da Accreditati | Nov 6, 2014
Parenti serpenti è una splendida commedia drammatica del grande Mario Monicelli. Ambientato a Sulmona durante le festività natalizie, il film descrive perfettamente un falso clima di festa tra i componenti di una numerosa famiglia che sono soliti riunirsi una volta l’anno, facendo finta di essere felici di rivedersi, e mette subito in evidenza quel sottile filo di invidia che esiste tra i fratelli e sorelle e rispettivi consorti, le maldicenze dette a mezza bocca, le falsità. L’ambiente poi si riscalda ulteriormente allorquando la notte di Natale gli anziani genitori (Paolo Panelli e Pia Velsi), di fronte alla tavola imbandita con ogni ben di Dio ed ingenuamente contenti di essere circondati dall’affetto dei figli (Marina Confalone, Monica Scattini, Eugenio Masciari e Alessandro Haber), nipoti, generi e nuora, comunicano che non se la sentono di vivere più da soli e che vorrebbero tanto andare a vivere con uno dei loro 4 figli. Iniziano le prime discussioni, che nei giorni a seguire sfociano in accesi litigi, sino ad arrivare ad un epilogo drammatico ed imprevedibile nella notte di capodanno. A questo film, decisamente imperdibile, vogliamo abbinare un tipico piatto abruzzese per il giorno di Natale: il brodo col cardone, conosciuto anche come zuppa di Natale con cardone e brodo di cappone.
INGREDIENTI (per 6-8 persone): 1.5 kg di cardone – 1 kg di carne possibilmente di cappone – 300 gr di carne macinata – pane raffermo – mollica di pane a dadi – quattro uova- una cipolla – un sedano – un po’ di indivia riccia – una carota – due foglioline di prezzemolo – una bottiglia di passata di
pomodoro – due cucchiai di parmigiano – sale q.b. – olio extra vergine di oliva
PROCEDIMENTO: Il cardo è una pianta, che viene pulita per bene, tagliata a cubetti e poi messa a lessare, per molto e molto tempo. A parte si fa il classico brodo di cappone, quando il cardo è cotto, si scola, e si versa nel brodo e si fa insaporire con quest’ultimo. Vengono aggiunte poi le polpettine di macinato, e la stracciatella con uovo e parmigiano, il pane fritto… una vera bomba calorica, ma davvero ottima. E’ una preparazione lunga, ed infatti si fa solo a Natale… per fortuna ora si trova in commercio il cardo già pulito e fatto a dadini. Questo piatto tradizionale si consuma il giorno di Natale: il brodo, come da tradizione, viene fatto con cappone e viene lasciato bollire per circa tre ore. Per accorciare i tempi di cottura, si può utilizzare la pentola a pressione, il risultato è garantito! Prendete la carne di cappone, lavatela, immergetela in due-tre litri di acqua fredda affinché ceda gradatamente i propri succhi durante la cottura. Aggiungete alla carne: una grossa cipolla sbucciata, una carota pulita, una costa di sedano con le sue foglie, alcuni cucchiai di passata di pomodoro, a vostro gusto, per dare colore al brodo. Le verdure vanno lessate a parte e lasciate intere. Salate, chiudete ermeticamente e lasciate bollire per un’ora e mezza circa, a fiamma bassa. Ultimata la cottura, il brodo va lasciato raffreddare, affinché il grasso in eccesso si rapprenda e possa essere sottratto con una schiumarola. La carne bollita può essere consumata nei giorni successivi. Nel brodo vengono tuffati: della polpettine di carne macinata e soffritta, le coste di cardone sbollentate e tagliate a pezzetti, la stracciatella cioè un battuto di 2 uova e parmigiano e dei pezzetti di mollica di pane fritto. Per le polpettine: prendete la carne macinata, conditela con un po’ di sale e prezzemolo, bagnatevi le mani e procedete fare della palline di composto, delle dimensioni di una nocciola. Soffriggetele in un cucchiaio di olio extravergine d’oliva e tenetele da parte. Il cardone va pulito scartandone le parti più dura, tagliato a cubetti e sbollentato. Lo scarto è molto, pulitelo coi guanti o vi resteranno le mani nere! Lo stesso vale per l’indivia che dovrà essere sbollentata e finemente tagliata. Il piatto finito è molto buono, la fatica sarà ripagata!
da Maria Letizia Panerai | Nov 6, 2014
E’ il primo film di Ozpetek ambientato nel Salento, ed ha ottenuto molti riconoscimenti internazionali, oltre a 2 David di Donatello 5 Nastri d’argento. Ritroviamo la coralità delle Fate Ignoranti e di Saturno Contro, ma anche una maggiore maturità del regista che appare evidente dalla generosa ironia che aleggia in tutto il film. Bravissimi gli attori. Bellissima la colonna sonora, con due canzoni, una di Patty Pravo e una di Nina Zilli, degne di nota. Abbiniamo a questo film, da rivedere in compagnia di amici, una ricetta a base di orecchiette, veloce e fresca. Ecco la nostra ricetta di orecchiette estive.
INGREDIENTI: 1/2kg di orecchiette fresche -3 carote e 3 zucchine tagliate a julienne – 3 etti di tonno tagliato a cubetti o 1 scatola da 3 etti di tonno in scatola sotto vetro – un pezzetto di zenzero – qualche cappero sotto aceto – 1 acciuga – la buccia grattugiata di un limone – sale e pepe q.b. – olio.
PROCEDIMENTO: Mettere a rosolare con un pò di olio, i cubetti di tonno in una pentola wok (se non si usa il tonno fresco, non bisogna fare questo passaggio); togliere il tonno dopo qualche minuto, aggiungere un po’ di olio e mettere a cuocere nel fondo di cottura così ottenuto le carote e le zucchine tagliate a julienne ed alzare la fiamma: devono cuocere a fuoco vivo. Finita la cottura (devono restare croccanti), aggiungere di nuovo il tonno (in scatola o a cubetti precedentemente rosolati), girare e spegnere il fuoco. Ripassare le orecchiette scolate al dente nel wok con tonno e zucchine; spegnere il fuoco ed aggiungere a crudo un trito fatto da: 1 acciuga, qualche cappero, un pezzetto di zenzero e la buccia di un limone grattugiata. Servire con foglie di basilico fresco ed una spruzzata di olio a crudo. Piatto ottimo per le cene estive.
da Giulio Luciani | Nov 4, 2014

(Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2014 – Concorso)
Acclamato vincitore dell’Orso d’argento per la regia a Berlino 2014 e opera di fiction in cui l’elemento della fantasia è davvero ridotto al minimo, a chi mi chiedesse cos’è Boyhood, risponderei che è un ritratto dell’adolescenza maschile raccontata senza i tanti filtri e strumenti manipolativi offerti dal cinema.
A reggere l’intero film sono gli attori principali che hanno animato un set durato ben dodici anni (dal 2002 al 2013) per immortalare ogni cambiamento fisico lasciato dal tempo sui loro corpi e sui loro caratteri. L’adolescenza di Mason (Ellar Coltrane) scorre fluida per quasi tre ore di film, senza annoiare ma senza cercare a tutti i costi l’intrattenimento, limitandosi a fotografare le inquietudini del protagonista, il rapporto di amore e litigio con la sorella, la fragilità e le scelte sbagliate della madre sola (Patricia Arquette) e l’ingenua immaturità del padre (Ethan Hawke).
L’esperimento di far procedere la storia con la crescita e l’invecchiamento naturale del cast, anziché adattare la scelta del cast all’andamento forzoso della narrazione, è indubbiamente affascinante. Altrettanto suggestivo è il percorso a ritroso scelto da Linklater di lavorare sulla sceneggiatura per sottrazione, piuttosto che infarcendo di trovate originali e uniche la vita tutto sommato ordinaria di un adolescente americano come tanti altri. In perfetta sintonia con questa scelta registica, le emozioni sono ben dosate e contenute: è rimesso alla sensibilità dello spettatore se provarle o meno sulla propria pelle e immergersi in questa storia di adolescenza per rivivere un po’ la propria.
Il punto di forza del film è forse proprio questa inversione del classico modo di portare una storia al cinema e Mason conquista un posto in prima fila in quella schiera di adolescenti, straordinariamente ordinari, che hanno lasciato un segno nelle mie letture e nelle mie visioni in sala, dall’Holden Caulfield di Salinger (Il giovane Holden) al Paul Sveck di Cameron e Faenza (Un giorno questo dolore ti sarà utile), passando per l’esoterico Donnie Darko e il sognante Charlie di Noi siamo infinito.
data di pubblicazione 4/11/2014
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da Alessandro Pesce | Nov 3, 2014
(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Prospettive Italia)
Una barca, persone al sole, un senso di attrito tra di loro. Sin dalle prime immagini siamo coinvolti in una specie di attesa, un senso di intrigo, un qualcosa di minaccioso, che le magnifiche scene di mare e di vacanza non attenuano, anzi è come se tutto concorresse all’aspettativa di un eventuale accadimento non piacevole. Poi, una donna giapponese, un bambino che non le parla, un segreto, una condanna, e ancora un ghiaccio che faticosamente si scioglie, la sensazione di thriller psicologico volge allora verso il dramma familiare. Da tenere assolutamente d’occhio questo giovane regista esordiente Leonardo Guerra Seràgnoli, per la bravura registica e la maestria sorvegliatissima nel creare la giusta atmosfera.
Girato in inglese con attori stranieri, collaborazioni di lusso (la super premiata costumista Canonero), un film italiano che sa di internazionale.
data di pubblicazione 3/11/2014
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da Giulio Luciani | Nov 3, 2014
(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Gala)
Gianni Di Gregorio ha regalato al pubblico del festival capitolino una nuova bella commedia, non così distante, per l’insieme di brio, leggerezza e intelligenza, dal suo esordio alla regia con Pranzo di Ferragosto. La commedia (all’) italiana forse non è morta o, quantomeno, può rinascere, se si combinano una costruzione genuina dei personaggi e una narrazione direttamente tratta dal quotidiano, che fa sorridere senza per forza sfociare nella macchietta o nel volgare. La Roma rionale di Trastevere e Monti, sempre generosamente dipinta da Di Gregorio, viene contrapposta ai gelidi palazzoni fuori dal raccordo anulare, finendo col constatare che l’efficienza nel pubblico impiego rimane, al di là del quartiere, una bella chimera. Perché in fondo siamo tutti buoni a nulla e lo sappiamo, anche se non ci piace sentircelo dire.
data di pubblicazione 3/11/2014
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da Maria Letizia Panerai | Nov 2, 2014
Massimiliano Bruno, interprete assieme a Claudio Bisio, Marco Giallini, Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Paola Minaccioni, Pietro Sermonti e Caterina Guzzanti di Confusi e felici, è anche regista della pellicola, alla sua terza esperienza dopo l’esordio con Viva l’Italia ed il successo di Nessuno mi può giudicare. Il film, ambientato a Roma, è in parte intriso del solito cliché della romanità dalla battuta facile ed è un insieme scomposto di sitcom collegate alla vicenda del protagonista, lo psicanalista Marcello (Bisio), che in seguito alla diagnosi di una malattia degenerativa agli occhi che lo porterà di lì a poco alla cecità, decide di abbandonare i suoi pazienti e le loro problematiche, per rinchiudersi nell’attesa dolorosa (e poco credibile) dell’irreparabile, scatenando degli inevitabili effetti a catena. Intanto, l’idea iniziale dello psicanalista che abbandona i pazienti a sé stessi per “questioni di salute”, non è una vera e propria novità: basti pensare alla scena di apertura del film di Carlo Verdone Ma che colpa abbiamo noi del 2003, in cui i frequentatori di un’anziana psicoterapeuta, si ritrovano all’improvviso a doversi “autogestire” perché durante una seduta di gruppo ella muore di infarto davanti a loro. Per quanto concerne invece gli interpreti, emergono maggiormente Giallini, Papaleo e la Minaccioni, attori con performance alle spalle già di buon livello e non solo da commedia; tuttavia, non ce la fanno a dare alla pellicola quella continuità comica che ci si aspetterebbe, a causa di una sceneggiatura, sempre di Bruno, non certo all’altezza delle precedenti esperienze (Notte prima degli esami ed Ex di Brizzi ed il delizioso Tutti contro tutti di Ravello), ma più da sketch televisivo, che riesce a strappare di tanto in tanto un sorriso allo spettatore regalando anche lunghi momenti di noia.
data di pubblicazione 2/11/2014
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da Alessandro Pesce | Ott 31, 2014
Il film campione d’incassi in Italia e in Europa dell’inizio stagione è questo Lucy con il quale Luc Besson torna a occuparsi di un personaggio femminile fuori da tutti gli schemi, come aveva già fatto in Nikita e nella sua personalissima versione di Giovanna D’Arco. Qui abbiamo una ragazza dalla vita sregolata e con un quoziente intellettivo mediocre che si trova catapultata in un intrigo molto più grande di lei di cui evitiamo di citare tutte le fasi drammaturgiche perché oltremodo complicate e perché si rischierebbe di anticipare le parti migliori del film. Basti sapere che Lucy dovrà nascondere nel proprio stomaco un tipo di droga nuova e potentissima che la trasformerà in un essere super-umano che avrà infinite possibilità cognitive, arrivando alla fine a poteri soprannaturali quasi fosse Dio. L’idea pare che sia venuta a Besson da una vecchia teoria per cui l’uomo sfrutta in media una bassa percentuale del suo potenziale mentale e chiedendosi che succederebbe se provasse a sfruttarne, invece, il 100 per cento. Ipotesi fascinosa e vertiginosa, che alla prova della realizzazione cinematografica senz’altro diverte ma solo in parte convince. Infatti tutto sfocia in un susseguirsi di scene esplosive, ipercinetiche tra interminabili sparatorie a lungo andare stucchevoli. E non bastano spruzzatine di metafisica e punte di filosofia di sunti Bignami per connotarle di fantascienza intelligente. Quanto alla protagonista Scarlett Joansson, non si riesce a capire perché un’attrice della sua levatura si vada specializzando in fanta-figure femminili (la voce tecnologica di Her, l’aliena di Under The Skin e ora Lucy) dove le doti interpretative escono umiliate.
data di pubblicazione 31/10/2014
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da T. Pica | Ott 30, 2014
(Teatro Brancaccio – Roma, 27 settembre/8 ottobre 2014)
Dignità Autonome di Prostituzione (DAdP) di Luciano Melchionna, format presentato a un pubblico di nicchia già 3 anni fa, è andato in scena al Brancaccio di Roma. Lo spettacolo, dai colori, dai suoni e dal ritmo coinvolgenti, muove da uno scopo ben preciso: far riscoprire al pubblico che il mestiere dell’attore non è semplice e non si improvvisa, e lo fa affidando ad oltre 30 personaggi – ragazze e ragazzi che hanno studiato, fatto la gavetta e hanno veramente calpestato e vissuto il palcoscenico con la “P” – la “vendita di pillole di piacere”. In modo provocatorio e giocoso il regista, oltre che sceneggiatore, trasforma il Teatro Brancaccio in un grande bordello popolato dai personaggi più curiosi, cupi, divertenti e colorati e il leit motive, ribadito da ciascun personaggio quando “adesca” il gruppo di pubblico interessato ad assistere al suo monologo (ovvero alla pillola di piacere), è mi paghi prima e anche dopo se ti è piaciuto. E così ogni spettatore viene accompagnato, dal venditore della pillola di piacere teatrale scelta, nei pertugi più nascosti ed insoliti, solitamente inaccessibili durante gli spettacoli teatrali canonici, come i bagni, il seminterrato, le sale di regia, un balcone incantato del Palazzo Brancaccio, l’interno della jeep parcheggiata a Via Mecenate a pochi passi dal Teatro, ed assiste a dei monologhi davvero toccanti. Lo spettatore, durante una serata al Bordello (dalle 21.00 alle 00.30 circa) può assistere, ovviamente previo pagamento contrattato con ogni “prostituta” – e realizzato con i “dollarini” consegnati dal proprietario del “bordello” all’ingresso nel Teatro -, fino a un massimo di 5 monologhi. Monologhi che – nonostante i lustrini, le pailettes, le frasi ambigue, le carezze e gli sguardi ammiccanti delle “prostitute” (uomini e donne) che “adescano” ed offrono la propria pillola/monologo – si “scontrano” con la facciata di superficialità e spensieratezza cantata, ballata e suonata dagli attori, trattando storie e tematiche spesso drammatiche che spiazzano lo spettatore in un continuo alternarsi tra frivolezza, musiche e balli, da un lato, e commozione, riflessioni sulle molteplici realtà drammatiche del nostro paese, dall’altro. Luciano Melchionna ha scritto e riadattato con ciascun attore la pillola di piacere/monologo, realizzando tanti piccoli capolavori di teatro moderno che mettono in risalto la bravura, l’espressività e il talento di ciascuna “prostituta” restituendo, appunto, la dignità al mestiere dell’attore completo a 360 gradi. Lo spettatore riesce a vivere un’esperienza piena e originale e a respirare il vero significato di “fare teatro”.
data di pubblicazione 30/10/2014
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da Antonio Iraci | Ott 30, 2014
La ricetta del pollo alla marocchina che vi proponiamo, ci ha ispirato l’abbinamento al un film cult hollywoodiano Casablanca (3 premi Oscar), diretto da Michael Curtiz, con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Ambientato in Marocco nel 1941, è una sottile opera antinazista raccontata attraverso l’analisi di una galleria di personaggi, tra i quali Rick Blaine (Bogart), proprietario di un famoso bar a Casablanca, che aiuta Ilsa (Bergman), la donna di cui è ancora innamorato, e suo marito, perseguitato politico, a lasciare in aereo la città. E sulla scia di Suonala ancora, Sam, la frase che più di ogni altra cosa identifica immediatamente questa pellicola, vi invitiamo a provare questa semplice ma sorprendente ricetta a base di pollo. Sovracosce di pollo alla marocchina.
INGREDIENTI (per 4 persone): 8 sovracosce di pollo – due cipolle bianche – mezzo bicchiere vino bianco – 2 peperoni rossi – un cucchiaio di curry – 200 grammi di albicocche e di prugne snocciolate secche – 50 grammi di mandorle spellate – olio, sale , pepe, peperoncino q.b..
PROCEDIMENTO: Fare soffriggere in abbandonate olio di oliva, insieme alle cipolle, le sovracosce di pollo, pulite della pelle, e fare sfumare con un mezzo bicchiere di vino bianco. Aggiungere i peperoni tagliati a listarelle e lasciare cuocere a fuoco lento. Aggiungere gradualmente le spezie secondo la volontà desiderata; 5 minuti prima della fine della cottura aggiungere la frutta secca. Il pollo va accompagnato da riso bianco bollito e servito caldo.
da Maria Letizia Panerai | Ott 30, 2014
(Orso d’oro al Festival di Berlino)
Un giovane imprenditore di Taiwan, vive con il suo compagno Simon a New York. Pur di accontentare i genitori oramai anziani, che ignorano la sua omosessualità, decide di sposare una ragazza cinese. In realtà la giovane donna rischia l’espulsione e l’accordo è di separarsi subito dopo le nozze. Le “finte-vere” nozze ed un figlio alquanto inaspettato in arrivo, genereranno molta confusione in tutti, ma saranno anche il pretesto per un avvicinamento tra il giovane Wai-Tung e gli anziani genitori, con un finale degno di un grande film.
Eccovi una nuova ricetta dal gusto orientale, da accompagnare con del riso pilaf arricchito da pinoli ed uvetta passa o con una purea di mele renette. Arista di maiale all’orientale.
INGREDIENTI (x 4 persone): 1/ 2 KG di arista di maiale tagliata a bocconcini. – un pentolino di brodo vegetale – 4 prugne secche denocciolate -2 mele renette piccole -1 rametto di rosmarino – sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO: Mettere in una pentola antiaderente dal bordo alto l’olio ed i bocconcini (non troppo piccoli) di arista di maiale, aggiungere il rametto di rosmarino; correggete di sale e pepe nero e fate rosolare. Quando osserverete la crosticina, bagnate il tutto con del brodo vegetale ben caldo sino a coprire parzialmente la carne. Coprite e fate cuocere a fuoco basso per circa 20 minuti. Quindi togliete il rametto di rosmarino e aggiungete le prugne fatte a pezzettini e le due mele sbucciate e tagliate a fette; se necessario irrorare ancora con del brodo vegetale caldo e fate cuocere ancora per 15/20 minuti a fuoco basso. A fine cottura, togliere momentaneamente la carne ed immergere nel sugo rimasto nella pentola un frullatore ad immersione; rimettere la carne e girare. Servire.
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