RAPITO di Marco Bellocchio, 2023

Nel 1858, anno in cui inizia l’incredibile storia di Edgardo Mortara, Bologna si trova sotto la giurisdizione del Papa Re Pio IX. Un bambino di appena sette anni viene tolto alla famiglia, di religione ebrea, per essere cresciuto e educato come cattolico a Roma. Nonostante i vari appelli, anche a livello internazionale, affinché il piccolo venga restituito ai genitori, la Santa Sede attraverso i suoi insigni rappresentanti si trincera dietro l’espressione “non possumus”, locuzione che esprime l’opposizione granitica ad ogni tentativo di risolvere la questione con il semplice buonsenso…

 

Siamo ben lontani, anche in termini temporali, dal film d’esordio I pugni in tasca con il quale l’allora giovanissimo regista piacentino intendeva manifestare un ben definito malessere sociale, precursore di ciò che sfocerà a breve nella rivoluzionaria contestazione sessantottina. Anche nei film successivi, Bellocchio ha manifestato la volontà di entrare, quasi con circospezione, nell’intimo dell’anima dei suoi personaggi, per esaminarne i lati più oscuri e le sue deformazioni. In questi suoi ultimi lavori sembra tralasciare quelle tematiche un tempo a lui care, quelle situazioni claustrofobiche che volente o nolente portavano i suoi personaggi a rasentare la follia pura. Dopo Buongiorno, notte, in Esterno notte il regista torna all’impegno politico con una minuziosa cronaca dei giorni del sequestro Moro che tanto impegnarono, senza successo, i politici di quel tempo. In questa fase evolutiva, o involutiva per i critici più spietati, il regista ha presentato in concorso a Cannes il suo ultimo lavoro Rapito, un film a dir poco colossale non solo per la complessa tematica affrontata, quanto per l’impegno a realizzare un’ambientazione storica, quanto più aderente possibile a quegli anni in cui crollò il potere temporale della Chiesa. In questo contesto si inseriscono le vicende del giovane Edgardo Mortara, di famiglia ebrea, che ancora bambino viene sottratto alla famiglia e, con un pretesto poco credibile, viene trascinato con la forza per essere educato ad abbracciare la religione cattolica, in palese contrasto con le abitudini e le convinzioni delle sue origini. Una sceneggiatura, ben curata dallo stesso regista insieme a Susanna Nicchiarelli, che riesce a catturare lo spettatore, imprigionandolo in una bolla emotiva, carica di tensione e angoscia. Ci si chiede cosa possa oggi rappresentare la religione, di qualunque credo si tratti, e di come possa anche ferire in nome di una fede ottusa, da accettare come dogma inconfutabile. La fotografia, curata da Francesco Di Giacomo, utilizza quel gioco di luci e ombre radenti, quasi caravaggesche, per meglio rappresentare quell’anima che non sa prendere una netta posizione tra l’obbedienza incondizionata all’autorità ecclesiastica e la semplice logica del buonsenso. Cast ben curato dove emerge la figura di Edgardo, interpretato alla perfezione dal piccolo Enea Sala, mentre la madre è interpretata da Barbara Ronchi, molto credibile nel ruolo di una donna disperata che non si rassegna alla perdita del figlio. Bellocchio non vuole manifestare solo palese irriverenza verso quel tipo di chiesa che imperversava al tempo di Pio IX, ma ancora una volta si impegna in un atto di ribellione verso ogni autorità che, mai come in questo caso, dovrebbe occuparsi dell’ultraterreno e se lo fa, decisamente lo fa male.

data di pubblicazione:01/06/2023


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