THE MENU di Mark Mylod, 2022

THE MENU di Mark Mylod, 2022

Una giovane coppia: Tyler (Nicholas Hoult) e l’amica dell’ultimo momento Margot (Anya Taylor-Joy) si imbarcano per una remota isola del Pacifico per cenare in un esclusivissimo ristorante dell’iperstellato chef Slowik (Ralph Fiennes). Con loro pochissimi altri selezionati commensali in lista d’attesa da mesi. Il menu e l’atmosfera claustrofobica riserveranno però delle sorprese …

  

Visto in anteprima alla recente Festa del Cinema di Roma, il film di Mylod è uscito giovedì scorso nelle nostre sale. Sale che, però, sembrano non riuscire a riprendersi dalla crisi in cui sono sprofondate. Tante e diverse la cause dell’inarrestabile disaffezione, di certo non ultima anche la scarsa qualità dei film finora in distribuzione.

The Menu ha, invece, tutti gli elementi per attrarre gli spettatori ed essere apprezzato. Il mondo della Haute Cuisine ha infatti avuto sempre discreto successo cinematografico, soprattutto negli ultimi anni, in parallelo con la crescente attenzione mediatica ed editoriale sull’arte culinaria, figlia e madre, al contempo, dei tanti reality televisivi e dei tanti chef stellati, star fra le star. Un successo tale da divenire un vero Genere Cinematografico a sé stante. Il mondo asettico e sofisticato degli chef e dei gourmet, con il noir, la black comedy, il thriller e l’horror. Cibo ed Orrore, si sposano bene al cinema, a partire dai film di Marco Ferreri e di Peter Greenaway.

In questo filone, il film di Mylod si pone come una brillante e sofisticata black comedy, permeata di ironia pungente, costruita su un’eccellente sceneggiatura, un ottimo ritmo, un buon montaggio, dialoghi eccellenti e buone performance attoriali, combinando abilmente satira umana, commedia, suspense e critica sociale in un susseguirsi di colpi di scena inaspettati ed una giusta dose adrenalinica di horror.

La trama narrativa, abilmente intrecciata, mette in scena da una parte l’Alta Cucina iperconcettuale, sofistica ed elitaria; dall’altra una Società iperbenestante, disposta a pagare 1250 dollari a persona per una cena, ammaliata dalla sola opportunità trendy, senza alcuna capacità critica di valutazione e di apprezzamento di ciò che potrà degustare. Un mortale contrasto tra l’apprezzare, gustare ed assaggiare ed il mero esserci stati. Un peccato da espiare!

Il regista sa affrontare abilmente e con brio i meccanismi del plot giocando con gli schemi dei vari generi, sostenuto, come detto, dalla buona sceneggiatura e da un cast di attori preciso nei vari ruoli e sottoruoli e capace di dare veridicità ad ognuno di essi. Spiccano su tutti: Ralph Fiennes eccellente ed inquietante, tanto psicolabile quanto creativo, capace di evidenziare le sfumature del carattere border line e risentito del suo personaggio tutto compresso fra il romantico idealista e l’autoritarismo folle; e, sull’altro versante, Anya Taylor-Joy bella e brava nella sua caratterizzazione dell’unica imprevista estranea al gruppo di convitati, tanto imperfetta quanto diretta ed astuta, unica capace di spiazzare l’animo dello Chef.

The Menu è un elegante divertimento fra commedia e thriller, tanto originale quanto sconcertante che piacerà agli appassionati del Genere e farà passare un paio d’ore accettabili agli altri spettatori con il brivido leggero di una cena incubo. Un film cui si potrà perdonare, come peccato veniale, un finale troppo semplice e prevedibile da lasciare un po’ insoddisfatti i palati dei cinefili e dei gourmet.

data di pubblicazione:20/11/2022


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THE WASP di Morgan Lloyd Malcolm, con Guenda Goria e Miriam Galanti, regia di Piergiorgio Piccoli

THE WASP di Morgan Lloyd Malcolm, con Guenda Goria e Miriam Galanti, regia di Piergiorgio Piccoli

(Teatro Belli – Roma, 7/9 novembre 2022)

Due amiche si rivedono dopo tanti anni. L’incontro nasconde però un pericoloso piano di vendetta. In scena per Trend. Nuove frontiere della scena britannica contemporanea, un dramma dalle fosche atmosfere e dai continui colpi di scena: The Wasp di Morgan Lloyd Malcolm.

 

Il falco delle tarantole è un tipo di vespa (the wasp in inglese) che ha un modo di riprodursi parecchio raccapricciante per la nostra sensibilità. Una volta individuata la vittima, paralizza il ragno con una puntura e impianta nel suo ventre un ovulo. La larva che nasce pasteggerà con gli organi dello sfortunato ostaggio, che sarà necessario rimanga vivo per portare a maturazione l’ospite. Questa è la terribile immagine sulla quale è basato il thriller psicologico scritto da Morgan Lloyd Malcolm e andato in scena per Trend al teatro Belli (produzione Theama Teatro).

Nel preambolo della vicenda Erica (Guenda Goria), una donna benestante e di buona educazione, dà appuntamento in un bar a Carla (Miriam Galanti), una vecchia amica che non vede dai tempi della scuola. Carla ha tutta l’aria di una che la vita l’ha vissuta dal basso tra problemi e difficoltà, è incinta del quinto figlio e non vede Erica da quindici anni. Il divario sociale che separa le due donne è fin troppo evidente e non è chiaro all’inizio il motivo del loro incontro. In apparenza hanno due vite totalmente distinte e differenti, ma la somma degli indizi che vengono fuori lentamente dal racconto – tradotto in maniera avvincente da Enrico Luttmann – ci fanno capire che la connessione tra loro è molto più stretta di quanto non immaginiamo. Come la vespa ha bisogno del corpo della tarantola per riprodursi, così una ha necessità dell’altra per soddisfare i propri bisogni. Tuttavia non è chiaro chi tra le due sia la vespa e chi la tarantola.

La trappola scatta nel secondo quadro, ambientato nel ricco appartamento di Erica. In bella mostra sugli scaffali della libreria che fa da sfondo alla scena si vede la ricca collezione di insetti di Simon, il marito di Erica (le sculture sono di Giovanni Grey Grigoletto). È qui che la donna chiarisce i motivi che l’hanno spinta a voler rivedere Carla. Facendo leva sulla povertà piuttosto evidente dell’amica, Erica le offre una somma ingente per uccidere il marito. L’aveva vista uccidere un piccione quando erano a scuola tanti anni prima; sarebbe la persona perfetta per compiere il delitto oggi. Ma quella che all’inizio appare come una vendetta personale nei confronti del proprio coniuge, si trasforma in realtà in una vendetta nei confronti di Carla, con la quale ha vissuto un passato burrascoso, costellato di episodi violenti e bullismo. I fatti spiacevoli e le cattiverie subite da ragazzi non si dimenticano facilmente e il presente offre l’occasione per perpetuare la crudeltà e ottenere così una rivalsa.

L’intervento registico opera lo stretto necessario su un copione dal ritmo sostenuto, dove ogni passaggio è studiato nei suoi minimi dettagli. Guenda Goria e Miriam Galanti sono ben calate nella parte e definiscono bene la diversità dei personaggi che interpretano, anche se in alcuni punti l’eccessiva marcatura delle emozioni porta le due attrici a un dispendio notevole di energia. Per chi è amante del genere, The Wasp è il tipo di dramma che ha la capacità di stringere lo spettatore in una morsa di terrore, pieno di colpi di scena e improvvisi risvolti efferati nella narrazione che lasciano ancora sgomenti quando si lascia la sala teatrale.

data di pubblicazione:19/11/2022


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AMLETO di William Shakespeare, regia di Giorgio Barberio Corsetti

AMLETO di William Shakespeare, regia di Giorgio Barberio Corsetti

(Teatro Argentina – Roma,15 novembre /4 dicembre 2022)

Amleto, nella rilettura della tragedia shakespeariana di Giorgio Barberio Corsetti, torna sulla scena nel  teatro Argentinas di Roma fino al 4 dicembre 2022. Nel ruolo di Amleto Fausto Cabra, affiancato da una compagnia di giovani attori professionisti. Corsetti situa la tragedia shakespeariana in un complesso gioco di scatole sceniche a più piani ed in continua trasformazione che danno anima all’immaginaria reggia danese in cui si svolge la tragedia, davanti a un pubblico direttamente coinvolto nei desideri, nelle paure, nella lotta che Amleto ingaggia con personaggi reali e immaginari e con sé stesso, alla ricerca della propria identità (foto di Claudia Pajewski).

