ERODIADE di Giovanni Testori

ERODIADE di Giovanni Testori

con Francesca Benedetti, regia di Marco Carniti, assistente alla regia Francesco Lonano, musiche di David Barittoni

(Teatro Basilica – Roma, 21 febbraio 2024)

Serata unica al teatro Basilica per Erodiade di Giovanni Testori. Nella lunga scia degli eventi di celebrazione per i cento anni dalla nascita dell’autore milanese, Francesca Benedetti porta in scena uno dei personaggi più potenti del teatro testoriano. La regina divorata da un amore impossibile per il profeta Giovanni Battista, di cui arriva a chiedere la testa.

 

Avanza lentamente dal fondo del teatro Francesca Benedetti. Prima ancora di vedere la sua figura di regina si ode la sua voce, vera protagonista di questa nuova messa in scena dell’ Erodiade di Giovanni Testori. È una voce del passato, profonda e scura, piena di graffi e cicatrici, resa ancora più suggestiva dalla straordinaria architettura di mattoni romani del teatro Basilica. Un’antologia di suoni che il tempo non ha dissipato, bensì amplificato. Parla una lingua sconosciuta, inventata, appartenuta a una delle tante Erodiadi venute fuori dalla mente creativa dello scrittore di Novate. È la lingua di quella Erodiàs apparsa nell’ultima trilogia teatrale scritta poco prima della morte del drammaturgo.

Per uno strano errore, che aggiunge particolare significato all’evento, sul biglietto di ingresso è scritto Erodiadi, al plurale. E di molti Erodiadi si deve parlare ascoltando il testo riadattato da Marco Carniti per una delle attrici che sono la storia del teatro italiano. E di quello testoriano in particolare. Memorabile è l’interpretazione della Benedetti nel ruolo de la Ledi nella primissima edizione del Macbetto al Salone Pier Lombardo di Milano – oggi teatro Franco Parenti – nel 1974. L’attrice e lo scrittore erano legati da una profonda amicizia, testimoniata anche negli scatti (rintracciabili nel web) di Carla Cerati.

Il dramma di Erodiade è destinato quindi a essere rimaneggiato nel tempo e nelle epoche che si susseguono. Questa versione non è esente dalla riscrittura. Il testo è un compendio delle edizioni precedenti, riprese e frantumate, arricchite di nuove immagini. Spetasciate, per usare un termine testoriano. Scucito e ricucito con il filo della voce di Francesca Benedetti, che poi un filo non è.

Ritorna il trono della prima versione del 1969, scomparso nella storica messa in scena del 1983, per la regia dello stesso Testori con protagonista Adriana Innocenti. Un trono ammantato di rosso, chiaro richiamo al sangue versato per l’atto della decollazione del Battista. Rosso è anche l’abito dell’eroina tragica, che rivendica con forza il suo potere di donna e di regina, seduta in atteggiamento imperante, ancora vagamente sensuale. Osserva con gli occhi sbarrati, testimoni di un incubo interiore, il bacile che raccoglie i brandelli filamentosi della testa del profeta. Proprio questa è l’altra protagonista del racconto. Alle spalle dell’attrice appaiono proiettati i disegni delle teste del Battista che l’autore, anche pittore, realizzò nel 1969 durante la prima stesura del dramma. Diventano materiale drammaturgico, la cui sequenza scandisce i tempi della narrazione, fungendo da deuteragonista all’eroina sola sulla scena.

Nello svolgersi della tragedia, Erodiade arriva nell’aldilà, carica del peso del suo dramma umano. Il dolore che vive è cosa vera, non recitata. Non ci sono cieli o dèi ad accogliere la sua ombra, ma solo il niente e la bestemmia dell’indifferenza umana. La prigione vuota – come disse Carlo Bo – della nostra orrenda insensibilità.

data di pubblicazione:24/02/2024


Il nostro voto:

OTELLO da William Shakespeare

OTELLO da William Shakespeare

traduzione e drammaturgia di Letizia Russo, regia di Andrea Baracco, con Valentina Acca, Flaminia Cuzzoli, Francesca Farcomeni, Federica Fracassi, Federica Fresco, Ilaria Genatiempo, Viola Marietti, Cristiana Tramparulo

(Teatro Quirino – Roma, 6/11 febbraio 2024)

Arriva finalmente a Roma dopo più di un anno dal debutto l’Otello prodotto dal Teatro stabile dell’Umbria che vede in scena un cast eccezionale di sole donne. Il regista Andrea Baracco e la drammaturga Letizia Russo trasformano il testo scespiriano in una tragedia universale. Iago condurrà Otello a una folle disperazione e per gelosia ucciderà l’amata Desdemona. (ph. Gianluca Pantaleo)

 

Non è l’Otello che ci aspettiamo di vedere, afferma nel prologo fuori dal testo Federica Fracassi, l’attrice che a breve entrerà nel ruolo di Iago. E forse non ne vedremo un altro così. Coinvolgente e vero, come sono vere le emozioni che guidano l’istinto umano. Ambientato in uno spazio e in un luogo indefiniti per vocazione a voler essere un dramma universale. Dramma della gelosia, certamente. Ma dramma soprattutto della parola che sa trasformare la realtà che vediamo. A teatro tutto è finto e Iago dimostrerà come dalla falsità può emergere una strana verità.

Nella gerarchia dei poteri, Iago occupa lo scalino più basso. Ha davanti a sé la perfezione di Otello, stimato generale e felice amante ricambiato. Per invidia – o forse perché è puro male – sente la necessità di distruggere l’armonia dalla quale è escluso. E ci riesce, non solo per obbligo di tragedia. È puro male, è vero. Eppure nel teorema espresso dalla nuova traduzione, che aggiunge poesia a poesia pur nella riduzione del testo con una regia attenta a porre il giusto accento alle scene chiave, Iago è anche colui che porterà Otello a scoprire la realtà della natura di cui è fatto e che lo porterà a uccidere Desdemona. Iago conosce l’animo umano ruga per ruga, ne sa intercettare i movimenti più segreti. È regista, attore, drammaturgo e anche spettatore attento. Le parole di inganno e illusione che pronuncia saranno in grado di incidere e cambiare la realtà che si disvela davanti ai suoi occhi. Nella casualità di ciò che accade sarà bravo a trasformare un temporale in tempesta.

La perfezione è costruzione, artificio che va scoperto e smantellato. Ciò che appare armonico al fondo non lo è. Lo dimostra la scena disegnata da Marta Crisolini Malatesta. Una geometria simmetrica di edifici costantemente invasa da ombre proiettate e da riflessi che ne cambiano le proporzioni (le luci sono di Simone De Angelis). Ma anche il linguaggio dei costumi di Graziella Pepe. Tutte le attrici vestono panni maschili, tranne Emilia, il personaggio a cui è affidato lo svelamento della diabolica trama ordita dal marito Iago. Otello e Desdemona addirittura vestono allo stesso modo, come a dire che Iago va a colpire e a dividere la stessa persona e non due amanti. Insomma, domina la litote del “io non sono quello che sono”, le cose non sono così come appaiono. Un messaggio che mina le nostre certezze.

Menzione a parte merita Ilaria Genatiempo nel ruolo del protagonista. Un’attrice di una forza incredibile, quasi bestiale, dai sentimenti sinceri e dall’energia travolgente. Recitato da una donna (e da lei in particolare) il ruolo di Otello libera emozioni che altrimenti rimarrebbero sopite in un’interpretazione maschile. Non c’è il senso dell’onore da difendere. Non c’è da salvare la faccia davanti a sovrastrutture culturali. C’è il dolore vero, il vero sentimento di un’umanità offesa, tradita (dall’amante e dall’amico). Scorticata la carne della finzione, rimane la visione viva dell’osso della vita che muove le cose.

data di pubblicazione:10/02/2024


Il nostro voto:

PUPA E ORLANDO

PUPA E ORLANDO

tratto da Giuseppe Fava, con Claudio Pomponi e Marco Aiello

(Teatro Lo Spazio – Roma, 1/2 febbraio 2024)

Tratto da uno dei lavori dello scrittore e giornalista siciliano Giuseppe Fava, lo spettacolo della coppia artistica Aiello/Pomponi accende un riflettore sui personaggi di Pupa e Orlando. Guitti emarginati, trascinano per le piazze il loro carrozzone di violenza e sopraffazione, dando spettacolo di un’esistenza ai margini di una società troppo spesso ingiusta e incurante.

  

Sembra che non si faccia mai pienamente giorno nella vita di Pupa e Orlando. La notte li circonda e nasconde la vergogna di una vita vissuta alla periferia di tutto, nella povertà. La scena è scarna e gli elementi scenografici essenziali. Nel buio si consuma la violenza. Nessuno accorre a riscattare chi, per campare, offre il triste spettacolo di sé nell’attesa di ricevere una ricompensa che verrà magra e insufficiente.

È questa la cifra stilistica scelta da Claudio Pomponi e Marco Aiello per il loro Pupa e Orlando, uno spettacolo ritagliato intorno alla loro bravura artistica di interpreti e registi. Il testo è basato su Foemina Ridens (1980) dello scrittore, giornalista e drammaturgo siciliano Giuseppe Fava, assassinato dalla mafia nel 1984 per le sue inchieste di denuncia, davanti al teatro Verga – sede dello stabile catanese – nella via che oggi porta il suo nome.

La storia si compone di quadri che ricostruiscono la vicenda umana di Pupa, una prostituta che si innamora facilmente di ogni uomo che incontra. È Claudio Pomponi a vestirne i panni, ma non c’entra il travestitismo. Pupa è una donna, espressione di tutte le donne come l’ha voluta l’autore. Che sia un uomo a vestirne i panni non fa che spingere ancora più a margine la desolazione della sua esistenza, ad accentuarne la fragile verità. Come del resto fa anche la scelta dell’ampio utilizzo del dialetto. Figlia della terra, ancora giovane rimane incinta di Michele, un malavitoso che ben presto verrà assassinato dalla polizia. Chiamata a testimoniare in tribunale, finisce per essere incarcerata per concorso in omicidio. Il calvario prosegue e il figlio che partorisce tra le sbarre le verrà portato via. L’amore per questa creatura sarà il tormento che accompagnerà le sue notti.

Nel suo peregrinare incontra Orlando (Marco Aiello), un ladro e pappone finto prestigiatore, che illude il pubblico di far tornare vergine la sua compagna tutte le sere. Pupa improvvisa balli sensuali sulle note blues suonate dall’armonica di Orlando, ma spesso le danze si risolvono in una baraonda caotica e violenta di botte e spintoni (una coreografia improvvisata che purtroppo manca di armonia). I due divergono sul racconto della verità. I dialoghi tra loro portano solo al conflitto, mentre i monologhi, impalcatura della narrazione, sono le occasioni per presentare la propria difesa. Spetta al pubblico giudicare. Ma questo, distante e indifferente, rimane come sempre silenzioso davanti allo spettacolo della sofferenza di qualcun altro.

data di pubblicazione:03/02/2024


Il nostro voto:

LA SIGNORINA PAPILLON di Stefano Benni

LA SIGNORINA PAPILLON di Stefano Benni

con Valeria Monetti, Ludovica Di Donato, Mauro Conte e Piero Di Blasio, regia di Piero Di Blasio

(Teatro de’ Servi – Roma, 11/14 gennaio 2024)

La vita dell’ingenua e sognatrice Rose viene disturbata da tre figure che tentano di corromperla allontanandola dal suo giardino di rose e farfalle dove vive serena. Una spassosa analisi dei pericoli nascosti nella nostra società intercettati dalla penna arguta e ironica di Stefano Benni e portata di nuovo in scena dopo il successo della scorsa stagione da un eccezionale gruppo di attori, che fa del gioco teatrale lo scopo del suo divertimento.

 

 

 

A pensar male si sbaglia, ma spesso si indovina recita il famoso detto. Coniugato su La signorina Papillon di Stefano Benni in scena al teatro de’ Servi – tempio indiscusso della scena comica romana, gestito e diretto dalla società La Bilancia che ha prodotto lo spettacolo – si potrebbe affermare non bisogna fidarsi dei brutti sogni, ma un poco di verità la nascondono. Il sottotitolo della divertente e ancora attuale commedia – apparsa in stampa la prima volta venticinque anni fa per Feltrinelli – recita infatti Nel paese dei brutti sogni, dando avviso del pericolo che corre l’ingenua e pura Rose.

Nell’immaginario mondo ottocentesco creato dall’autore bolognese l’eroina, interpretata in scena da una formidabile Valeria Monetti, è immersa in un giardino alle porte della città di Parigi, tra finte rose e farfalle dipinte, pappagalli impagliati e abiti di raso dai colori sgargianti. Un mondo volutamente finto, che la recitazione di testa della Monetti rende ancora più artificioso e caricaturale. A turbare la tranquillità delle sue giornate arriva Armand – nella buffa interpretazione di Piero Di Blasio, anche regista dello spettacolo – un sergente rozzo e volgare membro di una loggia segreta, attaccato così tanto al potere da non aver timore di uccidere. A lui si unisce Millet (Mauro Conte), un poeta opportunista e menzognero dalle scarse doti artistiche che si finge giardiniere per introdursi nella proprietà dell’ignara Rose. E poi c’è Marie Luise, l’amica corruttrice e spregiudicata, pronta a tutto pur di essere notata, che brilla di esuberanza e comicità nell’interpretazione di Ludovica Di Donato. Insieme progettano di distruggere il fantastico mondo di Rose, ma il racconto si rivela essere solo un brutto sogno della protagonista. E il bello del fare un brutto sogno, dice l’autore, è proprio il fatto di essere svegliati così da interromperlo. Ma davvero era un brutto sogno?

Stefano Benni si conferma un autore ancora attuale, con la sua comicità fatta di dissacrazione e improvvise trovate esilaranti. Le sottili battute sono zavorre che si attaccano agli svolazzi romantici, facendo precipitare nella risata lo spettatore. Ma il merito lo condivide la compagnia e la regia di Piero Di Blasio, che ha saputo sfruttare le possibilità del testo che permette, anzi esige di essere attualizzato (trovano spazio battute sulle truffe legate ai panettoni e la pronuncia della parola facocero, oggetto di ricerca tra i linguisti di IG, nonché riferimenti ai motti fascisti tornati di moda). Uno spettacolo ancora fresco dove leggerezza e divertimento sono assicurati.

data di pubblicazione:15/01/2024


Il nostro voto:

LOVE AND MONEY di Dennis Kelly

LOVE AND MONEY di Dennis Kelly

regia di Saverio Giuseppe Paoletta, con Valentina Carrino e Saverio Giuseppe Paoletta

(Trend – Teatro Belli – Roma, 7/9 dicembre 2023)

David ha una nuova compagna dopo che sua moglie Jess si è tolta la vita a causa dei debiti accumulati per la sua folle mania di acquistare oggetti di ogni tipo. Un racconto frammentato che mostra la pericolosità delle regole legate al consumismo e sulla disperata ricerca di una felicità irraggiungibile. Un ulteriore sguardo sugli interrogativi che pone la società contemporanea indagati a Trend, la rassegna di drammaturgia inglese curata da Rodolfo di Giammarco al teatro Belli di Trastevere.

  

Un prologo fuori dal testo annuncia la tragedia che Dennis Kelly, autore di Love and Money, ha diviso in sette atti. Si prega di non applaudire tra un quadro e l’altro, per non perdere la concentrazione su un dramma che chiede sforzo e silenzio per essere seguito. Nella prima scena David (interpretato da Saverio Giuseppe Paoletta, anche regista e cofondatore dell’Associazione Universarte che cura la produzione dello spettacolo) scambia una serie di messaggi di posta elettronica con la sua nuova amante, Sandrine. Si è rifatto una vita dopo che sua moglie Jess (Valentina Carrino) è morta e ha comprato anche una nuova auto. Nelle email Sandrine gli chiede di parlare di come sia morta la donna e David, anche se non vorrebbe, alla fine concede il suo racconto. Si è suicidata e lui non ha fatto nulla per impedirlo. La scena successiva è nel cimitero dove è sepolta Jess. A vegliare sulla tomba ci sono i suoi genitori, catturati e infastiditi dalla sepoltura della donna a fianco che per sfarzo supera quella della figlia. Come se l’amore per una figlia possa essere definito da quello che si riesce a darle.

Un inaspettato salto narrativo trascina lo spettatore nel passato. Gli atti che seguono tenteranno di dare un’idea di come Jess sia arrivata alla morte. Ma la vicenda è ricostruita in modo frastagliato. David cerca di ottenere un lavoro con una paga migliore, mentre Jess è rinchiusa in un ospedale preda delle voci che le ronzano in testa e dell’ossessione per lo shopping che l’ha portata ad accumulare un debito inverosimile. L’ansia continua per i soldi è la protagonista. Divora tutto, anche l’amore, che si riduce a uno sterile atto assistenzialista. Così la vita di chi sta accanto sfugge e non si può fare nulla per riscattarla dal buio in cui viene inghiottita. Dello stesso buio e di vuoto è fatta la scena. La regia di Saverio Giuseppe Paoletta punta a mettere in risalto la parola del testo attraverso una messa in scena sobria, essenziale, che riduce al minimo i movimenti del gruppo di nove attori, insolitamente numeroso per gli spettacoli visti a Trend.

La legge che regola l’universo non è fatta di amore, ma di numeri e formule quantificabili come lo sono gli oggetti e i soldi. Il fine ultimo è la felicità, ma questa non si raggiunge per accumulo di cose. L’esito inevitabile è la disperazione e, come per Jess, il suicidio.

data di pubblicazione:10/12/2023


Il nostro voto: