IL SALE DELLA TERRA di Wim Wenders e Juliano Ricardo Salgado, 2014

IL SALE DELLA TERRA di Wim Wenders e Juliano Ricardo Salgado, 2014

(Nuovamente nelle sale per celebrare la memoria del grande fotografo Sebastião Salgado recentemente scomparso)

Fotografare dal greco significa “disegnare con la luce”, dunque il fotografo è colui che con la luce, che si riflette su di una scena, crea un’immagine. Unico maschio di otto figli, Sebastião Salgado viene avviato agli studi di economia dal padre, proprietario di una fazenda in Brasile ed allevatore di bestiame, e negli anni settanta per lavoro si trasferisce in Francia e poi a Londra; sarà sua moglie, architetto, a regalargli una macchina fotografica che segnerà l’inizio di una vita avventurosa ed unica attraverso il mondo, la natura, le civiltà, i popoli e le loro sofferenze.

Il grande regista Wim Wenders, assieme a Juliano Ricardo Salgado, figlio di Sebastião, ispirati dalla potenza delle sue immagini rigorosamente in bianco e nero, alternando fotografie, storia personale e riflessioni dell’artista, ci regalano Il sale della terra, film imperdibile perché necessario ad ogni essere umano come esperienza per sentirsi più forti, più vivi, in quanto spettatori di un documento toccato da una grazia edificante per l’anima ed illuminante per lo spirito, oltre che pervaso da una straziante bellezza. Fotografo di persone più che di paesaggi, l’uomo è sempre al centro di ogni suo scatto proprio perché “gli esseri umani sono il sale della terra”, in tutte le loro manifestazioni, anche le più terribili. I suoi progetti fotografici lo hanno portato dall’Indonesia all’Africa, dai paesi dell’America latina quali Bolivia, Ecuador, alla catena montuosa delle Ande, e poi in Messico del nord dove i suoi scatti riescono a raccogliere suoni attraverso gli occhi, per poi tornare dopo dieci anni di “esilio volontario e necessario” in Brasile. Ed è dal nord del Brasile, dove non era mai stato, che riparte il suo occhio sul mondo, su quella parte di terra in cui la morte e la vita sono molto vicine, animato da gente di grande forza morale oltre che fisica. Poi, nel 1998, accanto a Medici Senza Frontiere è in Etiopia per testimoniare l’enorme indigenza dei rifugiati, dove la gente, che ha la pelle arsa dal vento come la corteccia degli alberi, si abitua a morire… In quei posti Salgado tornerà molte volte, spinto dall’empatia per la condizione umana, dopo una sola digressione nel 1991 per testimoniare l’archeologia dell’era industriale in Kuwait, in occasione dell’esplosione dei pozzi di petrolio, ma dal 1993 al 1999 saranno sempre l’uomo e le sue sofferenze al centro della sua opera, attraverso foto sulla migrazione dei popoli in Tanzania e Rwanda, sui reietti delle guerre e sul genocidio nella ex Jugoslavia: “le tende dei rifugiati…il mondo intero ne sembrava ricoperto. Siamo animali molto feroci, noi umani; tutti dovevano vedere quelle immagini, l’orrore della nostra specie”.

Infine, dopo essere sceso per decenni nel cuore delle tenebre per testimoniare al mondo intero la dimensione della catastrofe dei nostri tempi, Salgado assieme alla moglie, che gli è sempre stata accanto in questo grande e appassionato viaggio che è stata la loro vita, decidono di fermarsi e di dedicarsi alla ricostruzione delle condizioni climatiche della Mata Atlantica in Brasile, con il progetto Istituto terra in favore dell’ecosistema, piantando due milioni di alberi nella zona in cui era cresciuto da bambino, ricreando parte di una foresta che oramai non c’era più, “perché gli alberi sono cosa di tutti e ci danno il concetto di eternità”. E se gli uomini sono il sale della terra, è la terra che è riuscita a guarire le ferite interiori di Sebastião Salgado accumulate negli anni:” io sono parte della natura, come un albero, una tartaruga, un sassolino…”.

data di pubblicazione:28/05/2025


Scopri con un click il nostro voto:

UNA FIGLIA di Ivano De Matteo, 2025

UNA FIGLIA di Ivano De Matteo, 2025

“I figli, prima o poi, smettono di essere figli. Ma un genitore non smette mai di essere genitore.” Il lutto per la madre scomparsa segna profondamente la giovane Sofia (Ginevra Francesconi). Suo padre Pietro (Stefano Accorsi) si illude di poter colmare quel vuoto con la propria presenza istaurando con la figlia un rapporto talmente stretto da credere che possa essere sufficiente, caricandolo anche con la costruzione di una nuova famiglia insieme a Chiara (Thony).

In realtà la morte della madre diventa un evento rimosso, non affrontato apertamente né da Sofia né da Pietro. Questa mancanza di elaborazione emotiva genera un conflitto sotterraneo nella ragazza che esplode in modo drammatico e irreversibile. Ivano De Matteo affronta ancora una volta, dopo I nostri ragazzi, il rapporto genitori figli, esplorando in particolare la complessità di un amore genitoriale e gli errori che a volte si commettono senza rendersene conto. Pietro, concentrandosi solo sul suo ruolo protettivo, sottovaluta il dolore della figlia che si manifesta in continui incubi notturni e in una certa aggressività nei confronti di Chiara, la sua giovane compagna. L’uomo non prepara Sofia a questa nuova relazione perché non coglie l’importanza che la figura materna aveva per la figlia, né le difficoltà che una nuova presenza femminile nella loro casa può causare a livello affettivo.

Sofia è ribelle non solo perché adolescente, ma anche perché non è ancora pronta ad accogliere Chiara nella sua vita. Ma il padre ignora quei segnali e la sua incapacità di vedere non gli permette di percepirne il dolore, né di rispettarne il tempo interiore perché non lo comprende. Il dramma si consuma inevitabilmente.

Dopo film importanti come La bella gente, Gli equilibristi, La vita possibile, Villetta con ospiti, Mia, De Matteo ne Una figlia – presentato in anteprima al Bari International Film Festival – ci mostra un padre che deve imparare a guardare davvero la figlia, a porsi domande sulla responsabilità genitoriale e sul suo modo imperfetto di amare.

Nel film si percepisce un rovesciamento di prospettiva che pone la ragazza in una posizione di maturità affettiva maggiore rispetto al genitore. Tutto questo è sottolineato da una intensa interpretazione di Accorsi nel mostrarci la maturazione tardiva di Pietro che, solo quando perde tutto, inizia a capire. Un plauso va a Ginevra Francesconi: la sua Sofia è una quindicenne che cresce velocemente dopo essere sprofondata in un abisso, trasformandosi in una giovane donna sorprendentemente lucida.

Un film maturo, intimo, diretto, che osserva senza giudicare due mondi troppo distanti per riconciliarsi veramente, ma che possono solo aprirsi alla lunga strada del perdono.

data di pubblicazione:10/05/2025


Scopri con un click il nostro voto:

30 NOTTI CON IL MIO EX di Guido Chiesa, 2025

30 NOTTI CON IL MIO EX di Guido Chiesa, 2025

Bruno (Edoardo Leo) e Terry (Micaela Ramazzotti) sono separati da tempo. Hanno una figlia, Emma (Gloria Harvey) che Bruno ha cresciuto da solo. L’uomo è molto metodico e cerca di imporre regole che l’adolescente Emma puntualmente disattende e contesta. Anche sul lavoro il suo socio Paolo (Claudio Colica), appassionato di vela, sembra non volerlo stare ad ascoltare spronandolo a prendere la vita con maggior leggerezza. Ma quelle regole sono la corazza di Bruno perché Terry, da tanti anni, vive presso una struttura a causa di un disturbo mentale.

Ma un giorno Angela la psicologa del centro (Anna Bonaiuto) comunica a Bruno che Terry è pronta ad affrontare di nuovo il mondo. Affinché però il reinserimento funzioni, è consigliabile che Terry torni a vivere per un breve periodo in famiglia con gli affetti più cari, suo marito e sua figlia. Solo allora sarà pronta per la sua nuova vita. Quella sorta di convivenza forzata, passaggio obbligato perché Terry non si spaventi più delle proprie fragilità, metterà ovviamente a dura prova Bruno. L’esuberanza e la schiettezza della ex moglie porteranno scompiglio nella sua triste vita, e dovrà inevitabilmente rivedere alcune restrizioni che si era imposto per andare avanti senza di lei.

