DON GIOVANNI di Molière, regia Valerio Binasco

DON GIOVANNI di Molière, regia Valerio Binasco

(Teatro Argentina – Roma, 8/20 gennaio 2019)

Torna in scena Don Giovanni, archetipo del seduttore in continua ricerca del piacere, emblema del libertino che pagherà duramente i suoi capricci. Panni nuovi nell’allestimento di Valerio Binasco eppure fedeli al grande classico.

Una regia innovativa, moderna, priva di qualsiasi elemento che riconduca la memoria a un’immagine codificata, il Don Giovanni di Binasco si presenta in una veste depauperata di tutti gli orpelli che la tradizione teatrale, cinematografica e musicale ha messo addosso al personaggio nel corso del tempo. Un testo studiato, inghiottito e digerito in ogni sua singola parte, restituito sulla scena in maniera arricchita, dignitosa e rispettosa. Insieme ai costumi, che in questa edizione rimandano a una moda contemporanea attraverso l’occhio di Sandra Cardini, si rinnova anche il testo, allungato con veloci battute, come baffi colorati, che vanno ad aggiungere nuovi lazzi e sarcastici siparietti a una commedia già di per sé maliziosamente provocatoria. Della scena seicentesca rimane solo un pallido, sbiadito, scrostato indizio nelle scenografie ideate da Guido Fiorato, nulla di più di una parete fornita di stucchi e pannelli che si aprono, a volte, per far allungare lo sguardo all’esterno verso un mondo oscuro e minaccioso. Spariscono i giochi affascinanti delle macchine che trasportano spiriti e delle botole che inghiottono personaggi, le statue perdono la parola e il fantastico lascia il posto a visioni intime, tradotte sul volto degli attori e a noi lasciate solo intuire. I piani si mescolano in questo spettacolo, si confondono, l’immanente dialoga sfrontato con il trascendente, lo spazio del sacro si confonde nel profano, l’umano si innalza superbamente a sfidare il divino, del quale si sono perse tra l’altro le tracce, tutto è alla portata della nostra esperienza. Anche la gigante luna sullo sfondo, con la sua luce pallida e bugiarda, si presenta in palcoscenico, personaggio tra i personaggi, a significare il collasso di un cielo che non ha più motivo di essere chiamato tale. La morale si fa debole, la religione non è più l’alto baluardo da difendere, tutto finisce a terra dopo una vorticosa carambola, come gli inconcludenti ragionamenti di Sganarello (un ottimo Sergio Romano), oppure vanno in fumo, come la sigaretta che si accende Donna Elvira (Giordana Faggiano) che smette così di essere riferimento di lealtà e fedeltà. Don Giovanni sembra essere in questa edizione ancora più spietato, dissacrante, bambinesco, empio, irriverente, dissimulatore, incostante, ipocrita di quanto già non lo sia nella pièce di Molière, e Gianluca Gobbi, di straordinaria bravura perfetto in questo ruolo anche per la sua importante presenza fisica e la sua potente voce, ce lo restituisce in pieno, con un carico notevole di energia diabolica e sarcastica. Sul finale rallenta leggermente il ritmo, forse per la mancanza delle macchine previste per lo stupore degli spettatori, ma l’allestimento rimane comunque di grandissimo livello.

data di pubblicazione:11/01/2019


Il nostro voto:

QUESTI FANTASMI di Eduardo De Filippo, regia di Marco Tullio Giordana

QUESTI FANTASMI di Eduardo De Filippo, regia di Marco Tullio Giordana

(Teatro Argentina – Roma,18 dicembre 2018/6 gennaio 2019)

Pasquale Lojacono, uomo di mezza età e senza un lavoro, si è appena trasferito con la giovane moglie Maria in un grande appartamento in uno stabile seicentesco. Il nuovo inquilino vorrebbe avviare una pensione per ristabilire la propria economia e forse anche il difficile rapporto con la moglie, ma l’attività stenta a decollare per via della cattiva nomina che ha la casa, che si crede infestata da fantasmi. Tuttavia i soldi arrivano lo stesso, forse per il favore di qualche anima che ha preso a ben volere Pasquale o forse perché a intervenire è la benevola mano di qualcun altro.

