LES FANTOMES di Jonathan Millet, 2024

LES FANTOMES di Jonathan Millet, 2024

L’opera prima nella fiction di Millet ha le porte spalancate per il successo. Primo Premio nel Concorso Amore e Psiche del concluso e riuscito MedFilm Festival 2024, sta entrando nel circuito italiano della grande distribuzione dopo essere stato presentato a Cannes nel luglio scorso. Inoltre si sprecano i rumor per una possibile nomination nella selezione europea degli Oscar.

Storie di spie ma soprattutto di un’ossessione. Quella montante in progressione geometrica di Hamid, un profugo siriano, girovago tra Francia e Germania, inserito in un network spionistico che cerca di rintracciare nel vecchio continente i torturatori dell’odiato regime di Assad. La sua missione riguarda l’identità di uno di questi. La motivazione è forte come la rabbia che lo ispira. Ma la missione gli prende la mano e ne travalica intenzione e incarico. Così il pedinamento diventa paranoico e lo spinge ai confini di una possibile frequentazione con il potenziale carnefice rintracciato grazie a una foto non troppo chiara. L’ispirazione di un thriller, assecondata da una colonna sonora ritmica e pregnante, è il forte biglietto da visita del film. Incertezza e tensione montano improvvisamente anche se alla fine l’unico sangue che scorrerà sarà proprio quello del protagonista, trafitto dall’incauta coltellata di una collega troppo zelante nel desiderio di vendetta. Il film avvince per il fascino del mood ed è contrassegnata dalla scarsità dei dialoghi. Pochi ma significativi. Le azioni e i sottotesti coprono i buchi di una narrazione coerente e ispirata fino all’epilogo finale che, per ovvie ragioni, non riveleremo. Il network spionistico è chiamato a mettere ai voti la risoluzione sul torturatore: esecuzione o processo? E’ il dubbio che ha agitato anche i sonni del protagonista che nella vita privata è un professore di letteratura ormai senza famiglia e completamente sradicato dalla Siria.

data di pubblicazione:18/11/2024


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NEVER YOUNG un progetto di Biancofango

NEVER YOUNG un progetto di Biancofango

(Teatro India – Roma, 13/17 novembre 2024)

La compagnia Biancofango ha portato in scena dal 13 al 17 novembre al Teatro India, Never young, una docu-performance che dà voce ai giovani ed alle giovani Lolita, la nuova generazione che cerca di interfacciarsi con il mondo degli adulti, giocando a fare i grandi per anticipare il domani (foto Arianna Romagnolo).

Né bambini, né adulti: siamo nella preadolescenza, fase esistenziale complessa e multiforme. Never young è la seconda parte di un dittico che lavora sulla figura di Lolita nel tentativo di osservare e comprendere quella fascia generazionale che vive un presente articolato, composito e agitato, fatto di web, di tecnologia e solitudine, di disinibizione e fragilità. E Lolita è quell’insieme di mille contraddizioni e di troppa curiosità da e verso il mondo degli adulti.

Con Never young la compagnia Biancofango, da sempre impegnata in una scrittura scenica che esaspera il rapporto parola corpo, si dedica a vivisezionare la fragilità, la sfrontatezza, lo smarrimento, il desiderio di emancipazione dei nuovi adolescenti e preadolescenti.

Da queste riflessioni prende forma drammaturgica la pièce, firmata da Andrea Trapani e Francesca Macrì, anche regista dello spettacolo, che si dipana attraverso cinque quadri scenici, in cui confluiscono storie di adolescenti, in grado per restituire uno spaccato della società e del nostro Paese.

La prima sezione è dedicata alla storia della nostra Italia dagli anni 90 ad oggi, da Norberto Bobbio a Non è la Rai, da Umberto Eco a Berlusconi, dal Mulino Bianco a Le interviste barbariche; la seconda sezione presenta un dialogo sulla relazione corpo e sessualità; la terza è un’indagine sulla sessualità dell’adolescenza e della preadolescenza; nella quarta sezione uomini e donne anziani si confrontano su cosa rappresenta la sessualità oggi mentre la quinta sezione è dedicata all’infanzia perduta.

Un palcoscenico composito in cui si affrontano generazioni, immagini, sensazioni, passato e futuro dentro il quale tutti i protagonisti, senza ordine di età, sentono il bisogno di affermare il proprio essere e la propria identità.

data di pubblicazione:16/11/2024


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BEATI VOI CHE PENSATE AL SUCCESSO NOI SOLI PENSIAMO ALLA MORTE E AL SESSO

BEATI VOI CHE PENSATE AL SUCCESSO NOI SOLI PENSIAMO ALLA MORTE E AL SESSO

intorno alle opere di J.R. Wilcock, drammaturgia di Tommaso Cardelli e Tommaso Emiliani, regia di Alessandro Di Murro, con Jacopo Cinque, Alessio Esposito, Amedeo Monda, Laura Pannio. Produzione Gruppo della Crosta e Fattore K

(Teatro Basilica -Roma, 14/17 novembre 2024)

Eccentrico ispirato accumulo di contributi legati alla figura di Wilcock, dimenticato santone dell’Intellighentsia morto nell’anonimato perché trapassato nello stesso giorno del rapimento di Aldo Moro. Tormentone sulla morte e poi sul prototipo del bravo padre di famiglia, all’occasione violentatore e latore di alcun i dei peggiori istinti umani.

Spettacolo di corpo e di mozione con largo spazio all’improvvisazione. In meno di un’ora podismo, provocazioni, strizzatine d’occhio al pubblico che con il passaparola alimenta gli entusiasmi di una platea che più giovane non si può. Caricatura della pornografia, gli uomini messi in mutande (anzi in boxer) da una donna che sa essere feroce. Più ridicoli del solito per l’occasione con le gambe sghembe e un’impressione perplessa sul volto. Come si intuisce mise en scene vivace e irraccontabile. Il meglio in avvio perché l’intervista su come debba svolgersi il fine vita è ricca di richiami tanatologici. Il divano è il baricentro dell’azione e finirà male, preso a calci come per dissipare tutto quello che è avvenuto al suo cospetto, prima. Il parlarsi addosso è quello di una generazione che spesso presume troppo da se, smarrita e incerta. Si discetta sull’idea di progresso e sulle variabili che le ruotano attorno: crescere vivere, morire, mangiare e dormire: elenco di bisogni primari. Spettacolo generazionale per un una nuova ancora non troppo chiarita idea di teatro. Che finisce e sgorga con pasticcini e caffè. Del secondo si sente l’odore, i primi vengono offerti anche al pubblico in un empito di ritrovato ottimismo.

data di pubblicazione:16/11/2024


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BOOMERANG di Shahab Fotohui, 2024

BOOMERANG di Shahab Fotohui, 2024

Prima internazionale nel contesto della XXX edizione del MedFilm Festival. Opera che ci mostra un Iran diverso a quello diffuso dai nostri stereotipi occidentali. Una settimana di vita a Tehran, città caotica la cui dimensione metropolitana si innesta sulle vicenda private di quattro protagonisti: una coppia in crisi e due giovani agli albori di una relazione.

Cinema anti-holywoodiano dai ritmi lenti (v. Kiarostami). Coniugi dai sentimenti declinanti che cercano di sciogliere le ambiguità del proprio rapporto e due giovani dal sentimento nascente. Lei, la ragazza è la figlia della coppia e ha un rapporto ambivalente e reticente con il padre. Film ricchissimo di dialoghi: in casa, in auto, nel caos del traffico. Budget essenziale e ricerca di atmosfera. Per scoprire che le questioni amorose in Iran non sono poi troppo diverse da quelle nostrane e che la repressione della donna non è un caso all’ordine del giorno nella quotidianità abitudinaria della vita nella capitale. Interminabile piano sequenza nel deserto con vista lago sfuggendo per un momento al caos metropolitano di Tehran. Senza entrare nel merito politico questo è il miglior merito dell’opera, un biglietto da visita quasi antropologico, per mostrarci un altro punto di vista su un Paese che conosciamo poco. L’istantanea sulla nazione non contiene giudizi di valore ma vuole solo fotografare una realtà privata. Il finale è estremamente aperto. Dopo un intenso tentativo di spiegazione con il marito la donna perlustra la possibilità di affittare un appartamento per se per la figlia, prodromo di una possibile separazione. Ma rimane sul balcone, incerta mentre scorrono i titoli di coda. Cambierà vita, lascerà il marito o si rassegnerà al quieto declino di coppia? Il loro caso esemplificativo, come quello di novanta milioni di connazionali. Incerto il futuro distributivo visto lo scarso appeal commerciale.

data di pubblicazione:16/11/2024


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CAINI – Compagnia teatrale I Pesci

CAINI – Compagnia teatrale I Pesci

drammaturgia e regia di Mario De Masi con Alice Conti, Alessandro Gioia, Giulia Pica, Fiorenzo Madonna, Antonio Stoccuto

(Teatro India – Roma, 14/17 Novembre 2024)

Una madre, due fratelli, una sorella. Questa è la famiglia Caini, così come viene chiamata dai vicini di casa. Durante una delle sue frequenti scorribande notturne con le amiche, la ragazza incontra in discoteca un giovane artista performativo di cui si innamora. Dopo una risoluta resistenza, il giovane si convince di fare la conoscenza con i futuri nuovi parenti. Le sue idee innovative sull’arte contemporanea metteranno seriamente in discussione il solido equilibrio dell’intero nucleo familiare…

La Compagnia I Pesci ha origini napoletane e con la regia di Mario De Masi porta in scena il terzo capitolo di una trilogia tutta basata sul concetto della famiglia, intesa come nucleo sociale di una realtà tutta da esplorare. Con Caini il regista pone il suo sguardo indiscreto all’interno di una casa, chiusa in se stessa e impermeabile verso ogni ingerenza esterna di qualsiasi tipo. I soggetti in questione hanno tra di loro un patto di solidarietà che li tiene uniti da un qualcosa, un segreto forse a cui non è possibile accedere e che sembra legarli in maniera inscindibile. L’impatto con il giovane artista, di cui la figlia si è innamorata, metterà seriamente in crisi i singoli membri di questa ermetica famiglia, tutta intrisa di un area di mistero e di sacralità. Forse il segreto ha a che fare con il padre di cui non c’è più traccia da tempo. Scomparso o addirittura morto? Sarà proprio questo l’enigma che via via sarà svelato e che lascerà tutti sorpresi e sconcertati. Tutti rimangono affascinati dalla personalità del giovane estraneo e inizieranno ad apprezzarne il suo modo coerente di vivere l’arte e a condividerne l’essenza. Certo il destino che gli riserverà non sarà per niente generoso anche se lui si era sforzato con tutto se stesso di fare della propria creatività qualcosa di edificante, senza mai cedere alle tentazioni esteriori. Il progetto di una nuova performance all’interno di una cava, così come proposto dai due ambigui fratelli, gli aprirà tutta una serie di misteri incomprensibili. Una forza travolgente lo spingerà verso uno posto vuoto e senza ritorno. Lo spazio è buio come buio è l’animo di chi ci vive, pronto a reiterare un rito cannibalesco e di morte. Un gruppo di attori giovani e bravi, bene assortiti e anche coesi nel portare avanti un discorso sull’indissolubilità del vincolo familiare e sulla validità dell’arte, intesa come espressione universale del genere umano. Lo spettacolo in questione suggerisce la necessità di prendere contatto in qualche modo con questa realtà e lancia al pubblico un messaggio semplice e inequivocabile.

data di pubblicazione:15/11/2024


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IL GLADIATORE II di Ridley Scott, 2024

IL GLADIATORE II di Ridley Scott, 2024

200 d.C. A seguito della conquista della Numidia da parte della flotta romana, guidata dal generale Marco Acacio, Lucio Vero viene catturato e scortato a Roma come schiavo. Il giovane si distingue subito per le sue doti di lottatore e viene comprato da Macrino che lo fa addestrare come gladiatore. Intanto si organizzano i giochi al Colosseo alla presenza degli imperatori Caracalla e Geta. Lucio ne esce sempre vincitore e tra i vari intrighi di corte emergono le sue reali origini romane…

Sono passati quasi venticinque anni da quando Ridley Scott ha diretto il suo primo Gladiatore. Il film ottenne 5 premi Oscar e 4 Bafta e lanciò definitivamente Russel Crowe nell’Olimpo di Hollywood. Il nuovo lavoro del più che ottuagenario regista britannico è a tutti gli effetti un sequel, sia in termini cronologici degli eventi sia per quanto riguarda la storia vera e propria. Si ripropongono alcuni frammenti del precedente film in cui è da protagonista la figura di Massimo Decimo Meridio (Crowe) al momento della sua morte, dopo aver sconfitto nell’arena l’imperatore Commodo. Ci si concentra ora sulla figura di Lucio (Paul Mescal) figlio di Lucilla (Connie Nielsen) e nipote quindi di Marco Aurelio. Il regista, pur rimanendo abbastanza fedele agli avvenimenti, si lascia andare a qualche licenza storica che però di fatto non altera minimamente l’effetto finale della pellicola. Al di là delle scene plateali dei combattimenti che si svolgevano nel Colosseo, Ridley Scott entra nell’animo dei personaggi e ne fa dei veri eroi. Lucio è stato allontanato da Roma, appena dodicenne perché in pericolo di vita, e ora vi ritorna da schiavo con la missione di ripristinare nell’Urbe quell’ordine morale che si era perso con gli ultimi imperatori. In questa nuova edizione ci si avvale di continui effetti speciali che contribuiscono a renderla veramente maestosa con scene mozzafiato verso le quali lo spettatore non può rimanere indifferente. Paul Mescal è stato rimodellato fisicamente per farlo apparire imbattibile e dotarlo di un perfetto phisique du rôle. Ottima l’interpretazione di Pedro Pascal nella parte di Marco Acacio e soprattutto quella di Denzel Washington nel ruolo di Macrino, personaggio storico ambiguo e senza scrupoli. Film sicuramente interessante, girato bene da un maestro del cinema che ha diretto tra l’altro capolavori come Alien, Blade Runner e Thelma & Louise, tutti oramai capitoli importanti nella storia del cinema. Bisogna ammettere che i due gladiatori non sono minimamente paragonabili anche se in alcune scene l’uno è il rimando dell’altro.

data di pubblicazione:14/11/2024


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CAPITOLO DUE di Neil Simon

CAPITOLO DUE di Neil Simon

uno spettacolo di Massimiliano Civica, con Maria Vittoria Argenti, Ilaria Martinelli, Aldo Ottobrino, Francesco Rotelli, scene di Luca Baldini, costumi di Daniela Salernitano, luci di Gianni Staropoli, produzione Teatro Metastasio di Prato

(Teatro Vascello – Roma, 12/17 novembre 2024)

Il Capitolo due riguarda il tentativo di ritrovamento sentimentale di uno scrittore colpito dal lutto importante della moglie. Ispirato da una dolorosa esperienza personale Simon trasfonde nel plot il proprio spiazzamento mettendo a regime la grande disinvoltura drammaturgica dei suoi scoppiettanti dialoghi..

Il Simon che non ti aspetti e in versione double face. Perché a un primo tempo sulfureo, ricco di battute che arrivano al cervello e alla pancia dello spettatore succede una ripresa meditabonda e tristanzuola. Le due ore di spettacolo annunciate dallo speaker diventano quasi tre ed è un po’ difficile scrollarsi di dosso la vivacità piacevole dell’avvio per inoltrarsi nell’imbarazzo di un viaggio di nozze poco riuscito con il nuovo amore. La complessità del personaggio (uno scrittore di successo, brillante ma imbranato) richiede tempo e un cammino cosparso di chiodi. E non tutto fila liscio nell’illustrazione del cambiamento che si traduce in brusche giravolte in cui la donna sposata sembra preda dei suoi mutamenti repentini d’umore. Dunque due gusti contrastanti in scena con chiara preferenza per l’amabilità del primo. E la conclusione è una captatio benevolentiae un po’ troppo facile. Una canzone di Battisti sciorinata dalla prima nota all’ultimo per chiudere la vicenda della riconciliazione mentre le luci di scena progressivamente si spengono. L’autore più rappresentato a Broadway ci presenta il suo lato oscuro con un testo vecchio di 47 anni. Permane l’ambientazione americana. Efficace la compartecipazione attoriale. Gli interpreti simulano il suono del telefono e del campanello saltando l’artificiosità del gesto. La sinergia che stabiliscono è puramente dialettica e mentale, i loro corpi raramente intereagiscono.

data di pubblicazione:14/11/2024


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GIURATO NUMERO 2 di Clint Eastwood, 2024

GIURATO NUMERO 2 di Clint Eastwood, 2024

Justin (Nicholas Hoult) ha conosciuto e superato momenti difficili. Ama la moglie e presto sarà padre. Viene prescelto come giurato per un processo molto mediatizzato di violenza domestica con omicidio. Durante il dibattito scopre inaspettatamente che può essere implicato nella vicenda. Come far “fare giustizia” senza porre anche se stesso in pericolo? Tacere o liberare la propria coscienza? Quale sarà la cosa giusta?…

Clint è un grande narratore. Sa sicuramente come raccontare una storia complessa e renderla una “Buona Storia”. Questo giovane autore di appena 94 anni, uno degli ultimi Grandi Maestri del Cinema Americano ancora attivo, ci regala oggi il suo 41° lungometraggio. Non un capolavoro indimenticabile ma di sicuro un buon film di notevole vitalità ed intelligenza sulla Giustizia negli Stati Uniti e su un dramma morale individuale di eccezionale ambiguità. Eastwood dirige con il suo inconfondibile stile minimalista, con un approccio sobrio, scarno ma solido. Una messa in scena semplice, lineare, quasi classica. Perfetto il montaggio e il dosaggio dei tempi fra velocità, concisione e chiarezza. Osserva con acutezza i vizi e le virtù dell’America, cattura ogni attimo di tensione ed orienta le emozioni dello spettatore. Pur con modi ogni volta diversi, il regista prosegue con passione, lucidità e coerenza tematica il suo percorso sul concetto di individuo. L’uomo normale, il singolo posto di fronte a situazioni impreviste ed eccezionali. Una riflessione continua sulla vita e sulle scelte talora contraddittorie che ognuno può trovarsi a dover fare. Il dilemma morale di assumersi o meno la responsabilità delle proprie azioni.

Giurato numero 2 è un courtroom drama, un film di aula giudiziaria. Clint, sulla scia di capolavori del passato come La parola ai giurati (1957) e Anatomia di un omicidio (1959), rivisita e rinnova a modo suo il genere processuale. Dietro l’apparente classicismo c’è un approccio nuovo e un originale ribaltamento della suspense sull’esito del dramma di coscienza del nostro giurato e sul rapporto Verità e Giustizia. Il film impressiona per la sua efficacia, per il ritmo e per il taglio con cui sono rappresentati avvocati d’ufficio, procuratori ambiziosi, giurati condizionati dai propri pregiudizi e dalla fretta di tornare ai propri affari. Come potrà mai trionfare la Giustizia? Il film stesso è il processo e lo spettatore che, come il nostro giurato, sa la Verità, assiste impotente, avvinto alla poltrona in un crescendo di incertezza fino all’ultimo fotogramma.

Il sottile lavoro del regista è ben supportato dalla scelta di un casting impeccabile. Hoult buca lo schermo con la sua fragilità e ricorda il giovane Henry Fonda. Perfetti come sempre nei film americani i secondi ruoli e i coprotagonisti. Su tutti spicca Toni Collette.

Giurato numero 2 è un thriller psicologico introspettivo che coinvolge dall’inizio alla fine. Uno dei lavori più maturi di Eastwood. Un film apparentemente “normale”, ove tutto è normale e complicato come nel quotidiano. Per sapere fare molto bene una cosa così si deve essere davvero un Maestro del Cinema!

data di pubblicazione:13/11/2024


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AMELIE E SOPHIE di Anna Ceravolo e Carla Ceravolo

AMELIE E SOPHIE di Anna Ceravolo e Carla Ceravolo

collaborazione di Paolo Orlandelli, scene e costumi di Carla Ceravolo, video di Renato Ferraro musiche originali di Alessio Zanovelli, con Luca Lodestro e Caterina Sebastiano. Produzione Teatro di Documenti con il sostegno della Regione Lazio.

(Teatro di Documenti – Roma, 31 ottobre/17 novembre 2024)

Due donne aviatrici accomunate dalla passione per il rischio. Rivisitazione inconsueta a teatro. Le unisce la storia, le immedesimazioni, il loro destino. Coraggiosa proposta di un teatro rigorosamente coerente nella sua programmazione.

Stelle dell’aviazione, indimenticate nell’ambiente, molto meno note al grande pubblico. Coetanee rivolte al futuro. Con l’infanzia segnata da separazioni, un’ascesa alla popolarità perentoria e un epilogo prematuro. Amelia Earhart e Sophie Peirce Evans vengono riscoperte nel loro milieu familiare, specificatamente donne in un mondo prettamente maschile. Passionali, sensibili e istintive le due si innamorano un po’ per caso del volo e fanno dell’aviazione la propria vita, incuranti dei rischi in ballo. E’ un momento di grandi scoperte per l’aviazione e le due si inseriscono in un mood di progresso. Aviazione sperimentale, avventurosa, a volte strumentalizzata per fini bellici e non civili. Sarà tra l’altro un italiano a statuire il bombardamento come forma di addomesticamento delle popolazioni per indurre un Paese alla resa. La messinscena è ambientata in uno studio televisivo. Un presentatore, ospiti in studio e in video, un cantante, alcuni speaker. Un pretesto efficace per riesumare queste parabole umane con un talk show d’attualità che riporta al presente storico. Contemplato il basso livello della televisione nel riscoprire personaggi che meriterebbero ben altro contesto. Alcuni effetti vengono ispirati dall’intelligenza artificiale, qui interpretata e usata senza complessi ma come primissima forma sperimentale di applicazione al teatro. Dimostrando come una drammaturgia tradizionale può guardare anche a un futuro non necessariamente dispotico e anche distopico.

data di pubblicazione:12/11/2024


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RISVEGLIO DI PRIMAVERA di Frank Wedekind

RISVEGLIO DI PRIMAVERA di Frank Wedekind

allestimento e scenofonia di Roberto Tarasco, regia di Gabriele Vacis, attori della compagnia teatrale PoEM

(Teatro Ateneo – Roma,11/12 novembre 2024)

Un classico della drammaturgia molto caro a Manuela Kustermann e al compianto Giancarlo Nanni in una sobria e levigata rappresentazione di una compagnia di giovani formati al Teatro Stabile di Torino e magnificamente assemblati da Roberto Tarasco e Gabriele Vacis. Uno spettacolo in cui funziona tutto con lineare semplicità.

Diede scandalo Wedekind, il primo uomo di teatro a interessarsi (qualcuno suggerì “morbosamente) dello sboccio della pubertà giovanile alla fine dell’800. Il testo fu scritto nel 1891 ma rappresentato solo nel 1906 (in scena però si parla del 1901) proprio per il carattere giudicato scandaloso del plot. Tutto parte dalla misurazione della gonna di una quattordicenne. La scoperta del sesso, le fantasticherie in ambiente scolastico, il difficile passaggio a un’era di transizione e contrasto in cui non è troppo chiaro come nascono i bambini, è la contraddizione esulcerante nel rapporto con i genitori. Scarno gioco di luci ma uso coreutico dell’ensemble con ragionato uso della musica. La rivisitazione contempla tocchi d’attualità e persino la riscoperta di un pezzo vintage di De Gregori risalente a cinquanta anni fa. Il dolore di un’età difficile sboccia con passaggi veloci in cui si sfronda il testo originario e si riduce l’ingombro dei personaggi contemplati in originale. Ragazzi Under 30 tutti molto bravi, solidali e affiatati per il compiacimento del pubblico più giovane che si possa rinvenire sulla piazza di Roma. La violenza viene mostrata con discrezione simbolica congruamente efficace. Godibile anche il pre-scena con il pubblico in affluenza ed esercizi di riscaldamento che sanno essere già spettacolo. Una stagione quella del Teatro Ateneo che è partita con il piede giusta e che promette a breve altre congrue sorprese.

data di pubblicazione:12/11/2024


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