 

Amleto è da sempre l’essenza stessa del teatro. Alla cruda vicenda dell’assassinio del padre da parte del fratello per succedergli, alle congiure di corte e agli amori impossibili, il protagonista risponde con la sua apparente follia, riuscendo grazie ad una compagnia di attori a rappresentare e denunciare l’inganno, che porterà al tragico ed inevitabile finale. Amleto stesso diventa il narratore, in un lungo racconto di tutto quanto è successo nella reggia di Elsinore, seguendo il filo del proprio punto di vista all’interno di una macchina scenica (di Massimo Troncanetti) fatta di salite e discese, piani inclinati e false prospettive che identificano i percorsi dell’esistenza.

Mentre luci in sala sono ancora accese Amleto è già sul palco, si toglie la scarpa e poi un calzino, poggia il piede nudo su una presa, mentre ha in mano una bottiglietta d’acqua; recita così il suo “essere o non essere”, sapendo che la caduta di una sola goccia d’acqua potrebbe costargli la vita. Ma che importanza ha, il destino gli ha già inflitto dolorose angosce mentre lo spettro del padre rivendica la sua infame uccisione.

Intorno costruzioni in movimento, fondali con sempre nuove forme, giardinetti con sedie a sdraio, tapis roulant e  pungiball, balconi asimmetrici e tetti spioventi che costringono gli attori a precari equilibri ed affanni. La sensuale Regina Gertrude (Sara Putignano), lo spregiudicato e lucido re Claudio (Michelangelo Dalisi), il cordiale Polonio (Francesco Bolo Rossini), la povera Ofelia (Mimosa Campironi) si muovono vestiti in abiti contemporanei, tra sentimenti e intrighi, dando vita ai loro personaggi con corpo e anima, mentre la macchina implacabile del fato li trascina verso la fine.

Fausto Cabra è un Amleto vitale, combattivo e rock per certi versi, su un telo di plastica con la bomboletta scrive “morte al Re”, ma è anche angosciato dalla colpa, perché Ofelia, a causa dei suoi tormenti interiori, si è suicidata.

Tanti personaggi e diverse modalità recitative non omogenee, anche se lo spettacolo ha il merito di tenere il pubblico attento e partecipe, ponendolo di fronte a una messinscena vitale e rispettosa del testo. Una versione del capolavoro shakespeariano non sofisticata, ma fisica e spettacolare.

La storia di Amleto rimane universale, sintesi di tutta la complessità dell’essere umano, con le sue fragilità e le sue pulsioni, un affresco di lotte e contraddizioni che ai tempi di Shakespeare, come ai giorni nostri, restano insolute, ma drammaticamente presenti.

data di pubblicazione:18/11/2022


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LA SIGNORA HARRIS VA A PARIGI di Anthony Fabian, 2022

LA SIGNORA HARRIS VA A PARIGI di Anthony Fabian, 2022

Nella Londra del secondo dopoguerra Ada Harris (Lesley Manville) si guadagna da vivere facendo la domestica ad ore. Dopo anni di speranze apprende di essere vedova di guerra e, per quanto con i piedi ben saldi nella realtà, è una sognatrice ottimista e vuole realizzare almeno un sogno:un abito di Dior! Risparmia e riesce ad andare a Parigi con la somma sufficiente per l’acquisto. La Maison Dior non è certo come un grande magazzino … eppure …

Tratto dai romanzi di successo di Paul Gallico il film diretto da Fabian, (presentato all’ultima Festa del Cinema si Roma), opta per una realizzazione dagli effetti facili: la simpatica protagonista è una donna di gran cuore, generosa ed ottimista che definitivamente vedova di guerra decide di concentrarsi sul vivere e sui suoi sogni. Si innamora di un abito di Dior ed ecco allora che una serie di fortunate coincidenze le consentono di andare a Parigi con un rotolo di sterline, pensando di poter comprare e portar via in giornata una creazione di Haute Couture. Piacevolmente charmant e superficiale il regista non fa particolari voli di bravura o di fantasia ed il film sembra divenire un’altra delle tante commedie piene di clichès sul fascino di Parigi. Per fortuna la realizzazione non è poi così banale né tantomeno è una cartolina illustrata e, pur non mancando qualche luogo comune, si stacca invece dalla possibile realtà ed i tanti sogni sembrano quasi realizzarsi. Il film prende così sempre più l’aspetto di una favola, anzi di favole nelle favole, in cui tutto sembra risolversi al meglio.

Un’apprezzabile piccola commedia rétro che fa tanto “buon vecchio cinema”, una favola per adulti che si segue con piacere per la gioia dei cuori ed anche degli occhi, davanti agli splendidi abiti e creazioni Dior. Una favola un po’ desueta ma tuttavia graziosa. Uno di quei piccoli gradevoli film che rassicurano soprattutto il proprio ben definito e limitato target di spettatori, ricordando loro che qualcosa di buono può sempre accadere.

Lo scenario, la sceneggiatura, i dialoghi, le location sono perfettamente come dovrebbero essere ed il tutto poggia sulla buona performance degli attori. Lesley Manville regge infatti tutto il film con il suo delicato carisma e la sua recitazione vivace. Accanto a lei a Parigi ci sono Lambert Wilson ed Isabelle Huppert bravi entrambi e poi anche un gruppo di giovani attori ed ottimi caratteristi tutti perfetti nei loro ruoli.

Insomma un film discreto, da vedere e poter gustare che però si scorda con la stessa facilità con cui lo si apprezza. Un film che visti i tempi difficili che stiamo attraversando offre allo spettatore un’apprezzabile boccata d’aria pura, di serenità, di ottimismo ed uno sguardo su un mondo ove tutto si risolve bene … di certo migliore di quello che ci attende fuori del cinema.

data di pubblicazione:17/11/2022


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TUTTO CHIEDE SALVEZZA di Francesco Bruni, serie Netflix 2022

TUTTO CHIEDE SALVEZZA di Francesco Bruni, serie Netflix 2022

La serie, prodotta da Netflix e diretta da Francesco Bruni, è tratta dall’omonimo romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli (vincitore del Premio Strega Giovani del 2020) in cui lo stesso autore racconta di aver subito un TSO in gioventù. Nella serie viene narrata la storia di Daniele (Federico Cesari) che, dopo aver avuto uno scatto d’ira, viene sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio e deve, per questo, trascorrere 7 giorni in un reparto psichiatrico. Un’esperienza che cambierà per sempre la sua vita.

 

Il regista, già autore di Scialla! (2011), Tutto quello che vuoi (2017) e Cosa sarà (2020), continua col suo stile tragicomico che ci fa ridere mentre piangi e piangere mentre ridi, a tratti surreale: c’è un reparto di psichiatria con finestre che si aprono, armadietti incustoditi. C’è anche l’aggiunta della storia d’amore tra Daniele e Nina (Fotinì Peluso). La camerata di un reparto psichiatrico in cui si veglia Daniele, assieme a cinque improbabili compagni di stanza con cui pensa di non avere niente in comune, ma con cui deve passare sette giorni lentamente si trasforma in una delle esperienze più intense e formative della sua vita.

L’opera, divisa in sette capitoli, uno per ogni giorno della settimana di TSO, mostra tutte le fragilità della mente umana, e questa struttura narrativa riesce anche a delineare bene le storie dei personaggi secondari: oltre la camerata dei pazienti della clinica impariamo anche a conoscere punti di forza e debolezza degli infermieri e dei medici.

La serie è un crescendo di emozioni, in cui le fragilità dei suoi protagonisti la fanno da padrona, ma al contempo non ci si nasconde dietro pietismi e si affronta la ‘malattia mentale’ riconoscendola, liberandosi così dal pregiudizio, senza aver paura di essere esposti al giudizio di una società fatta di apparenza.

Nella gamma di personaggi secondari, spiccano veramente tutti, ognuno con la sua fragilità, senza nulla togliere al personaggio principale Daniele, dando merito quindi ad una sceneggiatura che gestisce con delicatezza i tratti comici, lasciandoli tuttavia aggirare nei momenti più duri di una malattia difficile.

Da segnalare anche la colonna sonora, mai invadente, e le locations scelte dal regista, popolari ai più, ma molto suggestive.

data di pubblicazione:15/11/2022

L’OMBRA DI CARAVAGGIO di Michele Placido, 2022

L’OMBRA DI CARAVAGGIO di Michele Placido, 2022

La sera del 28 maggio 1606 in Campo Marzio a Roma, a causa di una banale discussione nata durante il gioco della pallacorda, Caravaggio viene ferito e, a sua volta, ferisce mortalmente il rivale, un certo Ranuccio Tomassoni. Il pittore aveva già avuto con lui diverse discussioni, spesso a causa di donne, che inevitabilmente sfociavano in violente risse, alle quali lui stesso era molto avvezzo. Condannato a morte, deve darsi alla fuga per sottrarsi al suo maledetto destino e, con l’aiuto di nobili famiglie romane, riesce in qualche modo a far perdere le sue tracce…

 

 

Come si è già avuto modo di notare, non è facile portare sul grande schermo un personaggio di grande spessore artistico o culturale senza cadere in schemi stereotipati che possano rendere l’immagine stessa del soggetto “sopra le righe”, se non addirittura vicine al ridicolo. Ad esempio, senza voler oscurare la figura del grande regista russo Andrej Koncalovskij, la pellicola da lui diretta e sceneggiata su Michelangelo, nonostante l’impiego di enormi mezzi finanziari e di un cast rilevante, non fu bene accolta da pubblico e critica proprio perché poco credibile nel tentativo di esplorare il mondo dell’artista, così ricco di pregiudizi e di false credenze religiose. Michele Placido, al contrario, riesce in questo film, come autore, interprete e regista, a portare realisticamente sul grande schermo la figura di un uomo che è stato capace di influenzare la pittura del suo tempo e a creare una visione realmente rivoluzionaria del sacro e del profano. Merito proprio di Caravaggio è stato quello di portare nelle grandi pale d’altare personaggi che non erano mai stati rappresentati, sia pur come modelli, quali prostitute, gente del popolo e vagabondi di ogni genere. Il film di Placido ha la forza e la credibilità di portarci in quel mondo, per farci comprendere come l’arte, se è per definizione immagine rielaborata della realtà, mai come in questo caso è proprio tra i poveri e i derelitti che va cercata e mostrata. Frutto di una attenta sceneggiatura curata dallo stesso regista insieme a Sandro Petraglia e Fidel Signorile, il film enfatizza la figura di un pittore maledetto e lascivo che però ha saputo portare l’arte ai massimi livelli di espressione proprio per la sua schiettezza narrativa.

L’Ombra di Caravaggio ha il grande vantaggio di fare riflettere come il passato, tutto sommato, non è altro che una metafora del presente e come dal presente ci si senta spinti ad andare avanti proprio in considerazione degli insegnamenti del passato. Riccardo Scamarcio è un perfetto Caravaggio, sguardo ammiccante e ambiguo in tutte le sue manifestazioni, uomo di mondo ma con quella sensibilità che è prerogativa, paradossalmente, di quegli uomini materiali e poco avvezzi alle buone maniere. L’attore viene egregiamente affiancato da Louis Garrel, nella parte dell’inquisitore, agente segreto del Vaticano, incaricato di ricostruire le vicende del pittore, e da Isabelle Huppert, nel ruolo di Costanza Sforza Colonna, nobile ammiratrice e protettrice del genio. La fotografia, curata da Michele D’Attanasio, introduce sapientemente lo spettatore in quel mondo di luci e ombre tipico della pittura caravaggesca, primi piani perfetti per cogliere l’espressione tormentata dei volti in un contesto ora paludato ora misero e maleodorante. Il film, sicuramente di grande impatto visivo e emotivo, è stato presentato all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma e da qualche giorno è distribuito nelle sale.

data di pubblicazione:09/11/2022


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WAR- LA GUERRA DESIDERATA di Gianni Zanassi, 2022

WAR- LA GUERRA DESIDERATA di Gianni Zanassi, 2022

Tom (Edoardo Leo) laureato in lingue romanze, alleva vongole, deve avere il nulla osta della psicologa Lea (Miriam Leone) per riavere la patente … nel frattempo attorno a loro dilaga il Caos, sta per scoppiare la guerra con la Spagna e c’è di mezzo anche la Francia …

 

Che dire dei ben 130 minuti di questo coraggioso tentativo di fare un Action Movie all’Italiana visto in anteprima alla recente Festa del Cinema di Roma?    Essere indulgenti e girarci attorno?

Diciamolo subito, a noi il film non è piaciuto, e, pur riflettendoci oggi, continua a non piacere del tutto (e lo spiegheremo tecnicamente). Escludendo ovviamente le recensioni fatte per mera piaggeria o cortigianeria o quelle che senza esprimere alcun parere, hanno solo allungato il brodo infilandoci che il regista ha inteso rappresentare il caos della nostra Società, la guerra, le minacce che incombono, il crescente degrado di convivenza civile, il crollo dei valori, gli istinti peggiori che trovano spazio nei momenti bui, i frustrati e repressi che aspettano di rivalersi … anche la Critica più seria non è stata, a tutt’oggi, generalmente molto positiva o accondiscendente verso il film.

Ma che dire veramente del film? Come mi è stato fatto notare: “è sicuramente da apprezzare il tentativo di trovare originalità e brio ad una storia in controtendenza con le solite trame dei film italiani su famiglie e disagi vari”. Siamo d’accordo, e conveniamo anche che certamente il tocco di Zanassi si conferma singolare e meritevole di attenzione. Ma basta?… No! ed ecco i ma …

L’idea fantapolitica è certo originale, coraggiosa ed attraente e sembrava promettere molto bene, guardando poi anche il ricco e qualificato cast gli spunti e sviluppi potevano essere veramente tanti. Ma peccato! Veramente peccato! Un’opportunità non pienamente sfruttata con il giusto respiro. Purtroppo una volta partiti occorre poi riuscire a sapersi mantenere all’altezza delle tante e belle aspettative generate e delle ambizioni. Il film che ne è risultato è infatti un film molto discontinuo con alcuni sicuri pregi ma anche con vari difetti e diverse, troppe imperfezioni!

La sceneggiatura in particolar modo è molto carente: dopo la bella intuizione avuta non riesce infatti a dare all’evoluzione narrativa contenuti che abbiano logica, sostanza, spessore e che reggano alla distanza. Ne consegue che la narrazione filmica si spezzetta, quasi da subito, in un insieme di accenni, in tanti, troppi, temi e spunti messi non sempre a fuoco. Le scene così si accumulano senza essere completate e spesso sono inutili, superflue, disturbanti e poco legate con la stessa vicenda pur nei sui tanti piani di lettura, intenzionali o sottintesi che siano. Il film è troppo lungo! gira talora a vuoto e le troppe ripetizioni lo appesantiscono impedendogli di prendere il volo e trovare la sua vera connotazione. Anche i bei momenti di cinema, che pur ci sono, vengono così opacizzati.

Implausibili e poco definiti sono poi pure i caratteri dei personaggi, troppi infatti i personaggi che si accavallano, si rubano la scena fra di loro, appaiono e scompaiono senza essenzialità ai fini narrativi. Gli effetti di questa carenza di scrittura e di indirizzo ricadono così sugli attori chiamati ad impersonarli. Peccato per Edoardo Leo, per Miriam Leone, per Giuseppe Battiston che ha veramente un bel ruolo (uno dei migliori) e per Stefano Fresi che invece è sacrificato in un personaggio non sviluppato a dovere.

Sicuramente Zanassi ha una sua personalità e non è un autore banale, ma questa volta si è forse troppo innamorato della sua bella idea e ci si è perso dentro. Va seguito ulteriormente.

data di pubblicazione:09/11/2022


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POPS di Charlie Josephine, con Eleonora Barnazza e Massimo Di Michele, regia di Massimo Di Michele

POPS di Charlie Josephine, con Eleonora Barnazza e Massimo Di Michele, regia di Massimo Di Michele

(Teatro Belli – Roma, 4/6 novembre 2022)

Pops di Charlie Josephine, tradotto e adattato in italiano da Natalia di Giammarco e Enrico Luttmann, mostra il fallimento della relazione tra un padre e una figlia. La lotta per la sopravvivenza per due persone che non hanno più nulla dirsi.

