PETER VON KANT di François Ozon, 2023

PETER VON KANT di François Ozon, 2023

Peter von Kant è un regista ben introdotto nell’ambiente cinematografico internazionale, più volte premiato per le sue opere. Dopo aver lasciato il suo compagno, sta attraversando un momento di crisi assistito fedelmente dal suo segretario e cameriere Karl, apparentemente muto, che accetta passivamente i maltrattamenti e i capricci del suo padrone. Un giorno l’amica/attrice Sidonie si presenta a casa sua con Amir, giovane seducente e nullatenente, in cerca di una facile sistemazione…

 

Presentato in apertura alla Berlinale dello scorso anno, Peter von Kant del poliedrico Ozon trova ispirazione nell’opera teatrale di Rainer Werner Fassbinder Le lacrime amare di Petra von Kant di cui lo stesso nel 1972 ne aveva tratto un film, in concorso per l’Orso d’oro a Berlino. Dopo cinquant’anni esatti, il regista e sceneggiatore francese dirige un remake dalla pellicola in cui ripropone i temi a lui cari, che trovano quasi sempre riscontro nelle sue opere, quali l’identità sessuale e in particolare l’identità di genere, l’affettività, la morte. Ozon, pur lasciando la tipica impostazione teatrale classica, con unità di azione, di luogo e di tempo, modifica il dramma originario di Fassbinder trasformando le protagoniste in personaggi al maschile in modo tale che il soggetto principale, la stilista Petra diventerà il cineasta Peter, con tutto quello che ne consegue. Al rigor del vero l’esperimento non sembra pienamente riuscito anche se tutto l’impianto scenico è pensato volutamente artificioso, oltre al necessario, per riportare l’intera ambientazione a quella originaria tipica di quegli anni. L’infatuazione di Peter verso l’efebico Amir, di cui poi si innamorerà perdutamente perdendo ogni forma di autocontrollo, ha non solo dell’irrazionale ma del patetico, tutta esageratamente rivolta verso una relazione sofferta da un lato, e marcatamente interessata dall’altro. Se Peter (Denis Ménochet) risulta poco credibile, ancora di più lo è il giovane Amir (Khalil Ben Garbia) entrambi impegnati in una recitazione sopra le righe, a volte persino fastidiosa. Per fortuna in loro soccorso interviene una splendida Hanna Schygulla, passata dal ruolo della bellissima Karin, nel film di Fassbinder a quello della madre di Peter in Ozon, piccolo cameo che fa risaltare ancor di più la bravura della talentuosa attrice tedesca, oramai ottantenne. Nel cast anche l’affascinante Isabelle Adjani, perfetta in Sidonie, amica di Peter e oramai considerata un’attrice sul viale del tramonto, immagine costruita ma l’unica veramente sincera in un entourage di sentimenti falsi. Tentativo quindi che voleva essere un più che sentito omaggio al grande Fassbinder, forse però non del tutto azzeccato. La scenografia è intenzionalmente troppo scontata: un atelier kitsch con sullo sfondo immagini ripetute di un San Sebastiano trafitto in tutte le posizioni, oramai simbolo martirizzato di una iconografia che, senza fare falsa retorica e cercando di evitare ogni perbenismo, rasenta a volte il ridicolo. Con rispetto alla buona volontà di Ozon, non ci si può esentare dal manifestare qualche seria perplessità.

data di pubblicazione:23/05/2023


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THANKS FOR VASELINA di Carrozzeria Orfeo, regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi

THANKS FOR VASELINA di Carrozzeria Orfeo, regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi

(Teatro Vascello – Roma, 16/28 Maggio 2023)

Fil e Charlie coltivano in casa marijuana. Per ristabilire un certo equilibrio internazionale, visto che gli Stati Uniti, sotto la parvenza di una solida democrazia, hanno annientato i cartelli della droga messicani, decidono solidalmente di esportarla in quel paese. Come corriere utilizzeranno Wanda che, per il suo fisico da cicciona, ha impensabili capacità ricettive. Mentre la ragazza viene preparata opportunamente al grande viaggio, improvvisamente, dopo anni di assenza, riappare Annalisa, trans che è padre di Fil e ex marito di Lucia, sua madre…

 

