da Paolo Talone | Nov 24, 2024
(Teatro Basilica – Roma, 11 novembre 2024)
Il volto magro e scavato di Roberto Herlitzka appare in primissimo piano in uno dei tanti scatti di Tommaso Le Pera esposti al TeatroBasilica durante la serata che gli ha reso omaggio. Proprio in questa sala romana, spazio di libera creazione diretto da Daniela Giovanetti e Alessandro Di Murro insieme ai ragazzi del Gruppo della Creta, l’attore ha avuto la sua ultima casa. È qui che ha offerto la lettura della Divina Commedia e l’interpretazione del pirandelliano Enrico IV. Una delle foto lo ritrae con la corona del personaggio in testa. La regia era di Antonio Calenda che, insieme al regista Ruggero Cappuccio e al critico di Repubblica Rodolfo Di Giammarco, è intervenuto per ricordare l’attore scomparso lo scorso 31 luglio a ottantasei anni. A loro si è aggiunta, con un contributo video, la testimonianza di un altro caro amico, il regista Marco Bellocchio. Lavorarono la prima volta insieme nel film Il sogno della farfalla del 1994. Nelle sue parole il ricordo di un grande artista, con il quale bastavano pochi cenni per comprendersi, che sapeva restituire la profondità di un’emozione con un semplice accenno del viso. L’interpretazione di Aldo Moro in Buongiorno, notte del 2003, di cui si è proiettata una scena, lo rese celebre.
L’incontro con Ruggero Cappuccio avvenne grazie a Calenda, che nel 1997 propose all’autore e regista napoletano di scrivere un Edipo a Colono per lui e Piera Degli Esposti. Ma è con ExAmleto che il sodalizio tra i due si intensificò maggiormente. Lo spettacolo, l’unico di cui Herlitzka abbia firmato la regia, è andato in scena per ben diciassette anni e nel 2015 se ne registrò una versione cinematografica. Herlitzka era capace di applicare quella che Cappuccio chiama una psicanalisi al contrario propria del teatro, ossia la capacità di trasmettere allo spettatore quel sogno immaginato dall’autore, che diventa poi il sogno del pubblico stesso. Non si poteva abbandonare il teatro senza che qualcosa non fosse cambiato nell’animo dello spettatore, tanto era incisiva l’impalcatura sentimentale – Cappuccio parla di una cattedrale di sentimenti – che l’attore era capace di realizzare. Merito del tanto tempo dedicato allo studio della parte e alla fiducia data a quei testi sia classici che contemporanei con una riguardevole valenza letteraria. Herlitzka era anche un grande letterato e di certo non era mondano, caratteristica che gli ha conferito una qualche “selvatichezza” grazie alla quale poteva interpretare qualsiasi personaggio.
Antonio Calenda è stato invece il regista con cui ha collaborato per più tempo, complice un’intesa e una visione comune delle cose. Con Calenda è stato protagonista a Siracusa nel Prometeo Incatenato per la contestata traduzione di Benedetto Marzullo ed è per lui che raggiunse la notorietà quando nel 1970 andò in onda la regia televisiva del Coriolano di Shakespeare.
Ironicamente i rapporti con la critica erano ottimi poiché inesistenti, ma con Rodolfo Di Giammarco c’è stata una stima reciproca. Il critico non ha smesso mai di seguirlo fin da quando ha iniziato a firmare articoli per La Repubblica dal 1979. Herlitzka invece lo aveva omaggiato nel piccolo volume/intervista di Emanuele Tirelli (Caracò, 2018): «Ho sempre avuto stima di lui, sia per il suo stile che per l’amore per il teatro, e negli anni ci siamo concessi cordiali conversazioni».
Per Rodolfo Di Giammarco la serata non è stata solo un ricordo per Roberto Herlitzka, ma soprattutto una festa teatrale in cui si è celebrato uno dei più grandi artisti della nostra scena, il cui entusiasmo e la serietà nell’intraprendere il mestiere di attore rimarrà da esempio per molti che vorranno percorrere questa strada. Come ha giustamente detto Antonio Calenda, il gruppo di artisti del TeatroBasilica non può che eleggere Roberto Herlitzka a lume tutelare del loro straordinario teatro.
data di pubblicazione:24/11/2024
da Antonio Iraci | Nov 22, 2024
adattamento di Matilde D’Accardi, regia di Tommaso Capodanno con Francesca Astrei, Maria Chiara Bisceglia, Evelina Rosselli e Giulia Sucapane
(Teatro India – Roma, 22/30 Novembre 2024)
Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l’esercito di Francia. Carlo Magno doveva passare in rivista i paladini. Ecco apparire al cospetto dell’imperatore un nobile cavaliere con la sua candida armatura. Si tratta di Agilulfo Emo Bertrandino dei Guildiverni, devoto servitore pronto a combattere per la causa del sovrano. Più volte sollecitato a mostrare il suo volto, il misterioso condottiero confesserà di non averne uno. Lui è proprio un cavaliere inesistente…
Italo Calvino, di cui si è celebrato il centenario della nascita in maniera alquanto silenziosa, è stato sicuramente uno dei narratori più importanti del Novecento. Il suo genere letterario è variegato e si è sempre rivolto al percorso interiore che l’uomo, per sua natura, dovrebbe perseguire con onestà e fede. Il cavaliere inesistente è un romanzo quasi fantastico che si ispira liberamente alle gesta dei mitici paladini di Francia al servizio di Carlo Magno. La storia, densa di avvenimenti cavallereschi e di intrighi amorosi, è raccontata, in un manoscritto, da una certa Suor Teodora. Trattasi di una religiosa molto colta che aveva ricevuto questo singolare incarico dalla madre superiora del convento. I personaggi si muovono tra campi di grano oramai maturo, ma una fitta nebbia sembra rende tutti i contorni sbiaditi, quasi evanescenti.
Sulla scena prevale l’armatura di Agilulfo, coinvolto in mille imprese. Ma la sua natura in fondo che cos’è? Come può esistere un’esistenza in un cavaliere inesistente? In un mondo in cui l’apparenza è ciò che conta, Calvino si sofferma sull’essenza. Un valore che conta di più in ogni singola scelta. Il ritratto quindi dell’uomo di oggi che tra mille ostacoli deve in qualche modo inventarsi un futuro, credibile essenzialmente a sé. Due ore di spettacolo con attrici che si inseguono in dialoghi picareschi per narrare le gesta di un eroe destinato a dissolversi nel vuoto esistenziale. Una recitazione perfetta come perfetta è tutta la gestualità che accompagna l’intera azione. Un omaggio dovuto a un grande scrittore che con il suo impegno morale ha posto l’uomo al centro della storia e della società di oggi.
data di pubblicazione:22/11/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Nov 22, 2024
con Vittoria Belvedere, Benedicta Boccoli, Debora Caprioglio, Ermegildo Marciante, Beatrice Coppolino e Claudio Cammisa. Regia di Enrico Maria Lamanna, traduzione e adattamento di Marioletta Bideri e Enrico Maria Lamanna
(Teatro Manzoni, Roma, 7/24 novembre 2024)
Giallo vaudeville dai dialoghi scoppiettanti. Non fa in tempo ad arrivarti una battuta che è già in cantiere la successiva. Allo scarso interesse per l’identità dell’assassino corrisponde la vivacità dei personaggi in una versione completamente al femminile. Si intuisce un ritmo americano, di altro continente. E le caratterizzazioni sono riuscite. Ampia tenitura (18 giorni) e successo corrispondente.
Non sono solo starlette televisive o cinematografiche le tre attrici che intessono la fitta di due tempi che sono evidentemente più comici che drammatici. E mostrano una perfetta empatia tra di loro, senza strapparsi le battute contando sul supporto di bravi caratteristi. Dunque il percorso è più importante dell’approdo finale (la rivelazione dell’assassino). Che non riveleremo. Ma ovviamente la sorpresa è in serbo con un teatro leggero ma intelligente. Provocazioni sul politicamente corretto. Non a caso la citazione più gettonata è quella delle tette. Le attrici fanno in gara a sottolineare una sorta di competizione tra le proprie misure con un vivo senso dell’ironia, ovviamente concessa a soggetti femminili. Storia di amicizia, di rivalità dissimulate, di intrighi, di amori, di dissidi familiari e di sesso opacizzato e virtuale. Il Manzoni mostra segni di grande rinnovamento di repertorio mentre le attrici scherzano con disinvoltura sulla propria età. Ma questa è la classica evoluzione sui palcoscenici teatrali. Teatro leggero per tutto loro nella maturità di carriera, magari sulla scia quarantennale di una Paolo Quattrini. C’è chi copre più ruoli con abilità anche se non ha il dono dell’ubiquità. Il serial killer è troppo spassoso per essere vero. E sarà poi un uomo o una donna?
data di pubblicazione:22/11/2024
Il nostro voto:
da Daniela Palumbo | Nov 21, 2024
aiuto regia Simona Ferruggia, con Giuseppe Sangiorgi, Beatrice Piscopo, Rosanna Vassallo, Lavinia Coniglio, Roberto Vetrano, Tommaso Gioietta, Giorgio Lopes, Anna Maria Ferruggia e la straordinaria partecipazione dell’attrice inglese Sarah Finch
(Teatro Don Bosco Ranchibile – Palermo, 19/21 novembre 2024)
Nel mezzo della platea, immersa nella penombra, si muove verso il palco una creatura senza età, dall’accento straniero. È lei, Titania, regina delle fate, interpretata da una altrettanto magica Sarah Finch, attrice della Royal Shakespeare Company. Che luogo è questo? dove sono? – si chiede lei, parafrasando, e anticipando, il quesito esistenziale per eccellenza. Non sono i boschi di quella “notte di mezza estate” e soprattutto, non è Stratford-upon-Avon.
In questa sera ancora tiepida d’autunno, nel cuore di Palermo, approda e rivive un corteo di spiriti mai sopiti. Dodici monologhi per far risorgere gli eterni “eroi” delle tragedie shakespeariane.
Da Iago a Shylock, da Giulietta a Desdemona e a Cleopatra. Passando attraverso Amleto e il suo inconfondibile dubbio sull’essere, partecipato e condiviso col pubblico presente. Guardando negli occhi – da vicino – ora l’uno ora l’altro uditore in sala.
Odio e vendetta, amore e paura sembrano snodarsi senza soluzione di continuità, mediante un filo ininterrotto di versi e di movenze, gesti e parole senza tempo. È un gioco di luci e ombre – metaforiche e reali – scomposte e ricomposte con maestria per mano del regista Ugo Bentivegna.
La materia comune – l’umanità nella sua essenza profonda e in ogni sua sfumatura – è rappresentata simbolicamente da un telo di stoffa di colore chiaro, quasi lucente. Che, non a caso, dall’inizio alla fine della mise en scène, è maneggiato, sostenuto, trasformato e ripreso da ciascuno degli attori. Un tessuto tangibile per una trama invisibile quale è quella dei sentimenti e della stessa natura umana. Fatta com’è – e come ci viene ricordato, alla fine – “della stessa sostanza dei sogni”.
data di pubblicazione:21/11/2024
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Nov 20, 2024
Il Prof. Stern, affermato psicoanalista, convoca nel suo studio romano sei dei suoi pazienti, lo stesso giorno alla stessa ora. Trattasi di un banale equivoco o di una semplice burla nei loro confronti? Ognuno è affetto da un disturbo compulsivo che si manifesta in modi diversi. Ma come conciliare le loro palesi idiosincrasie in una sala d’attesa diventata claustrofobica? Parlando inevitabilmente di sé, la stramba compagnia mette in atto una sorta di terapia di gruppo con effetti a dir poco singolari…
Paolo Costella dirige per il grande schermo un’opera cinematografica senza pretese tratta da un soggetto decisamente non originale. La storia infatti nasce come pièce teatrale di Laurent Baffie dalla quale, a sua volta, lo spagnolo Vicente Villanueva aveva già realizzato il film Toc Toc. Il regista genovese ne ricava ora una commedia tutta all’italiana con un cast leggero e ben assortito. I personaggi impegnati in questo singolare incontro/scontro sono Claudio Bisio, Claudio Santamaria, Margherita Buy, Valentina Lodovini, Leo Gassmann, Ludovica Francesconi e inoltre Lucia Mascino, quest’ultima come segretaria dell’atteso professore. Dopo l’iniziale disappunto, ognuno manifesterà i propri disturbi di natura ossessiva che diventeranno motivo di attenzione e di condivisione da parte degli altri. Una vera e propria terapia di gruppo spontanea dove verranno affrontati i propri traumi e le proprie paure. Alla fine si arriverà alla conclusione che tutto si può affrontare e risolvere, basta parlarne. Un tema che il regista affronta con sottile ironia, in un’epoca nella quale lo stesso concetto di psicoanalisi è messo in crisi dall’opinione generale. Se si va in analisi si è spesso considerati se non proprio pazzi, almeno schizoidi da tenere alla larga. La commedia va avanti tra battute non proprio al massimo dell’originalità, spesso sopra le righe per alleggerire volutamente una situazione paradossale. Partendo da un’idea che poteva essere frizzante si è arrivati a un finale confuso e neanche scontato. Nonostante la buona volontà dell’intero cast, il soggetto stesso perde via via di tono per approdare a un risultato poco convincente. Una commedia agrodolce che ci suggerisce solo una benché minima considerazione dei traumi altrui, nella vaga speranza che siano prima gli altri ad accorgersi dei nostri.
data di pubblicazione:20/11/2024
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da Antonio Iraci | Nov 20, 2024
1792, in piena rivoluzione francese Maria Antonietta, ultima regina di Francia, insieme al consorte Luigi XVI e ai due figli, viene arrestata e tenuta segregata nella Torre del Tempio, alla periferia di Parigi. La monarchia è stata definitivamente abolita e la famiglia reale deve subire costantemente i soprusi inflitti dai carcerieri. La sovrana si comporta in maniera esemplare e affronta con dignità il destino che le ha riservato il tribunale rivoluzionario…
Gianluca Jodice è un regista napoletano, classe 1973, già segnalato dalla critica per alcuni lungometraggi che hanno ottenuto importanti riconoscimenti. In Le Déluge, coproduzione italo-francese, ripropone il periodo estremo della vita di Maria Antonietta, ultima esponente dell’ancien régime, quando, rinchiusa insieme alla famiglia, in stato di assoluta segregazione, mantiene intatta la sua dignità di sovrana. Il film si divide in tre capitoli con l’intento di voler rimarcare le tre distinte fasi della sua vita passata dai lussi sfarzosi di Versailles all’isolamento totale nei locali putridi dove è confinata. Tutto in attesa della fase finale quando la sentenza la giudicherà colpevole di alto tradimento nei confronti della causa rivoluzionaria. Nello specifico il regista non mette volutamente in scena il prima e il dopo, il fasto della corte e l’esecuzione per ghigliottina, ma si concentra su quei giorni di attesa proprio per mettere in luce i caratteri dei singoli protagonisti. Luigi XVI (Guillaume Canet) ha un’indole debole e forse troppo remissiva, anaffettivo per natura cerca invece di presentarsi all’altezza della situazione di fronte al destino a cui dovrà andare incontro. Maria Antonietta (Mélanie Laurent) risulta invece essere il personaggio chiave dell’intera storia. La sua fredda determinazione nasconde invece un cuore tenero e affettuoso verso il consorte e i due figli, consapevole che anche loro sono segnati da un tragico epilogo. La rivoluzione e la definitiva caduta della monarchia infatti cambierà radicalmente il carattere di Maria Antonietta che da altezzoso si convertirà in protettivo verso i figli e indulgente verso il marito. Il film è essenziale nelle scene, la fotografia mette in risalto la sporcizia e il degrado delle stanze in cui vengono segregati gli ex sovrani, ma dove ancora paradossalmente si ripropongono le dinamiche regali. Un’opera tutto sommato ben riuscita, da un lato pertinente ai fatti storici ben noti, dall’altro rivelatrice di un’umanità sorprendente e sicuramente coinvolgente.
data di pubblicazione:20/11/2024
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da Giovanni M. Ripoli | Nov 20, 2024
(Museo Nazionale del Cinema di Torino)
Ci sono innumerevoli motivi per un salto a Torino, assurta nei giorni scorsi a capitale del tennis mondiale. Ovviamente la bellezza della città, culla del Liberty, il Museo Egizio, le sue raffinate pasticcerie e certamente la Mole Antonelliana, da anni Museo del Cinema, autentico must per appassionati della c.d. settima arte, grandi e piccini.
Attualmente sono in corso nella struttura due interessanti mostre. La prima si può ammirare percorrendo le suggestive rampe verso la volta, Movie Icons con 117 oggetti originali di scena fra costumi, memorabilia, locandine, provenienti da alcuni dei set di Hollywood. Come spiega l’esaustivo catalogo ad hoc, “oltre ai personaggi e alle azioni, un film è anche fatto di oggetti”. E su questi si concentra il percorso da cinefili, ricco di quei riferimenti che connotano le più note produzioni cinematografiche. Cito a caso,il cappello e la frusta di Indiana Jones, la bacchetta magica di Harry Potter, le divise di Star Wars, i costumi dei super eroi Marvel, la piuma di Forrest Gump, direte, feticci, ma alla fine non sono quei dettagli che valorizzano i film e restano nella memoria collettiva? Movie Icons, è dunque un viaggio che attraversa il cinema hollywoodiano degli ultimi quarant’anni. Un’occasione per uno straordinario refreshment dei principali cult movie e dei relativi backstage (e con questo ho fatto il pieno di terminologie anglosassoni!).
Di segno diverso, Serialmania. Immaginari narrativi da Twin Peaks a Squid Game, allestita al piano di accoglienza della Mole, che costituisce il primo progetto espositivo dedicato alle serie televisive, piaccia o no, destinate a successo planetario ai danni, ahimè del buon vecchio cinema in sala. Certamente da non sottovalutare, le serie tv hanno modificato le arti visive, e nelle sue versioni più raffinate, hanno creato forti modelli di riferimento per le nuove generazioni di spettatori. Una volta esistevano, i corti di Hitchcock, Bonanza, Perry Mason, Il Tenente Colombo (Columbo in originale), Ai Confini della Realtà, illustri precursori del genere. Oggi i cd nuovi immaginari narrativi, si presentano, spesso in versione seriale, con prodotti, attenti non solo all’estetica, ma spesso all’approfondimento psicologico dei personaggi. Registi famosi si sono già cimentati in questa nuova “disciplina” con risultati interessanti.
La rassegna in questione si sofferma in particolare su dodici titoli. Da, I Segreti di Twin Peaks (primo piccolo capolavoro del genere di David Lynch) a Breaking Bad ( la serie must per eccellenza) passando per, E.R,Medici in Prima Linea, al nostro, Romanzo Criminale, all’infinito, Il Trono di Spade, all’angosciante distopico, Squid Game, etc. Tra inquadrature e sequenze non mancano le fotografie di Gregory Crewdson, dipinti di Mario Schifano, ed altri riferimenti all’arte tout court. La rassegna non è esaustiva, ma rappresenta comunque un primo significativo tentativo.
In ogni caso se, per caso, le mostre estemporanee non fossero di piena soddisfazione, il Museo ha molte altre sezioni, la cui visione di sicuro giustifica il prezzo del biglietto.
data di pubblicazione:20/11/2024
da Antonio Iraci | Nov 20, 2024
drammaturgia di Daniele Trombetti e Daniele Locci con: Daniele Trombetti, Daniele Locci, Francesca Anna Bellucci, Beatrice de Luigi e Federico Capponi
(Teatro Lo Spazio – Roma, 19/24 Novembre 2024)
Il giovane Antonello muore di cancro. Silvano ed Enrico, suoi amici del cuore dai tempi del liceo, si fanno carico di eseguire le ultime volontà: spargere le sue ceneri in un posto in cui si possa vedere l’aurora boreale. I due insieme a Linda, ex di Silvano e adesso la ragazza di Enrico, intraprendono in auto questo lungo viaggio da Roma a Stettino. Un percorso insidioso e turbolento ma anche pieno di bei ricordi, quando l’esuberante Antonello era ancora in vita e rendeva i loro incontri allegri e trasgressivi…
Una compagnia teatrale, sgangherata e divertente che riporta sulla scena uno spettacolo più che collaudato. I protagonisti, tutti giovanissimi, ci parlano di sé e dei propri problemi esistenziali e affettivi. Un mix di risentimento e rimbrotto reciproco, sovrastato da musiche a tutto volume che spesso si sovrappongono alle voci. Ma va bene così. Quello che conta è rendere l’atmosfera giusta e portare lo spettatore a ridere delle situazioni estreme che si sovrappongono senza soluzione di continuità. Creare una grande confusione, una valanga di parole sconnesse per far emergere l’intimo di ognuno di loro. Ci sono problemi sentimentali ancora da risolvere e certamente Silvano non può facilmente digerire gli otto anni di fidanzamento con Linda, andati in fumo proprio quando già si parlava di matrimonio. Tradito per giunta con il suo miglior amico che è costretto a sopportare durante il lungo e faticoso viaggio in auto verso la destinazione finale. Ora che è radicalmente dipendente da farmaci come potrà affrontare questa ulteriore prova di forza contro se stesso e trovare il giusto equilibrio? L’incontro casuale con Manuela, anche lei in fuga da una società che rifiuta la parità di genere, metterà Silvano definitivamente in crisi senza lasciargli alcun margine di manovra. Uno spettacolo ora riproposto al Teatro Lo Spazio-Roma che diverte in maniera seria perché fa riflettere sul concetto di amicizia, un qualcosa che al di là delle possibili interferenze è destinato a rimanere per sempre. Un messaggio che gli attori sanno ben trasmettere al pubblico e che il pubblico è disposto a recepire in toto. Atmosfera piacevole e leggera, creata apposta per intrattenere su un tema fondamentale, spesso trascurato per una dilagante forma di eccessiva superficialità.
data di pubblicazione:20/11/2024
Il nostro voto:
da Antonio Jacolina | Nov 20, 2024
In un futuro distopico prossimo venturo dominato dall’Intelligenza Artificiale gli esseri umani devono alleggerirsi di tutti i condizionamenti legati alle emozioni, ai sentimenti e alla paura. Gabrielle (Léa Seydoux) si sottopone ad un trattamento che la porterà a rivivere una relazione complessa con Louis (George MacKay) un giovanotto da lei conosciuto in tre diverse reincarnazioni nel 1910, nel 2014 e nel 2044 …
Bonello molto apprezzato in Francia è un talentuoso regista che è espressione della cosiddetta cinematografia postmoderna. Il suo è un cinema spiazzante, cerebrale, attento all’eleganza formale ed alla perfezione delle immagini. Un cinema autoriale che i Cinefili duri e puri possono anche amare ma che il pubblico non francese non sempre riesce a gradire fino in fondo. Il minimo che si può subito dire di The Beast, suo undicesimo lungometraggio, presentato a Venezia 2023 è che il cineasta non si è di certo scelto un soggetto facile. Una vicenda articolata su tre piani temporali – passato, presente e futuro prossimo– fra loro estremamente intrecciati che rischia di porre in difficoltà lo spettatore medio ormai abituato a storie più lineari. Si tratta di un film distopico ed al tempo stesso di una favola romantica che attraversa il Tempo. Un’opera che seduce per la sua messa in scena precisa ed elegante e per l’audace fusione di più generi: thriller, film d’epoca, horror, science fiction e mélo. Un lavoro ricco di rimandi e citazioni da Resnais agli universi cinematografici di Lynch e Cronenberg. Il regista ci invita a riflettere su un tema attualissimo: l’amore ai tempi dell’Intelligenza Artificiale e su tutto ciò che ci rende ancora esseri umani: i turbamenti, i ricordi e la paura. La paura è infatti la Bestia che simbolicamente minaccia la nostra Società. Il timore di una catastrofe imminente che Bonello abilmente mantiene astratta ed incorporea. Chiave di volta del film oltre alla regia sono anche la buona sceneggiatura ed il montaggio. Apprezzabili i due protagonisti, in particolar modo la Seydoux che sostiene il film quasi da sola ed è brava nell’incarnare con sentimento tutta la difficoltà del vivere. Le fa da contrappunto il vibrante MacKay.
The Beast è senz’altro un lavoro ambizioso che non manca di una certa originalità. Eppure nonostante i vari pregi non mantiene le sue promesse e si perde lungo il cammino. Si frammenta, si squilibra, gira in tondo su se stesso, perde ritmo, diviene troppo complesso, sovraccarico di immagini ed eccessivamente lungo. Paradossalmente è un film che pone al suo centro il rifiuto inconscio di perdere le emozioni ma che, a sua volta, è tutto meno che emozionante e coinvolgente. Potrà di sicuro esercitare una certa fascinazione formale ma purtroppo resta troppo intellettuale, estetizzante e distaccato. Questa è tutta la grande qualità ma, al contempo, anche il principale limite di questo film molto particolare.
data di pubblicazione:20/11/2024
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da Daniele Poto | Nov 18, 2024
L’opera prima nella fiction di Millet ha le porte spalancate per il successo. Primo Premio nel Concorso Amore e Psiche del concluso e riuscito MedFilm Festival 2024, sta entrando nel circuito italiano della grande distribuzione dopo essere stato presentato a Cannes nel luglio scorso. Inoltre si sprecano i rumor per una possibile nomination nella selezione europea degli Oscar.
Storie di spie ma soprattutto di un’ossessione. Quella montante in progressione geometrica di Hamid, un profugo siriano, girovago tra Francia e Germania, inserito in un network spionistico che cerca di rintracciare nel vecchio continente i torturatori dell’odiato regime di Assad. La sua missione riguarda l’identità di uno di questi. La motivazione è forte come la rabbia che lo ispira. Ma la missione gli prende la mano e ne travalica intenzione e incarico. Così il pedinamento diventa paranoico e lo spinge ai confini di una possibile frequentazione con il potenziale carnefice rintracciato grazie a una foto non troppo chiara. L’ispirazione di un thriller, assecondata da una colonna sonora ritmica e pregnante, è il forte biglietto da visita del film. Incertezza e tensione montano improvvisamente anche se alla fine l’unico sangue che scorrerà sarà proprio quello del protagonista, trafitto dall’incauta coltellata di una collega troppo zelante nel desiderio di vendetta. Il film avvince per il fascino del mood ed è contrassegnata dalla scarsità dei dialoghi. Pochi ma significativi. Le azioni e i sottotesti coprono i buchi di una narrazione coerente e ispirata fino all’epilogo finale che, per ovvie ragioni, non riveleremo. Il network spionistico è chiamato a mettere ai voti la risoluzione sul torturatore: esecuzione o processo? E’ il dubbio che ha agitato anche i sonni del protagonista che nella vita privata è un professore di letteratura ormai senza famiglia e completamente sradicato dalla Siria.
data di pubblicazione:18/11/2024
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