HYBRIS di e con Antonio Rezza, habitat di Flavia Mastrella

HYBRIS di e con Antonio Rezza, habitat di Flavia Mastrella

(Teatro Vascello di Roma, 20 dicembre 2022/22 gennaio 2023)

La meditata ultima performance di uno showman che è difficilmente recensibile. Questa volta scenografia spartana ma tanti co-personaggi in scena. Corpi plasmabili e poco parlanti.

Antonio Rezza rappresenta un solitario caso a parte nel teatro italiano. Come Carmelo Bene, anche se imparagonabile al genio di Campi Salentina. Come si fa a giudicare un teatro che non è solo di parola, non è solo di azione ma è molto di complicità, di provocazione. Basti pensare che Rezza in scena finge di copulare con una donna della prima fila oltre che con la prima madre, in incestuoso simulato amplesso e che, a un certo punto, si propone impudicamente completamente nudo. Teatro che ha scavallato ogni pudore in un tentativo iperrealista di descrivere la realtà, non scevro da pronunciamenti politici , pur essendo le mille miglia lontano da Brecht. E Rezza alimenta un mito e un pubblico fedelissimo per riempire puntualmente il teatro della Kustermann, tutte le sere, per un mese fino all’apoteosi dello spettacolo di Capodanno inclusivo di una demenziale asta di beneficenza a prezzo morigerato e a portafoglio libero. Per dire della sua empirica presenza tra l’altro in questi giorni alla Sala Troisi si può gustare anche una sua opera filmica. Questa volta in scena Rezza non si presenta provvisto del solo abituale partner muto Ivan Bellavista ma si circonda di figure spalla che manipola poco democraticamente a suo piacimento. Entra e esce da una porta, inventa una parete di vetro che proibirebbe la percezione delle parole emesse, demonizza il concetto sacrale della famiglia facendo incontrare parenti che a stento si riconoscono in un carosello interminabile di saluti. L’apoteosi della destrutturazione dell’incongruo in un teatro che è pure funzionalmente meccanicamente studiato e in cui il suo corpo-acrobata recita il ruolo più importante. Porte che si aprono sul nulla e in cui il bussare diventa pura schizofrenica ripetizione.

data di pubblicazione:23/12/2022


Il nostro voto:

IL PIACERE DELL’ATTESA di Michele La Ginestra, con Michele La Ginestra, Manuela Zero, Ariele Vincenti

IL PIACERE DELL’ATTESA di Michele La Ginestra, con Michele La Ginestra, Manuela Zero, Ariele Vincenti

(Teatro Sette – Roma, 6 dicembre 2022/8 gennaio 2023)

Magnifico formati di commedia brillante/natalizia. La giovialità attoriale di La Gnestra timbra lo spettacolo in perfetta sinergia con gli altri due funzionalissimi partner.

Teatro leggero ma intelligente, adatto al pubblico borghese e a quel particolare tipo di spettatore che magari si accosta a una sala solo per Natale. Nonostante il capello brizzolato La Ginestra è il ragazzone di sempre, pronto a rituffarsi a marzo nei panni di Rugantino nel più capiente Sistina. Ma qui, nel suo regno, nello spazio di propria gestione, tiene banco per un mese con un testo che funziona e che al di là dell’apparente superficialità o levità regala qualche eloquente pillola di saggezza, rimbombante sin dal titolo. “L’attesa del piacere è in fondo essa stessa piacere”. E difatti il vivaista/piantologo, impersonato dall’attore principale, non ha alcuna fretta di accasarsi. Una scontrosissima e efficiente dipendente di una seriosissima azienda, specchio dei nostri tempi frenetici, prima lo prende di petto, poi man mano recepisce il suo messaggio. E si invaghisce del quiet man fino a sedurlo con un crescendo che alimenta spunti comici. Merita un applauso il terzo protagonista. Il giovane di studio, tutto mamma e nonna, che è il sandwich dialettico tra i due. Ariele Vincenti è cresciuto molto e qui ricorda la lezione di Nicola Pistoia tanto che alcune battute potrebbero essere recitate dal suo maestro di teatro, con 40 anni in più di esperienza sulle spalle. La scenografia è all’altezza della situazione. E le deliziose musiche (Dalla, Daniele, Bongusto) sono un delizioso contrappunto a separare i vari momenti dell’azione. Commedia garbata, a tratti malinconica, che scandisce il passare del tempo ma anche la sua immutabilità. E’ talmente happy end alla fine che il pubblico applaude a scena aperta abbracci e baci dei protagonisti finalmente uniti anche grazie a una inaspettata gravidanza.

data di pubblicazione:21/12/2022


Il nostro voto:

IL CORSETTO DELL’IMPERATRICE di Marie Kreutzer, 2022

IL CORSETTO DELL’IMPERATRICE di Marie Kreutzer, 2022

È da alcuni giorni uscito nelle sale italiane lo ”stiloso” e sofisticato film di Marie Kreutzer Il corsetto dell’imperatrice. Ambientato a Vienna nel 1877 in occasione del compimento dei 40 anni dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, il film ci restituisce un’immagine dell’imperatrice, conosciuta come la principessa Sissi, molto distante da quella interpretata anni orsono da Romy Schneider. Costretta dal suo rango a comparire in pubblico, Elisabetta è attanagliata dal timore che la sua bellezza stia sfiorendo, e da una profonda infelicità che le genera violenti ed incontrollati gesti di ribellione.

 

Il film è il ritratto di una donna indubbiamente bella, che per gestire il proprio aspetto si sottopone a diete ferree, sport di ogni genere e vestizioni con corsetti via via sempre più stretti che possano mettere in risalto un giro vita estremamente sottile. Finti svenimenti, allontanamenti volontari e continui da Corte, intrattenimenti con uomini più giovani che le restituiscono quei complimenti che l’imperatore non le fa più da molto tempo destinandoli solo a giovanissime dame di corte, sono gli ingredienti di una profonda e costante inquietudine che pervade la vita di una Sissi oramai quarantenne (in un epoca in cui iniziava anagraficamente il declino verso un’età matura) e stanca, sovente sopraffatta da istinti suicidi, madre distante di due figli infelici.

Personaggi ben delineati, come l’imperatore Francesco Giuseppe e gli stessi figli oltre alle dame di corte, fanno da sfondo a Vicky Krieps (splendida interprete ne Il filo nascosto accanto al magnifico Daniel Day-Lewis) che incarna magistralmente una principessa soffocata dalla gabbia dorata che il suo rango le impone, alla quale si ribella con tutte le sue forze, dando vita al ritratto di una donna che va ad aggiungersi alla fitta schiera di personaggi di spicco restituiteci negli ultimi tempi dal cinema in chiave contemporanea, a partire da Marie Antoinette di Sofia Coppola sino al recente Spencer di Pablo Larrain.

Costumi, ambientazioni, paesaggi sono particolarmente esaltati da un accompagnamento musicale indimenticabile e persistente che sottolinea questo clima claustrofobico in cui la protagonista, angosciata solo da doveri di facciata, deve suo malgrado muoversi e vivere, metaforicamente rappresentato da quel corsetto che si fa via via sempre più stretto, sino a toglierle il respiro come la vita a corte accanto ad un uomo che non la ama più e verso il quale ha come unica arma quella di alternare atteggiamenti volubili ed egocentrici a fughe continue, sino ad assaporare verso la fine dei suoi giorni una apparente ed effimera pace regalatele dall’eroina.

Presentato al Festival di Cannes nella Sezione Un Certain Regard, il film ha ottenuto un premio per la miglior interpretazione a Vicky Krieps e rappresenterà l’Austria agli Oscar 2023.

Decisamente da non perdere.

data di pubblicazione:19/12/2022


Scopri con un click il nostro voto:

LA NOTTE DEI TRADIMENTI di Vanni Picecco – Porto Seguro editore, 2021

LA NOTTE DEI TRADIMENTI di Vanni Picecco – Porto Seguro editore, 2021

Succede tutto in una notte. Il personaggio maschile sorprende la propria donna in atto di palese tradimento. Corna fraudolente si direbbe anche perché non era atteso a casa. Ma poi il puzzle delle motivazioni si compone di tante schegge mancanti. La donna, attraente il giusto, aveva bevuto, e si era fatta accompagnare a casa da un autista che da galante si era trasformato in intraprendente. Rapporto sessuale consensuale o stupro? Il romanzo ruota tutto attorno al dubbio, a tratti atroce del tradito, che cerca di riconquistare un’autonomia e un indipendenza di giudizio ma è chiaramente influenzato dalla fedifraga e dall’amica di lei. Tutto ruoterebbe per una controversa ricomposizione del rapporto ma in mezzo ci sono molte incertezze. Come bastone tra le ruote c’è un’altra donna che però alla lunga si rivela più che leggera (eufemismo). Un romanzo che ruota attorno alla complessa psicologia tentatrice al femminile. La paziente opera di seduzione di chi si deve far perdonare sarà portata a termine. Non vogliamo spoilerare la conclusione che matura in una tensione avvincente per il possibile ma non certo happy end. Picecco bypassa gli schemi del politicamente corretto per ricercare un ritrovamento possibile nei rapporti uomo- donna. Il primo sembrerebbe destinato a soccombere rispetto alla malizia della seconda. Il sesso è moneta di scambio pratica e per come viene rappresentato si conforma molto al modello maschile. Ci sono momenti pruriginosi che accompagnano la descrizione dei tipi caratteriali e delle vicende. L’amore è anche ossessione, inseguimento, fuga. Posizioni e atteggiamenti che ben rispecchiano il complesso universo dei rapporti uomo-donna. Il libro attua un processo di rispecchiamento. I lettori potranno infatti confrontarsi coi i due protagonisti e riconoscerci con buona credibilità in essi, pregi e difetti compresi. Riconoscendo la necessità della dialettica per venire a capo delle inevitabili contraddizioni create dalla loro intrinseca diversità.

data di pubblicazione:15/12/2022

TORI E LOKITA di Jean-Pierre e Luc Dardenne, 2022

TORI E LOKITA di Jean-Pierre e Luc Dardenne, 2022

Tori e Lokita vivono in un centro di accoglienza per migranti in Belgio. Si sono conosciuti su un barcone che dall’Africa li ha catapultati direttamente in Europa dove stanno cercando di crearsi un futuro lontano dagli orrori dei propri paesi d’origine. Pur non essendo parenti, dichiarano alle autorità di essere fratelli in modo tale che anche l’adolescente Lokita possa dimostrare di avere i requisiti necessari per ottenere un riconoscimento legale. Con questo obiettivo preciso saranno disposti a tutto, anche a collaborare con la malavita locale…

 

Con questo ultimo lavoro, recentemente premiato a Cannes, i fratelli Dardenne ancora una volta rivolgono il loro sensibile sguardo al sociale ed ancora una volta utilizzano l’innocenza dei giovani, costretti per necessità a confrontarsi con il mondo, sovente spietato, degli adulti. In questo film i due giovanissimi protagonisti, fuggiti dall’Africa, dovranno ricorrere a tutte le proprie risorse per cercare di convincere le autorità del Belgio a riconoscere il proprio stato sociale e permettere così di integrarsi legalmente nella vita del paese che li ospita. Tema tristemente di attualità, che riscontriamo ogni giorno sui notiziari e sui social, che ci riporta a quelle problematiche con cui ognuno di noi si trova a confrontarsi, anche se preferirebbe volgere a volte altrove la propria attenzione. Tori anagraficamente è un bambino ma ha già il carattere di un uomo fatto, che sa bene ciò che è necessario fare affinché anche Lokita possa ottenere lo status di rifugiata che le permetterà di trovare un lavoro dignitoso e vivere soprattutto nella legalità. I Dardenne mirano al cuore dello spettatore non per parlare di finzione, ma per darci uno spaccato di vita vera osservata dal punto di vista dei due giovani protagonisti, vittime di una società burocrata e ottusa, che mira alla forma e poco alla sostanza. Il loro cinema è fatto di persone vere e delle loro storie: non solo intrattenimento ma riflessione su ciò che è giusto per arrivare a costruire tutti insieme, migranti e non, un futuro migliore, senza pregiudizi e inutili conformismi. Ottima la scelta dei due attori non professionisti Pablo Schils che interpreta Tori e Joely Mbundu nella parte di Lokita, entrambi perfetti nei loro ruoli di vittime di un sistema corrotto che sfrutta la loro semplicità per il proprio tornaconto e per portare avanti affari disonesti. La loro “fratellanza” è reale anche se non di sangue: entrambi, dopo aver attraversato l’inferno, sono alla ricerca di una vita migliore che solo la spensieratezza della loro età acerba può ancora dare loro. Non casuale la scelta di quella canzone- filastrocca che tanti anni fa portò Angelo Branduardi a diventare famoso: alla fiera dell’est diventa il simbolo di ribellione alla schiavitù, il desiderio di liberarsi da ogni fanatismo, il grido disperato di chi vuole solo vivere e lavorare in pace. Ecco quindi che il messaggio dei Dardenne si traduce in una denuncia all’attuale sistema di immigrazione attuato attraverso gli occhi di chi desidera ancora illudersi di trovare in questo mondo la piena libertà e un’adeguata dignità.

data di pubblicazione:11/12/2022


Scopri con un click il nostro voto:

TRADIMENTI di Harold Pinter, con Stefano Braschi, Stefania Medri e Michele Sinisi, regia di Michele Sinisi, scene di Federico Biancalani

TRADIMENTI di Harold Pinter, con Stefano Braschi, Stefania Medri e Michele Sinisi, regia di Michele Sinisi, scene di Federico Biancalani

(Teatro Basilica di Roma, 1/11 dicembre 2022)

I tradimenti di Pinter nel fedele tradimento (ossimoro) di Sinisi. Ardita e felice rivisitazione di un quasi classico del teatro inglese. Perfetta sinergia del trittico attoriale e le sorprese in scena non mancano nel sobrio fondale del teatro. Tipo polli in cottura con la fiamma ossidrica e metaforica polvere a indicare la consunzione di un rapporto.

 

 

Nel teatro di parola e di conflitto la fondamentale presenza del silenzio. Attimi interminabili che fissano il gioco a tre. Abolita ogni pretesa di perfetta cronologia nel’arco di un decennio si sviluppa l’amicizia e il disvelamento di un tradimento. Notizia non così misteriosa sulla cui genesi ballano quattro anni. L’amante è incupito e perplesso, il tradito si macera dentro, non la da a vedere la sofferenza, spara parole con impressionante velocità. E la concupita tra i due, tra un viaggio in Italia con il marito nella mitizzata Torcello (e qualche acidula notazione sul carattere degli italiani) si barcamena con i routiniari pomeriggi di libero amore con l’amante in un appartamento che non riesce a diventare casa. In Inghilterra e nello spettacolo si beve molto, anzi quasi non si riesce a vivere l’emotività se non con un ingrediente alcoolico che in questo caso nella finzione è prosecco. La Medri strabilia da provetta ballerina rock (Madonna, Clash, The Cure, etc) in un siparietto con alcune delle hit di quegli anni a ritmi da discoteca, perfetta danseuse mentre l’amante, che si è dichiarato da ubriaco e proprio il giorno del matrimonio del suo migliore amico (ha fatto il testimone) si compiace a guardarla. Il tradimento come frattura, iato, strappo, Buffo pensare che la data di partenza è ’68 mentre il capolinea è il ’77. Numeri casuali? Nei settanta minuti di svolgimento una scena di grande simulata violenza. Il marito prende a calci la moglie con efferatezza. Spettacolo che scuote con parole e azioni, quasi una frustata scenica.

data di pubblicazione:11/12/2022


Il nostro voto:

IL MALATO IMMAGINARIO di Molière, adattamento e regia di Guglielmo Ferro con Emilio Solfrizzi

IL MALATO IMMAGINARIO di Molière, adattamento e regia di Guglielmo Ferro con Emilio Solfrizzi

(Teatro Quirino di Roma, 6/11 dicembre 2022)

Un evegreen che non tramonta che si riaffaccia a grande richiesta in una sala piena e plaudente. Trascinante Solfrizzi che non prevarica i compagni di una scena ricca e non priva di sorprese.

Argante è il malato molto immaginario che deve sistemare la figlia. La malattia prende il sopravvento all’inizio e alla fine come scioglimento e possibile rimedio filosofico nella scappatoia del cura te ipsum. Ma in mezzo c’è la tradizionale vicenda amorosa. Un impossibile matrimonio combinato per forza salta in aria come tutta la concatenazione degli affetti familiari. Quando Argante si finge morto si vede tutto l’interesse delle moglie matrigna e, come contraltare, il sincero affetto della figlia, destinata al convento per aver rifiutato il giusto marito. Ecco che Argante esce dalla preoccupazione dei propri mali, si ravvede e torna umano, spinto dalla lucidità del fratello. Costumi d’epoca, prendendo in giro lo stesso Molière che si auto-crocifigge ironicamente nel testo recitato. Solfrizzi è bravo nel mutare colorazione in capo a due tempi equilibrati. E il logico happy end è sfumato quando il protagonista rimane solo e può tirare un punto a capo sulla complessa vicenda che lo ha riguardato. La malattia è una via di fuga per non affrontare problemi reali. Ma quando questi ultimi saranno affrontati di petto anche la malattia inventata diventerà un rebus risolvibile. Si ride, si pensa, si medita con un testo che ha solo bisogno di un’adeguata spolveratina ma che non viene mai banalmente virato sull’attualità. L’autore lo ha scritto per se stesso e Solfrizzi si fonde nei panni dell’autore francese. Overdose di clisteri non mostrati per una malattia che è tutto e niente insieme, come i possibili rimedi adottati da medici fanfaroni. C’è lo spirito del tempo ma anche un sentore del tempo nuovo.

data di pubblicazione:07/12/2022


Il nostro voto:

FURORE di John Steinbeck, adattamento di Emanuele Trevi con Massimo Popolizio

FURORE di John Steinbeck, adattamento di Emanuele Trevi con Massimo Popolizio

(Teatro Argentina – Roma, 6/18 dicembre 2022)

John Steinbeck, insignito del premio Nobel per la letteratura, nel 1939 pubblica Furore frutto di un lavoro giornalistico in massima parte dovuto al suo impegno civile e alla sua denuncia sociale. Nonostante l’incubo della grande depressione si ritenesse oramai del tutto vanificato, ci sono grandi masse di contadini che muoiono di fame a causa della siccità che colpisce alcune regioni degli Stati Uniti. Le tempeste di sabbia coprono irrimediabilmente i raccolti di cotone e le piantagioni di mais, da tutto ciò nasce questo racconto destinato a diventare un insuperabile capolavoro letterario.

  

Emanuele Trevi, critico letterario, autore di diversi saggi e romanzi, ha vinto lo scorso anno il Premio Strega con il libro Due vite, una densa biografia dei suoi più cari amici Rocco Carbone e Pia Pera. Per il Teatro di Roma – Teatro Nazionale cura un adattamento dell’opera di John Steinbeck, riuscendo perfettamente a sintetizzare gli aspetti più salienti di una drammaturgia che non può che colpire la sensibilità dello spettatore. La buona riuscita di questo spettacolo, che verrà presentato nei prossimi giorni al Teatro Argentina di Roma, è soprattutto dovuta alla presenza unica sulla scena di Massimo Popolizio, cresciuto professionalmente come attore teatrale anche per la lunga collaborazione artistica con il regista Luca Ronconi. Tra pacchi di giornali accatastati e una vecchia macchina da scrivere, per ricordarci che Steinbeck era stato anche uno stimato giornalista, Popolizio ci racconta l’odissea di quei contadini costretti dalla miseria a lasciare l’Oklahoma, oramai ridotta ad un deserto di sabbia, per migrare verso la lontana California, un paradiso dove sperano, e forse si illudono, di trovare lavoro e condurre una vita più umana. Le percussioni, curate dal vivo da Giovanni Lo Cascio, accompagnano l’attore nel racconto-resoconto di un dramma che non può non coinvolgerci visto che rimanda ai giorni nostri con l’inarrestabile esodo di migliaia di migranti, alla ricerca di un posto dove vivere e dove sfamare i propri figli. Ecco perché risulta geniale questa trasposizione teatrale che di fatto sintetizza tutti i grandi problemi sociali, ambientali e climatici che riguardano oggi, più che mai, il nostro pianeta. Le immagini video proiettate sulla scena (create da Igor Renzetti e Lorenzo Bruno) segnano i diversi capitoli e ci fanno vedere, oltre che sentire, la disperazione negli sguardi di quegli uomini che, pur essendosi ribellati al brutale sfruttamento, non riescono tuttavia a venir fuori da quell’inferno sociale e morale di quegli anni. Il reiterato problema della globalizzazione, un’economia di mercato che preferisce distruggere grandi masse di prodotti agricoli al fine di mantenere un certo livello dei prezzi, lo sfruttamento dei migranti che si continuano a guardare con diffidenza e paura se non addirittura con odio, ecco la miscela esplosiva che viene proposta in Furore. Massimo Popolizio è un grande interprete che sa calibrare bene i suoi tratti per farci comprendere appieno quanto di disumano ci sia nell’umanità di oggi. Al Teatro Argentina fino al 18 dicembre.

data di pubblicazione:07/12/2022


Il nostro voto:

BENTIVOGLIO LEGGE FLAIANO, da La solitudine del satiro, in collborazione con Bubba Music, suoni e atmosfere a cura di Ferruccio Spinetti

BENTIVOGLIO LEGGE FLAIANO, da La solitudine del satiro, in collborazione con Bubba Music, suoni e atmosfere a cura di Ferruccio Spinetti

(Teatro Palladium – Roma, 4 dicembre 2022)

Nel cinquantennale della morte un corrosivo omaggio al cittadino di Montesacro, abruzzese inurbato a Roma. Teatro pieno, dieci minuti di applausi a un protagonista decisamente poco espansivo.

Flaiano non è solo il mago degli aforismi. Tieni a stento il paragone umoristico con Campanile. Una solida infrastruttura di pensiero sorregge le divagazioni satiresche che Bentivoglio, utilizzando tutte la capacità di relazionarsi con il microfono, valorizza anche nell’esibizione romana in capo a una fortunata tournèe. Non ricordiamo tanti applausi per un reading. Dieci minuti ininterrotti a prolungare la magia di 75 minuti di intense letture con alcuni punti forti e altri meno intensi (lo si capisce dalla scarsa reattività del pubblico a intuire la fine e, di conseguenza, ad applaudire). Platea radical chic (dalla Comencini in giù) con spruzzi di intellighentzia Ma ne valeva la pena per riscoprire la modernità intatta di valutazioni che hanno almeno sessanta anni. L’uggia per Roma, per l’immutato carattere italiano da parte di uno scrittore di un solo romanzo, di tante sceneggiature, di un enorme mare di scritti. L’arcipelago Flaiano qui viene parzialmente circumnavigato documentando che per i nostri connazionali la linea che collega due punti non è lineare ma è un infinito arabesco. L’anniversario, messo in ombra da quello di Pasolini, conosce un colpo d’ala prima della fine dell’anno. Un po’ in ombra la parte di Ferruccio Spinetti, componente degli Avion travel. Contrappunti e sottofondi senza mai essere nominato dal partner amico. E quando i due escono di scena si attende invano un bis. Inusitato ma certamente possibile anche all’interno di un felice reading. All’uscita clima salottiero da dibattito per contenuti che non lasciano certo indifferenti in una città sempre più cupa, imbruttita e scostante, anche sotto Natale.

data di pubblicazione:05/12/2022


Il nostro voto:

CIARA, UNDRESSED SOLO di David Harrower, con Roberta Caronia, regia di Elena Serra

CIARA, UNDRESSED SOLO di David Harrower, con Roberta Caronia, regia di Elena Serra

(Teatro Belli – Roma, 16 novembre 2022)

A conferma dell’alta qualità degli spettacoli portati in scena nell’ambito della XXI edizione di Trend. Nuove frontiere della scena britannica, Ciara, undressed solo vede protagonista Roberta Caronia, che interpreta una donna determinata a sfidare le difficoltà di una società fosca e complessa attraverso una piccola galleria d’arte. Diretto da Elena Serra, il lavoro di David Harrower torna sul palco del Belli dopo un primo studio presentato nel 2019, sempre per Trend, su progetto di Walter Malosti.