 

 

Incorniciata in una scenografia che rispetta fedelmente le indicazioni lasciate dall’autore, arricchita da una fila di panni stesi proprio in alto sul boccascena a definire la matrice popolare dell’opera, la commedia si accende sulle tavole del teatro Argentina, prendendo fuoco dalla piccola fiammella della candela portata in scena dal portiere Raffaele per illuminare il grande atrio dell’appartamento dove i tre atti della vicenda si svolgono. La messa in scena di Marco Tullio Giordana rende omaggio alla grande tradizione eduardiana, rispettandone la concezione di base di una storia costruita su personaggi comuni, popolari, sulle credenze e sulle incertezze di una umanità costantemente appesa tra il desiderio di essere felice e una realtà non priva di preoccupazioni. Pasquale Lojacono, interpretato superbamente da Gianfelice Imparato, è un personaggio maturo, consapevole, calamitico, che non si arrende davanti alla sconfitta e che è molto più acuto di quanto la commedia voglia farcelo pensare. Celebre la scena del caffè preso sul balcone dopo il riposo pomeridiano, dove il suo fantomatico interlocutore, il professor Santanna, lo addita come “becco”, ma lui becco non è perché il becco a cui fa riferimento è quello della caffettiera. Tragedia e commedia si mischiano, abitano un unico piano. Anzi la commedia prende forma proprio dal dramma e se ne nutre fino a diventare esilarante. È la magia del teatro eduardiano, è la capacità tutta napoletana di sfidare la vita con ironia e acuta intelligenza. Tutto questo non si perde in questa edizione, merito anche di una compagnia, la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, guidata dalla straordinaria Carolina Rosi nei panni di Maria, che da prova di saper tramandare una lezione anche nel coraggio dell’innovazione. Al testo non mancano aggiunte e aggiustamenti che non vanno a guastare minimamente la bellezza di questa opera d’arte ancora fresca e fruibile da un pubblico moderno.

Appuntamento da non perdere quindi per queste feste. Lo spettacolo sarà in scena fino al 6 gennaio.

data di pubblicazione:21/12/2018


Il nostro voto:

IL BERRETTO A SONAGLI di Luigi Pirandello, regia di Sebastiano Lo Monaco

IL BERRETTO A SONAGLI di Luigi Pirandello, regia di Sebastiano Lo Monaco

(Teatro Quirino – Roma, 11/23 dicembre 2018)

Venuta a conoscenza del tradimento del marito con la moglie del suo scrivano Ciampa, Beatrice Fiorica organizza la sua vendetta, mettendo sulla pubblica piazza i fatti. Inutili i tentativi dei suoi familiari e del delegato Spanò nel dissuaderla dal suo progetto: lo scandalo scoppia. Sarà Ciampa a occuparsi di riaccordare le note impazzite di questo dramma privato che tale deve rimanere.

Nato dalla fusione di due novelle, come spesso è accaduto per i drammi pirandelliani, Il berretto a sonagli è uno dei testi dove la poetica del drammaturgo siciliano appare in tutta la sua complessità e chiarezza. Il contesto di una Sicilia primo novecentesca è solo il pretesto sul quale si appoggia un dramma intimo e devastante come quello di Ciampa, eroe per eccellenza come lo sono tanti personaggi di Pirandello. Le scene, che in questa produzione richiamano un gusto orientale, frutto del lavoro della giovane artista giapponese Keiko Shiraishi, che ambienta il primo atto in un giardino realizzato con degli alberi dipinti su grandi paraventi, non hanno un particolare valore simbolico, quanto suggeriscono una semplice scelta estetica. La visione registica verte invece sull’affermazione del testo e della parola, affidata soprattutto a una voce importante e profonda di un bravo Sebastiano Lo Monaco, regista anche della pièce. Il suo è un Ciampa giovane che ha appena passato la quarantina, ancora nel pieno delle forze e della dignità. Non è un personaggio quindi anziano, come spesso è stato rappresentato da grandi interpreti nel passato, e si fa più chiaro e forte il suo dolore e la volontà di mascherare e confondere il suo dramma del tradimento della moglie. Ha ancora molto da perdere in immagine, un percorso sociale ancora da svolgere, un amore ancora da mantenere, seppure questo in forma di recita. Sua rivale sulla scena l’altra vittima dell’adulterio, Beatrice, interpretata da Marina Biondi, brava nel ripetere la rabbia legata all’offesa, anche se la scelta di gridare il suo dolore fin dall’inizio ha bruciato e consumato troppo in fretta lo sviluppo del personaggio, rendendolo piatto e a tratti sgradevole.

Spazio anche alla commedia, con un contorno di attori ai quali è stato caricato l’aspetto comico e grottesco del personaggio, per meglio contrastare il paradosso di una società costruita sul buon senso e sul falso perbenismo a scapito del vero dramma della coscienza.

Un classico da vedere e da apprezzare in una versione ragionata e coraggiosa.

data di pubblicazione:13/12/2018


Il nostro voto:

SORELLE MATERASSI – libero adattamento di Ugo Chiti dal romanzo di Aldo Palazzeschi, regia di Geppy Gleijeses

SORELLE MATERASSI – libero adattamento di Ugo Chiti dal romanzo di Aldo Palazzeschi, regia di Geppy Gleijeses

(Teatro Quirino – Roma, 4/9 dicembre 2018)

Dramma a carattere familiare, Sorelle Materassi racconta l’impresa pirrica di Teresa e Carolina, che per mantenere e crescere l’amato nipote Remo, figlio viziato e prepotente della defunta sorella maggiore, s’indebitano fino a perdere tutto, nonostante i richiami e le avvisaglie continue della loro sorella minore, Giselda.

 

Si ripete al Quirino per una sola settimana uno spettacolo che ha avuto un grande successo la scorsa stagione, Sorelle Materassi, che si inserisce come un cammeo in un cartellone ricco e interessante di appuntamenti da non perdere. Noi di Accreditati.it lo avevamo già visto e recensito nell’articolo del nostro amico Rossano Giuppa (https://www.accreditati.it/le-sorelle-materassi-di-aldo-palazzeschi-adattamento-di-ugo-chiti-e-regia-di-geppy-gleijeses/),  ma siamo voluti tornare lo stesso per omaggiare un invito al quale non si poteva dire di no.

Lo spettacolo si avvale della preziosa interpretazione di due grandissime attrici, Lucia Poli nel ruolo di Teresa e Milena Vukotic in quello di Carolina, sorelle, sarte per i grandi signori di Firenze, signorine perché non hanno voluto legarsi a nessuno se non a se stesse per difesa forse dal mondo, testimoni di un’Italia e di un’educazione che non esiste più, ma che le due interpreti sanno ripetere molto bene. Perfettamente accordate tra loro nella recitazione, se dovessimo incontrarle in un bar o su un autobus invece che a teatro, crederemmo davvero che siano unite da un vincolo di parentela molto stretto, tanto è impressionante la loro sintonia. Anche nella diversità dei caratteri sembrano recitare come se fossero un solo personaggio.

La regia supporta sapientemente la loro bravura e insieme dedica spazio, nel suo essenziale intervento, a un testo eccezionale, ricco di un vocabolario funzionale e ricercato. Vi trovano posto anche i silenzi, vere e proprie pause narrative consoni al racconto. Azzeccata la soluzione scenografica di mantenere vuota la stanza da lavoro dove tutto si svolge, spogliata di inutili orpelli e ridotta all’essenziale, come la vita delle protagoniste, ma ancora più geniale la presenza dell’albero di ciliegie in fondo alla scena. L’elemento rimane incorniciato dalla grande porta ad arco che dà sull’esterno dell’abitazione e solo sul finale, per un meccanismo di sollevazione della parete, si vede in tutta la sua interezza. Un groviglio di rami scuri in controluce, spoglio di foglie e di frutti, che diventa metafora delle sorelle Materassi: come gli uccelli di passaggio hanno beccato via tutto senza lasciare nulla, così Remo ha portato via ogni cosa, approfittando della generosità delle donne. Ma non solo lui se ne é approfittato, perché, come dice la serva Niobe (una bravissima Sandra Garuglieri), se non sono i passeri a mangiare le ciliegie sono i merli, e se non sono i merli sono gli stormi. Va così che si comprende che di drammi insoluti le sorelle Materassi, compresa la minore, la tormentata e rabbiosa Giselda (Marilù Prati), sono molti e dolorosi.

Uno spettacolo da vedere!

data di pubblicazione:05/12/2018


Il nostro voto:

AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA di Garinei/Giovannini/Fiastri, ripresa teatrale di Gianluca Guidi

AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA di Garinei/Giovannini/Fiastri, ripresa teatrale di Gianluca Guidi

(Teatro Brancaccio – Roma, 22 novembre 2018/6 gennaio 2019)

Il parroco di un paesino di montagna riceve una telefonata inaspettata da Dio in persona, un secondo diluvio universale sarà mandato sulla terra e lui dovrà costruire un’arca per mettere in salvo tutta la gente del paese.

 

Sono passati 44 anni da quando venne messo in scena la prima volta a Roma Aggiungi un posto a tavola della ormai allora consolidata coppia Garinei e Giovannini e il suo successo, per nostra fortuna, non sembra volersi arrestare: siamo di fronte a un vero e proprio miracolo teatrale.

Sarà perché inizia favolisticamente con “C’era una volta, anzi c’è …” o perché la storia è ambientata in un paesino qualunque, che potrebbe a buon grado chiamarsi Utopia, il paese dove, parafrasando Oscar Wilde, l’umanità continua ad approdare per vedere intorno a sé un paese migliore, ma gli ingredienti per un grande spettacolo ci sono tutti e credo anche raffinati per questa edizione 2018, che si avvale dell’aiuto di una sviluppata tecnica che incanta ancora un pubblico numeroso e eterogeneo come quello del Brancaccio queste sere.

È uno spettacolo che continua a coinvolgere e a piacere, nonostante la società a cui allude, un’Italia anni ’70 sconvolta forse dai poteri ma tutto sommato ancora felice e speranzosa, ormai sia superata. Necessari si fanno allora gli adattamenti al testo e si arricchiscono i personaggi di nuove sfumature e battute, ma senza sconvolgerne la bellezza e la forza originali.

Della storica e costosissima messa in scena si è scelto di riprendere tutto, perché Aggiungi un posto a tavola sono i costumi pastello di Giulio Coltellacci (riadattati da Francesca Grossi), ma soprattutto le sue fantastiche scene in legno montate ingegnosamente su un doppio girevole, arricchite da nuovi effetti speciali, come per esempio il contributo video di Claudio Cianfoni che ci restituisce una impressionante scena del diluvio. E ancora le musiche di Armando Trovajoli, le cui melodie rimangono in testa per giorni, anche queste riarrangiate per l’occasione secondo un gusto contemporaneo da Maurizio Abeni, già allievo di Trovajoli, e eseguite dal vivo, come nei migliori teatri del West End, da un’eccezionale orchestra di sedici professori. Non possiamo poi non menzionare il corpo di ballerini/cantanti che ripete le coreografie originali di un altro grande maestro e talento italiano, Gino Landi, presente alla recita.

Ma sono anche i temi trattati nella storia a rendere questo spettacolo eterno. C’è l’amore prima di tutto, quello innocente e infantile di Clementina per don Silvestro, ma anche quello animalesco e bucolico di Toto per Consolazione. Ci sono l’amicizia e la solidarietà di una società che si muove tutta per uno scopo comune, espresse soprattutto nella canzone della formica. Ma c’è anche l’accoglienza del diverso e dello straniero: Consolazione, inizialmente respinta per la sua poco onorevole professione, viene finalmente accolta da tutti e messa tra coloro che verranno salvati. E ancora il sacrificio del singolo per la comunità, don Silvestro che rinuncia a salire sull’arca per non abbandonare il suo gregge confuso dalle parole del cardinale che lo accusava di pazzia. Tutti temi che risuonano ancora oggi familiari alla nostra esperienza.

A tener viva la tradizione un cast di attori e cantanti eccezionali guidati da un commosso Gianluca Guidi, che ci restituisce un don Silvestro degno del padre, fedele all’originale ma tuttavia spontaneo e naturale, Emy Bergamo, nel ruolo di Consolazione, Marco Simeoli in quello del Sindaco Crispino, il divertentissimo Piero Di Blasio nel personaggio di Toto, l’Ortensia di Francesca Nunzi e la new entry del gruppo, la giovane Camilla Nigro, nel ruolo di Clementina, a cui facciamo i nostri auguri per la sua carriera, chiaro segnale che le nostre scuole sanno lavorare bene nel coltivare buoni talenti. Ovviamente un applauso caloroso è andato anche a la voce di lassù, Enzo Garinei.

Uno spettacolo da non perdere per chi ama il teatro e che ci auguriamo di rivedere per molte stagioni ancora.

data di pubblicazione:03/12/2018


Il nostro voto: