DIGNITA’ AUTONOME DI PROSTITUZIONE (DAdP) di Luciano Melchionna

DIGNITA’ AUTONOME DI PROSTITUZIONE (DAdP) di Luciano Melchionna

(Teatro Brancaccio – Roma, 27 settembre/8 ottobre 2014)

Dignità Autonome di Prostituzione (DAdP) di Luciano Melchionna, format presentato a un pubblico di nicchia già 3 anni fa, è andato in scena al Brancaccio di Roma. Lo spettacolo, dai colori, dai suoni e dal ritmo coinvolgenti, muove da uno scopo ben preciso: far riscoprire al pubblico che il mestiere dell’attore non è semplice e non si improvvisa, e lo fa affidando ad oltre 30 personaggi – ragazze e ragazzi che hanno studiato, fatto la gavetta e hanno veramente calpestato e vissuto il palcoscenico con la “P” – la “vendita di pillole di piacere”. In modo provocatorio e giocoso il regista, oltre che sceneggiatore, trasforma il Teatro Brancaccio in un grande bordello popolato dai personaggi più curiosi, cupi, divertenti e colorati e il leit motive, ribadito da ciascun personaggio quando “adesca” il gruppo di pubblico interessato ad assistere al suo monologo (ovvero alla pillola di piacere), è mi paghi prima e anche dopo se ti è piaciuto. E così ogni spettatore viene accompagnato, dal venditore della pillola di piacere teatrale scelta, nei pertugi più nascosti ed insoliti, solitamente inaccessibili durante gli spettacoli teatrali canonici, come i bagni, il seminterrato, le sale di regia, un balcone incantato del Palazzo Brancaccio, l’interno della jeep parcheggiata a Via Mecenate a pochi passi dal Teatro, ed assiste a dei monologhi davvero toccanti. Lo spettatore, durante una serata al Bordello (dalle 21.00 alle 00.30 circa) può assistere, ovviamente previo pagamento contrattato con ogni “prostituta” – e realizzato con i “dollarini” consegnati dal proprietario del “bordello” all’ingresso nel Teatro -, fino a un massimo di 5 monologhi. Monologhi che – nonostante i lustrini, le pailettes, le frasi ambigue, le carezze e gli sguardi ammiccanti delle “prostitute” (uomini e donne) che “adescano” ed offrono la propria pillola/monologo – si “scontrano” con la facciata di superficialità e spensieratezza cantata, ballata e suonata dagli attori, trattando storie e tematiche spesso drammatiche che spiazzano lo spettatore in un continuo alternarsi tra frivolezza, musiche e balli, da un lato, e commozione, riflessioni sulle molteplici realtà drammatiche del nostro paese, dall’altro. Luciano Melchionna ha scritto e riadattato con ciascun attore la pillola di piacere/monologo, realizzando tanti piccoli capolavori di teatro moderno che mettono in risalto la bravura, l’espressività e il talento di ciascuna “prostituta” restituendo, appunto, la dignità al mestiere dell’attore completo a 360 gradi. Lo spettatore riesce a vivere un’esperienza piena e originale e a respirare il vero significato di “fare teatro”.

data di pubblicazione 30/10/2014


Il nostro voto:

CASABLANCA di Michael Curtiz, 1942

CASABLANCA di Michael Curtiz, 1942

La ricetta del pollo alla marocchina che vi proponiamo, ci ha ispirato l’abbinamento al un film cult hollywoodiano Casablanca (3 premi Oscar), diretto da Michael Curtiz, con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Ambientato in Marocco nel 1941, è una sottile opera antinazista raccontata attraverso l’analisi di una galleria di personaggi, tra i quali Rick Blaine (Bogart), proprietario di un famoso bar a Casablanca, che aiuta Ilsa (Bergman), la donna di cui è ancora innamorato, e suo marito, perseguitato politico, a lasciare in aereo la città. E sulla scia di Suonala ancora, Sam, la frase che più di ogni altra cosa identifica immediatamente questa pellicola, vi invitiamo a provare questa semplice ma sorprendente ricetta a base di pollo. Sovracosce di pollo alla marocchina.

 INGREDIENTI (per 4 persone): 8 sovracosce di pollo – due cipolle bianche – mezzo bicchiere vino bianco – 2 peperoni rossi – un cucchiaio di curry – 200 grammi di albicocche e di prugne snocciolate secche – 50 grammi di mandorle spellate – olio, sale , pepe, peperoncino q.b..

PROCEDIMENTO: Fare soffriggere in abbandonate olio di oliva, insieme alle cipolle, le sovracosce di pollo, pulite della pelle, e fare sfumare con un mezzo bicchiere di vino bianco. Aggiungere i peperoni tagliati a listarelle e lasciare cuocere a fuoco lento. Aggiungere gradualmente le spezie secondo la volontà desiderata; 5 minuti prima della fine della cottura aggiungere la frutta secca. Il pollo va accompagnato da riso bianco bollito e servito caldo.

BANCHETTO DI NOZZE di Ang Lee, 1993

BANCHETTO DI NOZZE di Ang Lee, 1993

(Orso d’oro al Festival di Berlino)

Un giovane imprenditore di Taiwan, vive con il suo compagno Simon a New York. Pur di accontentare i genitori oramai anziani, che ignorano la sua omosessualità, decide di sposare una ragazza cinese. In realtà la giovane donna rischia l’espulsione e l’accordo è di separarsi subito dopo le nozze. Le “finte-vere” nozze ed un figlio alquanto inaspettato in arrivo, genereranno molta confusione in tutti, ma saranno anche il pretesto per un avvicinamento tra il giovane Wai-Tung e gli anziani genitori, con un finale degno di un grande film.

Eccovi una nuova ricetta dal gusto orientale, da accompagnare con del riso pilaf arricchito da pinoli ed uvetta passa o con una purea di mele renette. Arista di maiale all’orientale.

INGREDIENTI (x 4 persone): 1/ 2 KG di arista di maiale tagliata a bocconcini. – un pentolino di brodo vegetale – 4 prugne secche denocciolate -2 mele renette piccole -1 rametto di rosmarino – sale e pepe q.b.

PROCEDIMENTO: Mettere in una pentola antiaderente dal bordo alto l’olio ed i bocconcini (non troppo piccoli) di arista di maiale, aggiungere il rametto di rosmarino; correggete di sale e pepe nero e fate rosolare. Quando osserverete la crosticina, bagnate il tutto con del brodo vegetale ben caldo sino a coprire parzialmente la carne. Coprite e fate cuocere a fuoco basso per circa 20 minuti. Quindi togliete il rametto di rosmarino e aggiungete le prugne fatte a pezzettini e le due mele sbucciate e tagliate a fette; se necessario irrorare ancora con del brodo vegetale caldo e fate cuocere ancora per 15/20 minuti a fuoco basso. A fine cottura, togliere momentaneamente la carne ed immergere nel sugo rimasto nella pentola un frullatore ad immersione; rimettere la carne e girare. Servire.

AUTUMN IN NEW YORK di Joan Chen, 2000

AUTUMN IN NEW YORK di Joan Chen, 2000

E’ uno degli ultimi ruoli da “spaccacuori” del bel Richard, imbiancato ma all’apice del fascino, oltre che del successo! Film non certo da elogiare per quanto attiene ad originalità (basti pensare all’inossidabile Love Story), ma sicuramente di grande ambientazione, in una New York autunnale meravigliosa, con lui che è un famoso ristoratore pieno di donne che cadono ai suoi piedi e lei una giovane donna (molto sfortunata) che per hobby costruisce cappelli come fossero sculture da indossare, il tutto avvolto dal colore autunnale delle foglie che cadono dagli alberi che costeggiano laghi, circondano parchi e giochi d’acqua, avvolgono panchine in una magica Central Park! E come non associare alle cose belle da fare in autunno, se non una meravigliosa ciambella americana, soffice e profumata? La ricetta ci è stata regalata dalla nostra amica Claudia e a lei la dedichiamo in quanto, oltre ad essere una grande cuoca, è anche una irriducibile ammiratrice di Richard Gere!

INGREDIENTI: 300 gr. di farina – 300 gr. di zucchero semolato – 130 gr. di olio di semi e 180 gr. di acqua tiepida – 6 uova grandi – 1 bustina di lievito per dolci – 1 bustina di cremore di tartaro (lievito che si trova anche al supermercato)  – 1 pizzico di sale – 1 bustina di vanillina o i semi del baccello di vaniglia – la buccia di un limone non trattato grattugiata – zucchero a velo q.b..

PROCEDIMENTO: Scaldare il forno a 150° sopra e sotto, non termo-ventilato. Procurarsi la teglia apposita per ciambella americana di alluminio con il buco centrale e con le sponde molto alte perché la torta cresce tantissimo. In mancanza si può provare con la forma per ciambelle con buco in cartone, purché molto alta tipo quella da panettone. Setacciare la farina, aggiungere lo zucchero, il pizzico di sale, il lievito, la vanillina o i semi del baccello di vaniglia, la buccia del limone grattugiata; emulsionare olio e acqua tiepida ed unire lentamente agli ingredienti sopra descritti. Unire, ad uno ad uno, i rossi delle 6 uova amalgamando bene, e mettere gli albumi in un recipiente dove verranno montati a neve assieme al cremore di tartaro. Amalgamare delicatamente gli albumi montati al composto, mescolando dal basso verso l’alto. Ungere lievemente la teglia con olio, asciugarla con della carta da cucina, e mettervi il composto. Cuocere per 1 ora e 15 minuti a 150°. Vietato aprire il forno durante la cottura! Rovesciare la torta una volta sfornata ed attendere che si freddi a testa in giù. Una volta raffreddata, metterla in un grande piatto e spolverare di zucchero a velo.

DIARIO DI ALCUNI ACCREDITATI AL FESTIVAL DI ROMA 2014: CONCLUSIONI

DIARIO DI ALCUNI ACCREDITATI AL FESTIVAL DI ROMA 2014: CONCLUSIONI

Come da programma il Festival Internazionale del Film di Roma, iniziato con Soap opera di Brizzi, si è concluso con Andiamo a quel paese di Ficarra e Picone: due pellicole tutte italiane, anzi, di quel genere leggero che si dice piaccia tanto agli italiani. Ma in realtà all’uscita dalle sale, dopo la proiezione di entrambi i film, si sono registrati commenti a mezza via tra l’incredulità e la rassegnazione e seppur sia nelle “regole del gioco” che un Festival sia fatto di cose belle e di cose brutte, è comunque opinabile la scelta di affidare il prologo e l’epilogo di questa edizione 2014 a quel cinema italiano che forse non piace così tanto neppure agli italiani; specie in considerazione del fatto che la manifestazione ha dimostrato di avere in pancia pellicole di alto livello, tra le quali alcune proprio made in Italy: basti pensare ai vincitori del Premio Taodue Camera d’Oro alla migliore Opera prima, Andrea Di Stefano e Lorenzo Guerra Seràgnoli.

Una gradazione di emozioni hanno coinvolto, sconvolto, appagato e ripagato i volenterosi “Accreditati per passione e non per professione” in queste giornate festivaliere, partite male, continuate in sordina ed esplose in contenuti e pubblico nei giorni a seguire: dal riso appagante (ma a tratti amaro) di Buoni a nulla fino alle lacrime bollenti (ma non disperate) di Still Alice, dagli intrighi al cardiopalma di Gone Girl, alle algide atmosfere che sottendono sottili emozioni di Last Summer, sino alla crudeltà di Benicio del Toro in Escobar: Paradise Lost e all’alto grado adrenalinico di Nightcraeler, per arrivare al poetico realismo di documentari come Roma Termini e concludere con l’infinita tenerezza e profondità di buona parte delle pellicole della Sezione Alice.

E dunque, se è pur vero che chi va a vedere pellicole cosiddette “leggere” non può aspettarsi di più, è anche lecito aspettarsi di più da chi le sceglie per noi; e se anche il futuro del Festival di Roma potrebbe essere il suo accorpamento con il Fiction Fest di Carlo Freccero, si spera tanto che possano continuare ad essere proiettate pellicole come Trash, che ha meritatamente vinto quest’anno, e che i lavori italiani siano sempre rappresentativi del buon cinema di casa nostra, perché sicuramente noi siamo i figli, dei figli, dei figli di Michelangelo e Leonardo…. (Good Morning Babilonia di Paolo e Vittorio Taviani, 1987), ma anche gli eredi di De Sica, Fellini, Visconti, Pasolini, Bertolucci….

data di pubblicazione 27/10/2014

DIARIO DI ALCUNI ACCREDITATI AL FESTIVAL DI ROMA 2014: CONCLUSIONI

STONEHEARTS ASYLUM di Brad Anderson

(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Mondo Genere)

Evidentemente il Festival del film di Roma ha un rapporto speciale con l’isteria femminile, visto che nel 2011 c’era in concorso il film Hysteria, ambientato nel 1883 , e quest’anno la scena iniziale di  Stonehearst Asylum, ambientato nel 1899, si apre con la presentazione di un caso di isteria femminile. Ma la coincidenza non deve stupire, vista l’epoca di ambientazione di entrambi i film, alle soglie di quel nuovo secolo che porterà, tra le sue più grandi esperienze, quella della psicoanalisi, di Freud e tutto ciò che ne seguirà. Ma il caso femminile analizzato in apertura è una sorta di prologo che ci trasferisce poi nell’oscuro, inquietante e nebbioso Stonehearst Asylum. Avremo a disposizione un eroe e un’eroina per cui fare il tifo, scopriremo subito che i buoni sono cattivi e i cattivi quasi tutti buoni, ci lasceremo cullare da un racconto ritmato, ben recitato, senza particolari punte o meriti, che però si lascia seguire volentieri fino all’epilogo finale, che ci riporterà, per un secondo, in quell’aula universitaria da cui tutto era partito. Ben Kinsley e Michael Caine valgono da soli il biglietto.

data di pubblicazione 26/10/2014








DIARIO DI ALCUNI ACCREDITATI AL FESTIVAL DI ROMA 2014: CONCLUSIONI

PHOENIX di Christian Petzold

(Festival Internazionale del film di Roma 2014 – Gala)

Nelly torna a Berlino con i segni dell’orrore della storia sul volto, l’orrore di Auschwitz che la trasfigura.  L’operazione di chirurgia plastica che le restituisce un nuovo volto gioca con la questione dell’identità, quella di una nazione, di un popolo, quello tedesco, che si trova anch’esso, dopo la guerra, ad dover affrontare la deturpazione del proprio volto, della propria identità, anche nel suo essere e riconoscersi carnefice. Integra è invece l’identità di Nelly che però si trova di fronte alla cecità (a tratti inverosimile) di un marito che ora non la riconosce nella sua nuova pelle. Ma per intascare l’eredità della moglie che presume morta, decide di trasformarla a sua immagine e somiglianza, suscitando immancabilmente nello spettatore l’eco di un Vertigo d’annata. Raffinato racconto anche se mancante di ritmo, che si conclude con una piccola perla, la bellissima Speak Low di Kurt Weil.

data di pubblicazione 26/10/2014








DIARIO DI ALCUNI ACCREDITATI AL FESTIVAL DI ROMA 2014: CONCLUSIONI

ANGELS OF REVOLUTION di Aleksei Fedorchenko

Angeli con tanto di ali di piume che sbucciano patate, una mostra di pittura suprematista, il commissariato del popolo per il cielo, il cinema proiettato sulla scia di fumo di un falò: suggestioni del cinema poetico di Fedorchenko, questa volta al servizio della storia, del racconto del tentativo di collettivizzazione sovietica del Karym, nel 1934. Le immagini,  selezionate per la loro valenza simbolica e poetica e confezionate con la consueta maestria cui il maestro russo ci ha abituato, si imprimono, come scene pittoriche, negli occhi e nel cuore dello spettatore, lasciandolo intento ad assaporare la poesia, la pittura, e anche parte di una storia poco conosciuta, raccontata con l’ironia e l’atteggiamento di chi guarda ad un passato che sembra lontanissimo, in cui affonda comunque le radici l’arte stessa del regista.

data di pubblicazione 26/10/2014








DIARIO DI ALCUNI ACCREDITATI AL FESTIVAL DI ROMA 2014: CONCLUSIONI

BIAGIO di Pasquale Scimeca

(Festival Internazionale del Film di Roma 2014 – Cinema d’Oggi)

 

Tra la purezza dei boschi e delle montagne che si espandono appena fuggiti da Palermo ha inizio la storia di Biagio di Pasquale Scimeca. Il film ci regala una buona interpretazione di Marcello Mazzarella che, dopo ruoli di secondo e terzo piano – da ultimo al Festival di Roma 2013 con il film “Come il vento” -, approda al grande schermo con il ruolo di Biagio. La storia, senza alcun preambolo o flash back sulla vita dissoluta e fastosa (o presunta tale) che solitamente precede ogni redenzione intimista o conversione mistica che si rispetti, è la trasposizione della parabola di San Francesco in uno scorcio di Sicilia negli anni Novanta. Biagio, primogenito di un imprenditore di Palermo decide di lasciare tutto, la fidanzata, gli amici, gli ipercalorici pranzi domenicali e i soldi, per divenire parte stessa della natura. Solo nel fisico e quotidiano contatto con la terra brulla, con gli alberi, con la pioggia e il vento, con le montagne e il silenzio, Biagio si sente veramente sereno e felice. Ora ha tutto quello di cui ha veramente bisogno: la serenità mai provata prima, il disinteressato calore umano del cane Libero, fedele compagno di viaggio – coprotagonista presente anche alla proiezione in Sala Sinopoli – e uno scopo, ovvero trovare Dio. Da questa consapevolezza ha inizio l’ascesa di Biagio verso l’Umbria. Una volta provata la gioia immensa dell’incontro con Dio all’interno della Basilica di Assisi, Biagio ha un nuovo scopo, una missione che lo porta a ridiscendere verso gli “inferi” della terra sicula per dedicarsi senza alcuna remora all’assistenza dei senza tetto e di tutti gli emarginati. Versione semplice ed essenziale di un moderno San Francesco dalle sfumature rock grazie al “BobDyliano” inno alla gioia composto da Marco Biscarini per descrivere la potenza e la beatitudine avvertite da Biagio nel suo incontro con Dio all’interno della Basilica di San Francesco da Assisi. Buona la regia e la fotografia, ma il film non tocca le corde giuste e non regala quella catarsi interiore che da un film incentrato sul moto dell’anima e la spiritualità forse ci si aspetterebbe.

data di pubblicazione 26/10/2014







DIARIO DI ALCUNI ACCREDITATI AL FESTIVAL DI ROMA 2014: CONCLUSIONI

BLACK AND WHITE di Mike Binder

(Festival Internazionale del Film di Roma 2014 – Gala)

I premi Oscar Kevin Kostner e Octavia Spencer tornano sul grande schermo nelle vesti di due nonni, pronti a indossare l’armatura di indomiti contendenti nella battaglia legale per l’affidamento della piccola Eloise, rimasta orfana della mamma bianca e con un papà nero troppo dedito alla droga per prendersi seriamente cura di lei.

Due famiglie contrapposte, pronte a gettarsi senza esclusione di colpi nell’arena del tribunale, davanti a un giudice nero e per di più donna, al cospetto di un’America sullo sfondo della quale continua ad agitarsi lo spettro della discriminazione razziale.

Il bianco e il nero si stemperano gradualmente nelle categorie di ciò che è giusto e ciò che non lo è, senza colori netti e lasciando affiorare le innumerevoli sfumature che necessariamente riempiono lo spazio, non sempre così ampio, tra i due opposti cromatici.

Pur con qualche stereotipo di troppo, Black and White riesce nell’intento di veicolare un messaggio non ancora “passato di moda” e reso più incisivo da quel “ispirato a una storia vera”, che attribuisce al racconto una patente di toccante verosimiglianza. Resta forse un film eccessivamente “televisivo”, che non riesce a toccare le corde artistiche che ci si aspetterebbe di sentir vibrare in un Festival del Cinema, ma la prova convincente di tutti gli attori rappresenta un punto di indiscutibile forza. Un giudizio in definitiva né bianco né nero per un film da vedere, magari “in famiglia”.

data di pubblicazione 26/10/2014