da Antonella Massaro | Mar 22, 2015
La storia uscita dalla penna di Marco Bonini e da quella di Edoardo Leo (che poi assume anche il compito di dirigerla) non si caratterizza certo per tratti originali, almeno per come si mostra nella sua struttura essenziale. Tre quarantenni (Luca Argentero, Edoardo Leo e Stefano Fresi), legati dai lacci sempre più soffocanti di famiglie e lavori che li stanno inevitabilmente conducendo sull’orlo del fallimento umano e/o economico, si ritrovano per caso di fronte a un casale dall’affascinante bellezza decadente. Troppo caro per ciascuno di loro, ma alla portata di tutti e tre messi insieme. Spinti da quell’alito di lucida irrazionalità che accarezza chiunque abbia sperimentato nella propria vita il brivido di una “vera scelta”, decidono di mettersi in società, per provare a risorgere insieme da quelle macerie.
Il primo tocco di inconfondibile “italianità” sta nella decisione di aprire un agriturismo, moda e chimera degli ultimi decenni di turismo “fatto in casa”. Il secondo tocco sta nell’incontro scontro con la camorra, con il pizzo e con le mazzette, cifra caratterizzante di un Paese in cui un sogno ha lo stesso prezzo di un televisore al plasma, da acquistare rigorosamente nel “negozio di fiducia” suggerito dai vigili urbani incaricati di rilasciare i permessi necessari per l’apertura.
Una vecchia Giulia, indimenticato simbolo dell’ottimistica Italia del boom economico, con il suo stereo difettoso, diviene la “base” (in senso tanto letterale quanto metaforico) sulla quale i tre sognatori cercheranno di edificare la propria “resistenza”. Tutto ciò supportato dal convincente contributo di Claudio Amendola, nostalgico di falce e martello (in senso tanto letterale quanto metaforico), di Anna Foglietta e di Claudio Buccirosso, i quali sostengono egregiamente l’impegno di una recitazione marcatamente caricaturale, senza (quasi) mai trascendere nella macchietta fine a se stessa.
Di certo non mancano spunti interessanti nella scrittura di un genere, quello della commedia, che sembra attraversare un periodo di autentica stagnazione, ma l’impressione resta quella di un film che non riesce a ingranare la marcia giusta della Giulia, passando da brusche accelerazioni ad altrettanto bruschi rallentamenti e impantanandosi con compiacimento eccessivo nelle pozzanghere di quelle eterne verità che, se troppo chiaramente esplicitate, sconfinano nell’insostenibile evidenza del luogo comune.
data di pubblicazione 22/03/2015
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da Maria Letizia Panerai | Mar 21, 2015
Presentato fuori concorso al 53^ Festival di Cannes, La Tigre e il dragone sbancò i botteghini in Europa e negli Stati Uniti, vincendo anche 4 premi Oscar. E’ uno dei tanti capolavori del pluripremiato Ang Lee (vincitore di altri 2 Oscar per I segreti di Brokeback Muntain, Vita di Pi – Orso d’Oro per Banchetto di Nozze e Ragione e sentimento – Leone d’Oro per I segreti di Brokeback Muntain e Lussuria).
La vicenda è ambientata nella Cina del XIX secolo e racconta le gesta di Li Mu Bai, maestro di arti marziali la cui spada pare sia dotata di poteri magici, e dell’amore che nutre per la bella Yu Shu Lien: la loro sofferta storia incontrerà non poche difficoltà. La vicenda si articola su di una fitta rete di duelli, quasi tutti al femminile, con guerriere che durante i combattimenti effettuano incredibili acrobazie, una specie di eroine con corpi volanti che si arrampicano sulle pareti, danzando con straordinaria bravura sulle coreografie di Yuen Wo Ping, regista e coreografo di arti marziali cinese (già ammirato in Matrix e Kill Bill). A questo film, tutto da godere, elegante e di grande impatto visivo, non potevamo che abbinare una salsa agrodolce a base di mele, che ricorda le tipiche salse orientali, ottima da accostare agli arrosti di maiale o ad un classico arrosto di vitella.
INGREDIENTI: 1 kg di mele renette – 1 bicchiere di acqua –il succo di un limone – 120gr di zucchero semolato bianco – 4 cucchiai da tavola di brandy – 1 pizzico di cannella in polvere.
PROCEDIMENTO: Sbucciare e tagliare le mele in pezzi e metterle in una pentola antiaderente con l’acqua ed il limone. Far cuocere sino a quando saranno sfatte; frullate con frullatore ad immersione. Rimettete il tutto sul fuoco aggiungendo lo zucchero, il brandy e la cannella; fate sobbollire per qualche minuto. È una purea di mele agrodolce perfetta per accompagnare gli arrosti di maiale o vitella, ma anche per arrosto di tacchino. Potete prepararla prima e scaldarla prima di portarla a tavola in una salsiera.
da Alessandro Pesce | Mar 18, 2015
Mi sbaglierò, ma dev’essere stato durante la tournèè in cui hanno lavorato insieme Vincenzo Pirrotta e Luigi Lo Cascio in Diceria dell’untore, dev’essere scattato un qualcosa in quel periodo, per far nascere in entrambi l’interesse, la spinta a interrogarsi sull’origine della follia. su come e perchè un essere umano (o un popolo) possa transitare dalla VITA alla TRAGEDIA quasi senza accorgersene.
La riscrittura dell’Otello in siciliano che Luigi Lo Cascio ha scritto, punta molto su quest’aspetto: le passioni che si trasformano, che possono diventare fanatismo, perché nel deserto della solitudine umana fa presto a germogliare un seme cattivo. Specialmente una mente primitiva come spesso è la mente maschile, sicuramente com’è quella di OTELLO (inteso come Archetipo, non si tratta di una traduzione pedissequa di Shaekesperare ) con facilità possa diventare vittima di sentimenti negativi quali gelosia e possessività, fino alle estreme conseguenze.
Comincia dalla fine, come in un flashback da incubo, la rievocazione della vicenda, nella suggestiva nebulosa scena, come nebulosa è la mente umana. Si vede Jago incatenato che vomita il suo livore; si vede una donna ferita a morte (la toccante Desdemona di Valentina Cenni) che piange la fine di un amore, piuttosto che della vita terrena. Poi subentra una sorta di coreuta, un soldato che con passione (il bravissimo Giovanni Calcagno) fa rivivere le stazioni del nero cammino verso la tragedia. In un gustoso finale (che però spezza la tensione drammatica delle quasi due ore di bellissimo spettacolo) ambientato sulla luna, Otello, come Orlando, cerca Desdemona perché sulla luna ci sono le anime delle donne che abbiamo ammazzato e il soldato che lo accompagna come un novello Astolfo, sigla un finale quasi etico con esortazione alla ragione.
Se Lo Cascio attore è uno Iago forte e inconsueto. Vincenzo Pirrotta è il miglior Otello non accademico che si potesse immaginare; riassume lui stesso la potenza il senso di tutto lo spettacolo, attingendo al suo background di cuntista, alla sua fisicità possente ma anche infantile, alla sua Mitica tragicità.
data di pubblicazione 18/03/2015
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da Antonietta DelMastro | Mar 18, 2015
Siamo a Parigi nel 2022. François Hollande è alla fine del suo secondo mandato, il Fronte Nazionale di Marine Le Pen sta per affermarsi alle elezioni presidenziali e contro di lei si schiera una alleanza di partiti che porta all’Eliseo Mohammed Ben Abbes, leader della Fratellanza musulmana. Obiettivo di Ben Abbes è l’islamizzazione di tutta l’Unione Europea, alla quale ha già aderito la Turchia e a breve, secondo i disegni di Ben Abbes, aderiranno i paese nord africani.
Quindi si tratta di una presa di potere pacifica e senza spargimento di sangue da parte di un islam moderato, che riesce ad affermarsi anche grazie alla decadenza della società occidentale e probabilmente all’esigenza di tornare a dei valori che si pensavano perduti e che sembrano essere offerti dalla scelta islamica. Scelta che porta inevitabilmente con sé un ritorno alla società patriarcale e poligamica e alla conseguente perdita della parità dei diritti tra i sessi.
Narratore di questa storia è François, docente della Sorbona, specialista di Huysmans, chiaro rappresentante della sua epoca: annoiato, senza volontà, senza coraggio, con una morale piuttosto dubbia, interessato più al sesso che non a quello che gli accade intorno. François attraversa il romanzo con un unico grande dilemma, che risolverà solo nelle ultime pagine, proseguire la sua vita così come la conosce, con una libertà di cui non sa cosa fare, o cedere alle lusinghe della conversione all’islam: “… avrei avuto una nuova opportunità; e sarebbe stata l’opportunità di una seconda vita, senza molto nesso con la precedente.”
da Antonietta DelMastro | Mar 18, 2015
Restiamo nel campo degli “scambi epistolari” con il libro di Daniel Glattauer del 2010.
A chi non è capitato, nella concitazione della vita quotidiana, di inviare per errore una e-mail a un indirizzo sbagliato? Il romanzo prende spunto da questo assunto e ci trasforma in spettatori di una partita di tennis giocata con il computer a suon di e-mail tra Emmi Rothner, sposa e madre, e Leo Leike, psicoterapeuta reduce dall’ennesimo fallimento sentimentale.
Dopo le prime pagine tra i due sconosciuti nasce una amicizia con scambi di battute sagaci, pungenti e con una buona dose di ironia. Ben presto, però, l’amicizia si trasforma in qualcosa di diverso, di più profondo, che mette a rischio tutta la loro vita “reale”, qualche cosa a cui non basta più il continuo scambio di e-mail, qualcosa che fa dire a Leo “ogni volta che ricevo una sua e-mail, mi batte forte il cuore, oggi come ieri…”.
Ma un sentimento che è nato dietro a un computer, che manca dei rossori, degli occhi negli occhi, dei sospiri che tanto ci insegnano dell’altro può, in qualche modo, sopravvivere a un vero incontro?
da Maria Letizia Panerai | Mar 17, 2015
La scrittrice Irène Némirovsky, ebrea russa internata e poi morta ad Auschwitz nel 1942, non avrebbe certo potuto immaginare che il suo manoscritto Suite francese, pensato come un’opera letteraria divisa in partiture al pari una sinfonia e rimasto purtroppo incompiuto, sarebbe diventato un giorno un best seller internazionale.
Giugno del 1940: siamo a Bussy, piccola cittadina della campagna francese e Lucile (Michelle Williams), giovane donna dall’aria un po’ smarrita ed assente di chi non comprende sino in fondo cosa stia accadendo nel suo paese e nella vicina Parigi appena bombardata, è seduta al suo pianoforte. Lucile, il cui marito Gaston è stato fatto prigioniero in guerra, vive con la suocera Madame Angellier (Kristin Scott Thomas), donna dispotica ed in apparenza arida. Quando i tedeschi occupano Bussy, nella sontuosa villa Angellier viene “acquartierato” l’ufficiale Bruno Von Falk (Matthias Schoenaerts).
La convivenza forzata con il nemico invasore porta le due donne a limitare all’essenziale la frequentazione con lo sgradito ospite; ma l’amore di quest’uomo, che prima di arruolarsi era un compositore, per la musica, scatenerà l’inaspettata ed inconfessabile complicità tra lui e la giovane Lucile, esercitando su di lei un fascino particolare che si trasformerà in passione.
Suite francese, del regista inglese Saul Dibb, è molto fedele alle caratteristiche del romanzo dal quale è nata l’ispirazione, riuscendo ad entrare perfettamente in sintonia con lo stile romantico-sentimentale dell’autrice ed evidenziando da un lato il suo forte risentimento verso il pettegolezzo e la maldicenza (Bruno ha come incarico quello di catalogare le lettere anonime dei delatori che arrivano al comando tedesco), e dall’altro una certa propensione che Lucile ha verso il nemico, dipinto in molte circostanze come gentile e sensibile, in contrapposizione alla sgradevolezza delle persone del posto. I nazisti, come nel romanzo, sono giovani belli ed educati, che corteggiano le donne di Bussy invece di violentarle e che giocano come bambini mentre si fanno il bagno in un lago in mezzo alla campagna.
Ottima la fotografia e molto suggestive alcune scene, anche se il film può sembrare a volte sdolcinato ed incontrare solo il gusto di chi ama le storie d’amore.
Decisamente bravi gli interpreti principali, dalla Scott Thomas al ben ritrovato M. Schoenaerts (Un sapore di ruggine ed ossa), che tuttavia vengono surclassati dall’intensità interpretativa della Williams, perno centrale di tutto il film che, dopo aver lavorato con un regista come Ang Lee, essere stata moglie delusa di Ryan Gosling ed essersi sorprendentemente calata nei panni di Marilyn nel biopic di Simon Curtis, conferma le sue doti di attrice raffinata e sensibile.
data di pubblicazione 17/03/2015
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da Alessandro Pesce | Mar 16, 2015
Dave e Mark sono due fratelli, con un’infanzia desolata dietro le spalle. Soli per il mondo, hanno sempre dovuto cambiare casa e quindi si sono morbosamente attaccati l’uno all’altro.
Si sono dedicati ambedue al wrestler, uno sport dove l’approccio fisico è stretto e carnale, riuscendo ad arrivare a vertici olimpionici. Dave ha una famigliola felice, con una moglie e due bimbi; Mark vive solo in una casetta un po’trascurata, è un gladiatore solitario e taciturno, Dave è iperprotettivo, ha un bisogno continuo di sentire se il fratello minore sta bene, e vuole sempre abbracciarlo. Un giorno Mark riceve la telefonata di uno degli uomini più ricchi d’America, Du Pont, uno strano tipo, appassionato di wrestler, patriota reazionario, erede di una fortuna immensa e antica, che si è allontanato dalla tradizione familiare di corse di cavalli per prendere sotto la sua ala,( per la disperazione di sua madre ) i campioni di lotta della nazione americana, l’ambiguo sport di combattimento, pieno di abbracci e contorsioni, che ha suscitato in lui una passione strana e tardiva. Du Pont ha un progetto ambizioso: ospitare nel suo ranch e allenare i migliori lottatori, diventare un mentore per loro e far si che vincano le gare più importanti e le Olimpiadi.
L’atmosfera cupa che pervade tutto il film, diventa ancora più inquietante quando si passa dalla desolazione della periferia nella parte iniziale all’opulenza della tenuta Du Pont, dove tutto, dagli ambigui solerti collaboratori del padrone di casa, alla presenza ancora autorevole della vecchia madre, ai disturbanti trofei allineati nella sala appositamente dedicata (“ la cripta del mostro” ) provocano una sensazione di abiezione e un senso di panico, come propedeutici per una svolta violenta.
E’ una fortuna che questa storia metaforica ma realmente accaduta nel 1988,al tramonto dell’era reaganiana, sia stata girata da un autore sensibile e robusto come Bennet Miller che ha evitato le trappole del genere e ha soprattutto indagato nella psiche dei tre uomini, suggerendo genialmente e con estrema sensibilità i risvolti e i numerosi sottotesti,
Perfetti i protagonisti, specie l’irriconoscibile Steve Carrel, ma anche Ruffalo, Tatum e il cameo di Vanessa Redgrave.
data di pubblicazione 16/03/2015
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da Felice Antignani | Mar 13, 2015
Honk Hong, la centrale nucleare di Chai Wan subisce un attacco hacker (a carico dei sistemi di raffreddamento delle barre) che provoca l’esplosione di un reattore. Poco dopo, a Chicago, la Borsa subisce l’aggressione informatica dello stesso hacker, che fa schizzare alle stelle il prezzo della soia. La reazione delle Autorità è immediata. L’esercito cinese e l’F.B.I. decidono di unire le proprie forze per stanare il blackhat, e cioè l’hacker malintenzionato, creando una task force che si avvale della collaborazione di un ex pirata cibernetico statunitense, Nicholas “Nick” Hathaway, detenuto per una lunga serie di crimini informatici. Inizia così una serrata caccia all’uomo che porterà i protagonisti dagli Usa in Cina, Malesia ed Indonesia.
Michael Mann torna dopo sei anni d’assenza (Nemico Pubblico, 2009) e lo fa in maniera prepotente, firmando un thriller cibernetico di pregevole fattura. La storia è intensa, nonostante alcuni (voluti) buchi di sceneggiatura che non pregiudicano la narrazione, anzi, la esaltano, contribuendo ad accrescere l’interesse dello spettatore. Il ritmo è alto, la musica accompagna con maestria le sequenze più emozionanti (che sono copiose) e dei cali d’attenzione non si vede nemmeno l’ombra.
Fedele alla propria tradizione cinematografica, Mann mescola l’azione col sentimento, fonde i colpi d’arma da fuoco e la violenza al ritratto psicologico dei protagonisti, profondo e disilluso. Nick non è una brava persona (e ne è perfettamente consapevole), ciononostante non rinuncia a difendere o vendicare i propri affetti. Blackhat è quindi un film di genere, pregno però di elementi d’autore: il pessimismo e la malinconia sono tangibili, come tangibili sono le paure post 11 settembre, ancora radicate nella coscienza statunitense. I riferimenti a Collateral e Miami Vice sono lampanti, mentre la figura di Nick sembra ricalcare quella di Frank, protagonista di Strade Violente.
Blackhat non è per tutti: rigoroso e iper-realista nel ricostruire le procedure informatiche, nonché complesso e dettagliato nei dialoghi e nei confronti umani. Tante le scene che sono un piacere per gli occhi: le panoramiche delle metropoli, le inquadrature dall’alto, in aereo o in elicottero, la rappresentazione del mondo cibernetico – tra cavi, processori e strumenti vari- come un mondo a sé stante, che vive delle proprie regole, nonché la straordinaria sequenza del conflitto a fuoco nel tunnel e tra i container (dove Mann fa uso del digitale in maniera assolutamente innovativa).
Da non perdere. Chapeau.
data di pubblicazione 13/03/2015
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da Antonio Iraci | Mar 12, 2015
(Teatro Due – Roma, 10/14 marzo 2015)
A vussìa cuntamu stu cuntu. Con questo “incipit” i due protagonisti ci raccontano una storia popolare siciliana nella quale non possono mancare gli ingredienti di base: storia, leggenda, tragedia, farsa.
Ma chi può rappresentare al meglio tutto questo se non la marionetta? I pupi nel gergo siculo. Ed ecco qui rappresentata la storia (u cuntu), tratta da un romanzo di Andrea Camilleri e basata su un episodio storico del 1718 quando, a seguito di una rivolta popolare contro la guarnigione sabauda al potere, Zosimo, contadino istruito, diventerà il Re di Girgenti, anche se per poco.
Domata la rivolta verrà infatti condannato a morte, ma dal patibolo il suo spirito potrà finalmente volare libero su un aquilone e da quel punto di osservazione, sempre più alto nel cielo, potrà osservare le miserie del mondo, ma anche l’immensità dell’universo.
Sorprendenti le interpretazioni di Massimo Schuster, pluripremiato attore e regista lodigiano che ha fondato nel 1975 il Théâtre de l’Arc-en-Terre e del catanese Fabio Monti, direttore artistico e fondatore della Compagnia EmmeA’ Teatro, che danno voce alle varie marionette in un serrato e ben espressivo dialetto siculo, diventando loro al tempo stesso marionette con una mimica drammaturgica degna dei migliori cantastorie siciliani di un tempo.
Di conseguenza, non è tanto la vicenda narrata che tiene tutti con il fiato sospeso, quanto l’intensità dei suoni degli strumenti utilizzati, ora prorompenti ora appena percettibili, che fanno da accompagno a quella specifica musicalità del dialetto utilizzato che, grazie al buon Camilleri, è entrato oramai a far parte del lessico familiare italiano.
data di pubblicazione 12/03/2015
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da Alessandro Pesce | Mar 9, 2015
L’eccentrico collezionista d’arte Lord Charlie Mortdecai ha un debito di 8 milioni di sterline con il governo inglese e allora decide di accettare l’incarico di recuperare un dipinto, rubato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, che sarebbe la chiave del segreto dell’oro del Terzo Reich. Se riuscisse nell’intento potrebbe pagare il debito e non sarebbe costretto a vendere o affittare ai turisti la sua sontuosa residenza, prospettiva che lo terrorizza.
Adattamento della prima avventura del personaggio letterario creato da Kyril Bongfiglioli, la tipologia di narrazione prelude a mio avviso a una serialità anche perché le caratteristiche dei personaggi sono assai felici: il protagonista con le sue manie estetiche e la passione per i propri baffi, la fedeltà granitica della coppia che resiste ad ogni attacco, la straordinaria guardia del corpo, deus ex machina in molti frangenti, con l’unico punto debole della propria erotomania e infine il bizzarro ispettore di Scotland Yard perennemente innamorato di Lady Johanna.
Il regista David Koepp che cambia stile a ogni film, qui giustamente s’è buttato sul fumetto tecnologico rispettando però un’aura postmoderna che regala fascino all’ambientazione
L’insieme è molto brillante, con qualche calo di mordente dovuto più che altro all’eccessiva lunghezza del plot.
Depp ovviamente è a suo agio in questo ennesimo personaggio- “maschera” in cui si sta specializzando; piuttosto scipiti invece Ewan Mc Gregor e la Paltrow, molto efficaci i personaggi di contorno.
data di pubblicazione 09/03/2015
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