 

La donna gigante, sdraiata nuda sotto il cielo di nuvole che sovrasta la città scozzese di Glasgow, sembra dormire. È il quadro preferito di Ciara, una donna che gestisce una piccola galleria d’arte alla periferia della città. Questa attività è il suo orgoglio e il suo strumento di riscatto. Per questo il nome che ha dato alla galleria è Belisama, prendendo ispirazione dalla divinità celtica simbolo del fuoco e della luce, ma anche delle arti e della creatività. Roberta Caronia, interprete di Ciara, accoglie il pubblico tenendo in mano un bicchiere di vino rosso come in occasione di un vernissage o di un cocktail party. La scena però è vuota, scura, sobria. Anche lei è vestita di nero, fatta eccezione per la camicetta rosso acceso che indossa con disinvoltura e eleganza. Una macchia ben visibile di colore in un contesto spento e anonimo, come lo è in fondo Ciara per la città di Glasgow. L’autore del quadro è Alan Torrence, un pittore locale che con abilità lei riesce a vendere bene. Ciara è affascinata dal suo lavoro, lo osserva mentre crea i suoi quadri, lo va a trovare a casa per vedere come vive. Si attacca a lui come a volergli rubare un briciolo della sua bellezza creativa, della sua serenità. La stessa che mette nei quadri che raffigurano le donne giganti.

Di serenità e bellezza Ciara ne ha davvero bisogno. Così la chiacchierata davanti al bicchiere di vino si trasforma in uno sfogo accorato e il linguaggio diventa lo strumento terapeutico che serve a lenire il dolore che la protagonista porta dentro. Roberta Caronia è straordinaria nel far emergere lentamente il disagio di Ciara, aiutata da un disegno luci che le accarezza il corpo. Con delicatezza veniamo trascinati nei luoghi dove si svolge il racconto. Ciara è sposata con Brian, un uomo che al contrario di lei è interessato al commercio, al successo e agli affari sporchi. È riuscito a farsi strada conquistandosi la fiducia del defunto padre di Ciara, anche lui invischiato in brutte storie di scommesse e gioco d’azzardo. Una sorta di capo malavitoso molto rispettato in città, ma protettivo nei confronti della figlia. Ciara aveva anche un fratello, Ciaran, morto troppo giovane a causa della droga. Particolari di una storia che sporcano la bella immagine che ci eravamo fatti all’inizio.

Per quanto cerchi di tenersi lontano dai problemi nei quali la trascina il marito e dal peso che sente nell’essere stata la figlia di un gangster, Ciara è costretta a fare i conti con la criminalità. La violenza ha divorato il mondo di cui è parte, ma lei resiste continuando a cercare la bellezza. Anche quando la sua galleria viene incendiata e in testa le appaiono le immagini sfocate di facce minacciose e nemiche (il progetto video, che mostra volti deformati e sciolti nello stile che ricorda i dipinti di Francis Bacon, è di Donato Sansone). Nella società descritta da David Harrower, l’innocenza è una qualità che non può esistere. Vincono l’arroganza, l’invidia, le risse fuori da un pub per futili motivi. Roberta Caronia ce lo racconta con un’intensità drammatica che trascina e avvolge lo spettatore, costringendolo alla riflessione e alla consapevolezza. Lo fa con convinzione e straordinaria energia, trasformando in chiare immagini le emozioni che la abitano. Quale realtà si troverà davanti agli occhi la donna gigante appena si sveglierà? Sarà stata brava Ciara ad accendere una piccola luce per illuminare anche solo un poco tutta questa devastazione?

data di pubblicazione:04/12/2022


Il nostro voto: