da Salvatore Cusimano | Giu 7, 2023
Il film racconta la storia di Walter (Lorenzo Menichelli) e dell’estate più incredibile della sua vita. La scuola è finita e Walter ha appena perso suo padre Antonio (Claudio Santamaria). Vive con la madre Rita (Virginia Raffaele) in un quartiere popolare di Roma e, improvvisamente, la sua esistenza si ritrova sospesa in una sorta di limbo, in bilico tra un mondo ancora infantile e quello dell’adulto che vorrebbe essere.
I produttori sono gli stessi di Lo Chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out (entrambe le pellicole per la regia di Gabriele Mainetti), precursori di questo nuovo filone di cinema italiano dalle tinte noir e dall’ambizione internazionale, lontano dal solito clichet dei film italiani basati sulla famiglia.
Tutto gira intorno a un “luogo non luogo”, in cui il piccolo Walter incappa, affascinante e misterioso e che cattura la sua attenzione: una villa abbandonata con una gigantesca e torbida piscina, con un altro adolescente, Carlo (Stefano Rosci), che se ne è autoproclamato custode.
Inizierà così un viaggio di vera e propria formazione, segnato dalla presenza di uno squalo, simbolo di potere all’interno della piscina, ma anche da un’amicizia formativa nel segno della libertà, da ricordi e presenze che prendono vita e da una dimensione fanciullesca da recuperare.
Il risultato è una fiaba drammatica, cruda, ma anche avventurosa, spericolata, a tratti divertente, perfetta metafora di un’infanzia interrotta da un trauma familiare, con tutti i relativi problemi che portano ad un’adolescenza che si affaccia prepotente.
C’è sì un ragazzino che vuole crescere in fretta ma che capisce anche di dover fare pace con il proprio passato, riavvicinandosi alla madre e risolvendo il conflitto con la figura paterna, in tutto quello che può definirsi come un “trovare il proprio posto nel mondo”, proiettandosi in una dimensione di scoperte e di nuove consapevolezze.
Menzione speciale meritano gli effetti visivi che rendono lo squalo realistico e d’impatto.
data di pubblicazione:07/06/2023
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da Antonio Iraci | Giu 1, 2023
Nel 1858, anno in cui inizia l’incredibile storia di Edgardo Mortara, Bologna si trova sotto la giurisdizione del Papa Re Pio IX. Un bambino di appena sette anni viene tolto alla famiglia, di religione ebrea, per essere cresciuto e educato come cattolico a Roma. Nonostante i vari appelli, anche a livello internazionale, affinché il piccolo venga restituito ai genitori, la Santa Sede attraverso i suoi insigni rappresentanti si trincera dietro l’espressione “non possumus”, locuzione che esprime l’opposizione granitica ad ogni tentativo di risolvere la questione con il semplice buonsenso…
Siamo ben lontani, anche in termini temporali, dal film d’esordio I pugni in tasca con il quale l’allora giovanissimo regista piacentino intendeva manifestare un ben definito malessere sociale, precursore di ciò che sfocerà a breve nella rivoluzionaria contestazione sessantottina. Anche nei film successivi, Bellocchio ha manifestato la volontà di entrare, quasi con circospezione, nell’intimo dell’anima dei suoi personaggi, per esaminarne i lati più oscuri e le sue deformazioni. In questi suoi ultimi lavori sembra tralasciare quelle tematiche un tempo a lui care, quelle situazioni claustrofobiche che volente o nolente portavano i suoi personaggi a rasentare la follia pura. Dopo Buongiorno, notte, in Esterno notte il regista torna all’impegno politico con una minuziosa cronaca dei giorni del sequestro Moro che tanto impegnarono, senza successo, i politici di quel tempo. In questa fase evolutiva, o involutiva per i critici più spietati, il regista ha presentato in concorso a Cannes il suo ultimo lavoro Rapito, un film a dir poco colossale non solo per la complessa tematica affrontata, quanto per l’impegno a realizzare un’ambientazione storica, quanto più aderente possibile a quegli anni in cui crollò il potere temporale della Chiesa. In questo contesto si inseriscono le vicende del giovane Edgardo Mortara, di famiglia ebrea, che ancora bambino viene sottratto alla famiglia e, con un pretesto poco credibile, viene trascinato con la forza per essere educato ad abbracciare la religione cattolica, in palese contrasto con le abitudini e le convinzioni delle sue origini. Una sceneggiatura, ben curata dallo stesso regista insieme a Susanna Nicchiarelli, che riesce a catturare lo spettatore, imprigionandolo in una bolla emotiva, carica di tensione e angoscia. Ci si chiede cosa possa oggi rappresentare la religione, di qualunque credo si tratti, e di come possa anche ferire in nome di una fede ottusa, da accettare come dogma inconfutabile. La fotografia, curata da Francesco Di Giacomo, utilizza quel gioco di luci e ombre radenti, quasi caravaggesche, per meglio rappresentare quell’anima che non sa prendere una netta posizione tra l’obbedienza incondizionata all’autorità ecclesiastica e la semplice logica del buonsenso. Cast ben curato dove emerge la figura di Edgardo, interpretato alla perfezione dal piccolo Enea Sala, mentre la madre è interpretata da Barbara Ronchi, molto credibile nel ruolo di una donna disperata che non si rassegna alla perdita del figlio. Bellocchio non vuole manifestare solo palese irriverenza verso quel tipo di chiesa che imperversava al tempo di Pio IX, ma ancora una volta si impegna in un atto di ribellione verso ogni autorità che, mai come in questo caso, dovrebbe occuparsi dell’ultraterreno e se lo fa, decisamente lo fa male.
data di pubblicazione:01/06/2023
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da Antonio Iraci | Mag 24, 2023
(Teatro India – Roma, 23/28 Maggio 2023)
Una madre oramai anziana e i suoi tre figli, Simona, Riccardo e Gioia, sono al supermercato con i carrelli della spesa. Proprio lì avverrà l’incontro/scontro da cui nascerà una seria e approfondita riflessione sul loro rapporto interpersonale. Il pianeta terra è alla sbando, oramai prossimo a morire, e ci si interroga su una prevedibile apocalisse. Ma è proprio vero che gli elefanti, dotati di un cervello tre volte superiore a quello dell’uomo, sono destinati a prevaricare su tutti noi sovvertendo cosi i principi darwiniani dell’antropogenesi?
Lucia Calamaro è una regista e drammaturga romana alla quale non manca certo una consolidata esperienza comunicativa per utilizzare il teatro, per definizione luogo di gioco interattivo, come trampolino di lancio per un messaggio sociale e ambientalista. Nello spazio ben delineato della scena è possibile allora naufragare su alcune riflessioni profonde quali l’origine del mondo e l’autodistruzione causata dall’incuranza da parte del genere umano. Forse Darwin stesso non avrebbe mai immaginato che le sue teorie evoluzionistiche avrebbero invece generato un processo involutivo irreversibile e l’uomo avrebbe un giorno lasciato il posto a specie animali più capaci di imporsi. Maria Grazia è un’artista prima di essere una madre, sa studiare bene le sue performances e sa come attirare su di sé l’attenzione dei propri figli, distratti dalle loro fatiche quotidiane, ma poco inclini a lasciarsi abbindolare da una sua presunta imminente morte. Anche i tre fratelli sembrano avere difficoltà a trovare punti di incontro, ognuno ha le proprie teorie su ciò che è giusto o ingiusto, su come interagire nei confronti di una madre performativa, brava certo in tutto ma incapace di manifestare un affetto genuino nei loro confronti. Se Riccardo, maestro elementare, è ossessionato dalla sua invadente fisicità, Simona, ostetrica di professione, difende senza vera convinzione le proprie idee ambientaliste e si scontra con la sorella Gioia, artista anche lei come la madre, paladina del principio di supremazia del mondo vegetale su quello animale. Dialoghi e elucubrazioni filosofiche sulla vita e sulla morte, due facce della stessa medaglia che ci portano a riflettere sul senso delle cose e sulla deriva verso la quale siamo consapevolmente diretti. Una regia, quella della Calamaro, attenta al peso delle parole più che alle azioni, un ambiente luminoso dove far muovere gli attori, semplici burattini lasciati a rincorrersi alla ricerca affannosa di un briciolo di umanità. Sulla scena Riccardo Goretti, Gioia Salvatori, Simona Senzacqua, Maria Grazia Sughi con una recitazione perfetta, spontanea e divertente che ha conquistato sin dalle prime battute il pubblico in sala.
data di pubblicazione:24/05/2023
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da Antonio Iraci | Mag 23, 2023
Peter von Kant è un regista ben introdotto nell’ambiente cinematografico internazionale, più volte premiato per le sue opere. Dopo aver lasciato il suo compagno, sta attraversando un momento di crisi assistito fedelmente dal suo segretario e cameriere Karl, apparentemente muto, che accetta passivamente i maltrattamenti e i capricci del suo padrone. Un giorno l’amica/attrice Sidonie si presenta a casa sua con Amir, giovane seducente e nullatenente, in cerca di una facile sistemazione…
Presentato in apertura alla Berlinale dello scorso anno, Peter von Kant del poliedrico Ozon trova ispirazione nell’opera teatrale di Rainer Werner Fassbinder Le lacrime amare di Petra von Kant di cui lo stesso nel 1972 ne aveva tratto un film, in concorso per l’Orso d’oro a Berlino. Dopo cinquant’anni esatti, il regista e sceneggiatore francese dirige un remake dalla pellicola in cui ripropone i temi a lui cari, che trovano quasi sempre riscontro nelle sue opere, quali l’identità sessuale e in particolare l’identità di genere, l’affettività, la morte. Ozon, pur lasciando la tipica impostazione teatrale classica, con unità di azione, di luogo e di tempo, modifica il dramma originario di Fassbinder trasformando le protagoniste in personaggi al maschile in modo tale che il soggetto principale, la stilista Petra diventerà il cineasta Peter, con tutto quello che ne consegue. Al rigor del vero l’esperimento non sembra pienamente riuscito anche se tutto l’impianto scenico è pensato volutamente artificioso, oltre al necessario, per riportare l’intera ambientazione a quella originaria tipica di quegli anni. L’infatuazione di Peter verso l’efebico Amir, di cui poi si innamorerà perdutamente perdendo ogni forma di autocontrollo, ha non solo dell’irrazionale ma del patetico, tutta esageratamente rivolta verso una relazione sofferta da un lato, e marcatamente interessata dall’altro. Se Peter (Denis Ménochet) risulta poco credibile, ancora di più lo è il giovane Amir (Khalil Ben Garbia) entrambi impegnati in una recitazione sopra le righe, a volte persino fastidiosa. Per fortuna in loro soccorso interviene una splendida Hanna Schygulla, passata dal ruolo della bellissima Karin, nel film di Fassbinder a quello della madre di Peter in Ozon, piccolo cameo che fa risaltare ancor di più la bravura della talentuosa attrice tedesca, oramai ottantenne. Nel cast anche l’affascinante Isabelle Adjani, perfetta in Sidonie, amica di Peter e oramai considerata un’attrice sul viale del tramonto, immagine costruita ma l’unica veramente sincera in un entourage di sentimenti falsi. Tentativo quindi che voleva essere un più che sentito omaggio al grande Fassbinder, forse però non del tutto azzeccato. La scenografia è intenzionalmente troppo scontata: un atelier kitsch con sullo sfondo immagini ripetute di un San Sebastiano trafitto in tutte le posizioni, oramai simbolo martirizzato di una iconografia che, senza fare falsa retorica e cercando di evitare ogni perbenismo, rasenta a volte il ridicolo. Con rispetto alla buona volontà di Ozon, non ci si può esentare dal manifestare qualche seria perplessità.
data di pubblicazione:23/05/2023
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da Daniele Poto | Mag 22, 2023
Se il futuro del cinema non va incontro ai giovani perché non contare su un fedelissimo pubblico stagionato, avvezzo al plot dal precedente del 2018. Gli anni passano ma il prestigio delle over 70 è ancora evidente, pur con la tara di qualche operazione chirurgica. Un cast che sarebbe stato stellare e difficile da mettere insieme quaranta anni fa. che diventa l’occasione di un rilancio collettivo per le attrici delle terza età.
È buffo constatare come per il cinema americano l’Italia sia spesso un caleidoscopio di imprevedibili luoghi comuni, quegli stessi topos che hanno portato Woody Allen a una delle più tristanzuole prove in carriera. Peraltro questa sorta di visione di maniera dovrebbe quanto meno ironicamente strizzare l’occhio al pubblico nostrano, sia per l’ambientazione, che per la schizofrenica replica di una realtà assolutamente difforme dall’esistente. Con tutto ciò non si può negare glamour e tiepida gradevolezza a una pellicola che ovviamente conta molto sull’appeal del cast. La curiosità forse persino un po’ malsana di vedere vecchie dive di diverse carriere messe insieme in uno script per permettere loro di rivaleggiare, come ai vecchi tempi. La fine della pandemia è lo spunto per un viaggio di gruppo in Italia con l’attraversamento delle città ovviamente più turistiche a disposizione come Roma, Venezia, Firenze. E perché non gustare un bicchiere del vino che più aggrada agli States nel Chiantishire? Location sontuose e approcci disinvolti. Gli italiani non sono forse un popolo di latin lover? A lungo andare la superficialità dell’approccio si fa abbastanza insopportabile. Si naviga a vista nella verosimiglianza, quasi che si trattasse di un manuale di sociologia su “come ci vedono gli altri”. Però sarebbe davvero preoccupante se anche il presidente Biden, massima espressione del paese leader al mondo (Cina permettendo) ci vedesse così. È possibile che qualche spettatore non resista ed esca prima della fine.
data di pubblicazione:22/05/2023
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da Rossano Giuppa | Mag 20, 2023
(Teatro Argentina – Roma, 16 /21 maggio 2023)
Approda al Teatro Argentina dal 16 al 21 maggio 2023 lo spettacolo di Claudio Tolcachir Edificio 3 Storia di un intento assurdo che, dopo Il caso della famiglia Coleman ed Emilia (Premio UBU 2017 prodotto dallo stesso Teatro di Roma), torna a dirigere una produzione in lingua italiana, un testo surreale e grottesco che racconta la complessità delle relazioni interpersonali.
Protagonista della nouvelle vague argentina e fondatore di Timbre4 a Buenos Aires, Claudio Tolcachir racconta, in Edificio 3, le vicende di cinque personaggi, allocati in uno spazio indefinito e sovrapposto che esplicitano il profondo baratro esistente tra l’io più intimo e il personaggio pubblico con cui ci si rappresenta all’esterno (foto di Masiar Pasquali).
In un vecchio ufficio vivono gli impiegati Monica, impicciona e chiacchierona, Sandra, single non più giovane che sta cercando di restare incinta ed Héctor, uomo maturo, soffocato dalla madre. In un gioco di sovrapposizioni di spazio e tempo, l’ufficio è ora la casa dei fidanzati Manuel e Sofia, ora un bar, ora uno studio medico. Tra amori, tradimenti, desideri, frustrazioni e sogni, ognuno alla fine rimane nel proprio alveo distante e impossibilitato ad andare oltre.
Rappresentato per la prima volta a Buenos Aires nel 2008, lo spettacolo risulta ancora più attuale oggi dopo che la pandemia ha scavato solchi profondi nel tessuto sociale e nelle relazioni. In quel posto non posto infatti tutto sembra abbandonato: l’ascensore è rotto, la macchinetta del caffè anche, il lavoro langue, l’ufficio del personale è stato trasferito altrove e non registra le presenze degli impiegati…
Le loro storie personali si intrecciano con momenti di commozione e di pura comicità: le vicende di Sandra, (Giorgia Senesi), donna single non più giovane, che sta cercando di avere un figlio, di Ettore (Rosario Lisma), che solo dopo la morte della madre si vuole aprire ad avventure erotiche e della confusionaria, invadente, affettuosa Monica (Valentina Picello), che conosce i segreti di tutti, fruga nei cassetti e si insinua nelle vite altrui, si incastonano nell’amore combattuto tra Manuel (Emanuele Turetta), inquieto cerca sfogo al di fuori della coppia e la più equilibrata Sofia (Stella Piccioni).
Amori, desideri, ambizioni, frustrazioni, ma anche sogni: Tolcachir racconta la complessità delle relazioni interpersonali e l’infinita distanza che ci separa dal nostro prossimo.
Scritta con grande verità, la commedia è molto divertente, e dipinge personaggi commoventi e comici. Un plauso a tutti gli attori, bravissimi ed una menzione speciale all’autore e regista per la sua straordinaria capacità di mettere ognuno di fronte allo specchio dei propri sentimenti.
data di pubblicazione:20/05/2023
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da Antonio Iraci | Mag 17, 2023
(Teatro Vascello – Roma, 16/28 Maggio 2023)
Fil e Charlie coltivano in casa marijuana. Per ristabilire un certo equilibrio internazionale, visto che gli Stati Uniti, sotto la parvenza di una solida democrazia, hanno annientato i cartelli della droga messicani, decidono solidalmente di esportarla in quel paese. Come corriere utilizzeranno Wanda che, per il suo fisico da cicciona, ha impensabili capacità ricettive. Mentre la ragazza viene preparata opportunamente al grande viaggio, improvvisamente, dopo anni di assenza, riappare Annalisa, trans che è padre di Fil e ex marito di Lucia, sua madre…
Carrozzeria Orfeo si presenta con una pièce del tutto originale, irriverente nel linguaggio e molto significativa per quanto riguarda la critica verso tutte quelle forme di falsa democrazia. In un mondo, quello in cui viviamo, dove l’arte di arrangiarsi è diventata necessità di sopravvivenza, ritroviamo i nostri personaggi, ognuno per la propria parte con le rispettive aspirazioni e con i propri concreti fallimenti. Fil manifesta, con la sua rabbia, la propria disillusione verso la vita che lo ha fatto vivere con una madre dipendente dal gioco e con un padre che, dopo molti anni, si ripresenta in veste di trans, già accolto in una comunità teocratica e manipolatrice. Di contro Charlie, socio negli affari, porta avanti le sue lotte come animalista e come integerrimo difensore dei diritti civili. Per non parlare poi di Wanda, completamente priva di autostima, che aiuta come può il fratello disabile a soddisfare i propri impellenti bisogni sessuali. In questo miscuglio di differenti sconfitte si articola un’azione corale, una cage aux folles dove le situazioni sfuggono di mano perché non c’è possibilità di riscatto sociale, con una illusione sempre disillusa e dove ogni speranza è destinata alla deriva. Un lavoro ironico e graffiante, ben congegnato per portare avanti una protesta, una ribellione verso qualcuno o qualcosa dai contorni incerti. La troupe segue una drammaturgia perfetta in ogni dettaglio, anche se con qualche eccesso il risultato è decisamente gradevole e spassoso, i dialoghi divertenti e profondi che lasciano vagare il pensiero per portare lo spettatore a interrogarsi: ma tutto questo è vero o semplice finzione? Gabriele Di Luca, uno dei registi nonché attore lui stesso sulla scena, è riuscito a portare questa sua opera dal teatro al cinema realizzando un film di tutto rispetto, senza sacrificare la sostanza dei temi affrontati come quello delle dipendenze e dei disagi mentali. Una produzione Marche Teatro/Carrozzeria Orfeo, nei prossimi giorni al Teatro Vascello di Roma.
data di pubblicazione:17/05/2023
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da Antonio Iraci | Mag 16, 2023
Beau Wessermann abita da solo, terrorizzato da tutti quelli che vivono attorno a lui, in un appartamento fatiscente, sito in un luogo imprecisato ed invaso da criminali di ogni tipo. Un giorno decide di partire per incontrare la madre, verso la quale nutre un devastante rapporto di amore, quasi di morbosa sottomissione. Per una serie di strane circostanze non può più raggiungerla, avrebbero dovuto festeggiare insieme il suo compleanno. Da quel momento inizia la sua odissea attraverso un mondo ostile che lo respinge e che attenta persino alla sua incolumità…
Martin Scorsese, grande ammiratore di Ari Aster che aveva già più volte lodato per i suoi precedenti Hereditary e Midsommar, nel vedere l’ultimo suo attesissimo film ha definito il giovane regista newyorkese “una delle più straordinarie nuove voci nel mondo del cinema”. In effetti non si può che concordare con il grande maestro sull’abilità tecnica che sta dietro a questo film e soprattutto sul linguaggio visionario utilizzato, così unico e coinvolgente che oggi solo pochi sono in grado esprimere con un così alto livello. A differenza dei due lavori precedenti, in cui oltre all’aspetto onirico si era dato più rilievo alla componente horror, in Beau ha paura, protagonista Joaquin Phoenix, si vuole dare risalto alle sensazioni adrenaliniche che il personaggio trasmette, alle sue ansie, alle sue paure verso una madre matrigna e verso un mondo che sembra voler accoglierlo, ma che nella buona sostanza lo respinge, anzi tenta proprio di annientarlo. Difficile ricostruire una trama che possa rientrare in uno spazio temporale ben definito, in un percorso che va dal momento della sua nascita a quello della sua morte, un percorso insidioso pieno di incontri con personaggi al limite della schizofrenia. Beau è destinato a essere un perdente, a lui è precluso anche fare sesso perché ha ereditato dal padre e, prima di lui dal nonno e dal bisnonno, il triste destino di morire al primo rapporto completo con una donna. Questo è solo uno dei tanti misteri che avvolgono la sua vita: una madre troppo presente e un padre troppo assente, morto appunto al momento esatto del suo concepimento. Non è casuale che una scena iniziale riguardi una seduta di psicoterapia in cui si affronta il tema fondamentale del rapporto madre-figlio e della sue nevrosi, facendo da lì scaturire una sorta di ansia soffocante, una avversità cosmica che si riversa sull’infelice protagonista. Un film che esce da qualsiasi schema e che in tre ore riesce a trasmettere allo spettatore irritazione, impotenza, frustrazione. L’interpretazione di Joaquin Phoenix supera quella di Joker, nell’omonimo film per il quale ricevette l’Oscar come migliore attore: anche per questo incredibile ruolo si spera possa ottenere un più che meritato riconoscimento. Gli è dovuto…
data di pubblicazione:16/05/2023
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da Antonio Iraci | Mag 15, 2023
Freddie ha programmato di trascorrere le sue ferie in Giappone. Il volo viene improvvisamente annullato e senza pensarci troppo decide di cambiare destinazione per Seoul. In effetti la scelta non è casuale anche se presa d’istinto: nata in Corea, la ragazza è stata adottata da una coppia francese e non è mai più tornata al suo paese d’origine. Anche se inizialmente poco convinta, cercherà di contattare i suoi genitori biologici…
Fuori dagli schemi di una cinematografia coreana sempre più presente nelle sale e che, nel bene e nel male, ci sta abituando ad un modus operandi del tutto anticonvenzionale, Davy Chou, regista franco/cambogiano, ci porta in una dimensione del tutto nuova, molto introspettiva se si vuole a tutti i costi darne una definizione. Ispirata ad una storia reale che riguarda una sua amica coreana adottata in Francia, Freddie, la spigolosa protagonista del film, a 25 anni torna per la prima volta nel paese dove è nata e, quasi controvoglia, si ritrova sulle tracce dei genitori biologici. Mentre la madre rifiuta l’incontro, il padre invece la accoglie con grande slancio nella sua nuova famiglia e in maniera quasi “opprimente”, nonostante la difficoltà di comunicare con la figlia che non parla coreano, cercherà in tutti i modi di convincerla a rimanere in Corea. Il regista sembra saper cogliere i differenti stati d’animo dei protagonisti: da un lato un padre ubriacone, ma che dimostra sincera amarezza e non riesce a perdonarsi di aver dato la bambina in adozione, dall’altro la reazione della ragazza, a volte spietata e crudele che non sa, o forse non vuole, scusare i genitori per averla abbandonata al suo destino, in un paese del tutto estraneo alle loro tradizioni. Nel seguire la storia altalenante che accompagnerà la giovane, negli anni a seguire, si viene investiti da un sentimento di pura avversione nei suoi confronti dal momento che i comportamenti di Freddie risulteranno sempre caratterizzati da una evidente forma di aggressività e anaffettività, anche verso i vari uomini che la corteggiano e con i quali ha incontri sessuali effimeri e superficiali. Ma andando più nel profondo, piano piano risulterà più evidente che la ragazza nasconde in sé proprio un bisogno di affetto, di quello sincero però, che ricercherà verso l’unica in grado di darglielo. Davy Chou dirige con maestria degli attori eccezionali tra i quali spicca Ji-Min Park, al suo esordio come attrice, che interpreta alla perfezione il ruolo camaleontico di Freddie, ragazza a volte sensibile a volte dura e collerica, espressione di fragilità interiore che la protagonista cercherà in tutti i modi di tenere nascosta agli altri. Un film che all’inizio potrà destare qualche perplessità, ma che invece richiede la giusta predisposizione d’animo per arrivare ad apprezzarlo.
data di pubblicazione:15/05/2023
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da Antonella Massaro | Mag 13, 2023
I David di Donatello 2023 premiano le pellicole più rappresentative della scorsa stagione cinematografica, confermando molti dei pronostici, ma senza rinunciare a molte “prime volte”, alcune delle quali certamente non scontate.
Il David per il miglior film va alla “rivelazione” Le otto montagne Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersh che, dopo il successo a Cannes, trionfa anche in Italia. Il film italo-belga si aggiudica, poi, le statuette per la miglior sceneggiatura non originale, per la miglior fotografia e per il miglior suono.
Il miglior regista “si conferma” Marco Bellocchio, per Esterno notte, che regala anche il (prevedibile) premio per il miglior attore protagonista a Fabrizio Gifuni, per la sua interpretazione di Aldo Moro.
Una sorpresa rispetto ai pronostici, invece, è il premio per le migliori interpretazioni femminili. La miglior attrice protagonista è Barbara Ronchi per Settembre di Giulia Steigwalt, mentre il David per la migliore attrice non protagonista si lo aggiudica Emanuela Fanelli per Siccità di Paolo Virzì.
Un entusiasta Francesco di Leva si aggiudica invece la statuetta per la miglior interpretazione maschile da non protagonista in Nostalgia di Mario Martone.
La miglior regista esordiente è Giulia Steigwalt, per Settembre.
La miglior sceneggiatura originale è quella de La stranezza di Roberto Andò
La cerimonia di premiazione, condotta da Carlo Conti e Matilde Gioli, è (forse troppo) essenziale e, a tratti, meramente didascalica.
Tra i momenti più significativi della serata deve certamente segnalarsi il David di Donatello alla carriera a Marina Cicogna, mentre il versante più “glamour” è segnato dal premio alla miglior canzone originale, vinto da Proiettili (per il film Ti mangio il cuore) e ritirato dalle due interpreti Elodie e Joan Thiele.
L’obiettivo fondamentale è quello di riportare il pubblico in sala, dopo la lunga pausa imposta dal Covid e le abitudini sociali che sembrano essersi modificate in maniera più radicale di quanto, forse, non si sia disposti ad ammettere. Non passano inosservate, quindi, le parole di Lucia Borgonzoni, sottosegretaria del Ministero della Cultura, la quale annuncia un investimento da parte del governo di 20 milioni di euro a sostegno del cinema, per effetto del quale tutti i film italiani ed europei potranno essere visti con un biglietto da 3,50 euro da metà giugno fino a metà settembre.
Tra i tanti ringraziamenti, più o meno “istituzionali”, che si sono succeduti sul palco dei David di Donatello 2023, le parole di Fabrizio Gifuni interpretano bene il sentimento del cinema, visto tanto dalla parte degli artisti quanto, forse, da quella del pubblico: ringrazio la mia lentezza, la mia fragilità, ringrazio il gioco, la fantasia, l’immaginazione che sono i grandi antidoti a questi tempi così aggressivi e molto decadenti.
Ecco, qui di seguito, tutte le candidature e i premi!
Miglior film
Miglior regia
- Marco Bellocchio (Esterno Notte)
- Gianni Amelio (Il Signore delle Formiche)
- Roberto Andò (La Stranezza)
- Felix Van Groeningen & Charlotte Vandermeersh (Le Otto Montagne)
- Mario Martone (Nostalgia)
Miglior esordio alla regia
- Carolina Cavalli (Amanda)
- Jasmine Trinca (Marcel!)
- Niccolò Falsetti (Margini)
- Giulia Louise Steigerwalt (Settembre)
- Vincenzo Pirrotta (Spaccaossa)
Miglior sceneggiatura originale
- Astolfo (Gianni Di Gregorio, Marco Pettenello)
- Chiara (Susanna Nicchiarelli)
- Esterno Notte (Marco Bellocchio, Stefano Bises, Ludovica Rampoldi, Davide Serino)
- Il Signore delle Formiche (Gianni Amelio, Edoardo Petti, Federico Fava)
- L’Immensità (Emanuele Crialese, Francesca Manieri, Vittorio Moroni)
- La Stranezza (Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso)
Miglior sceneggiatura non originale
- Bentu (Salvatore Mereu)
- Brado (Massimo Gaudioso, Kim Rossi Stuart)
- Il Colibrì (Francesca Archibugi, Laura Paolucci, Francesco Piccolo)
- Le Otto Montagne (Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersh)
- Nostalgia (Mario Martone, Ippolita Di Majo)
Miglior attrice protagonista
- Benedetta Porcaroli – Amanda
- Margherita Buy – Esterno notte
- Penelope Cruz – L’immensità
- Barbara Ronchi – Settembre
- Claudia Pandolfi – Siccità
Miglior attore protagonista
- Fabrizio Gifuni – Esterno notte
- Luigi Lo Cascio – Il signore delle formiche
- Ficarra e Picone – La stranezza
- Alessandro Borghi – Le otto montagne
- Luca Marinelli – Le otto montagne
Migliore attrice non protagonista
- Giovanna Mezzogiorno – Amanda
- Daniela Marra – Esterno notte
- Giulia Andò – La stranezza
- Aurora Quattrocchi – Nostalgia
- Emanuela Fanelli – Siccità
Miglior attore non protagonista
- Fausto Russo Alesi – Esterno notte
- Toni Servillo – Esterno notte
- Elio Germano – Il signore delle formiche
- Filippo Timi – Le otto montagne
- Francesco Di Leva – Nostalgia
Miglior produttore
- Esterno Notte (Lorenzo Mieli, Simone Gattoni)
- La Stranezza (Angelo Barbagallo, Attilio De Razza)
- Le Otto Montagne (Wildside, Rufus, Menuetto, Pyramide Productions, Vision Distribution, Elastic, Canal+, Ciné+, Sky)
- Nostalgia (Medusa Film, Maria Carolina Terzi, Luciano e Carlo Stella, Roberto Sessa, Angelo Laudisa)
- Princess (Carla Altieri, Roberto De Paolis, Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori, Viola Prestieri, Rai Cinema)
Miglior fotografia
- Esterno notte – Francesco Di giacomo
- I racconti della domenica, La storia di un uomo perbene –Giovanni Mammolotti
- La stranezza – Maurizio Calvesi
- Le otto montagne – Ruben Impens
- Nostalgia – Paolo Carnera
Miglior compositore
- Esterno notte – Fabio Massimo Capogrosso
- Il pataffio – Stefano Bollani
- La stranezza – Michele Braga, Emanuele Bossi
- Le otto montagne – Daniel Norgren
- Siccità – Franco Piersanti
Miglior canzone originale
- Se mi vuoi – Diodato (Diabolik – Ginko all’attacco!)
- Caro amore lontanissimo – Marco Mengoni (Il colibrì)
- Culi culagni – Stefano Bollani (Il pataffio)
- Margini – Niccolò Falsetti (La palude)
- Proiettili – Elodie e Joan Thiele (Ti mangio il cuore)
Miglior scenografia
- Giada Calabria, Loredana Raffi – La stranezza
- Andrea Castorina, Marco Martucci, Laura Casalini – Esterno notte
- Marta Maffucci, Carolina Ferrara – Il signore delle formiche
- Massimiliano Nocente, Marcella Galeone – Le otto montagne
- Tonino Zera, Maria Grazia Schirippa, Marco Bagnoli – L’ombra di Caravaggio
Migliori costumi
- Maria Rita Barbera – La stranezza
- Daria Calvelli – Esterno notte
- Massimo Cantini Parrini – Chiara
- Valentina Monticelli – Il signore delle formiche
- Carlo Poggioli – L’ombra di Caravaggio
Miglior trucco
- Paola Gattabrusi, Lorenzo Tamburini – Il colibrì
- Enrico Iacoponi – Esterno notte
- Federico Laurenti, Lorenzo Tamburini – Dante
- Luigi Rocchetti – L’ombra di Caravaggio
- Esmé Sciaroni – Il signore delle formiche
Miglior acconciatura
- Desiree Corridoni – L’ombra di Caravaggio
- Alberta Giuliani – Esterno notte
- Samantha Mura – Il signore delle formiche
- Rudy Sifari – La stranezza
- Daniela Tartari – L’immensità
Miglior montaggio
- Esmeralda Calabria – La stranezza
- Francesca Calvelli con la collaborazione di Claudio Misantoni – Esterno notte
- Nico Leunen – Le otto montagne
- Simona Paggi – Il signore delle formiche
- Jacopo Quadri – Nostalgia
Miglior suono
- Gaetano Carito, Lilio Rosato, Nadia Paone – Esterno notte
- Emanuele Cecere, Silvia Moraes, Giancarlo Rutigliano – Nostalgia
- Emanuele Cicconi, Mimmo Granata, Alberto Bernardi – Il signore delle formiche
- Carlo Missidenti, Marta Billingsley, Gianni Pallotto – La stranezza
- Alessandro Palmerini, Alessandro Feletti, Marco Falloni – Le otto montagne
Migliori effetti visivi
- Alessio Bertotti – Dampyr
- Massimo Cipollina – Esterno notte
- Marco Geracitano – Siccità
- Rodolfo Migliari – Le otto montagne
- Simone Silvestri, Vito Picchienna – Diabolik – Ginko all’attacco!
Miglior documentario
- Il cerchio di Sophie Chiarello
- In viaggio di Gianfranco Rosi
- Kill Me If You Can di Alex Infascelli
- La timidezza delle chiome di Valentina Bertani
- Svegliami a mezzanotte di Francesco Patierno
Miglior film internazionale
- Bones and All
- Elvis
- Licorice Pizza
- The Fabelmans
- Triangle of Sadness
David Giovani
- Corro da te
- Il colibrì
- L’ombra di Caravaggio
- La stranezza
- Le otto montagne
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