da Antonio Iraci | Ott 10, 2017
(Auditorium Parco della Musica-Roma, 26 ottobre/5 novembre 2017)
Al via la dodicesima edizione della Festa del Cinema con la presentazione ufficiale del programma da parte della Presidente della Fondazione Cinema per Roma Piera Detassis e del Direttore Artistico Antonio Monda. La Presidente, oltre a ringraziare tutte le Istituzioni pubbliche e i Partner che sostengono finanziariamente il progetto, ha voluto sottolineare quanto sia stata produttiva, anche in termini di immagine a livello internazionale, la stretta collaborazione con Antonio Monda che senza dubbio in questi tre anni di attività ha dato una sferzata di rinnovamento e di dinamicità all’evento; soprattutto una propria identità che negli anni passati era stato difficile individuare. Ecco quindi che la Festa del Cinema porterà proprio un’aria di festa nei luoghi in cui avrà luogo e non soltanto tra le sale a disposizione entro il perimetro dell’Auditorium, ma anche al MAXXI, alla Casa del Cinema, al cinema Trevi, al Policlinico Gemelli, al My Cityplex Europa ed anche a Rebibbia. Tutto ciò grazie ad un coinvolgimento capillare sia per gli addetti ai lavori che per il vasto pubblico di cinefili. Il Direttore Artistico, con la proverbiale chiarezza espressiva che lo contraddistingue, ha quindi illustrato i numeri di questa nuova edizione:
39 i film in Selezione Ufficiale, di cui 3 in collaborazione con Alice nella Città, in apertura Hostiles diScott Cooper, film che si presenta con tutti gli ingredienti propri dei vecchi western di tanti anni fa.
6 in Tutti ne parlano, spazio dedicato ad alcuni film che sono stati già presentati al pubblico internazionale tra i quali Babylon Berlin, serie ambientata nella Berlino del 1929, The Party, con la regia di Sally Potter, presentato quest’anno alla Berlinale.
4 tra Gli eventi speciali, con film di notevole spessore quali The Place, film di chiusura di Paolo Genovese, e Spielberg diSusan Lacy, documentario in cui il regista americano confida le sue esperienze personali e i temi ricorrenti affrontati nei suoi film.
12 gli Incontri ravvicinati con registi, attori e grandi personalità del mondo della cultura e dello sport. Tra questi l’attesissimo incontro con David Lynch, al quale verrà assegnato il Premio alla Carriera, e Xavier Dolan, che a soli ventotto anni ha già un curriculum professionale di tutto rispetto.
4 Preaperture, tra queste la Ragazza nella Nebbia di Donato Carrisi e Terapia di coppia per amanti diAlessio Maria Federici.
Retrospettiva, sezione curata da Mario Sesti, che si terrà al Cinema Trevi e che studierà i diversi generi della cinematografia italiana.
Restauri e Omaggi, in collaborazione con Istituto Luce Cinecittà, propone quattro film in versione restaurata quali Dillinger è morto diMarco Ferreridel 1969 e Miseria e Nobiltà di Mario Mattoli del 1954, con l’indimenticabile Totò.
Film della Nostra Vita, vale a dire pellicole scelte dai singoli membri del comitato di selezione nell’ambito dei musical quali Hair scelto da Antonio Monda e West Side Story scelto da Valerio Carocci.
Questi i punti principali del programma, poi integrato da numerosi eventi speciali che accompagneranno i dieci giorni della Kermesse.
Tutto sicuramente di grande interesse specialmente per l’accurata scelta effettuata dai selezionatori che hanno tenuto conto della qualità intrinseca delle pellicole, senza cercare di dare risalto ad un settore specifico o ad una provenienza particolare. Al riguardo si rileva che quest’anno saranno ben 31 i Paesi partecipanti, il che dimostra come l’evento capitolino stia conquistando rilevanza sempre più consistente a livello internazionale. Accreditati, come nelle passate edizioni, vi terrà costantemente e puntualmente informati sui fatti più significati e sui film in programma, in selezione ufficiale e non, con le proprie impressioni ed i propri commenti.
data di pubblicazione:10/10/2017
da Antonio Iraci | Ott 4, 2017
Alla fine degli anni Ottanta, sulla scia dell’omologo americano, nasce a Parigi l’Act Up – Paris, associazione che si propose di sensibilizzare le masse al problema dell’Aids, quell’epidemia che oggi tutti conosciamo e che in quegli anni mieteva migliaia di vittime, in gran parte nella cerchia degli omosessuali e dei tossicodipendenti. Il folto gruppo di partecipanti, quasi tutti sieropositivi al virus HIV, mediante azioni molto provocatorie e mai violente intese così scuotere l’opinione pubblica, per spingere la classe politica di allora a prendere seriamente in considerazione il fenomeno e a promuovere una mirata azione preventiva nelle scuole e nelle università.
Gli attivisti che gremiscono la sala dove si svolgono le riunioni periodiche del movimento Act Up indossano una maglietta con la scritta Silenzio=Morte, a significare che in quegli anni terribili la classe politica preferiva ignorare il problema dell’Aids, evitando di impiegare i media al fine di presentare alla popolazione la natura dell’epidemia virale e i mezzi per prevenirla o meglio evitarla. Mentre migliaia di uomini ogni anno morivano devastati da atroci sofferenze, le case farmaceutiche prendevano intanto tempo per sperimentare farmaci retrovirali che avrebbero portato nelle loro casse immensi guadagni. L’azione di Act Up era mirata a svolgere una guerra non violenta, ma esclusivamente di sfida, mediante utilizzo di falso sangue da spargere ovunque facessero irruzione, proprio per scuotere quell’establishment politico-sanitario che con la propria indifferenza contribuiva paradossalmente al diffondersi del contagio letale. Nato in Marocco, ma cresciuto in Francia, Robin Campillo è da ritenersi oggi uno dei più noti registi emergenti francesi soprattutto per l’esperienza pluriennale acquisita come sceneggiatore accanto al pluripremiato regista Laurent Cantet (La classe – Entre les murs che gli valse la Palma d’Oro al 61esimo Festival di Cannes). Il film nasce dall’esigenza, da parte del regista, di raccontare la propria esperienza come militante all’interno del movimento che lo aveva portato a partecipare attivamente a diverse azioni provocatorie assieme ad altri componenti del gruppo, al fine di scuotere politica e coscienze. Il prodotto è ben costruito grazie ad un attento montaggio, curato dallo stesso regista, in cui talvolta si passa dal frastuono assordante delle discoteche all’intimità sessuale della camera da letto in cui i due protagonisti Sean (Nahuel Pérez Biscayart) e Nathan (Arnaud Valois) sembrano ritrovarsi, quasi per caso, senza soluzione di continuità. La pellicola, già premiata a Cannes 2017 con il Grand Prix Speciale della Giuria e Queer Palm rappresenterà la Francia ai prossimi Oscar, ha come merito sicuramente quello di far conoscere alle nuove generazioni quello che significò in quegli anni il diffondersi dell’Aids, dal momento che oggi se ne parla davvero poco e forse, per molti giovani, il problema è del tutto ignorato. La storia d’amore tra Sean e Nathan, che si inserisce silenziosamente tra le pieghe del racconto, ci trascina ma non ci commuove più di tanto: siamo ben lontani dalle reazioni al film Philadelphia quando anche il più incallito omofobo, senza darlo a vedere, fu coinvolto emotivamente e ne rimase sconvolto.
data di pubblicazione:04/10/2017
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da Antonio Iraci | Ott 2, 2017
In una Roma dei nostri giorni dove il malaffare sembra dilagare come un’epidemia che contagia in egual misura il corrotto ed il corruttore, Marcello e Mauro sono vittime e carnefici al tempo stesso di un sistema dominato dal potere e dal denaro. Un panorama attualissimo di una città oramai al massimo del degrado morale, dove ai cittadini inermi non rimane altro che constatare l’impunità di ogni atto criminale che invade il settore del pubblico e del privato come qualcosa di ineluttabile, che impera, senza riuscire a scorgere alcuna possibile via di scampo.
Il Contagio, presentato quest’anno al Festival del Cinema di Venezia nella Sezione Giornate degli Autori, è tratto dall’omonimo romanzo di Walter Siti, docente universitario di letteratura italiana conosciuto per i suoi saggi su Montale e Pier Paolo Pasolini, romanziere e vincitore nel 2013 del Premio Strega con il libro Resistere non serve a niente. All’interno di un grande condominio di una non identificata borgata romana si intrecciano vari personaggi femminili che devono affrontare una amara quotidianità senza poter contare sul sostegno dei propri uomini: individui deboli e incapaci di prendersi qualsiasi responsabilità, tutti rivolti a soddisfare unicamente le proprie esigenze personali. Tra questi spicca la figura di Marcello (Vinicio Marchioni), cocainomane che passa tutta la giornata a curare il proprio corpo in palestra, trascurando la moglie Chiara (Anna Foglietta) che deve sobbarcarsi ogni carico domestico vivendo nell’attesa di una benché minima attenzione da parte del marito. Minacciato di morte da una trafficante di droga, al quale deve una ingente somma di denaro, Marcello cerca il sostegno economico del professore Walter (Vincenzo Salemme) con il quale intrattiene una relazione amorosa. Nel palazzo viene intanto ad abitare Mauro (Maurizio Tesei) insieme alla moglie Simona (Giulia Bevilacqua) che cercano subito di stringere un rapporto amichevole con i vicini di casa; Marcello rimane affascinato da Mauro che tuttavia manifesta un atteggiamento poco limpido. Spinto anche da una spasmodica ricerca di danaro facile, Mauro è interessato particolarmente allo sfruttamento dell’ondata di profughi che cercano asilo politico in Italia, divenendo socio di un pericoloso mafioso invischiato in un mega progetto per la costruzione di un centro di accoglienza.
Botrugno e Coluccini, attenendosi quando più fedelmente possibile al romanzo di Siti, hanno fatto un buon lavoro portando sul grande schermo vicende di malaffare molto aderenti alla realtà di oggi, argomenti che suscitano ancora interesse nel pubblico, nonostante il martellamento al quale si viene sottoposti oramai quotidianamente dalla televisione e dai media in generale. Ottimo l’intero cast, anche se in alcune scene l’interpretazione appare un poco sopra le righe, piccole forzature interpretative che però nulla tolgono alla credibilità dell’intera storia. Forte di un’ottima sceneggiatura, il film è sicuramente di valore, non fosse altro che per la realtà rappresentata, cruda, spietata e purtroppo tragicamente attuale.
data di pubblicazione: 02/10/2017
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da Antonio Iraci | Ott 1, 2017
(Teatro India – Roma, 28/30 settembre 2017)
Una simpatica prerogativa dei napoletani, a prescindere dal ceto sociale di appartenenza, è quella di esprimersi comunque nel proprio dialetto ben sicuri che le parole assumono un ruolo secondario, mentre invece il suono ed il gesto sono fattori sufficienti per una corretta comprensione da parte del soggetto interlocutore.
A chiusura di questa interessante Rassegna teatrale, Enzo Moscato, partenopeo doc, presenta il suo monologo a più voci Occhi Gettati, rivisitazione di un testo già elaborato dallo stesso attore-regista negli anni Ottanta e che ancora oggi, dopo tanti anni, riesce a conquistare il pubblico in sala. Al di là del racconto, spesso burlesco ma sempre amaro, Moscato riesce a trasformare la tragedia in divertimento grazie soprattutto al linguaggio espressivo utilizzato. Dopo i primi attimi in cui lo spettatore rimane disorientato da un frastuono di parole incomprensibili, improvvisamente lo stesso si trova dentro la situazione, partecipe di una realtà che, attraverso la finzione, si manifesta nella sua crudezza.
La storia dei tre trans, fermamente convinti ad affrontare una propria odissea pur di arrivare al passo definitivo e aggiustare la propria identità sessuale, se da un lato diverte per il susseguirsi di battute spassose, di contro ci presenta una quotidianità nella sua crudele tragicità. Ecco che l’attore-filosofo ci illumina con la sua napoletanità: unica arma per affrontare il dolore è quella di giocare con esso, imparando l’arte di convertire il dramma in farsa. E se ci si riflette sopra con attenzione ci si accorge che tutto questo è ciò che rende Napoli e i napoletani unici e amati in tutto il mondo, proprio per la leggerezza del loro essere.
data di pubblicazione: 1/10/2017
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da Antonio Iraci | Set 30, 2017
(Teatro India – Roma, 28/30 settembre 2017)
Il secondo incontro con Garofano Verde ha regalato una performance davvero straordinaria: Santa Rita and The Spiders from Mars, ovvero una rilettura di testi di David Bowie e Paolo Poli curata da Marco Cavalcoli, istrionico attore teatrale emiliano che ha intrattenuto il pubblico in maniera da definirsi esilarante.
L’abilità di Cavalcoli è stata quella di saper effettuare una specie di cut-up tra i lavori dei due grandi talenti, da poco tempo scomparsi, per poi ricucirne i pezzi con una abilità interpretativa da lasciare lo spettatore magicamente sorpreso e coinvolto nello stesso tempo. Di primo acchito ci si potrebbe chiedere come mai siano state accostate due personalità tanto diverse tra di loro, soprattutto per estrazione culturale e formativa. Invece poco a poco ci si accorge che personaggi in questione avevano molto in comune, soprattutto nell’abilità di sapersi trasformare in maniera camaleontica nei panni femminili, portando avanti un messaggio di rottura per cui furono accusati non solo di trasgressione, ma addirittura di blasfemia.
In tempi non tanto lontani in cui la diversità sessuale era da considerarsi una forma di perversione da condannare, i due seppero imporsi con la loro intelligenza e la loro bravura in campo musicale e teatrale tanto che il pubblico finì per accettare quasi con sollievo la loro diversità, a scapito di pregiudizi e prevenzioni ritenuti oggi del tutto anacronistici.
Lo spettacolo si lascia seguire e diverte molto grazie alla vivacità dei testi ma principalmente per l’interpretazione di Marco Cavalcoli. Veramente Bravo!
data di pubblicazione: 30/9/2017
Il nostro voto: 
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