da Antonio Iraci | Mar 25, 2016
(Teatro dell’Orologio – Roma, 22/25 Marzo 2016)
Una rivisitazione in versi del ben noto romanzo, più che una fiaba, di Carlo Collodi curata da Andrea Carvelli con la regia di Matteo Cusato, che ci racconta in forma poetica delle prime avventure del celebre burattino Pinocchio. Nella fantasia di Mastro Geppetto il pezzo di legno che si trova tra le mani ha un’anima, una voce che riflette le proprie impressioni e che bisogna far vivere dandogli una forma. In questo caso però la pretesa va oltre: Pinocchio non sarà solo un burattino di legno, ma diventerà un bambino a tutti gli effetti che bisognerà mandare a scuola affinché impari a leggere e scrivere, per poi iniziare a uniformarsi a quanto richiesto dalla società. La morale appare evidente e rispecchia il vivere civile, che impone di sacrificare l’istinto naturale alle convenzioni: questo vale pure per Pinocchio, al quale proprio risulta innaturale conformarsi alle regole.
Interessanti le scene elaborate dallo stesso Carvelli dove vediamo muoversi il burattino/bambino interpretato magistralmente dal giovane Anton De Guglielmo che con movimenti rapidi rappresenta bene il Pinocchio che tutti immaginiamo: senza sbavature o tentennamenti lo vediamo comporre e scomporre dei pezzi di legno, interagendo perfettamente con gli altri personaggi del racconto e dando una certa uniformità all’insieme. Poco stimolanti le voci fuori campo ma necessarie per spiegare lo svolgersi della fiaba per chi, credo pochi, non abbiano mai letto da piccoli il celebre libro collodiano.
data di pubblicazione 25/03/2016
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Mar 23, 2016
Molto, ma mai troppo, è stato visto, scritto e raccontato su Pier Paolo Pasolini, ed ogni volta si aggiunge qualcosa di nuovo, come un tassello mancante che si inserisce in un quadro più generale delineando, con tratti sempre più marcati, la figura di questo grande poeta, scrittore, regista, giornalista, intellettuale che con il suo pensiero ha influenzato la cultura italiana del nostro tempo.
Questo film di David Grieco, amico personale di Pasolini che lo aveva scelto come attore in Teorema e successivamente come aiuto in Medea per fare da assistente alla Callas, ha uno scopo preciso: indurre ad aprire ancora una volta l’inchiesta sul delitto alla luce dei nuovi elementi probatori, tutti orientati a definire la faccenda come una vera e propria “macchinazione”, un complotto politico a tinte fosche per eliminare una figura divenuta oramai scomoda ai centri di potere.
Pasolini, nei giorni appena antecedenti la sua morte, aveva portato a termine, sia pur in maniera disordinata, il suo libro denuncia Petrolio attingendo dallo scritto del fantomatico Giorgio Steimetz Questo è Cefis, sparito subito dalla circolazione, in cui si denunciava la figura di Eugenio Cefis, allora Presidente dell’Eni e della Montedison.
Nella lettera a Moravia che accompagna il manoscritto, Pasolini chiarisce il tipo di taglio antinarrativo che vuole dare al libro affermando che pur trattandosi di un romanzo non era scritto come tale, ma più assimilabile a come si fa nella saggistica o in certi articoli giornalistici, nelle recensioni, nelle lettere private o anche in poesia…Pubblicato postumo nel 1992 da Einaudi, questo insieme disorganico di appunti e riflessioni è facile credere sia stato il vero motivo dell’assassinio, pianificato nei minimi dettagli, che si prefiggeva come obiettivo prevalente l’eliminazione di un personaggio oramai fastidioso e compromettente, facendo risultare chiaramente infondata, alla luce dei nuovi fatti emersi, la confessione nel primo processo del reo confesso Pino Pelosi.
Curato alla perfezione nella scelta delle scene firmate da Carmelo Agate e sotto la direzione della fotografia di Fabio Zamarion La Macchinazione di David Grieco, che si è già occupato molte volte dell’amico/maestro Pasolini in vari film e anche collaborando con Sergio Citti in una serie televisiva, sembra essere carente solo nella selezione del cast. Indubbia la somiglianza del volto di Massimo Ranieri con quello di Pasolini, ma certamente poco convincente la sua recitazione che non sembra trasmettere la giusta tensione emotiva, mentre la scelta di Milena Vukotic, nella parte della madre, sembra decisamente più efficace. Poco credibile anche la figura di Pino Pelosi impersonato dall’esordiente Alessandro Sardelli, sia nella interpretazione che nell’aspetto fisico, mentre molto indovinata la musica di accompagnamento Atom Heart Mother prestata al film dai Pink Floyd, un classico degli anni settanta che ben si adatta al periodo storico trattato.
Il film ha comunque il pregio di essere un documento che ci proietta nel mondo di Pasolini e ci chiarisce il suo pensiero riguardante il destino della sinistra italiana e della educazione scolastica borghese, pensiero che con il passare del tempo è risultato decisamente premonitore sulla realtà politico/sociale di oggi.
data di pubblicazione:23/03/2016
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da Antonio Iraci | Mar 17, 2016
(Teatro dei Conciatori – Roma, 8/20 Marzo 2016)
Lorenzo Da Ponte alla fine del ‘700, nel portare a termine il libretto commissionatogli da Mozart per la sua opera buffa Così fan tutte, già aveva stigmatizzato, sia pur in maniera ambigua come suo solito, l’infedeltà “insita” nella natura femminile lasciando però un prudente margine di dubbio: sono le donne costrette al tradimento a causa dei raggiri maschili, oppure sono gli uomini che si fanno abbindolare dalle lusinghe femminili?
Patrizio Cigliano nel suo lavoro in scena al Teatro dei Conciatori ci sottopone mutatis mutandis lo stesso dilemma. Andrea è un quarantenne in apparenza felicemente sposato da dieci anni che ogni tanto si concede una scappatella extra con qualcuna più giovane di lui. Dopo aver assunto nel suo ufficio una stagista di nome Linetta, ben presto prenderà coscienza che la giovane, nella sua inettitudine al lavoro ed alla vita affettiva in genere, lo ha coinvolto emotivamente al punto tale da sacrificare il suo matrimonio per un rapporto che solo lui crede di autentico amore, ma che invece non presenta alcun coinvolgimento da parte della ragazza.
Invano interviene quella strana parte di sé che razionalmente spingerà Andrea a meditare su quanto sta realizzando: abbandonare la moglie fedele e desiderosa di creare una famiglia per una ventenne scialba, anaffettiva, che si concede facilmente a sconosciuti solo per il gusto di sentirsi desiderata.
Ancora una volta la ragione non sembra avere presa sul sentimento, sull’amore che tutti noi stranamente cerchiamo nella direzione sbagliata, illudendoci per un breve momento sulla certezza di quell’emozione che ben presto però ci creerà solo pena e tormento.
Il salto generazionale tra Andrea a Linetta aggraverà ulteriormente la situazione e renderà il rapporto insostenibile: i linguaggi espressivi sono troppo diversi e non c’è proprio nulla da fare per riconciliare i due amanti in quello che avrebbe potuto essere, almeno nelle intenzioni di Andrea, un rapporto d’amore duraturo. I quattro attori della Compagnia Arcadinoè (Patrizio Cigliano, Barbara Begala, Beatrice Messa e Veronica Milaneschi) si muovono con disinvoltura sulla scena ideata dallo stesso regista, cadenzata da rapidi cambi in uno spazio ben studiato per le diverse situazioni. La narrazione si segue con attenzione e divertimento, lasciando lo spettatore con quell’inevitabile amaro in bocca, tipico di ogni opera buffa che si rispetti.
data di pubblicazione:17/03/2016
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Mar 17, 2016
Se il filosofo e sociologo tedesco Herbert Marcuse avesse visto il film Ave, Cesare!, firmato dai fratelli Coen e presentato come film di apertura all’ultima Berlinale, avrebbe sicuramente rivisto al meglio le proprie teorie sul capitalismo e sulla manipolazione delle masse da parte della cultura dell’intrattenimento.
Il film, ambientato in una Hollywood di celluloide degli anni cinquanta, in quei famosi Studios dove contemporaneamente si mescolano western, musical e polizieschi di ogni genere, sembra irridere alle situazioni stesse, a volte grottesche, che pur nella confusione generale, trovano sempre una soluzione per far andare avanti al meglio quanto previsto in copione. Il risultato è una divertente satira socio/culturale del tempo che solo la maestrìa dei fratelli Coen sa rendere al meglio, usando toni leggeri e quasi surreali, senza peraltro ricadere nel banale o nel tutto prevedibile. Il film, pur non atteggiandosi volutamente a divenire un classico d’autore, diventa invece un film autoriale grazie all’abilità di questi due registi che hanno saputo cogliere l’essenza del tema annunciato.
Di gran livello il cast, che va da Josh Brolin a George Clooney, da Alden Ehrenreich a Ralph Fiennes, e poi ancora Jonah Hill, Scarlett Johansson, Frances McDormand, Tilda Swinton, Channing Tatum, ed anche se alcuni di loro sono impegnati solo in piccoli camei, tutti insieme determinano la buona riuscita complessiva del film che rimanda, per situazioni e personaggi, a fatti e persone reali degli anni cinquanta.
Il messaggio che ci arriva è quello che le cose semplici, paradossalmente, sembrano essere quelle più sbagliate e che invece proprio dal caos nasce l’ordine e la felicità, che è quello che in fondo appaga noi comuni mortali in un futuro anteriore che oramai, minuto per minuto, ci respinge in un passato remoto e dove anche la luna piena, che si rispecchia nell’acqua, può così all’improvviso dileguarsi: basta semplicemente… tuffarvisi dentro.
data di pubblicazione:17/03/2016
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da Antonio Iraci | Mar 5, 2016
(Teatro Vascello – Roma, 4/13 marzo 2016)
In prima nazionale al Teatro Vascello questa ultima interpretazione classica tratta da Le Baccanti di Euripide con la direzione di Daniele Salvo, regista e attore emiliano, diplomato alla scuola attori “Teatro Stabile di Torino” e allievo di Luca Ronconi, con cui ha lavorato per molti anni sia come attore che come aiuto in svariati spettacoli.
Oramai di casa al Teatro Greco di Siracusa, dove ha portato sulla scena artisti di grosso calibro come Giorgio Albertazzi in Edipo a Colono e Maurizio Donadoni in Aiace di Sofocle, nonché Piera degli Esposti in Orestea, Daniele Salvo si presenta qui a Roma con le sue Baccanti, conquistandoci ed impressionandoci tra l’altro per la scelta accurata degli elementi di scena (Michele Ciacciofera) e dei costumi (Daniele Gelsi).
Dioniso, figlio di Zeus e di Semele, comune donna mortale, arriva a Tebe per convincere il re Penteo sulla sua natura divina, per incitare le donne a ribellarsi contro la propria condizione di sottomissione e per onorarlo sul monte Citerone, come Baccanti, mediante riti propiziatori in suo onore che in realtà si trasformano in vere e proprie orge liberatorie in cui, inebriate dal vino, potranno dare libero sfogo alle proprie irrefrenabili pulsioni.
Sulla sfondo della tragedia, lo scontro/incontro dei due personaggi principali: Dioniso e Penteo, in cui ben presto si afferma e si nega contestualmente la natura divina di uno e la tirannia dell’altro, ma dove poi le situazioni si capovolgono e le due personalità finiscono con rappresentare le due facce della stessa medaglia. Due immagini esattamente speculari che si fronteggiano per poi fondersi in un unico amplesso conciliatorio, sia pure illusorio.
L’idea del regista è che Le Baccanti sono poi quella parte irrazionale di noi, quel quid che vorrebbe esplodere per ridarci la nostra vera natura, oramai perduta nei meandri delle convenzioni piccolo/borghesi che ci hanno manipolato e contro le quali risulta oramai difficile ribellarci.
Fedele interprete del testo euripideo, Daniele Salvo scruta l’intimo dell’animo per dare una voce diversa ai personaggi, anche mediante utilizzo di suoni sgranati e forzati, quasi innaturali, ma che sgorgano dal profondo per raggiungere uno stato emotivo superiore, mantrico, liberatorio.
Qui non si tratta di trovare nuove soluzioni, ma di seguire l’interpretazione genuina della narrazione mediante l’uso di tecniche visive di grande effetto per il pubblico e con l’obiettivo di portare in scena uno spettacolo emotivamente coinvolgente.
Ottimo il cast in scena e singolare la recitazione di Manuela Kustermann, nella parte di Agave, e Ivan Alovisio in quella del figlio Penteo, oltre al coro delle Baccanti che hanno raggiunto momenti di grande effetto coreografico, trasmettendoci quel pathos tipico della tragedia greca classica.
data di pubblicazione:05/03/2016
Il nostro voto:
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