da Rossano Giuppa | Ott 29, 2022
(Teatro Argentina – Roma,18/30 ottobre 2022)
Pupo di zucchero. La festa dei morti, opera firmata da Emma Dante e liberamente ispirata al celeberrimo Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile, regala emozioni interiori e purissime. Ricordi d’infanzia che si mescolano a storie familiari nel giorno di celebrazione dei morti, atmosfera sospesa che non ha nulla di pauroso o spaventoso, ma anzi diffonde un dolore che sa di nostalgia e ricordi. In una stanza abitata dalla solitudine di un anziano, le immagini di una vita prendono corpo e fiato, in un vortice di storie sovrapposte e traslate che culminano nello spettrale e suggestivo trapasso finale (foto di Ivan Nocera).
In una casa vuota e buia un Vecchio (uno sconvolgente Carmine Maringola) è impegnatissimo nella cura di un impasto: “l’esca pe li pesci de lo cielo”, che non tarderà ad attirare dall’aldilà le sorelle Rosa (Nancy Trabona), Viola (Maria Sgro) e Primula (Federica Greco) e dal buio della solitudine si passa al tintinnio ritmico e squillante dei campanelli. Piano piano la casa si popola. È poi la volta dell’esuberante Pedro (Sandro Maria Campagna), spasimante di Viola, del papà scomparso in mare (Giuseppe Lino), della mamma malata (Stephanie Taillandier), di Pasqualino (Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout), della zia Rita (Martina Caracappa) unita allo zio Antonio (Valter Sarzi Sartori) in un legame di desiderio e violenza. Racconti di famiglia asciutti, sovrapposti, sfocati ma intensissimi, mai banali. Il tempo dell’azione è il giorno dei morti, un tempo preciso eppure sospeso.
Carmine Maringola racconta dei propri cari defunti e ci presenta la sua famiglia che fu, è intento a preparare un pupo di zucchero, un impasto di forma antropomorfa da offrire ai defunti stessi.
Il lavoro di Emma Dante è ben connotato per il suo stile eclettico e originale, che pesca nella tradizione per esternare nuove ricerche estetiche e artistiche di presenza e movimento.
I quadri dei ricordi appaiono e scompaiono, si susseguono, la trama si sfuma, ogni scena si riempie di immagini iconiche, talvolta poetiche, talvolta allegre, alcune potenti altre solo accennate. Sulle teste piovono frammenti di coriandoli lanciati dalla tasca, insieme a zuccheri e farine leggeri e sospesi nell’aria.
Le suggestioni di danza, insieme a quelle del canto, sono i momenti in cui il fervore della vita prende il sopravvento. Ma tutto ciò che accade è sempre e solo nella mente del vecchio, è un flusso di frammenti che si affollano, si accavallano e, scompaiono. È un dolore privato suo e dei suoi morti.
Carmine Maringola popola la solitudine e il buio della sua casa ricostruendo frammenti di vita passata, dove tutta la sua famiglia ridiventa carne e materia. Una matassa di pasta lievitata e zuccherata, dunque, diventa il legame tra la vita e la morte. l vecchio protagonista la lavora, a morsi ne strappa pezzi coinvolgendo famiglia e ricordi in un rituale selvaggio e potente. Legato a loro, come da un cordone ombelicale, il vecchio gioca con una catena a un tiro alla fune.
Ma la vita è anche morte: le straordinarie sculture di Cesare Inzerillo appaiono e si muovono in scena per ricordare l’essenza della materialità e della spiritualità, in una sorta di penombra da cimitero dove brillano solo le fiammelle dei lumini i cadaveri mummificati della famiglia diventano corpi morti, solidificati. Sono sculture realistiche, a grandezza naturale, trasfigurazione del dolore e del trapasso.
Uno spettacolo ancora una volta spiazzante ma non addolorato, un bellissimo specchio che ripercorre e riflette le vite e gli affetti di ognuno di noi.
data di pubblicazione:29/10/2022
Il nostro voto:
da Salvatore Cusimano | Ott 28, 2022
Girgenti, 1920. Nofrio e Bastiano sono becchini, oltre che “dilettanti professionisti”, pronti a mettere in scena una ‘tragicommedia’; l’ottantesimo compleanno di Giovanni Verga riporta Luigi Pirandello alla sua città natale e la morte della balia del drammaturgo favorisce il suo incontro con i due. Il Maestro è in crisi creativa, ma osservando di nascosto le prove della compagnia amatoriale di Nofrio e Bastiano trae ispirazione per uno dei suoi lavori più importanti, “Sei personaggi in cerca d’autore”.
Gran parte del racconto di Andò è ambientato proprio in Sicilia, nel quale si prova a mettere in scena l’essenza della poetica di Pirandello, immaginando il modo in cui il drammaturgo siciliano prenda ispirazione per la sua opera più innovativa. Il titolo del film deriva da una battuta che il fantasma della sua balia d’infanzia rivolge al Maestro in un momento di impasse creativa: “quando eri picciriddo, ogni volta che ti prendeva la stranizza, appoggiavi la testa tra le mie ginocchia”. La storia funziona molto bene sul grande schermo con l’evidente alchimia creata dagli attori in scena: Ficarra e Picone, non più ‘guitti televisivi’ ma vere e proprie maschere siciliane, riescono a coinvolgere anche Toni Servillo che, dall’alto del personaggio che interpreta, riesce a creare un legame particolare con Nofrio e Bastiano, dando origine ad una storia che diverte e fa pensare al tempo stesso.
Liberamente ispirato alla realtà, con un tocco di fantasia circa le dinamiche dell’incontro fatale di Pirandello con questa strana coppia di attori amatoriali, l’opera suscita interesse mischiando realtà e finzione, dramma e commedia (quel tipo di commedia che si vede ormai sempre più di rado sui nostri schermi) in un viaggio tra realtà e immaginazione, vincendo anche la non facile scommessa di riunire un attore ‘impegnato’ con il popolare duo comico, grazie anche alla cura di una ambientazione e una scenografia inappuntabili e ai costumi dell’epoca, facendo tornare in mente anche Andrea Camilleri e la sua immaginaria Vigata, a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
data di pubblicazione:28/10/2022
Scopri con un click il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 28, 2022
(Teatro Belli – Roma, 25/27 ottobre 2022)
Secondo appuntamento per la XXI edizione di “Trend. Nuove frontiere della scena britannica” al teatro Belli di Trastevere. The river di Jez Butterworth porta lo spettatore in una baita vicino a un fiume dove un uomo ama andare a pescare. È in cerca della trota di mare che solo per un momento ha tenuto per le mani e forse è in cerca della donna giusta, tra le tante che porta con sé nel suo nido nascosto.
Entrando in sala si è accolti dal suono dello sciabordio dell’acqua che scorre incessante nel fiume vicino alla baita. L’uomo interpretato da Alessandro Federico, anche regista dello spettacolo (produzione Proprietà Commutativa), sta approntando con meticolosa pazienza e in solitudine la sua attrezzatura da pesca. Gli stivali di gomma sono calzati, il gilet indossato, l’esca è fissata all’amo. Alle sue spalle entra una donna, la nuova fidanzata. Tra i due sembra esserci una bella intesa. Lei è romantica e arrendevole, curiosa di conoscere meglio quest’uomo che le ha permesso di entrare nel suo remoto rifugio. Lui le trasmette tutta l’eccitazione che prova nel pescare la trota di mare, nell’unica notte all’anno senza luna, quando fuori è così buio da non riuscire a vedere chi hai vicino e l’acqua prolifera di pesci. Ha ancora negli occhi il ricordo del primo pesce pescato, che tenne tra le mani il tempo di un battito di ciglia prima di vederlo sparire per sempre nell’acqua. Nella scena successiva lui è in preda al panico: la donna sembra essere sparita nel nulla durante la pesca notturna. Improvvisamente però riappare, ma è un’altra lei. Un’altra fidanzata, più vivace della prima, dai modi sensuali e provocanti. Al primo impatto sembra di essere davanti a un tradimento, ma gli indizi disseminati nel racconto portano verso una diversa interpretazione dei fatti. Nonostante lo spazio rimanga quello della tranquilla baita sulle rive del fiume, il tempo si blocca e si frantuma in una doppia storia. Le due donne appaiono e scompaiono nel susseguirsi delle scene, diventano quasi dei fantasmi della mente. Come loro probabilmente ce ne saranno state anche altre nella vita di quest’uomo. Il passato è un incubo che il presente non riesce a dimenticare. The river diventa così una metafora dal significato oscuro. L’immagine del fiume riflette il flusso continuo della ricerca senza sosta di un uomo condannato a non ritrovare più qualcosa che ha perso. La differenza caratteriale delle donne è la prova tangibile del fatto che non sa cosa cercare, così lontane tra loro per il mondo che rappresentano. Le due attrici, Silvia Aielli e Mariasole Mansutti, sanno definire in maniera impeccabile e chiara questo contrasto, ottime protagoniste insieme ad Alessandro Federico, che invece manifesta senza eccedere la sua mascolinità e insieme la malinconia di un uomo avvolto nei pensieri più cupi, quelli che capitano di avere quando si pratica uno sport in solitudine come la pesca. E così rimane solo, a vedersi scivolare via dalle mani un’altra trota, un altro tratto di questa misteriosa, insondabile vita.
data di pubblicazione:28/10/2022
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Ott 27, 2022
(Teatro 7 Off – Roma, 26 ottobre/6 novembre 2022)
Un pepato divertissement che irrida alle gabbie del politicamente corretto e scatena la verve travolgente dell’attrice ciclonica Frazzetto, assistita da partner all’altezza della situazione.
Tutti pazzi per Mary? No, per la mamma. Che non è Cameron Diaz ma Luciana Frazzetto, attrice garanzia che caratterizza fortemente tutte le pochade di cui è anima e corpo (e che corpo!). La donna al centro di tutto. Con un segno nel cuore, un ruolo da controfigura in Beatiful rinnegando i legami con figlio, marito e con una possibile nuora. Nel mirino la gaytudine, il fiato cattivo, l’astinenza sessuale del marito in vigore dal 1998. Insomma un quadro familiare poco soddisfacente. Ma la voglia di evasione della protagonista, dopo aver coltivato il sogno americano, si placa con un malinconico ma sentimentale ritorno a casa. Un happy end che ricuce i buchi del disagio. Così dopo tanto ridere quasi ci si commuove. Il copione scatena la verve e non ci si preoccupa certo per qualche parola fuori dall’ordinario. Questo teatro, a torto considerato minore, funzionerà sempre. Gli attori si donano generosamente e qualche arguta macchietta non stona all’interno di una storia che è un pretesto per una serie di gang senza soluzione di continuità. Spettacolo che è una girandola di colpi di scena, di travolgenti risate e di sanguigni scontri. Del resto il mammismo sembra una malattia delle famiglie italiane e senza pretese sociologiche la piéce ruota attorno al tema senza pretendere di sviscerarlo. Il partner della “prima” era pieno di stelline o aspiranti tali con al centro della platea il consacrato Mattioli. Per la Frazzetto la riconferma di doti in mostra che nessuno può discutere in un funzionale teatro di genere che non nutre complessi rispetto alla “scena alta e altra”.
data di pubblicazione:27/10/2022
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Ott 25, 2022
(Teatro Vascello – Roma, serata unica 24 ottobre 2022)
In scena per una sola serata lo spettacolo che ha vinto il Fringe Festival 2021. Clima rarefatto, vocalità impercettibile ma crescita emotiva con il passare dei minuti (50’). La vita e le percezioni emotive di Camille Claudel. Supporti multimediali fondamentali su un fondale pittorico e scultoreo ricco e seducente..
Le voci interne e quelle esterne nella parabola di Camille Claudel, proto-femminista che cerca di combinare la predisposizione artistica con il complicato e ingombrante rapporto con Auguste Rodin. Timori e palpiti, voglia di realizzazione. Arte e vita sono perfettamente fusi nel tentativo minimalistico di restituire il senso di un’esistenza e di una profonda sofferenza. Camille combatte e alla fine perderà ma non rinuncia a combattere la sua battaglia di emancipazione e realizzazione. Il clima d’epoca viene restituito in uno spettacolo per una sola attrice e tante voci e contributi a margine. L’anima di Camille urla incessantemente con il delirio delle proprie visioni interiori e cerca una difficile salvezza. L’insanità mentale è il bivio da cui separa la propria normalità. L’attrice protagonista al centro della scena domina con continui cambiamenti di tono e di ritmo, con improvvise corse, con il gridato manifestato al microfono, simile a un urlo lanciato verso e contro il mondo. In scena la solitudine, il desiderio di indipendenza, la pesantezza del legame amoroso con una personalità soprabbondante, evocata e in fondo temuta. La rappresentazione dell’intimo sentimentale approda a brividi sottilmente erotici nella perfetta idealizzazione tra corpo e anima, tensione costante. Le vie per l’affermazione di un talento femminile nel mondo dell’arte tutt’altro che scontate.
data di pubblicazione: 25/10/2022
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Ott 24, 2022
(Teatro Belli – Roma, 20/23 ottobre 2022)
Testimony di Simon Bovey inaugura la XXI edizione di Trend, la rassegna di spettacoli tratti dalla drammaturgia contemporanea inglese diretta da Rodolfo Di Giammarco, sostenuta dal Ministero della Cultura, dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma. Occhi puntati su questioni attuali della società in cui viviamo, che si rispecchiano nei 16 lavori teatrali in scena fino al 18 dicembre al teatro Belli di Trastevere
Una lampada a neon illumina il tavolo di una fredda stanza per interrogatori di un commissariato di polizia. Il caso a cui stanno lavorando l’ispettore Trent e sergente Harris vede la scomparsa di Kelly Anders, una ragazza di quattordici anni dagli occhi innocenti e i capelli mori. L’ultima volta è stata vista in compagnia di David Vincent all’uscita di un locale. I sospetti cadono inevitabilmente su di lui, anche perché ha un passato da criminale recidivo che l’ispettore Trent conosce molto bene. David Vincent si ritiene innocente e estraneo ai fatti, ma i modi violenti dell’ispettore, contestati dal sergente Harris poiché sfiorano l’abuso di potere, conducono l’indagato a confessare dei piccoli particolari che sembrano portare alla soluzione del caso. Estorcere una confessione con mezzi brutali solo perché si nutrono dei pregiudizi sulla persona indagata non è di certo professionale e non serve a risolvere il giallo. Così il dramma, con un sapiente gioco teatrale, sposta l’indagine dal fatto di cronaca alle motivazioni intime e psicologiche che spingono l’ispettore Trent a comportarsi con violenza nei confronti dell’imputato. La trama facilmente ascrivibile al filone delle serie TV che trattano di casi di cronaca nera si trasforma in un’indagine sottile della personalità dell’ispettore, che come ogni uomo cova mostri nell’ombra. Solo a teatro questa trasformazione è possibile, perché è il luogo deputato per affrontare questo tipo di analisi introspettiva. Le scene che si susseguono spingono lentamente lo spettatore in una morsa claustrofobica che mette la soluzione del caso in secondo piano. Alla fine chi dovrà deporre la sua confessione sarà proprio l’ispettore: l’indagatore diventerà il principale indagato.
La regia del giovane Armando Quaranta sa cogliere perfettamente questa trasformazione, con semplici ma significativi gesti che restituiscono una profonda comprensione dell’opera tradotta da Natalia Di Giammarco. Ogni personaggio ad esempio occupa nello spazio un punto ben preciso. Per questo quando l’ispettore va a sedersi sulla sedia dell’indiziato è facile capire che sarà lui a dover fornire una confessione. Ma il punto di forza è nel realismo della recitazione, reso ancora più estremo nella giusta scelta degli attori che per età e caratteristiche sono simili ai personaggi che interpretano. Maurizio Mario Pepe nei panni dell’ispettore Trent, Giulio Forges Davanzati in quelli di David Vincent e Jacopo Olmi Antinori in quelli del sergente Harris.
Testimony è uno spettacolo di qualità, che testimonia l’alto tenore dei lavori scelti per questa XXI edizione di Trend. Nuove frontiere della scena britannica. Prossimo appuntamento venerdì 25 ottobre con The river di Jez Butterworth.
data di pubblicazione:24/10/2022
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Ott 23, 2022
(ALICE NELLA CITTA’ – Roma, 13/23 ottobre 2022)
A cosa sono imputabili alcuni episodi di cronaca nera di ingiustificata e improvvisa violenza ? Il film Piove, diretto da Paolo Strippoli e basato su un soggetto originale di Jacopo Del Giudicevincitore del Premio Solinas alla Sceneggiatura, presentato nel Panorama Italia di Alice nella Città il 21 ottobre scorso, offre una libera interpretazione a tale tematica attraverso metafore di genere in una chiave innovativa e intelligente.
La vicenda si concentra infatti sulla una famiglia composta dal padre Thomas (Fabrizio Rongione), dal figlio Enrico (Francesco Ghenghi), dalla piccola Barbara (Aurora Manenti), in quanto la moglie e madre Cristina (Cristiana Dell’Anna) è rimasta uccisa in un incidente causato dallo stesso Enrico. Da quando tale triste evento si è abbattuto su di loro, i rapporti tra i rimanenti membri della famiglia non sono più stati gli stessi.
C’è risentimento e incomprensione tra padre e figlio, mentre fuori piove incessantemente e dai tombini esala un vapore proveniente da una misteriosa melma grigiastra, la quale sembra condurre alla follia chiunque vi entri in contatto. Sembra essere proprio questa sostanza a condurre alla follia i responsabili degli atroci atti di cui i telegiornali parlano ossessivamente in quei giorni.
Dalla morte di Cristina tra il marito Thomas e il figlio Enrico esiste solo una convivenza forzata, mentre la piccola di casa, Barbara, vorrebbe solo rivederli uniti come un tempo. L’incidente si poteva evitare, questo lo sa bene Thomas e anche Enrico. Due anime cariche di rabbia, imprigionate in una Roma che assomiglia a loro: cupa, nervosa, sul punto di esplodere.
Il padre costretto a fare diversi lavori molto umili non riesce veramente a sopportare la vista della figlia in sedie a rotelle, e forse si sente in colpa per questo, ma inconsciamente crede che l’unico colpevole di tutte le sue disgrazie sia il figlio. Enrico è un ragazzo perso nel suo senso di colpa e passa le giornate a combinare guai in giro per la città. Ha continui rapporti con una prostituta di mezz’età con la quale ha stabilito un rapporto madre/figlio ed entra in conflitto con qualunque tipo di figura autoritaria, dal padre alla guardia giurata. La melma misteriosa sarà il pretesto per sfogare rancori e delusioni in un’esplosione totale di violenza gratuita e estesa a tutta la città, con una quiete finale che scaccerà la tempesta di orrore.
Piove è un film assolutamente piacevole, destinato a diventare certamente un piccolo cult non solo fra gli appassionati del genere horror. Ha il pregio assoluto di non cadere mai nel didascalico e lascia spazio all’interpretazione dello spettatore, frutto anche dell’entusiasmo coinvolgente di questo giovanissimo regista che ha esteso a tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione del film ed anche al pubblico in sala, entusiasta a fine proiezione.
Tra melma ed fiumi di sangue nero sparsi un po’ dovunque, Piove crea la giusta atmosfera a partire dalla fotografia funerea pop, con una colonna sonora inquietante e moderna ed una tensione drammatica ed estetica al tempo stesso. La ripartizione in capitoli del film porta dunque a confrontarsi con stadi diversi del conflitto interno ed esterno. Allo stesso tempo, il film offre infatti uno sguardo sulla famiglia e le sue dinamiche tra di loro, raccontando anche quanto avviene intorno, in maniera funzionale e convincente alla metafora alla base del film.
data di pubblicazione:23/10/2022
Scopri con un click il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Ott 22, 2022
(ALICE NELLA CITTA’ – Roma, 13/23 ottobre 2022)
The Fabelmans, di Steven Spielberg, già vincitore del Premio del pubblico all’ultimo Toronto Film Festival, è stato presentato in anteprima italiana il 19 ottobre nel programma della Festa del Cinema di Roma e di Alice nella Città. Il lavoro ripercorre in modo intenso e personale l’infanzia e l’adolescenza dello stesso Spielberg, dalla scoperta di uno sconvolgente segreto di famiglia al sogno, poi realizzato, di diventare regista. Il film si può considerare un racconto di formazione ed esplora il potere del Cinema come osservatorio fuori e dentro il mondo ma soprattutto fuori e dentro se stessi.
La critica statunitense già considera The Fabelmans uno dei titoli di punta nella corsa agli Oscar: è il nuovo film di Spielberg che racconta in parte l’infanzia e soprattutto l’adolescenza di Sammy Fabelman (Gabriel LaBelle), e il suo sogno di fare del cinema la sua vita. Il suo amore per il cinema prende forma e assume più forza ogni giorno sperimentando e assemblando idee e mezzi più creativi per raccontare le storie, inventando piccoli effetti speciali artigianali che già denunciano il suo talento nel rendere il sogno realtà. Un sognatore romantico già pieno di talento che deve confrontarsi, crescendo, con il trasferirsi continuamente seguendo i vari incarichi del padre (Paul Dano) un geniale e ingenuo ingegnere; l’impatto con l’antisemitismo che gli rovesciano addosso a scuola e la crisi matrimoniale dei sui genitori, causata dal legame della incantevole madre Mitzi (Michelle Williams) sempre dalla sua parte con lo ‘zio’ Bennie (Seth Rogen). Il film è stato scritto da Spielberg insieme al drammaturgo, Premio Pulitzer, Tony Kushner, storico collaboratore del regista.
Sammy cresce con la macchina da presa come fedele compagna che lo protegge anche nei momenti difficili. Quando i suoi divorziano, lui si immagina di riprendere la scena come se fosse qualcosa che non sta accadendo realmente e, attraverso i suoi film, scopre verità non visibili all’occhio nudo, che cambiano la sua vita per sempre. The Fabelmans si sviluppa attorno alle emozioni di chi sta per raggiungere la maggiore età a tratti delicato e divertente, a tratti spietato e drammatico.
Sam sviluppa la giusta sensibilità verso quello che accade intorno a lui, riesce a comprendere la mamma e gli amici attraverso l’obiettivo, etrova alla fine la sua strada.
Girato in maniera impeccabile con una sceneggiatura che aderisce in maniera straordinaria ad ogni fotogramma, il film ha forse la pecca di risultare perfetto ma con un’anima predefinita. Ci teniamo stretto il nostro Nuovo Cinema Paradiso che con la sua tenerezza emotiva ha reso magico il mondo del cinema.
data di pubblicazione:22/10/2022
Scopri con un click il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Ott 21, 2022
(ALICE NELLA CITTA’ – Roma 13/23 ottobre 2022)
Il giovane autore belga Lukas Dhont torna a raccontare il mondo dell’adolescenza in Close, storia di amicizia dolce e dolorosa, un romanzo di formazione che segue la vita dei suoi protagonisti per un anno intero. Un racconto inizialmente semplice, delicato, ma che nel proseguo regala emozioni profonde fatte di amore, rimpianti, desiderio e dolore devastante. Un film bellissimo che arriva dritto al cuore, vincitore del Gran Prix Speciale della Giuria allo scorso Festival di Cannes, un gioiello sapientemente selezionato da Alice nella città, che conferma il suo autore come una delle promesse del cinema contemporaneo.
Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustave De Waele) sono amici inseparabili, quasi fratelli come si definiscono loro, cresciuti insieme tra giochi nei boschi e con la presenza costante di due famiglie amorevoli. Passano moltissimo tempo insieme e sembra che nulla possa rovinare il loro rapporto esclusivo. Poi cominciano a frequentare le scuole superiori e l’equilibrio si rompe. Qualche compagna di classe gli chiede se stanno insieme e Léo inizia a staccarsi. Si iscrive ad hockey, non aspetta l’amico per andare in classe insieme e ci litiga sempre più spesso. Poi un giorno, al ritorno da una gita scolastica, cambia tutto.
Il mondo degli adolescenti, continua a essere il territorio di elezione del talento altrettanto giovane del regista belga Lukas Dhont che ha vinto la Caméra d’Or a Cannes con la sua opera prima, Girl, racconto di una quindicenne in transizione e nata uomo alle prese con il durissimo allenamento marziale per diventare una ballerina étoile.
Léo e Rémi hanno grande spontaneità, fanno la lotta, si abbracciano, il tutto con estrema naturalezza. Il loro rapporto esclusivo inizia a essere messo sotto osservazione da occhi esterni rispetto ai loro e a quelli delle rispettive famiglie. Il legame che unisce i due ragazzi viene messo a dura prova nel momento in cui devono confrontarsi con i coetanei: Léo i è più estroverso, Rémi è invece più sensibile, a disagio se inserito nelle dinamiche tipiche dei bambini di quell’età.
Iniziano a diversificare i comportamenti fra la vita a casa e quella a scuola. Iniziano a diversificarsi con il gruppo, con gli altri, e il meccanismo perfetto e armonico della loro simbiosi inizia a scricchiolare. Fino all’evento estremo che toglie la luce ed il respiro, che dopo lo sbocciare dei fiori porta il freddo e l’inverno, ovvero il dolore e la sofferta elaborazione delle responsabilità, per aspettare poi una nuova primavera.
Un racconto straordinario per immagini, aiutato da scelte registiche perfettamente riuscite e funzionali, come i continui primi piani sui volti dei protagonisti o la camera che li segue costantemente, una fotografia avvolgente, che evoca il calore dell’infanzia e, soprattutto, la bravura dei due giovani interpreti. Lukas Dhont realizza un’opera d’arte, un film toccante ma sempre in equilibrio, emozionantissimo.
data di pubblicazione:21/10/2022
Scopri con un click il nostro voto:
da Antonio Jacolina | Ott 21, 2022
(Festa del Cinema di Roma, 13/23 Ottobre 2022)
Sylvie (Anouk Grinberg) tiene corsi di teatro per i carcerati e si sposa con Michel (Roschdy Zem)un detenuto prossimo al rilascio. Suo figlio Abel(Louis Garrel), giovane vedovo inconsolabile, è preoccupato per il matrimonio nonostante i tentativi dell’amica Clémence(Noémie Merlant)di tranquillizzarlo. Abel cercherà di proteggere la madre in ogni modo, ma gli sviluppi saranno del tutto imprevisti …
I Festival ci regalano anche belle sorprese. Chi avrebbe mai scommesso sul potenziale comico di un attore come Louis Garrel sempre così cerebrale o bel tenebroso dallo sguardo cupo? Ed ecco allora che il poliedrico attore ci svela un suo coté brillante di tutto rispetto.
Garrel, geniale nipote e figlio d’arte, attore, sceneggiatore e regista così talentuoso e di successo da potersi permettere il vezzo (come Truffaut con Antoine Doinet) di avere sempre nei suoi film un alter ego di nome Abel, è arrivato con questo lungometraggio, di cui è anche cosceneggiatore, alla sua quarta regia. E che regia! Il cineasta dimostra di saper abilmente attraversare tutti i generi: dalla cronaca familiare al film di rapina, al polar comico fino alla commedia romantica, con un incontestabile tocco di maestria e di gradevole furbizia regalandoci alla fine un film brillante da gustare con vero piacere. Sulla base di un soggetto insolito ma ben definito, passo dopo passo, demolisce tutti gli stereotipi dei generi e ci restituisce un film con umori, sapori, colori e tocchi un po’ rétro quasi da anni ‘70/’80. Un tutt’uno piacevolmente assortito sotto una falsa aria da poliziesco di provincia di serie B, con citazioni e rimandi che fanno la gioia dei cinefili che ricordano i noir francesi di quegli anni. Il tutto senza però mai prendersi troppo sul serio, ma con un risultato decisamente apprezzabile, incisivo ed anche divertente.
Alla base c’è, ovviamente, una sceneggiatura originale perfettamente oleata che scorre come un orologio svizzero e dei dialoghi, come è tipico dei film francesi, reali, autentici, intelligenti, ben articolati ed a tratti esilaranti, costruiti su misura dei personaggi. La messa in scena è tecnicamente perfetta e ricca di inventiva. Il ritmo poi è incalzante, senza mai un attimo di stanca.
La gradevolezza del film è dovuta anche ad un casting, forse non conosciutissimo in Italia, ma, di assoluto prim’ordine. I 4 protagonisti mostrano tutto il piacere di recitare e di sapere fare buon cinema. Garrel con nonchalance si permette di operare di conserva lasciando brillare gli altri che con magnetismo, irruenza e bravura rendono bene tutte le sfumature dei loro ruoli.
L’Innocent è, dunque, una tenera commedia ricca di humour, ben scritta, ben diretta e ben recitata. Un piccolo bijou di cinema che fa venire voglia di continuare a seguire con sempre più attenzione le vicende del suo attore/regista e magari gustare presto un suo altro lavoro.
data di pubblicazione:21/10/2022
Scopri con un click il nostro voto:
Gli ultimi commenti…