da Antonio Jacolina | Mar 12, 2025
Pierre e Cléa (G. Canet e C. Gainsbourg) conducono una vita normale in una tranquilla cittadina. La loro esistenza è stravolta quando viene trovata strangolata nella sua stanza la loro giovane ospite Belle. I sospetti cadono su Pierre, unico presente in casa…
Lo sceneggiatore e regista Jacquot adatta liberamente La morte di Belle di Simenon trasportandone i fatti dagli anni Cinquanta ai giorni nostri e dalla provincia americana a quella francese. I lavori dello scrittore belga per la loro modernità e capacità di scandagliare gli ambienti sociali e l’accecamento degli animi umani sono stati sempre apprezzati dalla Settima Arte.
Con Il caso Belle Steiner Jacquot ci regala un buon film di genere, certamente anche commerciale ma convincente e di apprezzabile fattura. Siamo in una piccola comunità della Francia profonda con i suoi non detti, segreti, invidie e rancori. Un’atmosfera degna di un ritratto dei peccati occulti di provincia tipico del migliore Chabrol. Un film efficace che gioca non tanto sul mistero o sull’intrigo quanto piuttosto sulle atmosfere, sui luoghi e sugli sconvolgimenti del piccolo mondo cittadino. Una vita ristretta, una realtà borghese, la casa, la famiglia, motivi tutti per cui si può mentire o consumare delitti. In particolare il regista ci restituisce un ritratto umano denso di sfumature, capace di tenere alta la tensione facendo anche riflettere su interrogativi profondi. Il confine fra Bene e Male, Verità e Menzogna, sospetto e presunzione di innocenza, ostilità della stampa e della gente. Ci fa anche ragionare su come un evento straordinario possa stravolgere l’esistenza di persone normali e innocenti. Più che un thriller siamo in un noir avvincente, ambiguo e inquietante. Pur senza grandi innovazioni il regista conferma di avere una buona mano. La messa in scena elegante, la direzione fluida e un giusto ritmo narrativo fanno sembrare tutto naturale. La scrittura è efficace e i dialoghi sono veri e ben calibrati. Come nella migliore tradizione del cinema francese siamo in un film di attori. I primi piani prolungati sottolineano infatti la recitazione fatta di sguardi e di emozioni contenute. Un cast di secondi ruoli impeccabili fa da contorno ai due ottimi protagonisti. Canet in particolare restituisce con efficacia tutta l’ambiguità disturbante del suo personaggio compreso tra freddezza esteriore e tormento interno.
Il caso Belle Steiner è dunque un film apprezzabile, intelligente e coinvolgente. Senza pretendere di essere un capolavoro sa parlarci anche di temi drammatici con gusto e stile.
data di pubblicazione:13/03/2025
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da Salvatore Cusimano | Mar 12, 2025
La storia è quella di Mei (Yaxi Liu), una ragazza cinese che arriva a Roma per cercare la sorella scomparsa. Qui si imbatte in Marcello (Enrico Borello), che porta avanti il ristorante della sua famiglia all’Esquilino, in compagnia della madre (Sabrina Ferilli) e sotto l’egida di un criminale locale amico di famiglia (Marco Giallini)
Dopo i super-eroi, Mainetti si cimenta in un’opera piena d’arti marziali provenienti dall’Oriente, ambientata dove se non nei pressi di Piazza Vittorio a Roma, il quartiere più multiculturale della città, la Chinatown romana di Gabriele Mainetti, nel segno della ‘fusione’ di etnie, culture e modi di vivere profondamente diversi.
La domanda si pone spontanea: il giovane regista ha per caso ridotto la forza delle sue ambizioni? È diventato qualcosa di più ‘ordinario’? La risposta è: neanche per sogno! Kung Fu in salsa romana, ladies and gentleman, con quel tocco di ironia e comicità surreale, ben adattata alla sceneggiatura e al contesto romano, in ciò supportata dal bravo e giovane Borello e da uno strepitoso (come sempre) Giallini. ‘Sabrina nazionale’, anche lei, in grande spolvero. Si tende sempre (ahimé!) a fare i confronti con le opere precedenti, e possiamo anche dire che non siamo ai livelli del primo originalissimo e riuscitissimo Lo chiamavano Jeeg Robot.
L’adrenalina risulta sempre e comunque la stessa, con spunti tarantiniani alla ‘Kill Bill’ e anche un po’ felliniani (il nome del protagonista, Marcello, il giro in vespa, ecc), ma sappiamo bene che Mainetti non ha paura di citare, mettendoci però sempre del proprio, con tanto di arti marziali, di quelle che per andare bene hanno bisogno di coreografie centrate, di sangue versato a bizzeffe, di denti che finiscono ad adornare il pavimento e di combattimenti selvaggi. La protagonista risulta molto credibile e si muove in questo contesto molto bene.
In sintesi: guardatelo, La città proibita lo merita, in modo che poi non si potrà più dire che di italiano, al cinema, ci sono sempre gli stessi film.
data di pubblicazione:12/03/2023
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da Antonio Jacolina | Mar 10, 2025
Un futuro prossimo venturo in cui gli umani dipendono sempre più dai robot. Max (B. Gardin), refrattaria alla tecnologia, tira avanti con la figlia grazie a piccoli espedienti. Vuole rapire un robot di ultima generazione e venderne i pezzi. Tutto però le sfugge di mano. Inizia così un’avventura rocambolesca…
Il giovane regista Callegari presenta una commedia audace, una favola moderna che immagina un futuro in cui l’Umanità è in continua interazione con i robot. Una storia in cui si fondono la critica sociale e la ricerca di una propria dimensione personale. Occasione per una riflessione leggera e coinvolgente sul rapporto del singolo con la modernità e gli esseri umani che lo circondano. Al centro una ex professoressa, madre single, in lotta contro la tecnologia ormai dominante, costretta a cooperare con un robot per il bene della figlia. La dinamica fra l’attrice e il robot, tra il serio e il satirico, dà luogo a una serie di contrappunti, scenette e gag che costituiscono lo spunto comico centrale del film. Quasi un Buddy Movie futuristico in cui l’automa diviene specchio dei dilemmi umani davanti all’avanzare inarrestabile dell’Intelligenza Artificiale e alle tecnologie strabordanti. Una storia eccentrica e bizzarra che gioca con i codici del reale e dell’assurdo.
In sintesi, Un Monde Merveilleux è una discreta commedia distopica, accessibile e stimolante con un’idea originale e un casting promettente. Con il suo mix di satira sociale e humour potrà piacere a un pubblico sensibile alle tematiche futuristiche e alle vicende umane. Non un grande film ma un piccolo racconto simpatico e stimolante, sospeso fra ironia e riflessioni sull’avvenire con al centro delle preoccupazioni l’Umanità.
data di pubblicazione:10/03/2025
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da Anna Paulinyi | Mar 10, 2025
Per apprezzare appieno l’impatto socio-culturale di Bridget Jones – Un amore di ragazzo, l’ultimo e definitivo capitolo della saga, è vantaggioso avere un’esperienza simile a quella di una donna di circa 50 anni. In effetti, negli ultimi 20 anni, poche figure femminili del cinema, come Bridget Jones, sono riuscite a rappresentare così bene gli alti e bassi della vita quotidiana e le aspirazioni delle donne di questa fascia d’età, specialmente quelle che vivono nelle grandi città. Bridget, una londinese doc, incarna la loro continua ricerca dell’amore con la “A” maiuscola e il desiderio di trovare il proprio posto nella società moderna e nel mondo lavorativo.
Se nel primo film del 2001 (Il diario di Bridget Jones diretto da Sharon Maguire) si ricalcava ancora la storia d’amore per eccellenza del mondo occidentale moderno, giunta fino ai giorni nostri, ovvero Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, nel 2004 con Che pasticcio, Bridget Jones viene affrontata la tematica: “Aiuto, ma come funziona una relazione seria tra adulti?” Infine, nel terzo film del 2016 Bridget Jones’ Baby, viene esplorata la tematica della gravidanza inaspettata di una donna single non più giovanissima.
Ora, il quarto film si addentra in un altro argomento tabuizzato: la relazione tra una donna di 50 anni e un uomo molto più giovane. Il tutto, naturalmente, con la consueta iperbolica ironia, perché ciò che Bridget Jones vuole, in fondo, è solo una cosa: essere sé stessa, senza paura e senza “ma”. E essere amata e rispettata per questo.
Accanto a Bridget ci sono sempre stati Mark Darcy (Colin Firth), il suo grande amore, e Daniel Cleaver (Hugh Grant), il suo rivale in amore. Tuttavia, in questo ultimo capitolo, Mark è solo un ricordo, Bridget è vedova, mentre Daniel riveste il ruolo di amico e zio dei suoi adorabili figli.
Si presenta quindi una nuova fase della vita di Bridget, che si confronta con la realtà di essere una madre single, ancora un po’ depressa per la perdita di Mark, e che porta i figli a scuola in modo trasandato dove uno dei compagni di scuola chiede al figlio: “Ma tua nonna cosa ci fa in pigiama fuori dalla scuola?” In questo senso, sembra giusto ringraziare Bridget a nome di tutte le donne che hanno avuto figli intorno ai 40 anni, per aver condiviso dei momenti bizzarri che questo può comportare. E grazie, Bridget, per aver mostrato che è possibile ricostruirsi una vita da donna al di là del ruolo di madre.
Attraverso il monologo interiore di Bridget, viviamo da sempre la sua paura di rimanere sola, la gioia di trovare l’amore (o almeno un’intensa avventura), la tristezza per ciò che sembra perduto, e la rabbia per i tradimenti subiti. Il suo soliloquio riflette le esperienze di molte donne, dalla vergogna per non conformarsi agli standard sociali, alla determinazione di reinventarsi e alla celebrazione delle piccole vittorie, che possono includere anche una sana sbronza.
E anche se in nessuno dei film la figura di Bridget Jones riesce a liberarsi completamente dalle aspettative sociali, almeno fa vedere che è consentito e ammirevole provarci. Questo è già molto. Ed è per questo che ci mancherà.
data di pubblicazione:10/03/2025
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da Antonio Jacolina | Mar 8, 2025
Un carismatico insegnante di Francese e Teatro (J. Garcia) aiuta un liceale timido e balbuziente (J. Arseguel) a integrarsi e a superare le sue paure interpretando il Cyrano davanti a tutta la scuola…
Si sa, i film sul mondo della Scuola sono un genere assai delicato da gestire e da portare sullo schermo senza scadere nei cliché e nella banalità. Proprio con un lungometraggio su questo tema si è aperto il XV Francofilm Festival. Va subito detto, presentato fuori concorso e in anteprima nazionale Le Panache della sceneggiatrice e regista Devoldère riesce ad affrontare l’argomento con un risultato apprezzabile. Il merito va al suo talento, a un buono script, alla collaborazione di un gruppo di giovani promettenti e al grande carisma interpretativo di Garcia. Le Panache è un’equilibrata fusione dei due modelli fondamentali: L’attimo fuggente di P. Weir e Billy Elliot di S. Daldry. Sorprende piacevolmente grazie a una messa in scena intelligente, ben ritmata e fluida. La mano della regista sfiora senza insistere e con finezza temi non banali quali handicap, divorzio dei genitori, problematiche di genere, bullismo, tolleranza, solidarietà e impegno. Lo fa con tono leggero e agrodolce, reale empatia e sguardo acuto sull’insieme delle dinamiche relazionali e sociali dei giovani. Al centro di questa gradevole commedia iniziatica il ritratto luminoso di un adolescente problematico e balbuziente che riesce a emergere e a trovare nel teatro l’autostima, grazie all’impegno e alla passione coinvolgente del suo insegnante. Una storia ben pensata e ben realizzata che certamente non innova né rivoluziona il Genere e nemmeno intende farlo. L’argomento è stato visto e rivisto al cinema e l’Autrice corre infatti il rischio di toccare più di un cliché ma riesce intelligentemente a non farsi mai catturare dalla banalità. Come detto la sostiene la buona sceneggiatura e l’ottima qualità di dialoghi arguti e autentici, mai retorici. L’interpretazione sincera dei giovani attori e la performance di Garcia e Arseguel ne fanno uno spettacolo interessante e coinvolgente. Una storia piena di vita e di buone intenzioni, diretta e recitata con passione. Le Panache è quindi una commedia sociale toccante e sensibile. Un cinema ottimista e gioioso, commovente e realistico. Un cinema di buoni sentimenti.
data di pubblicazione:08/03/2025
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da Paolo Talone | Mar 8, 2025
con Geppy Gleijeses e Lorenzo Gleijeses
(Teatro India – Roma, 5/9 marzo 2025)
Tra i lavori più rappresentati di Annibale Ruccello – prematuramente scomparso a soli trent’anni nel 1986 – Le cinque rose di Jennifer è ora al teatro India per la divertente e insieme commovente interpretazione di Geppy Gleijeses (Produzione Dear Friends). Del drammaturgo napoletano il Teatro di Roma ha proposto a gennaio Anna Cappelli (con la regia di Claudio Tolcachir e l’interpretazione di Valentina Picello) e ad aprile è in programma il suo capolavoro, Ferdinando, per la regia di Arturo Cirillo.
Jennifer abita in un monolocale nel quartiere dove per una non specificata ragione sono stati confinati a margine tutti i travestiti. Più una condizione sociale che un luogo fisico situato chissà dove alla periferia di Napoli. Lo stile di vita a cui si ispira il suo comportamento è copiato dai giornali e dalla radio, che trasmette di continuo canzoni di Mina, Patty Pravo e Romina Power. Ma anche cattive notizie. Un serial killer si aggira infatti nella zona e miete vittime tra gli omosessuali. L’atmosfera noir della trama cela però una verità ben più profonda e teatrale. Jennifer vive una situazione di emarginazione e solitudine, aggravata dal cattivo funzionamento del telefono che intercetta telefonate di appartamenti vicini, ma non suona mai per lei. È infatti in attesa della chiamata di Franco, l’avventura di una sera, che le ha promesso l’impossibile: un amore esclusivo che promette di strapparla dal disagio.
La Jennifer di Gleijeses prende il carattere dal popolo, dai bassi napoletani, dove il dialetto è brusco, crudo e la vita si affronta con apparente strafottenza. Al suo fianco recita il figlio Lorenzo, nei panni di Anna, il travestito che piomba in casa sua con una scusa che per compensare l’isolamento – ulteriore ritratto di disperazione – si è trovato a rivolgere tutto l’affetto a una gatta, Rusinella.
Entrambi i personaggi vestono una solida armatura fatta di orpelli e distrazioni, feticci e falsi miti, per coprire la miseria e il degrado della loro condizione. E su questo forte contrasto si basa anche la scena di Paolo Calafiore. Allo spettatore infatti è concesso di vedere l’impalcatura che sorregge la scenografia iperrealista. Nella cucina dell’appartamento Jennifer prepara davvero il caffè e un sugo al pomodoro. Le pareti hanno uno squarcio e la claustrofobica stanza si vede contestualizzata nel luogo per eccellenza dell’illusione: il palcoscenico. Quando la realtà prende il sopravvento sulla finzione e questa viene mostrata nella sua effimera consistenza (la radio si azzittisce perché viene a mancare la corrente e il telefono rimane isolato per un guasto), allora tutto il mondo intorno a Jennifer si frantuma, risucchiandola nel vuoto. A causarne la morte è la disperazione che arriva quando crolla ogni fronzolo al quale si appoggiava la sua sicurezza.
La regia di Geppy Gleijeses coglie quindi le intenzioni del testo in questa versione apparsa la prima volta al Festival di Spoleto nel 2017. Come maestro indiscusso della scena, propone un lavoro nel pieno rispetto e valorizzazione di una tradizione partenopea e nazionale che, anche dopo e oltre Eduardo (forse evocato nella scenografia dalla presenza della ringhiera di un finto balcone), continua a stupire e a commuovere il pubblico attraverso un’analisi veritiera e sconcertante della società in cui siamo immersi.
data di pubblicazione:08/03/2025
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da Antonio Jacolina | Mar 7, 2025
Nella piccola comunità di Providence, due poliziotti inetti (J. Gordon Levitt e H. Patel) provocano accidentalmente la morte di una concittadina. Trovano nel suo salotto un milione di dollari. Si accordano per inscenare una rapina finita male e poi spartirsi il malloppo. L’avidità però genererà una serie di eventi tragicomici…
Per coloro che apprezzano i fratelli Coen, Greedy People potrebbe sembrare molto familiare: un film alla Coen. Un intrigo convenzionale che si muove con lo sguardo ai suoi modelli e ambisce essere una Crime Comedy. La storia ne avrebbe la potenzialità ed è comprensibile che quello sia l’obiettivo. Ma il modello Coen è troppo alto. Mancano le necessarie caratteristiche vincenti e il regista non raggiunge i livelli di eccellenza richiesti. Eppure il film inizia in modo vivace, cattura e promette bene con una coppia di poliziotti simpatici, una piccola città con personaggi eccentrici, situazioni grottesche e ricche di humour nero. Si mantiene in equilibrio fra commedia e thriller. Ad un certo punto però Ponciroli sembra voler sorprendere gli spettatori saltando di registro per farli riflettere sull’illusione della tranquillità, sui segreti nascosti dietro l’apparente serenità e sugli effetti della generale cupidigia. La vicenda si trasforma allora in un thriller serio e amaro senza più traccia dell’iniziale leggerezza. L’improvvisa variazione di tono, priva della necessaria coerenza narrativa, lascia sconcertati, con un senso di incompiutezza. Una più accurata sceneggiatura avrebbe consentito di amalgamare meglio i due momenti, rendendo più fluido lo sviluppo dell’idea iniziale.
Peccato, perché la messa in scena è gradevole, la realizzazione curata, il ritmo e il montaggio buoni, le location perfette e l’intrigo classico ma efficace. I due protagonisti poi caratterizzano con talento i loro personaggi circondati da un coro di buoni secondi ruoli. Le varie componenti del film in sé e per sé non sono quindi sbagliate. La loro giusta combinazione potrebbe rendere la loro dinamica interessante ed è proprio qui che si fa sentire la carenza dello script. Quella che poteva essere un’intrigante commedia noir sembra invece procedere per automatismi. Ponciroli non è riuscito a trovare il giusto equilibrio tra le sue differenti ambizioni. In sintesi, pur con questi difetti, Greedy People è un film paradossale e abbastanza piacevole che tiene viva l’attenzione del pubblico fino alla fine, una discreta commedia degli equivoci con tratti di originalità di cui però ci si dimentica poco dopo averla vista.
data di pubblicazione:07/03/2025
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da Salvatore Cusimano | Mar 5, 2025
Dallo sceneggiatore/regista, premio Oscar® per Parasite, Bong Joon Ho, arriva la sua nuova esperienza cinematografica, dove l’improbabile eroe Mickey Barnes (Robert Pattinson) si ritrova nella straordinaria circostanza di lavorare per un datore di lavoro, che richiede il massimo impegno per il lavoro: morire, per vivere.
Mickey è una persona piuttosto nella media, ancora più di classe inferiore, potremmo definirlo un classico loser delle più svariate esperienze cinematografiche passate, un uomo qualunque che, inguaiato nella vita terrestre e inseguito da folli strozzini, decide di intraprendere un folle viaggio, in astronave, destinato in un immaginifico pianeta chiamato Niflheim.
Sono questi i presupposti della nuova opera di Bong Joon Ho, tratto dal romanzo fantascientifico di Edward Ashton dal titolo Mickey7, che dopo Parasite si cimenta in un’altra sceneggiatura, legata alla classe sociale e al modo in cui le persone si trattano a vicenda, sicuramente accentuando la malvagità degli esseri umani gli uni verso gli altri, inserendo anche un concetto così unico: la stampa umana, una cosa molto diversa dalla clonazione umana. Oltre a Pattinson, c’è anche Mark Ruffalo che interpreta un personaggio chiave, il cattivo e il dittatore, si potrebbe dire, personaggio legato alla satira politica e agli aspetti comici di questo film, un megalomane perso nella sua folle visione di conquistare un altro pianeta per creare una nuova civiltà umana migliore e più “pura” della precedente. Ogni riferimento a Elon Musk non è assolutamente casuale. Toni Collette interpreta sua moglie, Ylfa, altro piccolo propulsore che guida la storia. Nasha (Naomi Ackie) è in realtà il personaggio più potente, più carismatico e valoroso, una vera e propria guida per Mickey.
Questo è un film che potrebbe sembrare di fantascienza, in cui le persone vanno su pianeti alieni, dove c’è un’astronave e tutto il resto, ma parla anche di un sacco di persone sciocche, che lo rendono molto divertente in alcuni tratti, facendone anche una commedia e una storia molto umana, con un senso dell’umorismo selvaggio.
Sebbene appaia meno geniale rispetto al suo precedente capolavoro, riesce comunque a stupire, intrecciando comicità grottesca e critica sociale attraverso un paladino imperfetto che cerca di fare del suo meglio in modo inadeguato.
data di pubblicazione:05/03/2025
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da Antonio Jacolina | Mar 5, 2025
Big Nick (G. Butler) vola a Nizza per cercare Donnie (Jackson Jr) volatilizzato con il bottino della precedente rapina. Lo ritrova coinvolto in un furto di diamanti e …
Con questo sequel Gudegast sembra voler creare un nuovo filone di Heist movie. Nella Tana dei Lupi (2018) era un film testosteronico ed efficace, ispirato a grandi polizieschi come Heat e I soliti sospetti. Questa volta da Los Angeles l’azione si sposta in Costa Azzurra, fra Nizza e Marsiglia (ricostruite a St. Cruz di Tenerife). La struttura narrativa si ripropone seguendo gli schemi del Genere: prologo con furto, presentazione dei personaggi, pianificazione della rapina, la rapina vera e propria, fuga e sorpresa finale. Se il primo film aveva un gradevole aroma alla M. Mann, questo seguito vorrebbe invece avvicinarsi ai film di rapina eleganti, ricordare la saga di Ocean’s Eleven con una strizzatina d’occhio a Fast & Furious. E, suspense nella suspense, giocare con il dubbio dell’effettivo ruolo di Butler nel gruppo dei malviventi. Tanto il primo si calava immediatamente nell’azione, tanto questo si prende i suoi tempi optando per un lento crescendo, a conferma della volontà di realizzare un prodotto più sofisticato. Gudegast ha sicuramente affinato la sua regia. Il miglioramento della tecnica non ha trovato però il supporto dell’affinamento dello Script. La narrazione si rivela infatti un po’ superficiale, poco elaborata e dinamica e si disperde in inutili ridondanze. L’intrigo stesso appare meno padroneggiato e la direzione artistica inciampa a volte su scelte interpretative discutibili. Si resta quindi un po’ perplessi davanti alla scarsa tensione drammatica degli eventi ed alla poca coerenza della sceneggiatura. Sono proprio queste debolezze a frenare nei fatti la realizzazione delle ambizioni del regista che mette sul fuoco troppi elementi irrisolti. Il gioco di coppia dei due protagonisti non è poi così interessante come si sperava perché non si crea mai la giusta alchimia fra loro. Butler, più massiccio e volgare che mai è carismatico al massimo, fa infatti scomparire la prestazione di Jackson Jr che appare non possedere lo spessore per il suo ruolo ed essere spesso fuori ritmo. Nella tana dei lupi 2 risulta quindi un film un po’ discontinuo, con intrigo e personaggi talora poco credibili, appesantito dalle sue stesse eccessive ambizioni. Un lavoro dalle alte potenzialità che non riesce a raggiungere i livelli cui ambiva. Peccato! Piacerà comunque a chi ama il Genere o cerca un facile svago o apprezza inseguimenti di auto con sparatorie.
data di pubblicazione:05/03/2025
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da Antonio Jacolina | Mar 5, 2025
(Roma,7/14 marzo 2025)
Come tutti gli anni in occasione degli eventi connessi con la Giornata Internazionale della Francofonia, si svolgerà a Roma presso la sala cinematografica dell’Institut Français Centre Saint- Louis, il FRANCOFILM FESTIVAL 2025.
Finalità dell’iniziativa è promuovere e diffondere oltre alla Cinematografia di Francia e Belgio – che abbiamo già modo di conoscere e apprezzare – anche le produzioni di quei Paesi “più marginali” che utilizzano come lingua veicolare il Francese ma hanno meno opportunità di distribuzione.
D’altronde, lo stesso claim dell’iniziativa è “Il Cinema cresce quando viaggia!”
Questa quindicesima edizione avrà luogo dal 7 al 14 marzo e prevede la presentazione di 14 film e documentari provenienti dai Paesi membri della Francofonia: Armenia, Belgio, Bulgaria, Canada Québec, Costa d’Avorio, Francia, Lussemburgo, Marocco, Romania, Ruanda, Svizzera e Tunisia.
I film in concorso sono 12 e al termine dell’Evento verranno conferiti tre Premi: il Premio della Giuria da personalità dell’industria cinematografica; il Premio del Pubblico che voterà dopo ogni proiezione; il Premio Sapienza da parte di sei studenti dell’Università Romana.
Tra questi film segnaliamo i due già recensiti da Accreditati: La sindrome degli amori passati e Amerikatsi.
Il programma dei film e delle altre attività è disponibile sul sito.
L’accesso alle proiezioni (in versione originale con sottotitoli in italiano) è gratuito e senza prenotazione.
Il film di apertura il 7 marzo, fuori concorso, sarà Le Panache, alla presenza degli Autori e degli Interpreti.
data di pubblicazione:05/03/2025
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