NEBBIA IN AGOSTO di Kai Wessel, 2017

NEBBIA IN AGOSTO di Kai Wessel, 2017

Ernst Lossa è un tredicenne orfano di madre e con un padre senza fissa dimora, appartenente al gruppo nomade degli jenisch. A causa della sua natura ribelle, Ernst viene identificato come soggetto dai comportamenti disturbati e, dopo aver trascorso molti anni nei riformatori, viene internato in una unità psichiatrica diretta dal dottor Veithausen. Ci troviamo nella Germania nazista, e nella clinica dove si trova il ragazzo vengono applicate alla lettera le direttive di un documento firmato da Hitler e denominato “T4” che prevede una sorta di “eutanasia” per coloro che possiedono malattie mentali o ereditarie, con un grado di disabilità ritenuto irrecuperabile. Ernst prenderà atto di quanto sta accadendo ai bambini del reparto, dove lui stesso è ricoverato, e cercherà di opporre resistenza, denunciando senza mezzi termini i crimini di cui giornalmente è testimone. In questo luogo senza speranze, Ernst troverà nella piccola Nandl il suo grande amore.

 

Al regista tedesco Kai Wessel va riconosciuto, senza dubbio alcuno, il merito di aver regalato al pubblico, con questo suo ultimo e ben riuscito film, un piccolo capolavoro traghettandoci nella storia di una delle tante vittime della efferata logica nazista,. Il linguaggio cinematografico utilizzato è asciutto e senza retorica, con una sequenza di immagini crude e realistiche che riescono a raggiungere, al tempo stesso, momenti di altissima e sconfinata poesia. Qui, forse per la prima volta, non si parla di persecuzione degli ebrei, ma di “eutanasia” per nascondere quella che fu, senza mezzi termini, una eliminazione sistematica di una parte della popolazione tedesca ritenuta disabile e quindi incapace di contribuire attivamente allo sviluppo del paese. I medici, esecutori principali di questi crimini, decidevano chi eliminare sottoscrivendo diagnosi che attestassero l’incurabilità dei loro pazienti, in prevalenza bambini, che venivano soppressi solo perché colpevoli di consumare risorse che lo Stato avrebbe potuto indirizzare a scopi economicamente più validi. Attraverso l’occhio attento di Ernst, lo spettatore stesso si trova ad essere testimone di questi atroci delitti perpetrati all’interno della clinica psichiatrica dove erano ricoverati centinaia di pazienti, gente inerme e quindi incapace di un benché minimo atto di ribellione. La fotografia, nel suo rigore, non lascia spazio a sbavature ma si focalizza sulla essenzialità di situazioni vere, come a non voler dare spazio a equivoci interpretativi sul trattamento disumano a cui erano sottoposti i malati. Il regista, raccontandoci questa storia vera, porta a conoscenza delle nuove generazioni un aspetto assai poco noto delle atrocità del nazismo che si potrebbe considerare come un “precedente metodologico” che verrà applicato successivamente anche nei confronti degli ebrei. Oltre a questo aspetto, che si potrebbe definire storico, c’è un altro elemento degno di riflessione che, prendendo spunto dalle condizioni di quei degenti, riguarda invece la società di oggi e di come viene affrontato il problema della disabilità, e della diversità in generale, senza volerla minimizzare ma neanche farne oggetto da esibire. Il diversamente abile di oggi è colui che un tempo era il diverso, e questo cambio di terminologia dovrebbe assumere in ognuno di noi un significato molto profondo. Cast di alto livello, ottima l’interpretazione di Sebastian Koch nella parte del dottor Veithausen  (recentemente lo avevamo apprezzato nel film In nome di mia figlia accanto a Daniel Auteuil), di grande impatto emotivo la performance dei bambini-pazienti ed in particolare quella di Ivo Pietzcker nel ruolo del giovane Ernst Lossa, con la sua carica di umanità in quel suo prendersi cura dei più deboli. Commovente il suo istinto di sopravvivenza, pur in una situazione evidentemente senza scampo, quando di notte guardando il cielo già si immaginava in America insieme alla sua Nandl, proiettato verso un futuro migliore.

data di pubblicazione:18/01/2017


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DOPO L’AMORE di Joachim Lafosse, 2017

DOPO L’AMORE di Joachim Lafosse, 2017

Marie e Boris, in crisi dopo quindici anni di matrimonio, hanno deciso di separarsi. Anche se lei non sopporta più neanche la vista del marito, di fatto però devono vivere forzatamente ancora sotto lo stesso tetto in quanto lui non ha un lavoro stabile e non può permettersi di trasferirsi altrove. Marie, sempre di cattivo umore, trova ogni possibile pretesto per umiliare Boris di fronte alle loro due bambine, creando situazioni imbarazzanti e fastidiose per entrambi. Alle base dei loro litigi la questione economica da concordare: lui promette di andarsene una volta ottenuta una congrua somma di denaro a titolo di indennizzo per i lavori di ristrutturazione fatti a suo tempo nella casa dove abitano, di cui lei è proprietaria.

 

Il film Dopo l’amore del belga Joachim Lafosse, molto acclamato nello scorso Festival di Cannes dove è stato presentato nella Sezione Quinzaine des Realisateurs, ci fa riflettere sulle dinamiche di coppia in crisi e come le stesse possano improvvisamente trasformarsi in un crescendo di rancore e odio. I due protagonisti certamente si sono un tempo amati ma oggi nessuno dei due è disposto a sopportare la presenza dell’altro. Ogni discorso iniziato, ogni semplice parola pronunciata, diventano pretesto per scatenare una lite furiosa che solo la presenza delle loro due bambine riesce talvolta a mitigare. La scene si svolgono prevalentemente in uno spazio chiuso, ma non claustrofobico, delimitato dall’interno della casa e del piccolo giardino antistante, il tutto ben protetto dalla vita che si svolge all’esterno. La storia non può che definirsi banale: le questioni economiche che poi diventano il fulcro su cui poggia l’oggetto del contendere di una coppia in crisi non può che ritenersi argomento scontato, non a caso il titolo originale scelto dal regista è L’économie du couple che rimanda non solo alle diatribe sul denaro, ma soprattutto alla gestione vera e propria del rapporto affettivo con i figli, con la richiesta ossessiva del rispetto dei tempi e degli spazi rigorosamente assegnati a ciascuno dei due coniugi. Di fronte a tanta acredine lo spettatore non sa da che parte schierarsi perché l’apparente cattiveria di Marie trova le sue ragioni nel fatto che Boris è incapace di mantenere la famiglia e accumula debiti su debiti che lei regolarmente salda. Molto credibili Bérénice Bejo e Cédric Kahn nel ruolo dei protagonisti: lei ben conosciuta per il film The Artist di Michel Hazanavicius che le valse il Premio César come migliore attrice e ne Il passato di Asghar Farhadi dove vinse a Cannes il premio come migliore attrice; lui meglio noto in Francia come sceneggiatore e regista e meno come attore (Un amore all’altezza di Laurent Tirard).

data di pubblicazione:18/01/2017


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IL CLIENTE di Asghar Farhadi, 2017

IL CLIENTE di Asghar Farhadi, 2017

Emad e Rana sono felicemente sposati ed il loro è un rapporto molto stabile sia nell’ambito domestico, che in quello teatrale dove entrambi sono impegnati come protagonisti sulla messa in scena del celebre dramma Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. A causa di un cedimento strutturale dell’edificio dove abitano, sono costretti a trasferirsi temporaneamente in un appartamento messo generosamente a disposizione da un altro attore della compagnia. La casa in precedenza era abitata da una donna con un vissuto che i vicini ritengono poco raccomandabile, dato il frequente via vai di uomini che andavano a trovarla. Per una circostanza meramente fortuita Rana viene aggredita in casa da un uomo mentre è in bagno a fare una doccia: da quel momento la coppia comincia avere dei “cedimenti strutturali” come simbolicamente evidenziano le crepe sui muri della loro camera da letto.

 

Asghar Farhadi, regista, sceneggiatore e produttore iraniano noto in campo internazionale, nel 2011 è stato insignito dell’Orso d’oro a Berlino per il film Una separazione, successivamente premiato anche ai Golden Globe e con l’Oscar come miglior film straniero. Con Il Cliente Farhadi propone una attenta riflessione su un dramma nato all’interno del nucleo familiare, ma che si relaziona con un contesto sociale più generale, quello del suo paese, dove ancora risultano molto evidenti le contraddizioni che caratterizzano l’atteggiamento comune dei confronti delle donne. Rana, la protagonista femminile, apre incautamente la porta di casa ad uno sconosciuto convinta che sia il marito, ma l’aggressione da parte dell’intruso, che immediatamente fugge, la umilia profondamente per essere stata vista nuda dai vicini accorsi in suo aiuto sentendo le sue grida. Ciò che pensa la gente è la sua vera violenza. Emad, il marito, dal canto suo rimane sconvolto per quanto accaduto, ma di fronte all’ostinazione della moglie di non voler sporgere denunzia alla polizia, inizia da solo una caccia spietata verso l’aggressore con il reale intento di lavare l’oltraggio subito. E’ dunque la vendetta l’unica cosa che lo interessa. Lentamente l’intesa tra marito e moglie sembra sgretolarsi, alimentata solo da senso di paura, sfiducia ed onore ferito.

L’abilità cinematografica del regista, oltre ad evidenziare uno studio profondo sulla personalità dei due protagonisti, si basa sulla capacità di saper porre lo spettatore di fronte a due drammi distinti, ma per alcuni tratti convergenti, che riguardano rispettivamente l’accaduto e ciò che invece viene rappresentato nell’azione teatrale, in cui i due si trovano a recitare in coppia.

In entrambi ci si focalizza sulla figura maschile, ancora troppo egocentrica nel tessuto sociale: l’uomo, al centro della scena, vede mettere in seria discussione i propri principi etici e non si riconosce in una società in rapida evoluzione, non riuscendo o non volendo essere al passo con i tempi. Bravissimi gli interpreti.

data di pubblicazione:13/01/2017


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AQUARIUS di Kleber Mendonça Filho, 2016

AQUARIUS di Kleber Mendonça Filho, 2016

Clara, critica musicale oramai in pensione, vive accudita da una fedele domestica nell’ Aquarius, un vecchio stabile di pochi piani attorniato dai grattacieli che danno sul lungomare di Recife. Clara è l’unica inquilina rimasta all’intero dello stabile in quanto tutti gli altri proprietari hanno già da tempo venduto i propri appartamenti ad una società immobiliare, dai traffici poco chiari, che intende rilevare in blocco l’intero edificio per costruire abitazioni di lusso. La donna vedova e con i figli oramai sistemati, si troverà a lottare con caparbia ostinazione contro Diego, giovane ambizioso e responsabile del progetto, allo scopo di difendere la casa dove ha sempre vissuto, circondata dai propri affetti e dai ricordi legati ad una giovinezza oramai lontana.

Era il 1985 quando apprezzammo Sonia Braga ne Il bacio della donna ragno di Hèctor Babenco, a distanza di nove anni da quando nel 1976 la vedemmo per la prima volta nel film di Bruno Barreto Donna Flor e i suoi due mariti, basato sull’omonimo romanzo di Jorge Amado: lo sguardo intenso di allora, appena ventiseienne, non è cambiato ed oggi l’attrice brasiliana ritorna sul grande schermo, dopo anni di assenza, quanto mai in forma, e non solo fisicamente. Nel film Aquarius di Kleber Mendonça Filho interpreta una donna caparbia e battagliera, pronta a tutto pur di difendere il proprio appartamento e, soprattutto, quanto di ricordi in esso custoditi, contro una bieca speculazione edilizia decisa a raggiungere il proprio tornaconto a qualsiasi costo. Clara, ammalatasi da giovane di cancro al seno, ne porta ancora orgogliosamente i segni devastanti come “a non voler dimenticare” tutto del passato, le cose belle e quelle brutte, che l’hanno trasformata in quella che è orgogliosamente oggi. Una donna a cui gli anni non hanno affatto cancellato quel suo fare spigliato carico di una esuberante dose di sensualità, in ogni movimento dei fianchi, della folta chioma corvina, mantenendo intatto il ritratto tipico di donna brasiliana ancora piena di vita e che della vita si nutre.

Il film si regge prevalentemente sulla forte personalità del personaggio di Clara e sul carisma della sua splendida interprete, mentre la sceneggiatura appare agli occhi dello spettatore alquanto sfruttata nei suoi tratti essenziali: la speculazione che divora tutto come un cancro, tentando di spazzare via assieme alle vecchie mura dell’Aquarius ricordi e affetti, e la divisione del film (troppo lungo) in tre capitoli come le fasi della vita di Clara, proiettando ricordi del passato, integri e ben custoditi, nello sfacelo del presente corrotto e devastante, sono tutti elementi che nel loro insieme non brillano certo per originalità.

Sicuramente vincente è la splendida colonna sonora che accompagna le scene: famosi brani brasiliani degli anni ottanta che ci rimandano ai tempi d’oro della bossa nova quando anche in Italia imperversavano Carlos Jobim, Joao Gilberto, Toquinho e tanti altri ancora, brani che fanno da supporto ad una ambientazione ricca di saudade e sensualità.

data di pubblicazione:12/01/2017


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FLORENCE di Stephen Frears, 2016

FLORENCE di Stephen Frears, 2016

Florence Foster Jenkins, ricchissima ereditiera e figura di spicco del “jet set” newyorkese degli anni quaranta, è intimamente convinta di essere dotata di un buon talento vocale per diventare una eccellente cantante lirica. Nella realtà però il suo canto è gracchiante e sgradevole, privo di una qualsiasi coloritura timbrica e di una benché minima tecnica sonora. Incoraggiata dal (poco) fedele marito St. Clair Bayfield e da Cosmé Mc Moon, il pianista personale che l’accompagna nelle disastrose esibizioni musicali, Florence riuscirà ad organizzare un recital personale alla famosa Carnegie Hall con il pretesto di intrattenere le truppe impegnate al fronte, durante il secondo conflitto mondiale. Il prevedibile fiasco porterà con sé la consapevolezza che il fermo e irrinunciabile desiderio canoro di Florence era solo una chimera e che i successi sinora ottenuti erano solo una farsa organizzata dal consorte con la complicità di un pubblico compiacente e di una critica abilmente manipolata.

 

Il film di Stephen Frears (regista britannico che ha firmato pellicole quali Le relazioni pericolose, The Queen e il meno convincente Philomena) racconta al grande pubblico la vera storia di una donna dell’alta borghesia di New York, melomane ed amica personale di Arturo Toscanini, convinta di possedere una voce e doti di cantante che in realtà non possedeva. Questa sua convinzione, affettuosamente sostenuta dal coniuge che la assecondava in tutto perché convinto che il canto era l’unica arma per arginare una brutta malattia che affliggeva la consorte da anni, è anche il punto di forza di questa donna che divenne una sorta di fenomeno, incidendo dischi e tenendo concerti che divennero dei veri e propri “eventi” mondani. Tuttavia Frears porta sul grande schermo una storia non originale: essa è già stata raccontata nel film Merguerite presentato nel 2015 alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, poco apprezzato nelle sale seppur abbia vinto diversi Cèsar (tra cui quello a Catherine Frot nei panni della protagonista), la cui produzione più modesta ha richiesto tempi di lavorazione meno lunghi della attuale versione inglese. Nel cast di Florence oltre al “mostro” Meryl Streep, sono altrettanto (se non di più) indiscutibilmente bravi il mai troppo lodato Hugh Grant, perfetto nel ruolo del marito, e Simon Helberg in quello del pianista che scende ad incredibili compromessi pur di lavorare: sono loro che fanno raggiungere alla pellicola quel sufficiente grado di piacevolezza e divertimento che coinvolge il pubblico sino agli ultimi (stucchevoli) acuti di Florence. Ma, nonostante le candidature dei tre interpreti ai Golden Globe, la sceneggiatura esile del film evidenzia principalmente l’aspetto alquanto caricaturale dei personaggi che, seppur facciano sorridere lo spettatore, distolgono dal dramma reale di questa donna malata, che riesce a vivere la sua viscerale passione per il bel canto grazie ad un marito che a modo suo l’ha amata e le ha consentito di vivere e raggiungere una, sia pur apparente, felicità stonando e strepitando. Florence dopo la sua morte divenne famosa davvero: inevitabile epilogo di ogni artista che si rispetti.

data di pubblicazione:06/01/2017


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