Carrozzeria Orfeo si presenta con una pièce del tutto originale, irriverente nel linguaggio e molto significativa per quanto riguarda la critica verso tutte quelle forme di falsa democrazia. In un mondo, quello in cui viviamo, dove l’arte di arrangiarsi è diventata necessità di sopravvivenza, ritroviamo i nostri personaggi, ognuno per la propria parte con le rispettive aspirazioni e con i propri concreti fallimenti. Fil manifesta, con la sua rabbia, la propria disillusione verso la vita che lo ha fatto vivere con una madre dipendente dal gioco e con un padre che, dopo molti anni, si ripresenta in veste di trans, già accolto in una comunità teocratica e manipolatrice. Di contro Charlie, socio negli affari, porta avanti le sue lotte come animalista e come integerrimo difensore dei diritti civili. Per non parlare poi di Wanda, completamente priva di autostima, che aiuta come può il fratello disabile a soddisfare i propri impellenti bisogni sessuali. In questo miscuglio di differenti sconfitte si articola un’azione corale, una cage aux folles dove le situazioni sfuggono di mano perché non c’è possibilità di riscatto sociale, con una illusione sempre disillusa e dove ogni speranza è destinata alla deriva. Un lavoro ironico e graffiante, ben congegnato per portare avanti una protesta, una ribellione verso qualcuno o qualcosa dai contorni incerti. La troupe segue una drammaturgia perfetta in ogni dettaglio, anche se con qualche eccesso il risultato è decisamente gradevole e spassoso, i dialoghi divertenti e profondi che lasciano vagare il pensiero per portare lo spettatore a interrogarsi: ma tutto questo è vero o semplice finzione? Gabriele Di Luca, uno dei registi nonché attore lui stesso sulla scena, è riuscito a portare questa sua opera dal teatro al cinema realizzando un film di tutto rispetto, senza sacrificare la sostanza dei temi affrontati come quello delle dipendenze e dei disagi mentali. Una produzione Marche Teatro/Carrozzeria Orfeo, nei prossimi giorni al Teatro Vascello di Roma.

data di pubblicazione:17/05/2023


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BEAU HA PAURA di Ari Aster, 2023

BEAU HA PAURA di Ari Aster, 2023

Beau Wessermann abita da solo, terrorizzato da tutti quelli che vivono attorno a lui, in un appartamento fatiscente, sito in un luogo imprecisato ed invaso da criminali di ogni tipo. Un giorno decide di partire per incontrare la madre, verso la quale nutre un devastante rapporto di amore, quasi di morbosa sottomissione. Per una serie di strane circostanze non può più raggiungerla, avrebbero dovuto festeggiare insieme il suo compleanno. Da quel momento inizia la sua odissea attraverso un mondo ostile che lo respinge e che attenta persino alla sua incolumità…

 

Martin Scorsese, grande ammiratore di Ari Aster che aveva già più volte lodato per i suoi precedenti Hereditary e Midsommar, nel vedere l’ultimo suo attesissimo film ha definito il giovane regista newyorkese “una delle più straordinarie nuove voci nel mondo del cinema”. In effetti non si può che concordare con il grande maestro sull’abilità tecnica che sta dietro a questo film e soprattutto sul linguaggio visionario utilizzato, così unico e coinvolgente che oggi solo pochi sono in grado esprimere con un così alto livello. A differenza dei due lavori precedenti, in cui oltre all’aspetto onirico si era dato più rilievo alla componente horror, in Beau ha paura, protagonista Joaquin Phoenix, si vuole dare risalto alle sensazioni adrenaliniche che il personaggio trasmette, alle sue ansie, alle sue paure verso una madre matrigna e verso un mondo che sembra voler accoglierlo, ma che nella buona sostanza lo respinge, anzi tenta proprio di annientarlo. Difficile ricostruire una trama che possa rientrare in uno spazio temporale ben definito, in un percorso che va dal momento della sua nascita a quello della sua morte, un percorso insidioso pieno di incontri con personaggi al limite della schizofrenia. Beau è destinato a essere un perdente, a lui è precluso anche fare sesso perché ha ereditato dal padre e, prima di lui dal nonno e dal bisnonno, il triste destino di morire al primo rapporto completo con una donna. Questo è solo uno dei tanti misteri che avvolgono la sua vita: una madre troppo presente e un padre troppo assente, morto appunto al momento esatto del suo concepimento. Non è casuale che una scena iniziale riguardi una seduta di psicoterapia in cui si affronta il tema fondamentale del rapporto madre-figlio e della sue nevrosi, facendo da lì scaturire una sorta di ansia soffocante, una avversità cosmica che si riversa sull’infelice protagonista. Un film che esce da qualsiasi schema e che in tre ore riesce a trasmettere allo spettatore irritazione, impotenza, frustrazione. L’interpretazione di Joaquin Phoenix supera quella di Joker, nell’omonimo film per il quale ricevette l’Oscar come migliore attore: anche per questo incredibile ruolo si spera possa ottenere un più che meritato riconoscimento. Gli è dovuto…

data di pubblicazione:16/05/2023


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RITORNO A SEOUL di Davy Chou, 2023

RITORNO A SEOUL di Davy Chou, 2023

Freddie ha programmato di trascorrere le sue ferie in Giappone. Il volo viene improvvisamente annullato e senza pensarci troppo decide di cambiare destinazione per Seoul. In effetti la scelta non è casuale anche se presa d’istinto: nata in Corea, la ragazza è stata adottata da una coppia francese e non è mai più tornata al suo paese d’origine. Anche se inizialmente poco convinta, cercherà di contattare i suoi genitori biologici…

Fuori dagli schemi di una cinematografia coreana sempre più presente nelle sale e che, nel bene e nel male, ci sta abituando ad un modus operandi del tutto anticonvenzionale, Davy Chou, regista franco/cambogiano, ci porta in una dimensione del tutto nuova, molto introspettiva se si vuole a tutti i costi darne una definizione. Ispirata ad una storia reale che riguarda una sua amica coreana adottata in Francia, Freddie, la spigolosa protagonista del film, a 25 anni torna per la prima volta nel paese dove è nata e, quasi controvoglia, si ritrova sulle tracce dei genitori biologici. Mentre la madre rifiuta l’incontro, il padre invece la accoglie con grande slancio nella sua nuova famiglia e in maniera quasi “opprimente”, nonostante la difficoltà di comunicare con la figlia che non parla coreano, cercherà in tutti i modi di convincerla a rimanere in Corea. Il regista sembra saper cogliere i differenti stati d’animo dei protagonisti: da un lato un padre ubriacone, ma che dimostra sincera amarezza e non riesce a perdonarsi di aver dato la bambina in adozione, dall’altro la reazione della ragazza, a volte spietata e crudele che non sa, o forse non vuole, scusare i genitori per averla abbandonata al suo destino, in un paese del tutto estraneo alle loro tradizioni. Nel seguire la storia altalenante che accompagnerà la giovane, negli anni a seguire, si viene investiti da un sentimento di pura avversione nei suoi confronti dal momento che i comportamenti di Freddie risulteranno sempre caratterizzati da una evidente forma di aggressività e anaffettività, anche verso i vari uomini che la corteggiano e con i quali ha incontri sessuali effimeri e superficiali. Ma andando più nel profondo, piano piano risulterà più evidente che la ragazza nasconde in sé proprio un bisogno di affetto, di quello sincero però, che ricercherà verso l’unica in grado di darglielo. Davy Chou dirige con maestria degli attori eccezionali tra i quali spicca Ji-Min Park, al suo esordio come attrice, che interpreta alla perfezione il ruolo camaleontico di Freddie, ragazza a volte sensibile a volte dura e collerica, espressione di fragilità interiore che la protagonista cercherà in tutti i modi di tenere nascosta agli altri. Un film che all’inizio potrà destare qualche perplessità, ma che invece richiede la giusta predisposizione d’animo per arrivare ad apprezzarlo.

data di pubblicazione:15/05/2023


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LA QUATTORDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO di Pupi Avati, 2023

LA QUATTORDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO di Pupi Avati, 2023

La quattordicesima domenica del tempo ordinario, secondo l’anno liturgico, è quella che segue la Quaresima e anticipa l’Avvento. In quel tempo forse succedono grandi cose anche per la vita dei giovani protagonisti, Samuele e Marzio che, in una Bologna degli anni Settanta, decidono di formare il duo i Leggenda. Poi entra in scena la bellissima Sandra: tutto sembra andare per il giusto verso quando improvvisamente si spezza il filo sottile che unisce i tre e ogni cosa esplode come in una bolla di sapone…

 

Pupi Avati, reduce dai successi ottenuti con Lei mi parla ancora, protagonisti di indiscussa bravura Renato Pozzetto e Stefania Sandrelli, e a seguire Dante, che ha molto diviso la critica ma che ha comunque riscosso l’approvazione da parte del pubblico, si presenta ora con un film drammatico che ha suscitato in molti pesanti perplessità. Probabilmente perché da un maestro del cinema come Avati, per quanto poliedrico possa essere, le aspettative sono sempre alte. La storia accompagna i protagonisti da una fase adolescenziale a quella più matura della presa di coscienza dei propri fallimenti, sia professionali che affettivi in senso stretto. I Leggenda, hanno un breve momento di gloria quando arrivano quarti al Festival di Castrocaro, superando persino i Dik Dik di Sognando la California, ma dopo essere stati scartati da Sanremo, tutto sembra ormai destinato all’oblio. L’avvenente Sandra, pur conquistata in modo singolare da Marzio, che riesce persino a sposarla, non vuole rinunciare alla carriera di indossatrice. Un miscuglio di pensieri affollano la mente di Marzio, ricordi di un passato che forse sarebbe meglio dimenticare, abbandoni e ripiegamenti per sfuggire ad un destino avverso per poi ritrovarsi in vecchiaia con un pugno di mosche, senza sapere cosa fare per sbarcare il lunario.

Ma, nonostante il ripescaggio di attori di un certo calibro quali Gabriele Lavia, Edwige Fenech, di un improbabile Massimo Lopez, e nonostante il tentativo di lancio di Lodo Guenzi, Camilla Ciraolo e Nick Russo, gli stessi personaggi da giovani, il film stenta a decollare, anzi si va ad arenare proprio in quelle scene in cui l’aspetto drammatico avrebbe dovuto dare un maggiore sferzata emotiva all’intera storia. Forse troppa carne al fuoco con un risultato poco credibile anche se il regista bolognese si lascia andare a tratti autobiografici, confidandoci i suoi momenti poco felici, costellati da malinconia e insuccessi. Un film datato nelle immagini e ancor più nei contenuti, e se non tutte le ciambelle riescono col buco, forse questo film è una di quelle.

data di pubblicazione:10/05/2023


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