da Antonio Iraci | Gen 18, 2017
Marie e Boris, in crisi dopo quindici anni di matrimonio, hanno deciso di separarsi. Anche se lei non sopporta più neanche la vista del marito, di fatto però devono vivere forzatamente ancora sotto lo stesso tetto in quanto lui non ha un lavoro stabile e non può permettersi di trasferirsi altrove. Marie, sempre di cattivo umore, trova ogni possibile pretesto per umiliare Boris di fronte alle loro due bambine, creando situazioni imbarazzanti e fastidiose per entrambi. Alle base dei loro litigi la questione economica da concordare: lui promette di andarsene una volta ottenuta una congrua somma di denaro a titolo di indennizzo per i lavori di ristrutturazione fatti a suo tempo nella casa dove abitano, di cui lei è proprietaria.
Il film Dopo l’amore del belga Joachim Lafosse, molto acclamato nello scorso Festival di Cannes dove è stato presentato nella Sezione Quinzaine des Realisateurs, ci fa riflettere sulle dinamiche di coppia in crisi e come le stesse possano improvvisamente trasformarsi in un crescendo di rancore e odio. I due protagonisti certamente si sono un tempo amati ma oggi nessuno dei due è disposto a sopportare la presenza dell’altro. Ogni discorso iniziato, ogni semplice parola pronunciata, diventano pretesto per scatenare una lite furiosa che solo la presenza delle loro due bambine riesce talvolta a mitigare. La scene si svolgono prevalentemente in uno spazio chiuso, ma non claustrofobico, delimitato dall’interno della casa e del piccolo giardino antistante, il tutto ben protetto dalla vita che si svolge all’esterno. La storia non può che definirsi banale: le questioni economiche che poi diventano il fulcro su cui poggia l’oggetto del contendere di una coppia in crisi non può che ritenersi argomento scontato, non a caso il titolo originale scelto dal regista è L’économie du couple che rimanda non solo alle diatribe sul denaro, ma soprattutto alla gestione vera e propria del rapporto affettivo con i figli, con la richiesta ossessiva del rispetto dei tempi e degli spazi rigorosamente assegnati a ciascuno dei due coniugi. Di fronte a tanta acredine lo spettatore non sa da che parte schierarsi perché l’apparente cattiveria di Marie trova le sue ragioni nel fatto che Boris è incapace di mantenere la famiglia e accumula debiti su debiti che lei regolarmente salda. Molto credibili Bérénice Bejo e Cédric Kahn nel ruolo dei protagonisti: lei ben conosciuta per il film The Artist di Michel Hazanavicius che le valse il Premio César come migliore attrice e ne Il passato di Asghar Farhadi dove vinse a Cannes il premio come migliore attrice; lui meglio noto in Francia come sceneggiatore e regista e meno come attore (Un amore all’altezza di Laurent Tirard).
data di pubblicazione:18/01/2017
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da Antonio Iraci | Gen 13, 2017
Emad e Rana sono felicemente sposati ed il loro è un rapporto molto stabile sia nell’ambito domestico, che in quello teatrale dove entrambi sono impegnati come protagonisti sulla messa in scena del celebre dramma Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. A causa di un cedimento strutturale dell’edificio dove abitano, sono costretti a trasferirsi temporaneamente in un appartamento messo generosamente a disposizione da un altro attore della compagnia. La casa in precedenza era abitata da una donna con un vissuto che i vicini ritengono poco raccomandabile, dato il frequente via vai di uomini che andavano a trovarla. Per una circostanza meramente fortuita Rana viene aggredita in casa da un uomo mentre è in bagno a fare una doccia: da quel momento la coppia comincia avere dei “cedimenti strutturali” come simbolicamente evidenziano le crepe sui muri della loro camera da letto.
Asghar Farhadi, regista, sceneggiatore e produttore iraniano noto in campo internazionale, nel 2011 è stato insignito dell’Orso d’oro a Berlino per il film Una separazione, successivamente premiato anche ai Golden Globe e con l’Oscar come miglior film straniero. Con Il Cliente Farhadi propone una attenta riflessione su un dramma nato all’interno del nucleo familiare, ma che si relaziona con un contesto sociale più generale, quello del suo paese, dove ancora risultano molto evidenti le contraddizioni che caratterizzano l’atteggiamento comune dei confronti delle donne. Rana, la protagonista femminile, apre incautamente la porta di casa ad uno sconosciuto convinta che sia il marito, ma l’aggressione da parte dell’intruso, che immediatamente fugge, la umilia profondamente per essere stata vista nuda dai vicini accorsi in suo aiuto sentendo le sue grida. Ciò che pensa la gente è la sua vera violenza. Emad, il marito, dal canto suo rimane sconvolto per quanto accaduto, ma di fronte all’ostinazione della moglie di non voler sporgere denunzia alla polizia, inizia da solo una caccia spietata verso l’aggressore con il reale intento di lavare l’oltraggio subito. E’ dunque la vendetta l’unica cosa che lo interessa. Lentamente l’intesa tra marito e moglie sembra sgretolarsi, alimentata solo da senso di paura, sfiducia ed onore ferito.
L’abilità cinematografica del regista, oltre ad evidenziare uno studio profondo sulla personalità dei due protagonisti, si basa sulla capacità di saper porre lo spettatore di fronte a due drammi distinti, ma per alcuni tratti convergenti, che riguardano rispettivamente l’accaduto e ciò che invece viene rappresentato nell’azione teatrale, in cui i due si trovano a recitare in coppia.
In entrambi ci si focalizza sulla figura maschile, ancora troppo egocentrica nel tessuto sociale: l’uomo, al centro della scena, vede mettere in seria discussione i propri principi etici e non si riconosce in una società in rapida evoluzione, non riuscendo o non volendo essere al passo con i tempi. Bravissimi gli interpreti.
data di pubblicazione:13/01/2017
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da Antonio Iraci | Gen 12, 2017
Clara, critica musicale oramai in pensione, vive accudita da una fedele domestica nell’ Aquarius, un vecchio stabile di pochi piani attorniato dai grattacieli che danno sul lungomare di Recife. Clara è l’unica inquilina rimasta all’intero dello stabile in quanto tutti gli altri proprietari hanno già da tempo venduto i propri appartamenti ad una società immobiliare, dai traffici poco chiari, che intende rilevare in blocco l’intero edificio per costruire abitazioni di lusso. La donna vedova e con i figli oramai sistemati, si troverà a lottare con caparbia ostinazione contro Diego, giovane ambizioso e responsabile del progetto, allo scopo di difendere la casa dove ha sempre vissuto, circondata dai propri affetti e dai ricordi legati ad una giovinezza oramai lontana.
Era il 1985 quando apprezzammo Sonia Braga ne Il bacio della donna ragno di Hèctor Babenco, a distanza di nove anni da quando nel 1976 la vedemmo per la prima volta nel film di Bruno Barreto Donna Flor e i suoi due mariti, basato sull’omonimo romanzo di Jorge Amado: lo sguardo intenso di allora, appena ventiseienne, non è cambiato ed oggi l’attrice brasiliana ritorna sul grande schermo, dopo anni di assenza, quanto mai in forma, e non solo fisicamente. Nel film Aquarius di Kleber Mendonça Filho interpreta una donna caparbia e battagliera, pronta a tutto pur di difendere il proprio appartamento e, soprattutto, quanto di ricordi in esso custoditi, contro una bieca speculazione edilizia decisa a raggiungere il proprio tornaconto a qualsiasi costo. Clara, ammalatasi da giovane di cancro al seno, ne porta ancora orgogliosamente i segni devastanti come “a non voler dimenticare” tutto del passato, le cose belle e quelle brutte, che l’hanno trasformata in quella che è orgogliosamente oggi. Una donna a cui gli anni non hanno affatto cancellato quel suo fare spigliato carico di una esuberante dose di sensualità, in ogni movimento dei fianchi, della folta chioma corvina, mantenendo intatto il ritratto tipico di donna brasiliana ancora piena di vita e che della vita si nutre.
Il film si regge prevalentemente sulla forte personalità del personaggio di Clara e sul carisma della sua splendida interprete, mentre la sceneggiatura appare agli occhi dello spettatore alquanto sfruttata nei suoi tratti essenziali: la speculazione che divora tutto come un cancro, tentando di spazzare via assieme alle vecchie mura dell’Aquarius ricordi e affetti, e la divisione del film (troppo lungo) in tre capitoli come le fasi della vita di Clara, proiettando ricordi del passato, integri e ben custoditi, nello sfacelo del presente corrotto e devastante, sono tutti elementi che nel loro insieme non brillano certo per originalità.
Sicuramente vincente è la splendida colonna sonora che accompagna le scene: famosi brani brasiliani degli anni ottanta che ci rimandano ai tempi d’oro della bossa nova quando anche in Italia imperversavano Carlos Jobim, Joao Gilberto, Toquinho e tanti altri ancora, brani che fanno da supporto ad una ambientazione ricca di saudade e sensualità.
data di pubblicazione:12/01/2017
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da Antonio Iraci | Gen 6, 2017
Florence Foster Jenkins, ricchissima ereditiera e figura di spicco del “jet set” newyorkese degli anni quaranta, è intimamente convinta di essere dotata di un buon talento vocale per diventare una eccellente cantante lirica. Nella realtà però il suo canto è gracchiante e sgradevole, privo di una qualsiasi coloritura timbrica e di una benché minima tecnica sonora. Incoraggiata dal (poco) fedele marito St. Clair Bayfield e da Cosmé Mc Moon, il pianista personale che l’accompagna nelle disastrose esibizioni musicali, Florence riuscirà ad organizzare un recital personale alla famosa Carnegie Hall con il pretesto di intrattenere le truppe impegnate al fronte, durante il secondo conflitto mondiale. Il prevedibile fiasco porterà con sé la consapevolezza che il fermo e irrinunciabile desiderio canoro di Florence era solo una chimera e che i successi sinora ottenuti erano solo una farsa organizzata dal consorte con la complicità di un pubblico compiacente e di una critica abilmente manipolata.
Il film di Stephen Frears (regista britannico che ha firmato pellicole quali Le relazioni pericolose, The Queen e il meno convincente Philomena) racconta al grande pubblico la vera storia di una donna dell’alta borghesia di New York, melomane ed amica personale di Arturo Toscanini, convinta di possedere una voce e doti di cantante che in realtà non possedeva. Questa sua convinzione, affettuosamente sostenuta dal coniuge che la assecondava in tutto perché convinto che il canto era l’unica arma per arginare una brutta malattia che affliggeva la consorte da anni, è anche il punto di forza di questa donna che divenne una sorta di fenomeno, incidendo dischi e tenendo concerti che divennero dei veri e propri “eventi” mondani. Tuttavia Frears porta sul grande schermo una storia non originale: essa è già stata raccontata nel film Merguerite presentato nel 2015 alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, poco apprezzato nelle sale seppur abbia vinto diversi Cèsar (tra cui quello a Catherine Frot nei panni della protagonista), la cui produzione più modesta ha richiesto tempi di lavorazione meno lunghi della attuale versione inglese. Nel cast di Florence oltre al “mostro” Meryl Streep, sono altrettanto (se non di più) indiscutibilmente bravi il mai troppo lodato Hugh Grant, perfetto nel ruolo del marito, e Simon Helberg in quello del pianista che scende ad incredibili compromessi pur di lavorare: sono loro che fanno raggiungere alla pellicola quel sufficiente grado di piacevolezza e divertimento che coinvolge il pubblico sino agli ultimi (stucchevoli) acuti di Florence. Ma, nonostante le candidature dei tre interpreti ai Golden Globe, la sceneggiatura esile del film evidenzia principalmente l’aspetto alquanto caricaturale dei personaggi che, seppur facciano sorridere lo spettatore, distolgono dal dramma reale di questa donna malata, che riesce a vivere la sua viscerale passione per il bel canto grazie ad un marito che a modo suo l’ha amata e le ha consentito di vivere e raggiungere una, sia pur apparente, felicità stonando e strepitando. Florence dopo la sua morte divenne famosa davvero: inevitabile epilogo di ogni artista che si rispetti.
data di pubblicazione:06/01/2017
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da Antonio Iraci | Dic 22, 2016
Il film tratta di un ritiro, poi trasformatosi in una orgia erotico-culinaria, di quattro amici che si chiudono in una villa, nei dintorni di Parigi, con l’intento di mangiare fino alla morte. Il primo dei quattro è Ugo (Ugo Tognazzi) chef di un ristorante, di cui è anche proprietario, che decide di suicidarsi a causa dei continui battibecchi con la moglie. Poi c’è Michel (Michel Piccoli) importante produttore televisivo, divorziato e molto stanco delle vita che conduce. Segue Marcello (Marcello Mastroianni) pilota, con la fissazione per il sesso. Infine Philippe (Philippe Noiret) magistrato che vive ancora con la vecchia balia che lo custodisce gelosamente impedendogli di avere rapporti con le altre donne. I quattro amici quindi si riuniscono in questa villa, facendo grandi scorte di cibo e predisponendosi a grandi abbuffate che li porteranno alla morte. Nella loro ferma determinazione suicida verranno aiutati da Andréa (Andréa Ferréol) che era entrata nel giardino della villa per accompagnare una scolaresca in visita. Avendo subito intuito il motivo di quella strana riunione tra amici decide di rimanere con loro per aiutarli nel loro intento fino alla morte di tutti e quattro. Il film presentato a Cannes fu subito stroncato dalla critica e pesantemente censurato per le esplicite scene di sesso nonché per alcune situazioni ritenute veramente volgari e offensive. Stranamente fu invece accolto molto favorevolmente dal pubblico che ne diede una lettura sociale, una spietata critica alla società dei consumi e del benessere, condannata ad una inevitabile autodistruzione, passando da una degradazione dell’uomo in tutte le sue manifestazioni della vita comune. Non a torto il film sembrò anticipare di un paio d’anni un altro “Salò o le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini, anch’esso salvato dall’ira dei critici proprio per il coraggio dimostrato dai due registi di saper affrontare, in maniera graffiante, delicati temi della società moderna. Ugo, nel film, tra le tante pietanze prepara un pasticcio di fegato che ci suggerisce questo patè, ottimo per farcire dei crostini molto saporiti da servire come antipasto.
INGREDIENTI: 600 grammi di fegatini di pollo – 150 grammi di burro – una cipolla bianca grande – 2 foglie d’alloro – mezzo bicchiere di cognac – sale e pepe qb.
PROCEDIMENTO: Fare sciogliere a fuoco lento in una terrina il burro e aggiungere la cipolla bianca finemente tritata e lasciarla imbiondire. Aggiungere i fegatini ben lavati e fare cuocere a fuoco più sostenuto per circa mezzora insieme alle foglie d’alloro, con un poco di sale e pepe. A fine cottura aggiungere il mezzo bicchiere di cognac e lasciare sfumare. Appena i fegatini si saranno intiepiditi frullare il tutto e sistemare in una forma e conservare in frigo. Il patè, prima di essere usato spalmato sui crostini, va comunque portato a temperatura ambiente.
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