da Antonio Iraci | Set 30, 2015
Marina (Sabrina Ferilli) e Federica (Margherita Buy) sono due donne, non più giovanissime, che vivono da cinque anni una tranquilla vita di coppia.
Entrambe sono impegnate professionalmente con successo e vivono circondate da un ambiente molto agiato sia in ambito lavorativo, sia nel privato della loro casa dove regna indisturbato il gatto Bengala.
Marina, ex attrice di una certa notorietà, ha già da tempo esternato con assoluta spontaneità le proprie inclinazioni sessuali, mentre Federica, con alle spalle un matrimonio ben riuscito accanto ad un marito affettuoso ed un figlio di ampie vedute, si muove ancora con esitazione evitando, ove possibile, di svelare nell’ambiente socio-lavorativo la propria relazione sentimentale con Marina.
La loro vita si svolge con i ritmi soliti di una “ordinaria normalità”, non esente, appunto per questo dai “normali” problemi di una qualsiasi coppia che, alla “normale” routine di convivenza, alterna “normali” discussioni e “normali” gelosie.
E’ dunque questa la forza del film, dove il fulcro della storia è un rapporto di coppia al femminile che ci viene presentato con assoluta leggerezza e con un non casuale tocco di ironia, in cui apprezzabile risulta essere la scelta registica di entrare nell’intimità della camera da letto delle due donne senza soffermarsi ad osservare con sguardo morboso, ma tratteggiando invece semplici gesti spontanei di tenerezza di coppia.
Maria Sole Tognazzi, regista oramai affermata ed apprezzata dal pubblico con alle spalle una carriera cinematografica che ha già ottenuto numerosi riconoscimenti, ci presenta un film politically correct, con un messaggio politico assolutamente evidente che si inserisce quasi in punta di piedi in un paese dove da anni si discute sul riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto ed omosessuali: una commedia sentimentale, come amano definirla gli stessi sceneggiatori, che denuncia tutta una serie di anacronistici ed ingiustificati pregiudizi da parte di una classe politica che ci governa ma che non più ci rappresenta.
Una storia dei giorni nostri che si segue con attenzione, dove non manca quella nota di divertimento che strappa anche una risata, sullo sfondo di una Roma elegantemente fotografata ma non artefatta, che mantiene il carattere di realismo e non da cartolina patinata.
data di pubblicazione 30/09/2015
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da Antonio Iraci | Set 29, 2015
(Conferenza stampa – Roma, Auditorium Parco della Musica)
Con l’intervento di oggi del nuovo staff organizzativo composto da Piera Detassis e Lucio Argano, rispettivamente in qualità di Presidente e Direttore Generale della Fondazione Cinema per Roma, e dal nuovo Direttore Artistico della Festa del Cinema di Roma Antonio Monda, è stato presentato il programma completo della decima edizione, che prenderà il via il giorno 16 ottobre.
Dopo una breve introduzione da parte del Presidente Detassis, Antonio Monda ha illustrato, in maniera chiara e sintetica di fronte ad una sala gremita di giornalisti e di rappresentanti delle varie Istituzioni pubbliche, i punti salienti del programma.
Sono 37 i film selezionati, con una partecipazione di 24 paesi. L’Italia è rappresentata da tre film: Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, Dobbiamo parlare di Sergio Rubini e Alaska di Claudio Cupellini.
2 gli eventi speciali, entrambi dedicati al regista premio Oscar Paolo Sorrentino: un episodio del film collettivo Rio, Eu te amo intitolato La fortuna, e la versione estesa, con quaranta minuti di inediti, de La Grande Bellezza.
2 i film insieme ad Alice nella città: Une enfance di Philippe Claudel e Le petit prince di Mike Osborne.
9 i film/documentari/progetti nell’ambito delle linee di programma Work in Progress, Hidden City e Riflessi.
3 le retrospettive, curate da Mario Sesti, coordinatore artistico del comitato di selezione: Viaggio nel mondo Pixar insieme ad una masterclass con Kelsey Mann; un omaggio al regista Antonio Pietrangeli con la sua opera completa ed infine al regista, sceneggiatore e produttore cinematografico Pablo Larraìn.
10 gli incontri: Jude Law, Wes Anderson – Donna Tartt, William Friedkin – Dario Argento, Paolo Sorrentino, Joel Coen – Frances McDormand, Todd Haynes, Carlo Verdone – Paola Cortellesi, Renzo Piano, Riccardo Muti, Paolo Villaggio.
10 gli omaggi: Ettore Scola, Paolo e Vittorio Taviani, P.P. Pasolini, Francesco Rosi, Ingrid Bergman, Luis Buñuel, Stanley Kubrick, Hitchcock/Truffaut, Frank Sinatra, Franco Rossi.
Infine il Direttore Artistico ha tenuto a sottolineare come con il ritorno alla denominazione di “Festa del Cinema”, l’abolizione di premi (tranne quello assegnato dal pubblico con il proprio voto di gradimento), l’avvio di un programma interattivo che interesserà diversi punti della città nell’arco temporale di un anno, cade la critica sollevata da più parti che definisce la rassegna romana priva di una propria identità specifica nel contesto internazionale dei festival cinematografici.
Come dalla citazione dal film 8 e ½ di Fellini: E’ una festa la vita, viviamola insieme…
Onore al merito del neo Direttore Monda, si è percepito tra il pubblico in sala un certo entusiasmo misto a curiosità per questa decima edizione della rassegna capitolina che, sia pur in misura ridotta rispetto agli anni passati, sicuramente ci appassionerà per la qualità dei lavori selezionati.
data di pubblicazione 29/09/2015
da Antonio Iraci | Lug 26, 2015
(Roma-Teatro 1 Cinecittà, 18 aprile/20 settembre 2015)
Quando nel lontano giugno del 1985 la rivista americana National Geographic pubblicò in copertina il ritratto della ragazza afghana, scattato da Steve McCurry in un campo profughi a Peshawar in Pakistan, in pochi avrebbero scommesso che quella foto avrebbe girato il mondo e sarebbe poi stata utilizzata, come indiscussa icona, nelle brochure di Amnesty International per le proprie campagne a tutela dei diritti umanitari.
Quella stessa ragazza, rimasta sconosciuta per quasi 17 anni, fu poi casualmente ritrovata, ancora con i segni della speranza tracciati sul volto e con quello sguardo straordinario, rimasto immutato, che aveva commosso e impressionato l’intero pianeta.
Da quell’immagine si può risalire a Steve McCurry, nato in un sobborgo di Filadelfia nel 1950, oggi fotografo di fama mondiale che sin dai primi anni di attività è stato capace di distinguersi per il coraggio oltre che per le sue doti professionali.
Tutto ciò emerge dai suoi primi reportages quando riuscì ad attraversare il confine tra Pakistan ed Afghanistan per andare a fotografare quel paese devastato dalla recente invasione russa, quando riuscì a fissare per la prima volta quei volti umani che con lo sguardo riuscivano a raccontare le proprie storie di disperazione e dolore.
Lui stesso affermava che se si è pazienti, se si impara ad aspettare, la gente dimentica di aver di fronte la macchina fotografica ed allora ci si accorge quasi per magia che la loro anima esce allo scoperto per mostrare la sua vera essenza.
Quanto affermato lo si può osservare se si percorrono gli spazi bui della mostra curata da Biba Giacchetti, su allestimento di Peter Bottazzi, al Teatro 1 di Cinecittà, in cui lo spettatore può scoprire l’impareggiabile produzione fotografica di McCurry di questi ultimi anni.
Questa mostra conduce in effetti “oltre lo sguardo” per raccontare, attraverso l’immagine di quei volti, la storia che sta oltre lo sguardo stesso di chi osserva e, a sua volta, è osservato attraverso l’obiettivo.
In questo fotografare McCurry non si limita quindi a fissare l’attimo infinitesimale dello scatto, ma partendo da questo punto accompagna lo spettatore in uno spazio temporale infinito, dove il soggetto stesso ne risulta parte integrante e mai casuale.
La mostra si dipana attraverso un percorso non tracciato, un labirinto senza via di fuga dove le immagini si scoprono via via che si procede, conquistati dai colori e dalla luminosità dei volti che ci raccontano l’umanità stessa presente in quegli angoli più nascosti del mondo, dove c’è guerra e morte, ma anche speranza: una vita vissuta, una storia non inventata.
Non a caso lo stile cinematografico di McCurry ben si inserisce in un contesto come Cinecittà, luogo sacro per molti cineasti e dove lui stesso aveva studiato da ragazzo coronando il sogno di tanti giovani americani di poter accedere a quegli studios resi famosi dai registi italiani di riconosciuta notorietà.
La mostra merita una visita, non fosse altro perché ci porta dentro un mondo di sogni e fantasia, in uno spazio magico dove ci si lascia dietro il trambusto della vita quotidiana per tuffarsi da protagonisti in un’ avventura da non dimenticare.
data di pubblicazione 18/04/2015
da Antonio Iraci | Giu 17, 2015
(Festival Internazionale del Film di Roma 2014 – Alice nella città)
Questo film ci porta nel favoloso mondo di Amelie, questa volta in Giappone. Amelie torna a Tokyo dove è nata da genitori belgi e dove ha passato i primi cinque anni della sua vita. Piena dell’entusiasmo dei suoi vent’anni, intraprende nella grande metropoli una nuova entusiasmante vita, cercando di integrarsi al massimo in questa città. L’incontro con Rinri, anche lui ventenne, farà conoscere ad Amelie un Giappone diverso, e quando l’amore impacciato di lui si paleserà con i ritmi propri di quella cultura, ad Amelie non resterà altro che accettare un fidanzamento in regola ed una promessa di matrimonio, anche se l’idea la terrorizza. Tokyo fiancèe, uscito nelle sale italiane con il titolo Il fascino indiscreto dell’amore, purtroppo però si perde strada facendo: i personaggi potevano essere meglio tracciati ed assumere un caratteristica più peculiare. Mentre sembrano azzeccate le location: Tokyo appare con diverse belle sfaccettature, alcune anche poco patinate ed inedite, fondamentale la scena di repertorio dello tsunami che assume un ruolo fondamentale nel racconto. Consenso del pubblico che sembra aver apprezzato questa love story, una volta tanto non a lieto fine… Ma non basta.
data di pubblicazione 17/06/2015
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da Antonio Iraci | Mag 28, 2015
Film cult super premiato a Venezia, capolavoro di Altman che ci presenta un’America falsa, indifferente, direi anche molto cinica.
Varie storie si intrecciano (titolo originale: short cuts) tutte brevi ma montate ad incastro come in un complicato puzzle, storie che vanno e vengono e si esauriscono. Le vite interiori che osserviamo ci lasciano sbigottiti, con l’amaro in bocca, e ci danno un volto insolito di questa America del grande benessere sociale. Un quadro tutto americano che valeva più di venti anni fa, quando il film uscì nelle sale, ma che vale esattamente anche per l’oggi di oggi. La sostanza non è cambiata.
Il cast? Tutto di altissimo livello: Anne Archer, Jack Lemmon, Madeleine Stowe, Tim Robbins, Andie MacDowell, Julianne Moore, Robert Downey Jr., Lily Tomlin, Jennifer Jason Leigh, tanto per citarne alcuni.
Tutto eccezionale tanto che la giuria di Venezia istituì un premio speciale da assegnare all’intero cast.
L’America ci suggerisce a tavola il tacchino, ma la ricetta che proponiamo ha un sapore speciale, non da Thanksgiving: il brasato di tacchino.
INGREDIENTI: una coscia di tacchino già tagliata aperta (per quattro persone)- una cipolla – 300 grammi di funghi champignons – due carote – sale e pepe q.b. – olio d’oliva q.b. – un litro di vino rosso.
PROCEDIMENTO: Fare soffriggere in abbondante olio d’oliva la cipolla insieme alla coscia del tacchino, facendo rosolare bene da entrambi i lati. Aggiungere i funghi e le carote tagliate a pezzetti. Dopo tre minuti di cottura aggiungere il vino rosso, sale e pepe e lasciare cuocere a fuoco medio e a lungo fin a quando il vino non si sarà ristretto, formando una salsa abbastanza vellutata.
Da servire tiepido, tagliando a fette il brasato, anche con un contorno di purè di patate.
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