  

Quando una figlia prova disgusto nel lavare i propri indumenti insieme a quelli del padre per paura di essere contaminata dalle particelle organiche rimaste attaccate ai vestiti di lui che arriva a farsela addosso per il troppo bere, significa che siamo davanti a una relazione che ha toccato decisamente il fondo. È questa l’immagine forte che rimane dopo aver visto Pops di Charlie Josephine in scena per la XXI edizione di Trend, diretta da Rodolfo di Giammarco. Se si volesse raccontare l’essenza del teatro britannico contemporaneo, non si potrebbe prescindere dal marcare il lato quasi nauseante di una drammaturgia che altera e sconvolge i sensi di chi è seduto a guardare.

In Pops la porta si apre su un appartamento spoglio dove un uomo solitario e alcolizzato che è anche un padre, guarda tutto il giorno programmi spazzatura alla tv. Quando non è la televisione a distrarlo dai pensieri, è la musica a tutto volume a contorcerlo in una danza sconnessa e irritante. Improvvisamente appare la figlia con una valigia in mano. Sembra impacciata e mortificata nel chiedere ospitalità al padre. La ragazza interpretata da Eleonora Barnazza è molto giovane, ma già porta sulle spalle un discreto bagaglio di fallimenti. Non riesce a trovare un lavoro e quindi non ha una casa dove abitare. La relazione tra i due è congelata in una condizione di incomunicabilità e rimprovero da entrambe le parti. Lei non sopporta che il padre abbia rinunciato a vivere la sua vita passando il suo tempo a bere davanti alla tv. Lui disapprova il fatto che la figlia non abbia un compagno e una vita realizzata. Lui non riesce a essere per lei un padre amorevole e ha contro una figlia disgustata dalla sua indolenza. Perfino il ricordo della data in cui la moglie di lui e madre di lei è andata via sono divergenti. E la presenza di un personaggio mediatore è proprio quello che manca a questa relazione. Ciò che rimane è una danza tra solisti, accompagnati da un complesso gioco di luci e suoni che ne intercettano gli umori. La regia e l’interpretazione di Massimo Di Michele si soffermano molto sul dato corporeo. Il padre è un uomo fisicamente preponderante, aggressivo e violento. Eleonora Barnazza mostra umiltà e una grande concentrazione nell’interpretazione di un personaggio fragile e insicuro. Provano a dialogare, sforzandosi di rientrare nel ruolo che la loro relazione padre/figlia impone, ma ogni tentativo di avvicinamento finisce inevitabilmente in un litigio. Nel disegno drammaturgico di Charlie Josephine la narrazione non concede riscatto, ma descrive l’immobilità di due personaggi destinati a mentire sulla realtà del loro completo fallimento.

data di pubblicazione:07/11/2022


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DI PIETRE E DI ROSE, uno spettacolo dedicato a Pier Paolo Pasolini, da un’idea di Luciana Lusso Roveto e Paola Maffioletti, creografia e regia di Paola Maffioletti

DI PIETRE E DI ROSE, uno spettacolo dedicato a Pier Paolo Pasolini, da un’idea di Luciana Lusso Roveto e Paola Maffioletti, creografia e regia di Paola Maffioletti

(Teatro di Villa Lazzaroni – Roma, 4/6 novembre 2022)

Un ennesimo intenso omaggio a Pasolini metabolizzato attraverso le tre icone femminili della sua vita, la madre Susanna, la cantora Laura Betti e la divina Callas.

Uno spettacolo coraggioso nel tentativo sincretico di unire il teatro danza alla parola. Diremo che in un confronto vince nettamente la prima espressione anche se la seconda conduce una sfida serrata con alcuni squarci lirici che sono parole (e sangue) del poeta o della sua affezionatissima genitrice. Le tre attrici si spremono senza risparmio davanti a un pubblico che sembra intuire l’arduo compito espressionista. Scenografia e abiti indicano un continuo mettere e levare. L’irrequietezza della Betti, la classicità della cantante conosciuta sul set di Medea e l’amore materno della madre sono tre immagini ben caratterizzate, unite da un difficile tentativo di dialogo. Evidentemente la narrazione è per bozzetti e non può addentrarsi in un linguaggio compiuto. Originale lo straniamento pasoliniano incarnato da una cantante ben mascherata i cui panni di genere in avvio non sono di facile interpretazione. Un teatro di immagine più che di parola, che suggestiona, a tratti strega. L’invasione degli spazi delle tre donne è la metafora dialettica del tentativo di riannodarsi a Pasolini. Un’utopia forse visto che il poeta aveva contemporaneamente vicinanza e distanza dal trittico. Lo spettacolo enuclea il femminile che era contenuto nello scrittore scomparso, ne denuncia la disperata vitalità. Un amore per la vita che alla fine è vizio, dannazione e che evoca la sua tragica fine. In fondo ostinatamente cercata. Uno spettacolo che è un tentativo originale e sofferto di produrre la consistenza della parola scritta attraverso il movimento, il conflitto e la diversità dei caratteri. All’ultima replica ha assistito plaudente Giuliana De Sio.

data di pubblicazione:07/11/2022


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PSYCHODRAMA di Matt Wilkinson, con Valentina Virando, regia di Valerio Mieli

PSYCHODRAMA di Matt Wilkinson, con Valentina Virando, regia di Valerio Mieli

(Teatro Belli – Roma, 1/2 novembre 2022)

Un’attrice senza lavoro in cerca di una scrittura. L’occasione di avere una parte in una trasposizione teatrale del celebre Psycho di Hitchcock. Un regista morto ammazzato in circostanze misteriose. Questi gli ingredienti di Psychodrama (produzione Proprietà Commutativa), il lavoro andato in scena al teatro Belli per Trend, la rassegna sulla drammaturgia inglese contemporanea diretta da Rodolfo di Giammarco.

 

 

Il personaggio ironicamente psicotico a cui dà corpo e voce Valentina Virando vive blindato in un mondo tutto suo. Si muove in uno spazio asettico, immerso e isolato in una stanza completamente bianca. La donna che interpreta è un’attrice che non recita da diverso tempo per mancanza di proposte ed è costretta a mantenersi lavorando come commessa in un negozio di abbigliamento. Una condizione fin troppo comune oggigiorno per molte persone, costrette a fare i conti con una realtà che non coincide quasi mai con le aspettative e i desideri che si vorrebbero realizzare. È un individuo dall’eloquio caotico e frammentato appena guarito da un esaurimento nervoso, su cui sono evidenti i segni di una malattia che riguarda la nostra società disorganizzata.

La regia di Valerio Mieli coglie proprio l’aspetto psicotico e schizofrenico del personaggio quando sul muro bianco che fa da fondale alla scena appaiono proiettate sotto forma di allucinazioni le immagini dei luoghi dove la donna svolge la sua esistenza (le creazioni video sono di Giulio Cavallini), ma anche l’ombra di lei, nera e definita, che sdoppia la sua presenza in scena. Il testo drammaturgico è del 2021 e pur non parlando di pandemia ne traccia comunque quelle caratteristiche di disagio che hanno colpito molti lavoratori, in particolare nel mondo dello spettacolo. Valentina Virando ne è un’ottima interprete, mostrando di essere ben calibrata e creativa nella recitazione delle follie del personaggio e nella capacità di adattarsi ai suoni e alle immagini con cui la regia esprime la sua lettura.

Un giorno però il miracolo si compie. La sua agente la chiama al telefono per proporle un provino. In città è arrivato un famoso regista che sta lavorando a un adattamento teatrale di Psycho, il celebre film del 1960 diretto da Alfred Hitchcock. La ragazza si propone per il ruolo di Marion, la giovane segretaria che viene accoltellata nella doccia della celebre scena, ma dai particolari che emergono nel racconto – il regista viene ritrovato nel bagno della sua suite di albergo brutalmente ucciso – capiamo che il suo ruolo si rivelerà più simile a quello di Norman, l’assassino proprietario del motel degli orrori.

data di pubblicazione:04/11/2022


Il nostro voto: