall’Altrove Teatro Studio. Uno spazio creativo che premia le giovani compagnie emergenti del teatro italiano, ideato e curato da due tenaci e carismatici artisti, Ottavia Bianchi e Giorgio Latini.

 

Anzitutto l’Altrove Teatro Studio di via Giorgio Scalia 53 a Roma è un luogo dove l’entusiasmo creativo e la seria formazione sono messi al primo posto. Un luogo dove il teatro è mestiere, preparazione, ubertosa passione, azzardo. E se anche registrasse l’esito del fallimento (perché questo è il rischio che si corre a volte quando si affronta un percorso contemporaneo di drammaturgie e messe in scena) il merito rimane comunque quello di vedere la prova come un atto di coraggio e quindi come una vittoria già perseguita.

Percorrendo la rampa in discesa che porta al cortile dove si affacciano le sale dell’Associazione di promozione sociale “I pensieri dell’Altrove”, fondata e diretta dal 2012 da Ottavia Bianchi e Giorgio Latini, si respira già un’aria elettrizzante di attesa e curiosità. Non scoraggia la pioggia che la sera di domenica 30 aprile cade incessante come fosse novembre. La serata in programma chiude il cartellone di questa stagione.

Sul palco sono stati presentati quattro corti teatrali, della durata di poco più di dieci minuti l’uno, scelti tra tutti i lavori inviati al teatro da quelle compagnie emergenti nella scena italiana che hanno voluto confrontarsi con il genere della prosa. Il vincitore è stato decretato da una giuria di esperti insieme a un pubblico giovanissimo presente in sala, chiamati a esprimere la propria preferenza su una scheda di valutazione che poi è stata consegnata allo staff del teatro. Patrizia Ciabatta ha presentato con simpatica e trascinante energia la serata.

Tra i lavori proposti la menzione come miglior testo è andata a Tre giorni di Federico Malvaldi, che affronta con nero umorismo il delicato tema della malattia e delle complesse relazioni che si stabiliscono tra chi assiste e chi è assistito. Silvia Rossetti è invece l’autrice di La danza delle api, dove il mondo degli adulti e quello dei ragazzi è messo a confronto nello studio di una psicologa che indaga le ragioni dell’autolesionismo di Minerva, la sua giovane paziente. Matteo Santinelli trascina lo spettatore nell’atmosfera inquietante dei bagni di una scuola dove una ragazza cerca di dissuadere due studenti dal preparare un attentato; Giganti piccoli piccoli riflette un tema attuale, che riporta alla mente le tristi notizie fin troppo frequenti delle sparatorie che colpiscono le scuole americane.

A vincere il premio del pubblico e della giuria come miglior testo e messa in scena è stato però Fatmachine del giovane attore e autore palermitano (classe 1992) Matteo Francomano. Il monologo, portato in scena da Eleonora Bernazza, tratta con coinvolgente ironia e sicura intelligenza teatrale l’obesità di Gigi, costretto a sfidare l’impossibile – soprattutto estenuanti sedute in palestra – per entrare, anche fisicamente, in un mondo che forse sta stretto un po’ a tutti. Il premio vinto da Francomano è ricco poiché somma il gradimento della giuria e del pubblico. Lo vedremo debuttare quindi nella prossima stagione teatrale dell’Altrove Teatro Studio 2023/2024.

Quando ci si prefissa di rappresentare la realtà nelle sue molteplici angolazioni il traguardo si raggiunge sempre. E il teatro, si sa, è quel luogo dove le storie prendono corpo. Le storie che ci raccontano chi siamo e che ci indicano dove siamo diretti.

data di pubblicazione:05/05/2023

COSÌ È (SE VI PARE) di Luigi Pirandello, con Milena Vukotic, Pino Micol e Gianluca Ferrato, regia di Geppy Gleijeses

COSÌ È (SE VI PARE) di Luigi Pirandello, con Milena Vukotic, Pino Micol e Gianluca Ferrato, regia di Geppy Gleijeses

(Teatro Quirino – Roma, 11/23 aprile 2023)

Parabola pirandelliana sulla relatività della verità. Lo strano comportamento del Signor Ponza, che tiene segregate la moglie e la suocera, la Signora Flora, in due appartamenti separati, desta la ridicola e invadente curiosità di un gruppo di borghesi di provincia.

  

Se un pittore ha bisogno di una tela bianca per cominciare la sua opera, per un uomo di teatro basta un palcoscenico spoglio di scene e luci per dar vita a uno spettacolo.

Così dalla fantasia del regista Geppy Gleijeses – voce fuori campo alter ego dell’autore siciliano – fa la sua apparizione un gruppo di figurine minuscole, fiammelle guizzanti nel buio pesto della scena, in forma di ologramma (finzione nella finzione) nella creazione video dell’artista Michelangelo Bastiani, prima che i veri attori facciano il loro ingresso sul palco. Sono presi a disquisire sui fatti che riguardano il nuovo impiegato della Prefettura, il Signor Ponza. Li anima il pettegolezzo e il malsano desiderio di sapere perché l’uomo tiene separate – secondo loro ingiustamente – la moglie e la suocera in due diverse abitazioni senza permettere alle donne di incontrarsi.

Soperchierie accusa Laudisi, unica coscienza a distaccarsi dalla tracotanza e dalla sopraffazione che tutti hanno nei confronti dei nuovi arrivati in paese. Soperchierie inutili e dannose perché già sa che la verità non si può catturare, non si può definire. Non può far altro che ridere di cuore e consapevolmente, nella azzeccata interpretazione di Pino Micol (divertito burlatore), del manipolo di curiosi. Loro sì, inconsapevoli di essere fonte di riso – un po’ come lo siamo noi che assistiamo al dramma, vogliosi di vedere come va a finire. Gleijeses esaspera fino alla caricatura la ridicola, indiscreta, pettegola e maligna curiosità del popolino travolto dalle conferme e dalle smentite dei poveri inquisiti tanto da creare un netto e interessante contrasto – soprattutto recitativo – con i personaggi seri del dramma: la Signora Flora (Milena Vukotic) e il Signor Ponza (Gianluca Ferrato). È in questo contrasto (visibile ancora negli splendidi costumi primo Novecento di Chiara Donato) che spicca per maturità artistica e profondità umana la commovente Signora Flora di Milena Vukotic, già diretta qualche anno fa dal regista in Le sorelle Materassi. Tanto fragile in apparenza e voce quanto potente, intensa e emozionante nella parte. I monologhi della Vukotic e di Ferrato sono inoltre sospesi sul vertiginoso tappeto musicale creato da Teho Teardo che ne sottolinea la criticità, come se le parole camminassero tenendosi faticosamente in equilibrio tra una visione e l’altra della verità.

Quando si accendono le luci il buio della prima scena, che sottendeva a un’attesa creativa, lascia il posto a un altro tipo di buio, all’incubo. L’atmosfera è livida, crepuscolare, soffocante, riempita da Roberto Crea di superfici riflettenti che giocano la doppia funzione di specchi e insieme di vetri da dietro i quali appaiono o vengono inghiottite figure. Una metafora della verità che ha la capacità di moltiplicarsi in tanti punti di vista secondo quante sono le persone che la interpretano. Ma anche impalpabile, come una figura che appare dietro la trasparenza di un vetro. Si può vedere, ma non si può catturare. Ci si può avvicinare, ma non se ne carpirà mai fino in fondo il vero significato. “Io sono colei che mi si crede” dirà la signora Ponza quando finalmente apparirà in scena, anche lei moltiplicata nelle innumerevoli visioni di una verità inafferrabile.

data di pubblicazione:16/04/2023


Il nostro voto:

SCRIVI SEMPRE A MEZZANOTTE. AN ANDROGYNUS MIND, con Iaia Forte e Annalisa Canfora, a cura di Elena Munafò

SCRIVI SEMPRE A MEZZANOTTE. AN ANDROGYNUS MIND, con Iaia Forte e Annalisa Canfora, a cura di Elena Munafò

(OFF/OFF Theatre – Roma, 4/6 aprile 2023)

Una storia d’amore e di amicizia raccontata attraverso uno scambio infinito di lettere. La relazione delle scrittrici Virginia Woolf e Vita Sackville-West in dialogo con le immagini tratte dall’antologia pittorica di Paola Gandolfi al teatro OFF/OFF di via Giulia.

Sorprende sempre la capacità del teatro di far dialogare con coerenza prodotti culturali e artistici nati in contesti e con finalità del tutto differenti. Nuovi significati si producono, sopiti aspetti conquistano la ribalta, inaspettate angolature mostrano altre bellezze. L’opera ne guadagna.

Così Scrivi sempre a mezzanotte. An androgynus mind mette insieme sulla scena brani tratti dalla corrispondenza tra Virginia Woolf e Vita Sackville-West letti dalle attrici Iaia Forte e Annalisa Canfora con la proiezione a tutto sfondo delle opere pittoriche dell’artista romana Paola Gandolfi. La regia di Elena Munafò propone una lettura agita delle pagine più salienti e intense scelte tra le 136 lettere presenti nel volume edito da Donzelli (2019) – sempre a cura della Munafò per la traduzione di Sara De Simone e Nadia Fusini – a loro volta selezionate dal ricco carteggio di più di cinquecento missive che le due scrittrici, amiche e amanti si scambiarono ininterrottamente a partire dagli anni ’20 dello scorso secolo fino a pochi giorni prima del suicidio di Virginia Woolf alla fine di marzo del 1941.

Una tipologia di testi non destinati alla scena, ma a una fruizione intima, privata, esclusiva e fortemente contestualizzata. Come i dipinti di Paola Gandolfi – selezionati in buon numero dai lavori svolti dalla pittrice in oltre quarant’anni di attività – che di certo non erano nati per diventare scene teatrali, ma per raccontare la poetica tutta declinata al femminile dell’artista, le sue riflessioni intorno al corpo della donna, raffigurato a brani, quindi a pezzi, su sfondi monocromatici di colori caldi e luminosi.

Le immagini surreali di Paola Gandolfi mostrano teste di donna, braccia, seni, gambe, ventri e sessi. Galleggiano come elementi isolati in attesa di ricongiungersi in una sorta di brodo primordiale, che è lo sfondo non solo dei dipinti, ma anche delle due attrici sul palco. Virginia e Vita attendono di ricongiungersi anche loro, di rivedersi. Nel frattempo, da lontano, senza mai incontrarsi, si scrivono lunghe e appassionate lettere. Lottano contro la solitudine e la mancanza l’una dell’altra, aspetti questi amplificati dalle immagini dietro di loro. Raccontano le loro giornate, gli impegni che le tengono occupate. Esprimono il bisogno di incontrarsi ancora e magari di poter viaggiare insieme in posti lontani solo loro due.

Sulla scena Iaia Forte è una sensuale, tenera e a tratti capricciosa e ironica Virginia Woolf. Ne marca la calda femminilità, fatta di desiderio e attenzione, in attesa spasmodica di un cenno dall’amata. Gelosa quasi fino alla pazzia. Annalisa Canfora invece impersona una Vita Sackville-West più indipendente e emarginata, che sa viaggiare per il mondo da sola (non si fanno accenni al fatto che era sposata con un diplomatico del governo britannico), di aspetto androgino e di temperamento dominatore. I costumi di Allegra Pallotti aiutano molto a definire i personaggi, per uno spettacolo alla fine coerente nelle parti che lo compongono e chiaro per il messaggio che vuole lanciare. L’universo femminile è un luogo di bellezza e profondità al quale ci si deve avvicinare senza pregiudizi e stereotipi. È un campo sterminato nel quale si può riposare e guardare le cose con leggerezza. Dice Virginia a Vita: “Era molto bella la lettera che hai scritto alla luce delle stelle a mezzanotte. Scrivi sempre a quell’ora, perché il tuo cuore ha bisogno del chiaro di luna per liquefarsi.”

data di pubblicazione: 08/04/2023


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