IL PREMIER di Giuseppe Manfridi

IL PREMIER di Giuseppe Manfridi

regia di Piero Maccarinelli, con Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Mersila Sokoli, Stefano Santospago, Galatea Ranzi, Duccio Camerini

(Teatro Argentina – Roma, serata unica e speciale 12 febbraio 2024)

Un risarcimento per un autore veterano, polivalente, eccellente affabulatore all’interno della rassegna “Lingua Madre” giunta alla terza puntata con il provvisorio trasferimento dal Parioli al principale Teatro di Roma. Reading di novanta minuti per cinquecento spettatori con il mattatore Lavia.

Come non pensare ai rivoli scandalistici della politica italiana. Da Berlusconi in avanti magari con il pensiero a Tangentopoli e alla corruzione. Sebbene scritto parecchi anni or sono e mai rappresentato il testo regge viste le invarianze in chi regge i destini della nazione. Attorno a un onorevole trafitto dagli scandali ma pure ansioso di ritornare in sella si affacciano inghippi e complicazioni di ogni tipo. Anche sentimental/sessuali, incesto compreso. Perché tutti sembrano tradire tutti e dunque non sembra esserci redenzione in chi ha pattuito che la propria vita debba essere improntata al potere e alla ricerca di un voto in più. La corruzione e il tradimento è un morbo contagioso che non risparmia chi gli è vicino. Bel coro di attori disposti in assembramento, fianco a fianco con relativo leggio e senza neanche il conforto di uno stacco musicale o di un intervallo. Testo denso, ricco di battute e di sommovimenti che resiste alla prova di un tempo considerevolmente più lungo dei tempi di un reading. Ovviamente Lavia spicca su tutti in un bel coro di personalità con Camerini nelle vesti del raccontatore didascalico. La rassegna si avvia al termine e il suo sottotitolo (“Il teatro italiano non fa schifo”) rappresenta un palingenetico atto di speranza. Del resto chi ha il coraggio di scrivere copioni per più attori senza avere buone chance di venire rappresentato? È il caso di questo testo passato di mano in mano ma senza che un produttore volesse investirci su per uno spettacolo. Eppure la spina dorsale del testo lascia intravedere ottime possibilità rappresentative.

data di pubblicazione:13/02/2024


Il nostro voto:

RECITAL di e con Francesca Reggiani

RECITAL di e con Francesca Reggiani

(Teatro Comunale di Poggio Moiano, 11 febbraio 2024)

Monologo diesel che parte con le marce basse ma poi scalda il pubblico sabino con un tema ineludibile e caro all’attrice: la condizione di single e i travagliati rapporti uomo/donna. Per il ciclo Sentieri in Cammino tutto esaurito per un’occasione da non perdere.

Il navigato mestiere della Reggiani pesca un punto di forza persino dal complicato rapporto con la scena, le luci e il lancio dei video che fanno da punto e virgola al suo fitto monologo. Ovvio che non ci sia troppa dimestichezza con un piccolo palcoscenico mai calcato prima. Comicità arguta che tende al sorriso più che al riso. Ma si parla anche di politica lanciando fendenti a destra e sinistra con le godibili imitazioni di Meloni e Schlein. La prima rappresentata con quel romanesco internazionalizzato pieno di sporcature e dialettismi; la seconda con le sue sibilline allusioni ai diritti dell’eguaglianza. La comica spesso cerca appoggio nel pubblico, peraltro un po’ pigro nel rispondere alle chiamate. Ricordiamo come pezzo forte del repertorio quasi recente dell’attrice l’intervista a due facce tra la già citata Meloni e la giornalista radical chic Conchita Di Gregorio. Evitando di essere travolta dal mainstream della situation comedy la Reggiani si tiene ancorata ai suoi pezzi forti da sempre. La maniera di Roma nord, il politicamente corretto sul cibo sano, la televisione in preda agli chef. Senza volgarità o turpiloquio ma con tanta malizia, allusioni e strizzatine d’occhio al nostro strano modo d’essere attuale. C’è tanta vita perché quando fa riferimento alle abitudini delle sue amiche si ha proprio l’impressione di entrare a casa Reggiani. Sono passati molte anni dall’onda di Serena Dandini ma la protagonista ci mostra un valido modo per tenersi a galla, veleggiando sull’attualità e su alcuni temi rivisti senza paura di stancare e, eventualmente, ripetersi.

data di pubblicazione:12/02/2024


Il nostro voto:

BOSTON MARRIAGE di David Mamet

BOSTON MARRIAGE di David Mamet

traduzione di Masolino D’Amico, regia di Giorgio Sangari, con Maria Paiato, Mariangela Granelli, Lorenza D’Auria

(Teatro India – Roma, 6/11 febbraio 2024)

Il Mamet che non ti aspetti per una grande prova d’attrice di Maria Paiato. Qui chiamata efficacemente a esagerare in un’esilarante parte dove la sovrabbondanza di movimenti e la ridondanza del linguaggio culmina spesso in una battuta fulminante. Assistita da college egregie. Il titolo allude a una sorte di emancipazione femminile del XIX secolo riferendosi a donne capaci economicamente di evadere dalla dipendenza maschile.

Maliziosi legami tra donne con allusioni al voyeurismo in una società che, chissà perché, immaginiamo puritana e persino bacchettona. Donne di costumi a volte facili che s’ingelosiscono, progettano menagè a trois ma con la morbidezza di sentimenti che scivolano sulla pelle della trama. In fondo non succede niente in scena quando in realtà succede tutto. Nei cambiamenti umorali scatenati da una collana traditrice. Mamet, se fosse presente, sarebbe entusiasta della Paiato, una sorta di contraltare al femminile della leadership virile di Popolizio. Non si lascia sfuggire neanche l’efficace di una sola battuta l’attrice veneta, magnifica padrona dell’assunto. La commedia è anche farsa, resistente a 25 anni di un invecchiamento che sa di maturazione. Le citazioni di scena di Oscar Wilde (lo snobismo), Henry James (l’atmosfera), Tennesse Williams (la morbosità) sono piuttosto pertinenti nel cocktail mametiano he vuole essere un morbido omaggio ai tempi. Il contraltare delle due protagoniste i cui dialoghi sono la scena portante del set è l’apparentemente ingenua cameriera, ingiuriata, bistrattata, sospettata di furto ma anche licenziata. Messa incinta in pochi secondi di contatto sessuale, perdendo la verginità. Il suo ruolo non marginale viene ribadito dall’ultima scena in cui, mollemente sdraiata sul divano padronale, fa veramente per la prima volta nella sua vita la signora. A trovare difetti c’è un quarto d’ora di troppo perché il tentativo di trovare una spiegazione alla disponibilità della collana è arzigogolata e la pratica delle chiromante non stimola affatto gli umori del pubblico, decretando un ovvio calo di tensione.

data di pubblicazione:11/02/2024


Il nostro voto:

OTELLO da William Shakespeare

OTELLO da William Shakespeare

traduzione e drammaturgia di Letizia Russo, regia di Andrea Baracco, con Valentina Acca, Flaminia Cuzzoli, Francesca Farcomeni, Federica Fracassi, Federica Fresco, Ilaria Genatiempo, Viola Marietti, Cristiana Tramparulo

(Teatro Quirino – Roma, 6/11 febbraio 2024)

Arriva finalmente a Roma dopo più di un anno dal debutto l’Otello prodotto dal Teatro stabile dell’Umbria che vede in scena un cast eccezionale di sole donne. Il regista Andrea Baracco e la drammaturga Letizia Russo trasformano il testo scespiriano in una tragedia universale. Iago condurrà Otello a una folle disperazione e per gelosia ucciderà l’amata Desdemona. (ph. Gianluca Pantaleo)

 

Non è l’Otello che ci aspettiamo di vedere, afferma nel prologo fuori dal testo Federica Fracassi, l’attrice che a breve entrerà nel ruolo di Iago. E forse non ne vedremo un altro così. Coinvolgente e vero, come sono vere le emozioni che guidano l’istinto umano. Ambientato in uno spazio e in un luogo indefiniti per vocazione a voler essere un dramma universale. Dramma della gelosia, certamente. Ma dramma soprattutto della parola che sa trasformare la realtà che vediamo. A teatro tutto è finto e Iago dimostrerà come dalla falsità può emergere una strana verità.

Nella gerarchia dei poteri, Iago occupa lo scalino più basso. Ha davanti a sé la perfezione di Otello, stimato generale e felice amante ricambiato. Per invidia – o forse perché è puro male – sente la necessità di distruggere l’armonia dalla quale è escluso. E ci riesce, non solo per obbligo di tragedia. È puro male, è vero. Eppure nel teorema espresso dalla nuova traduzione, che aggiunge poesia a poesia pur nella riduzione del testo con una regia attenta a porre il giusto accento alle scene chiave, Iago è anche colui che porterà Otello a scoprire la realtà della natura di cui è fatto e che lo porterà a uccidere Desdemona. Iago conosce l’animo umano ruga per ruga, ne sa intercettare i movimenti più segreti. È regista, attore, drammaturgo e anche spettatore attento. Le parole di inganno e illusione che pronuncia saranno in grado di incidere e cambiare la realtà che si disvela davanti ai suoi occhi. Nella casualità di ciò che accade sarà bravo a trasformare un temporale in tempesta.

La perfezione è costruzione, artificio che va scoperto e smantellato. Ciò che appare armonico al fondo non lo è. Lo dimostra la scena disegnata da Marta Crisolini Malatesta. Una geometria simmetrica di edifici costantemente invasa da ombre proiettate e da riflessi che ne cambiano le proporzioni (le luci sono di Simone De Angelis). Ma anche il linguaggio dei costumi di Graziella Pepe. Tutte le attrici vestono panni maschili, tranne Emilia, il personaggio a cui è affidato lo svelamento della diabolica trama ordita dal marito Iago. Otello e Desdemona addirittura vestono allo stesso modo, come a dire che Iago va a colpire e a dividere la stessa persona e non due amanti. Insomma, domina la litote del “io non sono quello che sono”, le cose non sono così come appaiono. Un messaggio che mina le nostre certezze.

Menzione a parte merita Ilaria Genatiempo nel ruolo del protagonista. Un’attrice di una forza incredibile, quasi bestiale, dai sentimenti sinceri e dall’energia travolgente. Recitato da una donna (e da lei in particolare) il ruolo di Otello libera emozioni che altrimenti rimarrebbero sopite in un’interpretazione maschile. Non c’è il senso dell’onore da difendere. Non c’è da salvare la faccia davanti a sovrastrutture culturali. C’è il dolore vero, il vero sentimento di un’umanità offesa, tradita (dall’amante e dall’amico). Scorticata la carne della finzione, rimane la visione viva dell’osso della vita che muove le cose.

data di pubblicazione:10/02/2024


Il nostro voto:

L’AMMAZZO COL GAS

L’AMMAZZO COL GAS

UNA SKETCH COMEDY CON Gianni Ferreri e Danila Stalteri, regia e drammaturgia di Roberto D’Alessandro

(Teatro degli Audaci – Roma, 8/11 febbraio 2024)

Un forsennato ritmo comico per una coppia che scoppia. In un matrimonio c’è sempre qualcosa che non funziona. Attori e spettacolo collaudato, ritmi frenetici, cambi d’abito e di situazioni. Risate a volte crasse con l’allarme del politicamente corretto. In tempi di femminicidio la rivisitazione è d’obbligo.

La perfetta empatia attoriale tra gli interpreti è la chiave una serie di siparietti brillanti. A dimostrazione che il teatro leggero ha una sua precisa dignità e cifra. Dunque c’è una moglie sempre cangiante. Ricca e racchia, petulante, gelosa fino all’esasperazione. Sembra una commedia dalla parte degli uomini. Ma la risata non ha simpatie perché la sirena d’allarme censura le parole scabrose evitando però la cassazione sul titolo, ispirato a una scrittura antica. Copione funzionale con ricchezza di abiti e sfumature. Con Ferreri che si con cede un paio di recitazioni poetiche sul canovaccio dell’amore. La Stalteri nelle sue trasformazioni è quasi irriconoscibile in virtù di parrucche e colori mutevoli. Anche finti errori di scena vengono strumentalizzati ai fini delle gag. Comedy brillante in cui il turpiloquio non è mai osceno ma inevitabilmente rappresenta un’esca per applausi a scena aperta. Giusta alternativa al festival di Sanremo a cui viene inoltrata una virtuale sfida con la prima in un giorno cardine per la rassegna. La scena finale riconsegna al titolo. La moglie vieta al marito il giusto sonno e dunque non c’è altra situazione che ricorrere al gas. Naturalmente dopo aver trovato la via di fuga fuori di casa. Per gli spettatori un inevitabile riconoscimento nella temperie del matrimonio e della sua inevitabile routine. Il richiamo al sesso è inevitabile per qualche gag di grana più grossa. Amori calanti che fanno i conti con il vivere quotidiano e s’imbarcano in contrasti di varie portate.

data di pubblicazione:09/02/2024


Il nostro voto:

ROMA BANCO 24 di GabriellaSilvestri

ROMA BANCO 24 di GabriellaSilvestri

con Gabriella Silvestri e Valentina Marziali, aiuto regia Mariana Higuita Tamayo, direzione di scena Umberto Pischedda, luci Valerio Camelin, scene e costumi Area5lab – Produzione APS Teatro E

(Teatro De’ Servi – Roma, 6/18 febbraio 2024)

Duetto al femminile, madre/figlia. Antagoniste ma fino a un certo punto. I maschi stanno sullo sfondo. Negativi, usurai, violenti, sul fondale di un quartiere di una Roma degradato. Romanesco, sagace uso di parole forti. Un’antica professione (vero signora Warren?) che si riaffaccia. La protagonista a tratti sembra Anna Magnani, la ragazza dimostra i 17 anni della storia anche se rivela di essere molto più grande.

Un altro passo in avanti nel curriculum di Gabriella Silvestri. Assemblatrice del resto, regista e interprete. Popolana che si destreggia tra la poco redditizia gestione di un banco alimentare (tempi duri!) e il rimpianto accorato per il mestiere più antico del mondo. Però economicamente ha fatto il passo più lungo della gamba e, vedendosi rifiutato un mutuo dalla banca, ricorre ad autentici efferati strozzini. La figlia la contraddice continuamente e sembra aspirare solo al festeggiamento del compleanno che potrebbe farla riappacificare al suo ex, rivelando tutta la propria inesperienza nelle schermaglie amorose. Favola nera con sottofondi comici e scioglimento inaspettato che non riveleremo. Quando apre la valigia del mestiere, ricca di abiti provocanti e seducenti, per la passata disponibilità mercenaria, Silvestri quasi commuove nel tentativo di giustificare un mestiere che è anche apparizione, commedia, travestimento. Già, proprio come il teatro Quando si ubriaca e non è più cosciente, la figlia farà un gesto che risolverà la situazione dimostrando piena solidarietà per la sofferenza familiare. Confronto di generazioni e durezza della vita contemporanea. Un affresco riuscito. E la Silvestri è talmente padrona del dopo scena che si cimenta alla fine, dopo la prima, anche nel difficile esercizio, assai inconsueto e lodevole, di rispondere alle domande del pubblico. La pièce peraltro può significativamente funzionare anche fuori dai confini del raccordo anulare.

data di pubblicazione:07/02/2024


Il nostro voto:

IL COLORE VIOLA di Blitz Bazawule, 2024

IL COLORE VIOLA di Blitz Bazawule, 2024

“È la speranza che ci rende liberi”. Esce nelle sale Il colore viola adattamento cinematografico del musical che ha debuttato a Broadway nel 2005. La pellicola, tratta dall’omonimo romanzo premio Pulitzer di Alice Walker che racconta la storia di una donna nera nel sud post-schiavista, ha per tema principale la redenzione ed il perdono.

1909. Costa della Georgia. Orfana di madre e sorella maggiore di Nettie, Celie è appena adolescente quando partorisce il suo secondogenito Adam frutto assieme ad Olivia degli abusi sessuali di suo padre Alfonso. Questi, dopo averle portato via entrambi i figli alla nascita, la costringe a sposare Albert, un contadino violento ed alcolizzato, vedovo e con tre figli a carico. Ma nella casa coniugale non c’è posto anche per Nettie e le sorelle verranno brutalmente separate. Dopo tanti anni di solitudine e soprusi un giorno il destino di Celie s’incrocia con quello dell’esuberante ed emancipata Sofia e della cantante jazz Shug Avery, che avranno un ruolo determinante nella sua vita. Da allora tutte le sue sofferenze cominceranno a rappresentare un calvario necessario per raggiungere la rinascita che avrà il sapore della pace e del perdono.

La violenza, le molestie, il razzismo e la differenza di genere sono argomenti suggeriti più che mostrati in questa rivisitazione di Blitz Bazawule al contrario di quanto accadde nella versione di Steven Spielberg del 1985. Ricco di luci e colori, vibrante di speranza, il film ripercorre le vicende delle protagoniste con un linguaggio tutto nuovo la cui estrema tragicità è edulcorata dalla musica. Entusiasmanti sono le scene di ballo e da brividi quelle cantate. Le interpreti femminili Fantasia Barrino, Danielle Brooks e Taraji P. Henson sono tutte degne di nota. Spielberg e Quincy Jones tornano come produttori affiancati da Scott Sanders e Oprah Winfrey, che fu candidata all’Oscar per il ruolo di Sofia nel film del 1985. Ritroviamo anche Whoopi Golberg, Golden Globe e candidata all’Oscar con Spielberg per il ruolo di Celie, qui nel cameo dell’ostetrica che fa nascere Adam. Il film è un’operazione grandiosa e per chi ama il Musical con la M maiuscola è imperdibile. Distribuito da Warner Bros.Pictures.

data di pubblicazione:07/02/2024


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L’UOMO CALAMITA regia di Giacomo Costantini

L’UOMO CALAMITA regia di Giacomo Costantini

È tornato al Teatro Vascello di Roma dal 2 al 4 febbraio 2024, dopo il debutto avvenuto nel 2019, L’Uomo Calamita, lo spettacolo che ha collezionato ben ventimila spettatori nelle oltre cento rappresentazioni svolte nei teatri italiani e stranieri. IL lavoro scritto, diretto ed interpretato da Giacomo Costantini della compagnia El Grito in collaborazione con Wu Ming 2 di Wu Ming Foundation, unisce in maniera innovativa circo contemporaneo, illusionismo, musica e letteratura (foto di Laura Salvinelli).

 

Il cantastorie Wu Ming 2 conduce lo spettatore in un circo clandestino durante la seconda guerra mondiale. È l’11 settembre 1940 quando il capo della polizia ordina che vengano controllati tutti i carrozzoni, i circhi e le carovane, affinché le persone che ci lavorano vengano catturate e tenute sotto controllo. Per sfuggire alla persecuzione, l’Uomo Calamita e gli altri circensi sono costretti a darsi alla macchia ma, con l’aiuto di Lena una bambina di otto anni, usano i propri poteri, l’astuzia e il magnetismo per combattere il nazi-fascismo.

L’Uomo Calamita è la storia di un supereroe che combatte l’assurdità della guerra; una entità indefinibile che contamina il linguaggio del corpo con quello della parola, l’esercizio estremo con la composizione musicale.

Accompagnato dall’attore Wu Ming 2 e dal compositore e batterista Fabrizio “Cirro” Baioni, in scena l’Uomo Calamita esercita i suoi superpoteri lasciando col fiato sospeso tutti: esegue esercizi di equilibrismo magnetico e fisico e ripete il celebre numero del mago Houdini in cui ammanettato, appeso a testa in giù, immerso in una vasca d’acqua, riesce a liberarsi di manette e lucchetti.

Un lavoro frutto della contaminazione tra performance musicale e parola, tra scrittura narrativa e drammaturgia circense. Una nuova frontiera performativa commovente, toccante, una scrittura scenica potente e innovativa che esalta le infinite potenzialità del circo contemporaneo come cerniera tra le arti, riconoscendo la giusta dignità artistica a coloro che del circo hanno fatto la propria casa e la propria identità spirituale.

data di pubblicazione:06/02/2024


Il nostro voto:

LE GRATITUDINI

LE GRATITUDINI

dal romanzo di Delphine De Vigan, adattamento e regisa di Paolo Triestino, con Lucia Vasini, Lorenzo Lavia, Paolo Triestino e Valentina Bartolo, scene di Francesco Montanario, movimenti coreografici di Elena Puddu, produzione Artisti Associati

(Teatro Tor Bella Monaca – Roma, 30 gennaio/4 febbraio 2024)

Da un commovente romanzo francese di una scrittrice emergente un inno alla gratitudine. Almeno prima di spirare l’ultimo soffio vitale. Lo spettacolo è anche un ritratto non mesto dell’universo concentrazionario di una residenza per anziani dove la solitudine è colmata dai ricordi del passato che si devono saldare con il ringraziamento per chi ti ha salvato la vita. Con l’inevitabile rimando alla ferocia nazista e al mito tramontato della razza.

La sala periferica di un quartiere di Roma giudicato borderline continua a offrire piacevoli sorprese. Quante volte pronunciamo la parola grazie nella nostra esistenza? La vuol scandire con toni forti la protagonista dell’intreccio. Una signora che deforma le parole, che avanza verso la fine ma vuole saldare i conti con il passato aggrappandosi nel presente alla figura giovane di una ex vicina e di un ortofonista. Paolo Triestino si ritaglia il ruolo minore ma fondamentale del responsabile della struttura sanitaria in cui è confinata cavalcando la gentilezza mista alla ferocia double face di un ufficiale nazista, metafora della dura vita in questi luoghi a volte pregni di contrizione e dolore. Pièce per quattro con gli accompagnatori del gioco teatrale che appaiono e scompaiono, mutano abiti in scena, a volte palesandosi persino con il pancione (è il caso della giovane incinta). Esemplare come attori vocati al comico come Triestino e Vasini riescano a varcare la soglia del dramma con disinvoltura. E in questa loro nuova vita teatrale sono accompagnati da partner di pregio come Lavia jr e Bartolo. Una bella atmosfera permea la rappresentazione, fatta di sentimenti non smaccati e non buonisti. Finché c’è vita tutto è possibile. Anche rintracciare la donna ormai novantaseienne che ha salvato l’anziana dal sicuro internamento in un campo di concentramento. Dunque mai troppo tardi per pronunciare l’ultimo sentito “grazie”. La conclusione con un elegante ballo è un invito alla speranza.

data di pubblicazione:05/02/2024


Il nostro voto:

PUPA E ORLANDO

PUPA E ORLANDO

tratto da Giuseppe Fava, con Claudio Pomponi e Marco Aiello

(Teatro Lo Spazio – Roma, 1/2 febbraio 2024)

Tratto da uno dei lavori dello scrittore e giornalista siciliano Giuseppe Fava, lo spettacolo della coppia artistica Aiello/Pomponi accende un riflettore sui personaggi di Pupa e Orlando. Guitti emarginati, trascinano per le piazze il loro carrozzone di violenza e sopraffazione, dando spettacolo di un’esistenza ai margini di una società troppo spesso ingiusta e incurante.

  

Sembra che non si faccia mai pienamente giorno nella vita di Pupa e Orlando. La notte li circonda e nasconde la vergogna di una vita vissuta alla periferia di tutto, nella povertà. La scena è scarna e gli elementi scenografici essenziali. Nel buio si consuma la violenza. Nessuno accorre a riscattare chi, per campare, offre il triste spettacolo di sé nell’attesa di ricevere una ricompensa che verrà magra e insufficiente.

È questa la cifra stilistica scelta da Claudio Pomponi e Marco Aiello per il loro Pupa e Orlando, uno spettacolo ritagliato intorno alla loro bravura artistica di interpreti e registi. Il testo è basato su Foemina Ridens (1980) dello scrittore, giornalista e drammaturgo siciliano Giuseppe Fava, assassinato dalla mafia nel 1984 per le sue inchieste di denuncia, davanti al teatro Verga – sede dello stabile catanese – nella via che oggi porta il suo nome.

La storia si compone di quadri che ricostruiscono la vicenda umana di Pupa, una prostituta che si innamora facilmente di ogni uomo che incontra. È Claudio Pomponi a vestirne i panni, ma non c’entra il travestitismo. Pupa è una donna, espressione di tutte le donne come l’ha voluta l’autore. Che sia un uomo a vestirne i panni non fa che spingere ancora più a margine la desolazione della sua esistenza, ad accentuarne la fragile verità. Come del resto fa anche la scelta dell’ampio utilizzo del dialetto. Figlia della terra, ancora giovane rimane incinta di Michele, un malavitoso che ben presto verrà assassinato dalla polizia. Chiamata a testimoniare in tribunale, finisce per essere incarcerata per concorso in omicidio. Il calvario prosegue e il figlio che partorisce tra le sbarre le verrà portato via. L’amore per questa creatura sarà il tormento che accompagnerà le sue notti.

Nel suo peregrinare incontra Orlando (Marco Aiello), un ladro e pappone finto prestigiatore, che illude il pubblico di far tornare vergine la sua compagna tutte le sere. Pupa improvvisa balli sensuali sulle note blues suonate dall’armonica di Orlando, ma spesso le danze si risolvono in una baraonda caotica e violenta di botte e spintoni (una coreografia improvvisata che purtroppo manca di armonia). I due divergono sul racconto della verità. I dialoghi tra loro portano solo al conflitto, mentre i monologhi, impalcatura della narrazione, sono le occasioni per presentare la propria difesa. Spetta al pubblico giudicare. Ma questo, distante e indifferente, rimane come sempre silenzioso davanti allo spettacolo della sofferenza di qualcun altro.

data di pubblicazione:03/02/2024


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