Guido Chiesa con questa deliziosa commedia romantica affronta con leggerezza temi importanti, legati prevalentemente alla salute mentale e come essa si relaziona con i legami affettivi nella fase della ricostruzione dopo la rottura, mettendo in luce a livello emotivo la complessità di azioni che i due protagonisti sono chiamati ad affrontare. Nel film diventa una metafora potente il fatto che Terry pratichi l’antica arte giapponese del kintsugi (letteralmente “riparare con l’oro”), che consiste nel riparare oggetti in ceramica rotti usando una lacca mista a polvere d’oro. Come accade agli oggetti anche le persone possono “rompersi”, emotivamente parlando. L’applicazione del kintsugi valorizza le crepe rendendole parte della storia dell’oggetto senza cancellarle ma esaltandole, rendendo l’oggetto ancora più prezioso, non più rotto ma trasformato. Così le persone possono colmare le proprie lacerazioni e quelle “crepe” non cancellano l’amore ma lo rendono più prezioso.

Il film si mantiene in equilibrio tra dramma e commedia grazie anche alla coppia di attori che hanno affrontato i loro ruoli con sensibilità e consapevolezza. Entrambi si muovono in quella che potremmo definire la loro zona di comfort: Micaela Ramazzotti ha già affrontato in molti film ruoli similari così come Leo si muove in un terreno a lui non nuovo nell’ambito delle dinamiche di coppia. L’approccio di entrambi è empatico: i loro personaggi ad un certo punto, tra il serio e il faceto, in una specie di scambio di ruoli si mettono nei panni dell’altro scoprendo cose sino ad allora celate. Il risultato di tutto questo è un film gradevole, per tutti.

data di pubblicazione:23/04/2025


Scopri con un click il nostro voto:

EUROPA CENTRALE di Gianluca Minucci, 2025

EUROPA CENTRALE di Gianluca Minucci, 2025

Siamo nel 1940. Umberto Cassola (Paolo Pierobon) e la sua compagna Julia Szapolowska (Catherine Bertoni De Laet) si riuniscono su un treno che attraversa l’Europa Centrale in missione segreta per il Cominter: con loro c’è la figlia Olga (Angelica Kazankova). Condividono lo spazio con l’agente Molnàr, un personaggio ambiguo incaricato di interrogare (o forse di proteggere?) Cassola. Sullo stesso treno viaggiano il fascista Guido Clerici (Tommaso Ragno), amico d’infanzia di Cassola, e sua moglie Gerda Hermet (Matilde Vigna). Subito si crea una certa tensione tra chi deve portare a termine la propria missione.

Europa centrale, il film di esordio di Gianluca Minucci presentato in concorso alla 42ma edizione del TFF, ha avuto il suo battesimo con il grande pubblico in sala giovedì 13 marzo al cinema Farnese di Roma, per poi toccare le piazze di Bologna, Milano e Trieste.

Proveniente dal mondo dei videoclip e dalla pubblicità, Gianluca Minucci (nato a Trieste nel 1987, laureato alla facoltà di lettere e filosofia) ha descritto il suo lungometraggio come un kammerspiel metafisico, genere teatrale e cinematografico nato negli anni ’20 in Germania, ambientato in uno spazio ristretto (in questo caso nei vagoni di un treno), in cui pochi personaggi affrontano dialoghi di una certa intensità, esplorando temi profondi a livello filosofico su questioni universali, andando oltre quella che è la realtà concreta.

Come tutte le opere prime il regista ha fatto di Europa centrale un film “grande”, un contenitore di tutto ciò che con urgenza voleva trasporre. Un gioiello molto prezioso, pieno di pietre che irradiano luce diretta e riflessa, a tratti algido e inarrivabile, troppo dotto in alcuni passaggi. Tuttavia la pellicola emana vibrazioni come un quadro di espressionismo astratto, che arrivano al pubblico senza troppe spiegazioni razionali o conoscenze storico-filosofiche particolari. Inevitabili alcune influenze che fanno parte del bagaglio culturale del regista, che spaziano da Trintignant alla Cavani sino alla filmografia di Volontè (Todo modo, La classe operaia va in paradiso).

É il fluire delle storie individuali, che scaturiscono da confessioni private, sino ai dialoghi tra coniugi e nel confronto con l’opposto, a darci la pienezza delle innumerevoli contraddizioni che albergano dentro ognuno dei personaggi in scena, grazie ad una interpretazione attoriale di altissimo livello, in un tutt’uno di profonda attualità che travalica lo scenario spazio-temporale per arrivare sino ai nostri tempi. Tale contemporaneità la si coglie in particolare nello sviluppo dei due ruoli femminili principali. Le due interpreti hanno un peso nella narrazione non solo come consorti di Cassola e Clerici, ma soprattutto come rappresentanti di genere: sono madri, mogli, compagne, amanti ed in quanto tali vengono amate, usate, dominate, maltrattate, violentate, derise e abbandonate. Fa eccezione la piccola Olga, figlia-non figlia dei coniugi non-coniugi Cassola che rappresenta l’agghiacciante frutto dei nostri tempi confusi.

Il film non ha una trama precisa se non la narrazione di un periodo storico attraverso le storie incrociate di 4 individui, due uomini e due donne, che si scontrano per raccontare l’uomo inteso come individuo, mettendo a nudo dubbi e contraddizioni. Sicuramente Europa Centrale è un film complesso, non per tutti, a tratti criptico, ma l’energia che sprigiona aiuta ad entrare in sintonia con la rappresentazione, grazie anche ad una colonna sonora strepitosa, opera del compositore polacco Zbigniew Preisner (sono sue le musiche della trilogia di Kieslowski) e ad un girato seppiato che ci riporta agli anni 40. La tecnica è molto avanzata e l’atmosfera inevitabilmente claustrofobica per aver girato tutto nei vagoni angusti di un treno all’interno del Museo Ferroviario di Budapest, utilizzando carrozze originali degli anni ’20 e ’30, dove anche i reali limiti nell’aprire porte e finestrini hanno contribuito a conferire a tutta la storia un fascino ed una atmosfera unici e coinvolgenti. Una vera scommessa per questo giovane regista.

data di pubblicazione:14/03/2025


Scopri con un click il nostro voto:

ITACA – IL RITORNO di Uberto Pasolini, 2025

ITACA – IL RITORNO di Uberto Pasolini, 2025

Uberto Pasolini, dopo aver girato meraviglie come Still Life e Nowhere special, ci sorprende con un cambio di rotta virando su qualcosa di molto distante senza tuttavia cessare di stupirci. Con The return ci regala una rilettura dell’Odissea dopo una gestazione, a suo dire, trentennale. Molto fedele al testo di Omero, il film sembra tuttavia estremamente attuale tanto da sembrare una metafora del nostro tempo.

Odisseo (Ulisse) approda ad Itaca respinto dalle onde. È un uomo indebolito dal naufragio, che porta sul corpo i segni di una guerra durata vent’anni. Ma le ferite più grandi non sono visibili se non dal suo sguardo stanco e addolorato per le vittime che la sua impresa ha causato e per i traumi che la sua assenza ha generato nelle persone che ama. Un padre anziano e morente. Un figlio, Telemaco, che non ha visto crescere e che si affaccia all’età adulta. Una moglie fedele e tenace, Penelope, che ha conosciuto solo il dolore di una lunga attesa senza poter camminare al suo fianco. Una famiglia separata dalla guerra e dal tempo. Odisseo non è fiero della sua impresa che ha seminato solo distruzione e morte, oltre a tanta infelicità, apparendo ai nostri occhi come un uomo distrutto e tormentato.

Dopo una gestazione durata trent’anni Pasolini realizza la “sua” Odissea, a settant’anni dall’ultima versione per il grande schermo, impiegando “più del tempo che ha impiegato Ulisse per tornare nella sua Itaca”. Nelle sue mani ciò che rende questa storia epica attuale, seppur nella sua intatta classicità e fedeltà al testo di Omero, è l’aver ritratto Ulisse come un reduce di guerra, con le sue ferite visibili e non. Le interpretazioni magistrali di Ralph Fiennes e Juliette Binoche con la macchina da presa che segue ogni loro impercettibile espressione o gesto, hanno contribuito inoltre a restituirci il dolore di chi è tornato dopo un lungo esilio, come il titolo stesso ci suggerisce, ma anche di chi è restato. Ed è proprio il tempo il terzo protagonista della pellicola, come una entità palpabile, una lunga attesa generatrice di un dolore sordo, da assumere le sembianze di un lutto da elaborare in eterno.

Film intenso, ben fatto, curato in ogni singola scena, di rara bellezza e inaspettata attualità.

data di pubblicazione:29/01/2025


Scopri con un click il nostro voto: