ADDIO ALL’ ITALIANA PIÚ BELLA DI TUNISI E… NON SOLO

ADDIO ALL’ ITALIANA PIÚ BELLA DI TUNISI E… NON SOLO

Martedì 23 settembre ci ha lasciato Claudia Cardinale, attrice iconica e donna di temperamento e autentiche sensibilità. Il cinema e la società civile di tutto il mondo ne ricorda la grandezza e ne piange la scomparsa.

Nell’interessante saggio di Francesco Piccolo, La Bella Confusione, si racconta, della vita e del ruolo preminente che Claudia Cardinale ha avuto nel cinema italiano. Due dei registi più prestigiosi, Visconti e Fellini si litigavano “la più bella di Tunisi” per averla protagonista in due capolavori, Il Gattopardo e 8 ½ girati quasi contemporaneamente nel 1963. Per inciso, la povera Claudia racconta che per le maniacali esigenze di scena dei due registi era costretta a subire frequenti cambi di colore ai suoi capelli, ora nerissimi per Visconti, ora, castani per Fellini. Ma, prima dei due mostri sacri del cinema italiano, Claudia aveva già offerto prove significative in altre pellicole: Un Maledetto Imbroglio di Germi, I Soliti Ignoti di Monicelli, La Viaccia e Il Bell’Antonio di Bolognini, tutti i film in cui veniva però ignominosamente doppiata. Fu Valerio Zurlini ne La Ragazza con la Valigia a restituirci la sua particolarissima voce, dolcemente roca, con lieve accento francese, decisamente sexy. Aveva solo 22 anni e aveva già stregato il cinema e il costume, e non solo, di casa nostra. Bob Dylan per il suo album, Blonde on Blonde l’aveva scelta per la foto di copertina (Angelica Sedara che si morde il labbro inferiore) non si sa perché poi ritirata. Moravia nel 62, già la intervistava in uno speciale (Claudia Cardinale, dialogo e fotografie) a lei dedicato con foto di Chiara Samugheo, Franco Pinna e altri grandi fotografi contemporanei. Dopo Il Gattopardo fu chiamata da Blake Edwards per La Pantera Rosa e questo le aprì le porte del cinema Hollywoodiano, frequentato allora solo dalle nostre Loren e Lollobrigida. Senza trascurare importanti film c.d. d’autore nostrani, Gli Indifferenti di Maselli, Il Magnifico Cornuto Di Pietrangeli, Vaghe Stelle dell’Orsa di Visconti, Claudia prese parte a molte pellicole internazionali con i più qualificati attori e registi del tempo: da Rock Hudson a John Wayne, da David Niven a Peter Sellers, da Jean Paul Belmondo a Lelouch a Manuel de Oliveira. E non si è parlato di lei solo come attrice affascinante, ma più in generale, di icona del femminismo e dell’ecologia. Certamente perché in gioventù come in età adulta ha comunque mantenuto un atteggiamento sobrio, senza cedere al divismo cui una bellezza senza limiti la condannava, restando invece fedele al suo status di donna provata da esperienze forti e drammatiche e sempre attenta alle problematiche femministe. Mai banale, costantemente animata dalle migliori intenzioni, non a caso ha istituito una fondazione per aiutare artisti emergenti, Claudia Cardinale lascia un vuoto incolmabile. Ognuno la ricorderà a modo suo, tali e tante sono state le sue indimenticabili apparizioni sullo schermo: nel ballo con Delon o con Lancaster, nel western di Leone, nella foresta amazzonica di Herzog, nell’indimenticabile apparizione a Mastroianni in 8 ½. Bella, brava e vera, così vogliamo ricordarla!

data di pubblicazione:26/09/2025

 

UNA BATTAGLIA DOPO L’ALTRA di Paul Thomas Anderson, 2025

UNA BATTAGLIA DOPO L’ALTRA di Paul Thomas Anderson, 2025

Bob (L. DiCaprio) vive sotto falsa identità con la figlia adolescente Wilma (C. Infiniti) in un posto sperduto. Sedici anni prima militava in un gruppo rivoluzionario con la compagna Perfidia (T. Taylor). Il gruppo è stato però sbaragliato dai soldati del colonnello Lockjaw (S. Penn). Perfidia è scomparsa nel nulla e lui fuggito con la figlia neonata. Lockjaw è però di nuovo sulle loro tracce. Bob pur imbolsito da alcool e droga dovrà tornare in battaglia…

T. Anderson, a poco più di 50 anni e con soli 10 film all’attivo, è un Grande Maestro del Cinema. In assoluto uno dei migliori autori del Nuovo Cinema Americano! Nei suoi quasi 30 anni di successi non ha mai cessato di diversificarsi confrontandosi ogni volta con nuovi temi e generi. Con Una battaglia dopo l’Altra il regista si cimenta con un film che sembra quasi un Blockbuster e affronta con dovizia di mezzi ed “approccio commerciale” territori inesplorati. Diciamolo subito: Una scommessa vinta! PTA sa quello che vuole e lo sa fare. Fonde più generi: il Pamphlet Politico, l’Action Movie, il Road Movie, il Revenge Movie, il Dramma Familiare e la Commedia. Li amalgama poi in uno spettacolo e in un genere completamente nuovo. Stupefacente ed audace. Vero Cinema!

Una riflessione sull’America di oggi, sull’involuzione della democrazia, uno sguardo su una Società spaccata fra utopie generose ed un crescente riflusso repressivo. Un militarismo strisciante, i Suprematisti Bianchi e le problematiche degli immigrati. Intelligentemente PTA si serve di questo amalgama solo come scenario di fondo per intrecciarvi una storia/messaggio tenera ed ironica sull’amore padre-figlia, sulla trasmissione degli ideali, sul suo Antieroe. Un ex rivoluzionario sballato come un Grande Lebowsky redivivo che torna con difficoltà in azione per sottrarre la figlia dalle grinfie del Colonnello e delle sue truppe. Così facendo l’Autore crea un corto circuito temporale: il Passato si integra con il Presente per preparare la via ad un Futuro di nuove battaglie però con uno spirito rivoluzionario più maturo.

Tre ore di spettacolo fluido senza mai un calo di qualità, ritmo e tensione. Quasi un doppio film. Una prima parte che descrive a velocità battente gli antefatti, le azioni rivoluzionarie, la storia d’amore e militanza fra Bob e Perfidia, le ambiguità. Poi come in un lungo flashforward siamo 16 anni dopo in un angolo sperduto nel nulla ed il film corre verso il suo vero obiettivo centrandosi tutto sulla relazione tra padre e figlia e sul necessario ritorno all’azione. La narrazione è sempre lineare, il ritmo ed il montaggio sono incalzanti e la messa in scena perfetta. Splendidi i piani sequenza ed i virtuosismi tecnici delle riprese che danno uno spessore di assoluta autenticità.

Una battaglia dopo l’altra è visualmente sublime. Girato in Vista Vision esalta la fotografia e le riprese. Resterà negli annali la splendida sequenza dell’inseguimento in auto in un saliscendi continuo fra le colline ondulate. Un alternarsi di piani ravvicinati ove la strada appare e scompare in un crescendo di tensione da Hitchcock redivivo. Geniale!  Il cast è solido e perfetto. Eccezionale la caratterizzazione da parte di Penn, bravo B. Del Toro.

Pur sotto le vesti di un prodotto commerciale Una battaglia dopo l’altra non deroga affatto dalle caratteristiche di qualità ed autorialità dei lavori di PTA. Ancora una volta un risultato splendido! Un film di un grande Autore e di buoni attori destinato in assoluto alla gioia degli amanti del Vero Cinema. E… sicuramente a farsi spazio, una battaglia dopo l’altra, nella corsa per gli Oscar.

data di pubblicazione:25/09/2025


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LE CITTÁ DI PIANURA di Francesco Sossai, 2025

LE CITTÁ DI PIANURA di Francesco Sossai, 2025

Doriano (Pierpaolo Capovilla, ex leader della band Teatro degli Orrori) e Carlo detto Carlobianchi (Sergio Romano) hanno più di cinquant’anni e sono immensamente persi nell’infinita ricerca di un ultimo bicchiere, a bordo di una scintillante Jaguar, collocando il film nel solco del genere ‘road movie’, in salsa super veneta e super alcolica.

Sono queste le premesse dell’ultima opera di Francesco Sossai, ambientata in quelle che vengono chiamate “città di pianura”, ovvero quell’enorme distesa, priva di chissà quali caratteristiche importanti, che contraddistingue però, in realtà, la gran parte del Veneto. Ci sono molti riferimenti cinematografici, da Mazzacurati coi suoi spaccati di vita concentrati in quella regione, fino ad arrivare addirittura a Il Sorpasso di Dino Risi, storia di un tizio senza arte né parte che porta con sé in auto uno studente per percorrere l’Aurelia partendo da Roma.

I due protagonisti a Venezia incrociano infatti Giulio, un universitario (Filippo Scotti) intimidito studente d’architettura ossessionato per il Memoriale di Brion che, dapprima assai restio poi incuriosito, si farà coinvolgere dalla strana coppia, in un viaggio senza senso e pieno di divertenti aneddoti, con storie passate e storie attuali che si intrecciano, impreziosite anche dalla presenza ‘mitica’ del ‘Genio’ (Andrea Pennacchi), loro amico di infanzia, che dovrebbe essere ‘raccolto’ all’aeroporto la mattina seguente.

Il ritratto che ne viene fuori è a tratti esilarante, e i dubbi esistenziali e giovanili del ‘povero’ Giulio si intrecciano alla vita che sembra ormai ferma e monotona di Doriano e Carlo, provando a dare una scossa, sia da un lato che dall’altro, alle rispettive esistenze.

Una vera ‘chicca’ che viene citata e trasformata in salsa ‘cine – alcolica’ è la teoria dell’utilità marginale decrescente, nota legge dell’economia, per cui la soddisfazione tratta da ogni quantità di bene consumato diminuisce all’aumento del livello di consumo di quel bene, che qui invece non può essere applicata: “un ultimo bicchiere” è sempre una parola d’ordine a cui non si può dire no, anche quando non si ha sete.

data di pubblicazione:24/09/2025


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FAMILIAR TOUCH di Sarah Friedland, 2025

FAMILIAR TOUCH di Sarah Friedland, 2025

Familiar Touch, opera prima di Sarah Friedland, è un raro “coming of old age”, non semplicemente il racconto del declino con l’avanzare della vecchiaia, ma un esperimento filmico che interroga cosa resti, nel corpo, nello sguardo, nel desiderio, quando la memoria comincia sgretolarsi.

Il film segue Ruth (Kathleen Chalfant), un’ottantenne affetta dai primi segni dell’Alzheimer, che viene trasferita in una casa di assistenza di lusso. E mostra il suo smarrimento, la sua lucidità intermittente, le sue relazioni alterate, non come tragedia già compiuta, ma come trasformazione quotidiana, dando accesso non semplicemente agli eventi, ma allo stato di coscienza che muta. Ruth perde i pezzi del suo passato ma conserva la voce, le abitudini, soprattutto il suo rapporto con il cibo e la cucina, ma anche la sensualità, come nella toccante sequenza in cui cerca di soffocare l’emozione, credendo che il figlio sia un appuntamento galante. Così si afferma la possibilità di “essere” ancora, di sentirsi ancora, benché in un mondo che cambia rapidamente intorno a sé.

La Friedland non idealizza né i rapporti con i badanti né con il figlio Steve, a volte dolci, a volte imbarazzati, sempre pieni di tensioni implicite, invitandoci a ripensare il confine fra assistere e disumanizzare, fra accudire e negare la persona. Il titolo stesso evoca il tatto come ricordo. Mentre la memoria sfuma, restano “familiarità” sensoriali; il cibo, il corpo, gli spazi, i gesti quotidiani. Il suo esordio nel lungometraggio si distingue per un approccio sobrio e sensibile alla narrazione, con l’uso di piani fissi e primi piani che enfatizzano l’esperienza psicologica e fisica della protagonista.

Kathleen Chalfant, dal canto suo, offre una performance straordinaria nel ruolo di Ruth, con un’interpretazione caratterizzata da delicatezza e profondità emotiva, che evitano ogni forma di pietismo, e che le è valsa il premio come miglior interpretazione femminile alla Mostra del Cinema di Venezia 2024.

Familiar Touch non è solo un film sugli anziani, ma è un film fatto con gli anziani. Girato in una vera casa di riposo a Pasadena, i residenti ed i collaboratori sono stati coinvolti nelle riprese, conferendo autenticità al racconto e rendendo la rappresentazione della vita quotidiana in una struttura per anziani più realistica e rispettosa, regalandoci un film che non può non restare nella memoria.

data di pubblicazione:22/09/2025


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THE VOICE OF HIND RAJAB di Kaouther Ben Hania, 2025

THE VOICE OF HIND RAJAB di Kaouther Ben Hania, 2025

Il film ricostruisce l’ultimo disperato appello al telefono di Hind Rajab, bambina palestinese intrappolata nel suo stesso veicolo, circondata dai cadaveri dei familiari ormai uccisi. Parla con la Mezzaluna Rossa, implora soccorso, descrive ciò che vede e teme. Quello che devasta lo spettatore però è che le sue parole sono reali: le registrazioni originali sono utilizzate non simulate.

Si tratta, quindi, di un film che non chiede solo di vedere ma soprattutto di ascoltare, di rimanere sospesi nel dolore della domanda: che cosa significa essere umani quando ogni canale di aiuto cede sotto il peso di un’occupazione ingiusta?

La regista decide di ambientare quasi tutta la narrazione in un centro operativo della Mezzaluna Rossa, dove volontari ricevono la chiamata, cercano di valutare, negoziano protocolli, affrontano ostacoli istituzionali oltre che fisici. Questa decisione formale comporta che la violenza non sia mostrata ma resti fuori campo, pur essendo presente in ogni pausa, in ogni attesa, in ogni silenzio. È l’assenza che pesa, che diventa presenza. Si mostra che non è solo l’atto violento che uccide, ma il sistema che ritarda, che impone regole, che non vuole o non può intervenire. La regia di Ben Hania ci fa stare proprio all’interno di quella frattura, tra chi cerca di salvare e chi lo impedisce, o non può farlo.

E la voce di Hind non è mera testimonianza, non è solo un fatto di cronaca, ma una ferita dell’ascolto che pretende responsabilità. La sua voce reale produce un’empatia indicibile. La sala rimane muta al termine della proiezione a cui assisto. Un silenzio che pesa sulle coscienze di tutti noi, che ci chiama a prendere una posizione politica, oltre che stilistica rispetto alla pellicola.

Premio Leone d’Argento a Venezia ha ottenuto un’ovazione lunghissima che è forse il segno che il cinema può ancora rompere barriere e scuotere le masse. In un mondo in cui le immagini hanno saturato la percezione, questo film, restituendo letteralmente la “voce”, restituisce l’individuo, la persona, la vulnerabilità.

The Voice of Hind Rajab è un’opera che disobbedisce alla consolazione, che impone uno sguardo, o meglio un ascolto, che continua oltre la fine del film. Se il cinema ha ancora un compito, e io credo che ce l’abbia, è quello di tenere aperte le ferite che la cronaca vorrebbe già rimarginate. E questa pellicola lo fa con la forza della delicatezza, con la potenza del silenzio, con l’urgenza di non dimenticare.

data di pubblicazione:21/09/2025


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DUSE di Pietro Marcello, 2025

DUSE di Pietro Marcello, 2025

Duse, presentato in concorso alla 82a edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, rende omaggio all’arte di un’attrice che ha scritto una delle pagine più significative della storia del teatro italiano e internazionale.

Eleonora Duse è già una leggenda quando l’Italia, ancora lacerata dalle trincee della Prima guerra mondiale e attraversata dal corteo che conduce a Roma le spoglie del Milite Ignoto, è pronta a lasciarsi ammaliare dalle consolatorie lusinghe del fascismo.

Pietro Marcello consegna al grande schermo un ritratto di Eleonora Duse affidandolo al potente e vibrante primo piano di Valeria Bruni Tedeschi e stringendo l’inquadratura sull’ultima fase della vita della Divina, che, consumata dalla malattia e dai debiti, torna sulle scene portando con sé le illusioni, le delusioni e contraddizioni di un’epoca. Il teatro è la sua cura e il suo veleno, il palcoscenico è il solo posto dove un’attrice come lei può sentirsi “libera e responsabile”.

Il legame magnetico con Gabriele D’Annunzio (Fausto Russo Alesi), la devozione della fedele Désirée (Fanni Wrochna), il rapporto difficoltoso con la figlia Enrichetta (Noémie Merlant), l’incontro-scontro con l’attrice Sarah Bernhardt (Noémie Lvovsky): tutti questi ingredienti sono armonicamente amalgamati dalla inarrestabile vitalità di Eleonora, una donna disposta a prendere sul serio solo il “suo” teatro. Non è un caso che uno dei momenti più riusciti del film sia offerto dal potente dialogo tra Eleonora e Cecilia (Gaja Masciale), durante il quale la Maestra svela all’allieva l’incantesimo del Teatro e Valeria Bruni Tedeschi diventa sorprendentemente “irriconoscibile”.

La straordinarietà di una donna rivoluzionaria come Eleonora Duse, forse, resta inutilmente costretta, almeno a tratti, dallo stereotipo della (cattiva) madre, ma Pietro Marcello, confezionando un biopic certamente non convenzionale, vince la scommessa di rendere omaggio all’arte di una leggenda.

data di pubblicazione: 20/09/2025


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FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2025

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2025

È stata presentata all’Auditorium Parco della Musica a Roma la ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma che si svolgerà dal 15 al 26 ottobre 2025. La manifestazione, organizzata dalla Fondazione Cinema per Roma con la direzione artistica di asola Malanga, punta quest’anno ad essere una “casa degli autori indipendenti”, ma anche uno spazio di dialogo sul presente, intrecciato con le sfide globali.

Oltre 150 i titoli presenti, provenienti da 38 paesi diversi. Il festival manterrà un’impostazione mista: da una parte il concorso internazionale, dall’altra sezioni non competitive, proiezioni speciali, omaggi ed incontri col pubblico, con prezzi pensati per favorire l’accesso più ampio possibile, anche con una parte significativa di eventi a ingresso gratuito.

La Festa non si concentrerà solo sull’Auditorium Parco della Musica, ma coinvolgerà, come negli anni passati, anche altre realtà culturali della capitale.

Il film di apertura sarà “La vita va così” di Riccardo Milani, con Virginia Raffaele, Diego Abatantuono e Aldo Baglio, mentre a dare la chiusura sarà l’ultima stagione della serie “Vita da Carlo” di Carlo Verdone. Tra gli ospiti internazionali annunciati, invece, troviamo Jennifer Lawrence con “Die my love”, oltre a Luc Besson e Christoph Waltz con “Dracula”.

Per quanto riguarda i titoli in concorso, fra le opere annunciate, abbiamo “40 secondi” di Vincenzo Alfieri, tratto dal libro di Federica Angeli, sulle ultime 24 ore prima dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte, “Gli occhi degli altri” di Andrea De Sica, ispirato al delito Casati Stampa, “Roberto Rossellini, più di una vita”, documentario costruito con materiale d’archivio inedito e “Sciatunostro” di Leandro Picarella, firm di formazione ambientato a Linosa. Frai titoli internazionali in gara invece “L’accident de piano” di Quentin Dupieux, con Adèle Exarchopoulos, “Good boy” di Jan Komasa, “Kota” di Giorgy Pàlfi, “Miss Carbon” di Agustina Macri e altri ancora, inclusi film con opere prime da vari paesi.

Non mancheranno omaggi a Pier Paolo Pasolini, Claudio Caligari, Franco Pinna, protagonista del manifesto della manifestazione, e Carlo Rambaldi, mentre i premi alla carriera andranno a Jafar Panahi ed al produttore britannico Lord David Puttnam.

Alice nella Città, sezione parallela ormai ben consolidata, avrà quest’anno un accredito e una biglietteria separati, ma con sconti che permetteranno al pubblico di partecipare agevolmente ad entrambe le sezioni.

Lo scorso anno la manifestazione ha superato le 110.000 presenze, l’obiettivo quest’anno è migliorare ancora, consolidando il ruolo della Festa non solo come vetrina cinematografica ma anche come lente sul contemporaneo, sul sociale e sulle trasformazioni.

data di pubblicazione: 20/09/2025

FRANCESCO DE GREGORI: NEVERGREEN di Stefano Pistolini, 2025

FRANCESCO DE GREGORI: NEVERGREEN di Stefano Pistolini, 2025

Nel novembre del 2024, Francesco De Gregori si è esibito nel piccolo teatro Out Off di Milano. Davanti a soli 180 fortunati spettatori per sera, ha presentato circa 70 canzoni, quasi tutte poco note al grande pubblico. Molte serate sono state caratterizzate dalla presenza di colleghi cantautori con i quali ha realizzato inediti duetti. L’amico regista Pistolini ha portato sugli schermi questo piccolo grande evento.

 Sono finiti i tempi in cui il nostro si concedeva col conta gocce al pubblico e ai giornalisti. De Gregori, ormai adulto e riconosciuto nome storico della c.d. canzone d’autore italiana, si mette ora in gioco ed ha certamente cambiato approccio, inventandosi nelle “performances” meneghine persino un divertito e divertente padrone di casa. Arriva, persino, sulle note del valzer, Buonanotte Fiorellino, a invitare il pubblico a danzare sul palco, sorprendendo, inevitabilmente, i presenti.

Al di là delle note di colore, quello che abbiamo visto nel docu film di Stefano Pistolini, già autore del ritratto dell’artista in, Finestre Rotte del 2012, è un mix di alcuni momenti espunti dalle serate nel teatrino. Il titolo Nevergreen (in origine, Perfette Sconosciute) sta a indicare che i brani scelti sono quelli che non sono mai stati delle hit, ma, solo piccole chicche, le meno conosciute o le più curiose del vasto repertorio dell’artista romano.

L’esperienza milanese ha riproposto con differenti protagonisti quanto accaduto nel 2019 a Roma in un piccolo teatro del quartiere Garbatella.  Ovvio che il film sia a beneficio dei tanti seguaci del Principe, certamente autore di decine di canzoni memorabili, al pari di un Battisti o un Battiato. La peculiarità della proposta di DeGregori-Pistolini consiste nell’occasione unica di ascoltare brani meno noti, dalle cover di Presley a canti partigiani mai sentiti prima, in un contesto raccolto e quindi suggestivo.

Restano momenti indimenticabili i molti duetti in scala: con Elisa, con Zucchero, con Lorenzo, con Ligabue, grazie anche ai suoni della collaudata band in teatro, De Gregori crea atmosfere dolci e suadenti e naturalmente sempre originali.

La regia non può che essere minimalista e sobria, giusta qualche incursione nei camerini dove il nostro non si sottrae a sigarette e qualche bicchiere di vino. Per ricordarci che siamo a Milano, non manca qualche inserto notturno di tram e pioggia, come avrebbe detto Paolo Conte. Se c’è una nota stonata, tocca dirlo, è nel prezzo del biglietto, portato a 12 euro con il pretesto che si tratta di un evento speciale. Ma è una scelta della Nexo Studios. Per quanti appassionati lo abbiano perso al cinema, anticipiamo che sarà certamente visibile su piattaforme in streaming.

data di pubblicazione: 18/09/2025


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OUR SOULS AT NIGHT di Ritesh Batra, 2017 – Netflix

OUR SOULS AT NIGHT di Ritesh Batra, 2017 – Netflix

La recente scomparsa di Robert Redford, attore tra i più amati per il talento e il fascino senza tempo, invita gli appassionati di cinema, e non solo, a rivedere i suoi film.

Netflix propone questa pellicola, apprezzabile per tanti aspetti, che lo vede interpretare – insieme a Jane Fonda – una vicenda romantica.

Addie e Louis sono due vedovi, due persone mature. Vicini di casa da parecchi anni, non si sono mai conosciuti veramente. Finché il desiderio di sfuggire alla solitudine, di notte soprattutto, spinge Addie ad avvicinarsi a Louis, ponendo le basi per una nuova, inaspettata storia di amicizia, e forse, d’amore.

 Cosa accade quando si incontrano due solitudini? Quando queste si cercano, in punta di piedi, sommessamente, superando il pudore e il timore di essere respinti. O la paura del giudizio, di ciò che potrebbero pensare “gli altri”. È proprio questo che viene mostrato nel film, un film dal ritmo sereno, senza strappi bruschi o colpi di scena, delicato come il suono di una chitarra in sottofondo. Un canto dolce, che non esplode mai in una sequenza di acuti a pieni polmoni. Un fraseggio lieve, di corde pizzicate appena, ma che entra dentro.

E così un uomo e una donna, non più giovani, decidono di unire le loro “anime”, costruendo in breve tempo un “noi” (oursouls) che appare a tratti intercambiabile: una sorta di intreccio con le storie passate, dei due protagonisti innanzitutto (“forse sono ancora innamorato del ricordo di lei”), ma anche col vissuto di chiunque assista alla scena, o ascolti il racconto di questa storia.

Il corpo è sopito, i sensi quasi dormienti oramai, ma lo spirito dei due si svela completamente, senza troppa ritrosia. In lei dapprima, Addie, interpretata da una Jane Fonda lontana dagli eccessi spumeggianti della Corie di “A piedi nudi nel parco”. E tuttavia diretta e limpida, decisa. E poi anche in lui, Louis, un “brav’uomo” malgrado gli errori del passato, che qui ha tutta la struggente malinconia di Robert Redford. E ha la sua bellezza, anche; una bellezza che il tempo non è mai riuscito a scalfire. Perché è tutta lì, nello sguardo, nel sorriso appena accennato, nei gesti pacati e lenti. Sono i gesti di un uomo che sin dalle primissime scene vediamo seduto alla propria tavola da solo. Oppure chino sul lavello a risciacquare le poche stoviglie. O ancora, da solo, seduto sulla poltrona a leggere il giornale. Finché lei non bussa alla sua porta, una sera. E gli chiede semplicemente di poter dormire insieme, condividere il letto, e il sonno, per “attraversare la notte”. Insieme, farsi compagnia. E prima di dormire, sotto le lenzuola, in quell’intimità che non si realizza più attraverso l’erotismo, restare a parlare, a raccontarsi. Ripercorrere gli eventi più dolorosi, i sogni, i rimpianti, o le colpe che ancora pesano sulle spalle. E tutto questo accade, accade davvero. Diventa vita vissuta, normalità, abitudine, legame, quasi “famiglia”. Una famiglia scelta liberamente e consapevolmente, cui la famiglia “vera”, quella del “sangue” (figli e nipoti), si oppone con feroce egoismo, obbligando a scelte dolorose.

Cosa rimane, dunque, di questo sentimento nuovo e insieme antico? Di questo “noi” costruito, o ricostruito, un pezzetto dopo l’altro, come i vagoni di un vecchio trenino giocattolo, sulle macerie di una città distrutta?

Il finale, sereno e commovente insieme, ce lo svela, come lezione di vita e di umiltà.

Ti svegli una mattina e hai tutto e la mattina dopo è sparito tutto. La vita può cambiare così, in un istante.

data di pubblicazione: 18/09/2025


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DOWNTON ABBEY: IL GRAN FINALE di Simon Curtis, 2025

DOWNTON ABBEY: IL GRAN FINALE di Simon Curtis, 2025

Ancora problemi in casa Crowley. Il cognato di Sir Robert, conte di Grantham, si è giocato le proprietà immobiliari della sorella Cora, negli States, travolti dalla crisi del ’29. Inoltre, l’ottima lady Mary ha divorziato dal suo secondo marito, cosa ritenuta assai disdicevole presso la nobiltà inglese del tempo. Questo ed altro in quello che si ritiene l’atto finale(?) di una saga che ha appassionato milioni di spettatori per molti anni in televisione prima e al cinema, poi, costituendo un vero fenomeno su scala globale.

Dopo dodici anni, 52 episodi nel corso di sei stagioni TV, cinque speciali e due film, Dowton Abbey, sembra proprio essere giunto al capolinea con l’ultimo film da qualche giorno nelle sale italiane. È possibile che qualcuno storca il naso ritenendo inutile e superfluo questo ennesimo episodio. Si potrebbe, infatti, pensare che, in fondo, le creature nate dalla penna di Julian Fellowes, avevano già offerto il meglio e il peggio del loro repertorio. Del pari, una critica più benevola, ma non per questo “buonista” ha trovato, Downton Abbey: Gran Finale, un atto dovuto e un dignitoso commiato del microcosmo inglese di Grantham. Certo, la scomparsa della contessa Madre (interpretata dalla straordinaria Maggie Smith) alla fine del secondo film, e l’investitura della nipote, Lady Mary (l’affascinante Michelle Dockery), quale nuova guida di Downton, poteva già rappresentare una degna conclusione. Invece no! Autori, sceneggiatori e produttori si sono inventati un ulteriore capitolo sull’aristocrazia inglese a cavallo delle due guerre mondiali. Lo hanno fatto senza risparmiare mezzi, attori, scenografie e quant’altro (incluse le corse ippiche di Ascot), riuscendo a imbastire una trama credibile, portando o riportando in scena vecchi e nuovi personaggi e nei flash back, persino i protagonisti defunti. Tra le new entry segnaliamo l’ingenuo fratello di Cora (un grande Paul Giamatti ) che giunge nella dimora con l’ambiguo ma fascinoso investitore, Gus Sambrock (Alessandro Nivola), capace di irretire una Lady Mary, seppure con la complicità di abbondanti libagioni. Ma la vera novità, il colpo di scena, è l’arrivo nella dimora del famoso Noel Coward (Arty Froushan), personaggio storico che furoreggiava nei teatri londinesi. Nella sua combriccola invitata a palazzo, per distrarre l’affranta Mary, ci saranno con l’attore ex domestici e maggiordomi di casa Crowley. Nella saga non vengono mai trascurati i devoti membri della servitù, in primis , lo storico maggiordomo Carson (Jim Carter) pronto alla pensione e sempre più conservatore dello stesso conte. Come pure trovano ruoli ben delineati gli altri e le altre componenti degli staff di supporto alla tenuta. Come sempre ci si diverte, ci si potrebbe commuovere, si potrebbe ironizzare sulla troppa devozione dei domestici ai loro sia pur illuminati padroni. Ma tant’è!  Downton Abbey non è un trattato di sociologia né una tesi marxiana sulle condizioni di vita di nobili e sudditi nell’Inghilterra degli anni Trenta del secolo scorso, ma solo un riuscito affresco, una godibile saga familiare che non sfocia mai in banale soft opera, ma mantiene un apprezzabile decoroso livello anche in questo – probabilmente – ultimo atto.

data di pubblicazione: 16/9/2025


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