DONNE – CORPO E IMMAGINE TRA SIMBOLO E RIVOLUZIONE

DONNE – CORPO E IMMAGINE TRA SIMBOLO E RIVOLUZIONE

(Galleria d’Arte Moderna – Roma, 24 gennaio/13 ottobre 2019)

Un centinaio di opere tra dipinti, sculture e fotografie, tutte provenienti dalle collezioni capitoline, sono state raccolte presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma per illustrare l’universo femminile in un percorso singolare, attraverso l’Ottocento fino agli anni settanta del Novecento, per accompagnare quel processo di emancipazione che la donna nel tempo è riuscita ad imporre alla società e ad imporsi. Nel corso della storia l’immagine femminile è stata legata ad un’idea spesso contraddittoria: da un lato ispiratrice di una forma di bellezza pura, modello di protezione domestica in quanto fonte generatrice, dall’altro esempio di erotismo legato al peccato, se non addirittura simbolo satanico, minaccia tentatrice che induce alla perdizione eterna. Questa stridente dicotomia incomincia a dissolversi agli inizi del secolo scorso quando accanto alla pittura in cui la donna appare in pose a dir poco provocanti, si fa anche strada un tipo di letteratura che la pone come simbolo di seduzione e prepara il terreno per quei primi lavori cinematografici che hanno poi creato le dive dell’epoca moderna. Un primo decisivo sovvertimento di questo immaginario si è sicuramente avuto negli anni cinquanta quando il genere femminile entra nel mondo del lavoro rivendicando i propri diritti per equipararli a quelli degli uomini e iniziando così quel graduale processo di emancipazione che poi troverà ampio consenso e diffusione negli anni settanta. Da quel momento la donna storicamente si affranca dal ruolo esclusivo di madre e prende piena coscienza di sé maturando la percezione di poter entrare in ogni ambito del sociale. La nuova identità femminile è percepibile nella ricerca in campo artistico di nuove forme ispiratrici che tentano in ogni modo di rappresentare il soggetto non solo esclusivamente per il suo corpo ma anche per lo spirito che da esso promana, un’indagine mirata a scoprire un universo fino a quel momento rimasto oscuro e indecifrabile. Scopo di questa interessante mostra presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma è quello di farci prendere coscienza che la donna, non più legata esclusivamente al mito e alla leggenda classica, nel tempo ha assunto varie configurazioni passando dall’idea maschilista che la vuole femme fatale al modello di essere indipendente, con un proprio status sociale imparando ad essere artefice del proprio destino. Partendo da Le vergini savie e le Vergini stolte di Sartorio si prosegue con L’angelo tra i fiori di Carosi fino a tutta una serie di ritratti tra cui spicca quello della moglie di Giacomo Balla mentre si volta a guardare qualcuno o qualcosa dietro di sé con un atteggiamento a dir poco misterioso. Interessanti pure le tele di Mario Mafai Donne che si spogliano e Vecchie carte di Baccio Maria Bacci dove in entrambe emerge una pesante solitudine esistenziale. A conclusione troviamo una serie di foto, manifesti e videoinstallazioni, forniti da Archivia – Archivi, Biblioteche e Centri di Documentazione e dall’Archivio dell’Istituto Luce – Cinecittà, che testimoniano gli anni delle lotte femministe, quando le donne scesero in piazza per rivendicare il diritto sul proprio corpo, travolgendo così gli ultimi avanzi di quel machismo, insano ed obsoleto. Una mostra straordinaria, sicuramente da visitare.

data di pubblicazione:05/02/2019

SUSPIRIA di Luca Guadagnino, 2019

SUSPIRIA di Luca Guadagnino, 2019

Dopo essere stato presentato in concorso nell’ultima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, finalmente è stato distribuito nelle sale l’attesissimo lavoro di Luca Guadagnino, tratto dall’omonimo film di Dario Argento: più che un remake, Suspiria, a detta dello stesso regista, è un doveroso omaggio a un autore che lo aveva letteralmente impressionato quando, appena adolescente, aveva avuto l’opportunità di vedere al cinema quello che sarebbe divenuto a breve un cult a livello internazionale. Una sfida non facile: trarre ispirazione da un soggetto così conosciuto dai cinefili di tutto il mondo è già di per sé un rischio, soprattutto per il genere horror.

 

Il film di Guadagnino segue le orme indelebili tracciate da Dario Argento in una rivisitazione dove, al di là delle linee fondamentali del plot originario, il regista inserisce del suo dandone una personale lettura in chiave più metafisica, in cui sono coinvolte donne e solo donne, che coesistono nella prestigiosa scuola di danza Markos Tanz ubicata nella Berlino ancora divisa dal muro. Il film è ambientato nel 1977, proprio nell’anno in cui Argento presentò il suo film, in una Germania scossa dai violenti attacchi terroristici della Raf, gruppo terroristico di matrice marxista-leninista chiamata anche banda Baader-Meinhof dal nome dei suoi fondatori, che il regista ha voluto porre come sfondo all’azione misteriosa che si svolge all’interno dell’Accademia. Fondamentale la figura della coreografa Madame Blanc, una magnetica ed eterea Tilda Swinton alla sua ennesima collaborazione con il regista, in una evocazione della grande Pina Bausch, la cui scuola ha decisamente rivoluzionato il concetto di danza contemporanea, ed intorno alla quale gravita l’apprensione emotiva che accompagna l’intero film. Il tema centrale è quello della stregoneria e della magia nera che ci riporta ad alcune riflessioni sul concetto dell’illusione e dell’ultraterreno, con uno sguardo particolare alla funzione delle donne, tema che sin dai primi fotogrammi è sintetizzato in una frase contenuta in un quadro “Una madre è una donna che può sostituire tutti ma non può essere sostituita”, e che si riallaccia al concetto di Mother nella trilogia di Argento.

Un mix quindi tra horror e stregoneria con uno sguardo anche alla psicoanalisi dal momento che tra i personaggi spicca la figura del dottor Klemperer interpretato da Lutz Ebersdorf, storico psicoanalista degli anni sessanta attivo anche nel teatro sperimentale di quegli anni.

Comunque il film rimane sicuramente una concreta testimonianza dell’universo femminile e dei suoi misteri, tema che come dichiarato dallo stesso regista in conferenza stampa a Venezia, trova ispirazione nella cinematografia del grande regista e drammaturgo Rainer Werner Fassbinder, uno dei maggiori esponenti del cinema tedesco moderno.

Suspiria si può considerare un esperimento realmente riuscito solo se non lo si vede come un fedele remake del capolavoro di Dario Argento: Guadagnino ha voluto seguire un suo stile personale cercando di affrontare per la prima volta il genere horror, con un taglio diverso e scevro da qualsiasi condizionamento. Nonostante l’eccessiva durata, il film non annoia grazie anche alla ricercatezza della fotografia e degli effetti speciali che lasciano lo spettatore con il fiato sospeso, coinvolgendolo in terrificanti tensioni emozionali. Bravissime le giovani interpreti, tra cui va menzionata Dakota Johnson nella parte della protagonista Susie Bannion, attrice oramai di fama internazionale dopo che nel 2015 ha vestito i panni di Anastasia Steele in Cinquanta sfumature di grigio di Sam Taylor-Johnson.

data di pubblicazione:03/01/2019


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CAPRI-REVOLUTION di Mario Martone, 2018

CAPRI-REVOLUTION di Mario Martone, 2018

Capri, scoppio della Prima Guerra Mondiale. Un gruppo di giovani nordeuropei ha trovato sull’isola il luogo adatto per fondare una comune e ricercare insieme l’arte e la propria stessa identità lontano dal mondo così detto civilizzato. La gente del posto, seppur con una certa riluttanza, li ha accolti bene pur avendo una propria tradizione da tutelare e trovandosi sovente in contrasto con gli ideali utopistici dei ragazzi i quali, tra danze e riti iniziatici, sperimentano con la nudità dei loro corpi il contatto con la natura selvaggia del posto.

 

Di quella stessa natura è intrisa Lucia, ragazza analfabeta che un giorno, badando alle capre, quasi per caso incontra il capo carismatico del gruppo e ne rimane attratta, iniziando così a coltivare l’autoconsapevolezza di essere una donna libera e matura a cominciare un percorso di emancipazione fuori dagli stereotipi che la famiglia le impone.

Con Capri-Revolution, presentato in concorso all’ultima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Mario Martone chiude la trilogia, dopo Noi credevamo e Il Giovane favoloso, sulla storia dell’Italia dal Risorgimento alla Prima Guerra Mondiale. La sceneggiatura, scritta insieme alla moglie Ippolita Di Majo, è perfetta in ogni suo aspetto: ambientata nel passato, ci parla dei problemi di oggi, del nostro rapporto con la natura, del progresso tecnologico e della sopravvivenza stessa dell’umanità.

Capri, con la sua essenza arcaica, quasi mitologica, trova identificazione in Lucia (Marianna Fontana, una delle due gemelle siamesi nel film Indivisibili di Edoardo De Angelis), una ragazza povera di cultura scolastica ma che è l’essenza di tutti quegli ideali di libertà e di riscatto sociale con i quali ancora oggi l’universo femminile deve ancora misurarsi. La giovane inizia il proprio percorso di liberazione esattamente come gli esuli russi, che a Capri in quegli anni si preparavano alla grande rivoluzione: in un momento storico ben preciso in cui l’Europa entrava nel conflitto mondiale, Lucia rappresenta per il regista il pretesto per parlare di due mondi contrapposti, quello della comunità dei pastori dell’isola e quello della comune di individui naturisti, omeopati, vegetariani e antimilitaristi. Il racconto prende spunto proprio dalla comune realmente fondata dal pittore spiritualista Karl Diefenbach che intendeva praticare la sua arte attraverso un radicale sovvertimento delle leggi tradizionali, in cui era di fondamentale importanza il contatto diretto con la natura, in particolare attraverso la danza. I principi basilari di questo pensiero troveranno poi sviluppo negli anni ’60 e ’70, diventando un fenomeno collettivo che portò molti giovani di quella generazione verso la ricerca di una spiritualità del tutto nuova, lontano dai condizionamenti sociali e consumistici.

Cast di ottimo livello, tra cui Donatella Finocchiaro nella parte della madre; bella la fotografia curata da Michele D’Attanasio, già vincitore nel 2017 del David di Donatello per il film Veloce come il vento di Matteo Rovere: la nitidezza delle immagini piene di colore rimanda al simbolismo dei pittori preraffaelliti e alle figure luminose ispirate all’arte neoromantica.

Il film, carico di sentimento, ben accolto dal pubblico del Festival e dalla critica, ha già ottenuto diversi riconoscimenti tra cui il Premio Francesco Pasinetti, il Premio Carlo Lizzani, il Premio Siae e Sfera 1932 oltre al Premio Arca Giovani.

data di pubblicazione:20/12/2018


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PELLEGRINAGGIO DELLA PITTURA RUSSA. Da Dionisij a Malevič

PELLEGRINAGGIO DELLA PITTURA RUSSA. Da Dionisij a Malevič

(Musei Vaticani – Braccio di Carlo Magno – Roma, 20 novembre 2018/16 febbraio 2019)

É stata da poco inaugurata, presso la Galleria del Colonnato della Basilica di San Pietro nel cosiddetto Braccio di Carlo Magno, una interessante mostra d’arte russa, una sorta di potlatch, cioè uno scambio di doni tra i Musei Vaticani e la Galleria Tret’jakov di Mosca. Una vera e propria forma di ringraziamento nei confronti della Pinacoteca Vaticana che generosamente, quasi due anni fa, si era separata, per alcuni mesi, dei quadri più importanti della sua collezione in occasione dell’esposizione Roma Aeterna tenutasi con enorme successo proprio a Mosca.

I dipinti esposti accompagnano un percorso apparentemente casuale, disposti senza un ordine cronologico che, partendo dalle icone, continua poi con opere dell’Ottocento fino ad arrivare al Novecento attraverso una pittura che pur distinta nei singoli elementi segue una linea armonica. All’inizio della galleria il visitatore si trova di fronte una serie di icone e tra queste la famosa Crocifissione di Dionisij eseguita nel Cinquecento, opera che racchiude in sé più che simbolicamente l’idea da parte dell’artista di voler rappresentare il divino e dare così forma a ciò che per natura è ineffabile e inconoscibile. Queste pitture, che nella tradizione costituiscono il punto di riferimento dell’identità nazionale, vengono definite “quadri capitali” perché costituiscono dei veri e propri capisaldi della cultura russa. I dipinti dell’Ottocento rappresentano il nucleo più importante dell’intera collezione, fondata da Pavel Tret’jakov, e riguardano essenzialmente opere di pittori che nel 1870 costituirono una corrente i cui componenti venivano definiti “ambulanti” perché contrari agli schemi ufficiali imposti dell’Accademia Imperiale di Belle Arti. Tale movimento, simile a quello dei macchiaioli in Italia, degli impressionisti in Francia e dei preraffaelliti in Inghilterra, nella buona sostanza era espressione di un determinato realismo critico ribelle a qualsiasi forma di ordine costituito. Entrando nel Novecento il visitatore viene catturato dal “quadrato nero”, opera del celebre Malevič, pioniere dell’astrattismo geometrico e fondatore del suprematismo. Tale avanguardia, i cui dipinti furono presentati per la prima volta nel 1915 alla Mostra Futurista di San Pietroburgo, fu chiamata così perché l’artista riteneva essenziale la supremazia della sensibilità pura dell’arte a discapito delle apparenze esteriori ed effimere della natura.

Le opere di questa esposizione, nel fondere insieme l’arte antica con quella moderna, si inseriscono perfettamente nel percorso architettonico del Bernini e contribuiscono a creare delle tappe di un cammino spirituale, un vero pellegrinaggio in armonia con il genius loci in cui ci si trova, fulcro della cultura e dell’arte proprio dei Musei Vaticani.

data di pubblicazione:26/11/2018

POLLOCK e la Scuola di New York

POLLOCK e la Scuola di New York

(Complesso del Vittoriano- Ala Brasini – Roma, 10 ottobre 2018/24 febbraio 2019)

In mostra al Vittoriano un piccolo assaggio delle opere più significative di un gruppo di artisti che, insieme a Jackson Pollock, formarono a New York una vera e propria scuola, con l’intento di sovvertire gli stilemi imposti dalle correnti pittoriche che, negli anni immediatamente a ridosso della seconda guerra mondiale, si erano concentrate principalmente a Parigi. I pittori di quella scuola, definiti “irascibili” per aver contestato la loro esclusione da parte del Metropolitan Museun of Art ad una collezione d’arte contemporanea, diverranno i protagonisti di un vero e proprio Espressionismo Astratto che porrà le basi di un movimento anticonformista, capace di influenzare la cultura moderna e post moderna fino ai giorni nostri.

Il visitatore che si accinge a ispezionare questa piccola raccolta proveniente dal Whitney Museum di New York rimarrà sicuramente un poco deluso per l’esiguità delle opere esposte che, pur offrendo un significativo esempio di ciò che identifica l’astrattismo, non soddisfano appieno l’emozione di colui che si trova per la prima volta ad incontrare Pollock, il più importante rappresentante di quella corrente artistica. Si potrà almeno accontentare di ammirare il suo celebre Number 27 del 1950, certamente più che indicativo per farci comprendere la nuova tecnica pittorica del dripping, che partendo dalla pittura automatica surrealista riesce a creare, con la colatura del colore, una serie di immagini spontanee che trovano spazio sulla tela affrancandosi dall’uso del cavalletto per trovare invece singolare sistemazione sul pavimento, pronta a ricevere la creatività dell’artista. Altro termine coniato “ad hoc” è action painting che vede il coinvolgimento di tutto il corpo dell’artista con il suo gesto danzante intorno alla tela, una sorta di percorso di ricerca dell’inconscio effettuato attraverso la stesura sgocciolata del colore sulla superficie.

La fortuna, non casuale, spingerà Pollock ad entrare nel circolo culturale che ruotava attorno alla collezionista Peggy Guggenheim che, finanziando l’acquisto del suo studio, contribuirà concretamente a renderlo una delle figure più rappresentative tra le varie correnti avanguardiste di quegli anni.

Il percorso espositivo ci fa incontrare altre figure della Scuola di New York tra le quali l’olandese Willem De Kooning che, pur rimandando ad una matrice realista, mira a rappresentare una visione deformata e violenta della stessa realtà e l’americano Franz Kline i cui lavori in bianco e nero sono il risultato di una certa “spontaneità studiata”, ossimoro per indicare che il suo dipinto spontaneo era in effetti scaturito da diversi disegni preparatori. L’attenzione viene comunque catturata da due importanti dipinti di Mark Rothko che forse un poco si discostano dal tema proposto: pur partendo da una ricerca sull’astrazione e sull’espressionismo, le sue opere si concentrano su grandi tele con pochi e intensi colori dove ogni piccolo dettaglio sembra rivolto ad una visione metafisica del reale, una sua personale proiezione verso la morte.

L’incidente mortale di Pollock nell’agosto del 1956, causato dal suo perenne stato di ebbrezza, segnerà come uno spartiacque da quella che poi verrà definita la cultura pop moderna: la sua fine sarà l’inizio di un nuovo modo di concepire l’arte basato sull’anticonformismo, l’introspezione psicologica e la sperimentazione spontanea. Stessi elementi questi che ritroviamo ad esempio nella musica jazz di quegli anni, una nuova forma musicale basata sull’improvvisazione collettiva degli interpreti che non seguono alcuno percorso ragionato.

La mostra, con il patrocinio della Regione Lazio e di Roma Capitale – Assessorato alla Crescita Culturale è stata organizzata dal Gruppo Arthemisia in collaborazione con The Whitney Museum of American Art, New York e curata da David Breslin, Carrie Springer e Luca Beatrice.

data di pubblicazione:20/11/2018