BERLINALE [5] – DAFNE di Federico Bondi, 2019

BERLINALE [5] – DAFNE di Federico Bondi, 2019

(69 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 7/17 Febbraio 2019)

Dopo l’improvvisa morte della madre, Dafne, nata con la sindrome di Down, dovrà occuparsi energicamente del padre che sta lottando contro una forte depressione. Ma Dafne dovrà anche pensare a riorganizzare la sua vita rielaborando il lutto dentro di sé: di contro troverà, nel supermercato dove lavora, un clima di affetto tra i colleghi e gli stessi clienti, che la circondano d’affetto disinteressatamente. Nonostante la giovane età, sarà lei che prenderà in casa le redini della situazione e, con l’ottimismo che la contraddistingue, sarà capace di superare i momenti tristi e trovare la forza di andare avanti per la sua strada.

 

 

Federico Bondi è un giovane regista e sceneggiatore italiano che si è fatto già conoscere dalla critica e dal pubblico con il suo primo lungometraggio Mar Nero, più volte premiato nel 2008 al Festival di Locarno. Questo suo secondo lavoro Dafne, presentato nella Sezione Panaroma della Berlinale, è un progetto nato quasi per caso, come ha dichiarato il regista, osservando un giorno per strada un signore che teneva per mano una ragazza “Down”. Ripensando a quella scena non esitò a scrivere un soggetto che, dopo l’incontro con la protagonista Carolina Raspanti, diventerà una vera e propria sceneggiatura. Il film sin da subito colpisce proprio per la sua interpretazione, perché si percepisce che la giovane non recita alcun copione ma sé stessa, così com’è realmente nella vita. In sostanza riesce perfettamente a trasmettere la sue verve e il suo modo coraggioso di affrontare il quotidiano. Come da lei stessa affermato, le disgrazie bisogna buttarsele dietro le spalle e andare avanti perché, comunque sia, la vita è bella per quello che è e per come noi stessi vogliamo costruircela.

Una storia semplice dunque, ma che ci diverte e commuove al tempo stesso, perché tocca quanto di più genuino si possa rappresentare. Man mano che la narrazione va avanti non ci si accorge neppure della disabilità di Dafne, perché la sua diversità è al contrario ciò che rende noi diversi, incapaci di percepire e di godere “del qui ed ora”. Il padre, che per tre giorni dalla nascita non ebbe il coraggio di guardare la figlia nella culla, se ne fece poi una ragione ed ora la osserva quasi con ammirato stupore perché è proprio lei che gli procura la forza di sopravvivere al dolore per la perdita della moglie.

Quello che il film nella sua semplicità vuole dirci è che nella vita sostanzialmente non ha importanza chi riesce a dare e chi invece riceve, ciò che conta è restare uniti per superare insieme con un sorriso quello che verrà.

Un plauso va a questo giovane regista che con la sua spontaneità è riuscito a creare un gioiello cinematografico e a dare un messaggio forte al pubblico, che in sala lo ha ringraziato con un lungo e caloroso applauso.

data di pubblicazione:11/02/2019








BERLINALE [4] – SYSTEMSPRENGER di Nora Fingscheidt, 2019

BERLINALE [4] – SYSTEMSPRENGER di Nora Fingscheidt, 2019

(69 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 7/17 Febbraio 2019)

Bernadette, o Benni come lei preferisce farsi chiamare, è una bambina di nove anni dall’aspetto delicato ma dotata di una terribile energia distruttiva verso tutto ciò che la circonda. La si può definire una “system crasher” termine che viene usato per descrivere quei soggetti che rifiutano qualsiasi tipo di regola e che pertanto sono destinati a essere rinchiusi in centri sociali speciali. Ma in famiglia o, peggio ancora, nei vari centri di accoglienza in cui è stata ospitata, non si riesce a calmare la sua rabbia e a infonderle quel sentimento di fiducia verso coloro che tutto sommato le vogliono bene e che si prendono con impegno cura di lei. L’unica cosa che consentirebbe a Benni di comportarsi in maniera normale sarebbe la possibilità di tornare a vivere con la madre e suoi fratellini.

 

 

A Berlino con il suo primo lungometraggio, la regista tedesca Nora Fingscheidt si occupa di una bambina a dir poco problematica, in quanto Benni (egregiamente interpretata dalla bravissima Helena Zengel) non solo è iperattiva ma è anche dotata di una incredibile dose di violenza che non esita a manifestare verso tutti coloro che la circondano, grandi e piccoli. Il film è un piccolo dramma con al centro della scena la giovane protagonista che riesce a coinvolgere il pubblico che non può che seguire con una certa apprensione tutta la sua odissea, che si svolge tra un istituto e una casa di accoglienza, in cui nessun metodo adottato riesce ad aver presa su di lei. Allo stesso tempo la storia è anche una disperata dichiarazione d’amore che la piccola tenta in ogni maniera di far giungere alla madre, donna debole ma anche l’unica che potrebbe salvarla e che, al contrario, si rifiuta di accoglierla in famiglia in quanto la ritiene pericolosa e di cattivo esempio per i suoi fratelli. Quando vediamo la bambina sottoposta ad ogni tipo di accertamento medico per scoprire quale malattia nervosa possa causare i suoi comportamenti fuori controllo, scopriamo un corpo pieno di ferite che farebbero pensare ad abusi sulla sua persona, ma che al contrario sono l’espressione concreta, tangibile, di un senso di colpa che la piccola prova e che sconta sul proprio corpo perché si ritiene incapace di conquistarsi l’affetto della madre, unica persona a cui lei tiene veramente. E così quella violenza indiscriminata verso tutti “gli altri”, è un modo per mascherare tanta infelicità e disperazione per non riuscire a tornare nella sua casa.

Systemsprenger è un film delicato, una eccellente prova registica di sensibilità verso l’infanzia calpestata, poco rispettata, alla quale non si riesce a dare attenzione e affetto necessari per una vita dignitosa.

L’interpretazione di Helena Zengel è di altissimo livello come quella dell’intero cast che ruota intorno alle vicende della piccola Benni: una storia terribilmente vera che lascia la sensazione di un vuoto inconsolabile.

data di pubblicazione:10/02/2019








BERLINALE [3] – OUT STEALING HORSES di Hans Petter Moland, 2019

BERLINALE [3] – OUT STEALING HORSES di Hans Petter Moland, 2019

(69 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 7/17 Febbraio 2019)

Dopo la morte della moglie a seguito di un incidente stradale, il 67enne Trond Sander lascia Oslo per ritirarsi in un piccolo villaggio nella foresta norvegese. Siamo alla fine del 1999 ed il millennio sta per finire così come sembra finire anche la sua vita e nella più totale solitudine. Una notte riconosce in un uomo, che sta cercando il suo cane davanti la sua piccola casa sommersa dalla neve, un amico della sua infanzia. Questo incontro casuale porterà alla sua memoria il ricordo di un’estate del 1948 quando appena quindicenne aveva trascorso giornate intere ad aiutare il padre a tagliare alberi nel bosco. Per lui quell’anno fu pieno di tanti cambiamenti dal momento che proprio il suo amato genitore si stava preparando a lasciare la famiglia per iniziare una nuova vita.

 

 

 

Il regista norvegese Hans Petter Moland, per la quarta volta qui alla Berlinale con Out Stealing Horses in concorso per l’Orso d’Oro, ha trovato ispirazione per questo suo ultimo lavoro dal romanzo di Per Petterson che da subito ha considerato un piccolo capolavoro letterario, sia per la descrizione meravigliosa che era riuscita a dare del paesaggio norvegese sia per lo studio introspettivo del singoli personaggi del racconto. Ruolo importante per questa ottima riuscita del film è stata l’interpretazione dei due attori Stellan Skarsgard e Jon Ranes, rispettivamente nel ruolo di Trond da anziano e da giovane. La loro fisicità in continuo movimento ben si adatta alla perfezione dell’ambiente incontaminato e apparentemente statico che la fotografia di Rasmus Videbaek riesce a rendere a dir poco poetico. I singoli istanti del presente si alternano ai ricordi del passato per riportare alla memoria gli stessi affetti oramai per sempre andati. Molan si dimostra infatti un maestro nel saper far riaffiorare i ricordi di una adolescenza in cui i sentimenti sembrano faticare a farsi strada e ad esprimersi con spontaneità, e che solo la forza figurativa delle immagini utilizzate riesce in qualche modo a rappresentarli. La storia è anche il pretesto per far ritornare in vita quel nefasto periodo nazista in cui anche la Norvegia oscillava tra uno spirito collaborazionista e quello proprio della resistenza, immagini queste che erano rimaste anch’esse indelebili nella memoria del protagonista.

Il film, così come è stato strutturato, di sicuro farà parlare di sé in questa edizione della Berlinale perché oltre ad usare un linguaggio cinematografico di grande effetto riesce comunque a trasmettere allo spettatore la voglia di esplorare l’intimo degli individui per scoprirne lentamente la vera, sia pur imponderabile, natura.

data di pubblicazione:09/02/2019








BERLINALE [2] – GRÂCE À DIEU di François Ozon, 2019

BERLINALE [2] – GRÂCE À DIEU di François Ozon, 2019

(69 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino, 7/17 Febbraio 2019)

Alexandre vive con la moglie e i suoi cinque figli a Lione. Per puro caso un giorno viene a scoprire che il prete, che aveva abusato di lui quand’era un giovanissimo boy scout, ha ancora a che fare con dei bambini nella parrocchia assegnatagli. I terribili ricordi di quella disastrosa esperienza, per tanti anni rimossi, sembrano ora riaffiorare e chiedere giustizia non solo nei confronti di Padre Bernard Preynat, colpevole di aver molestato circa settanta ragazzi, ma anche verso il Cardinale Philippe Barbarin per non aver denunciato il fatto alle autorità competenti.

 

 

Il regista e sceneggiatore francese François Ozon, autore di pellicole di successo internazionale come 8 donne e un mistero, simpaticissima commedia con Catherine Deneuve, Fanny Ardant, Isabelle Huppert, Emmanuelle Béart e Virginie Ledoyen, Potiche sempre con la Deneuve, e poi Giovane e bella, Nella casa, Una nuova amica e tante altre, nel 2009 ebbe il suo debutto qui alla Berlinale con il fiabesco Ricky – una storia d’amore e libertà. Ozon, che della propria omosessualità non ne ha mai fatto un mistero, ha spesso trattato con spirito arguto e critico proprio argomenti che riguardano la sessualità umana. Il film appena presentato in concorso qui a Berlino assume la forma di un reportage su un argomento scottante che investe la società ed il mondo ecclesiastico in particolare, rilanciando con forza quanto la pedofilia sia un problema che debba essere affrontato seriamente dalla chiesa che, ancora oggi, è restia a confessare le proprie colpe nonostante le reiterate raccomandazioni papali. Alexandre (Melvil Poupaud), il protagonista della storia raccontata da Ozon, non si darà pace fino a quando non riuscirà a convincere le altre vittime di Padre Preynat (Bernard Verley) a denunciare alla polizia gli abusi subiti.

Nonostante l’eccessiva verbosità, l’inchiesta narrata nel film riesce a coinvolgere emotivamente perché riguarda un fatto di cronaca vera, che forse troverà il suo epilogo processuale nel mese di marzo di quest’anno. Anche il montaggio di Laure Gardette segue un ritmo veloce che non smorza mai l’intensità della narrazione e che riesce a catturare l’attenzione senza mai scivolare sulla polemica fine a se stessa.

È davvero singolare come il regista sia riuscito ad esaminare la reazione psicologica dei vari personaggi coinvolti ai quali, dopo tanti anni, risulta certamente difficile ammettere ciò che hanno patito, anche sovente a causa degli atteggiamenti reticenti delle proprie famiglie.

Film ben costruito che riesce ad affrontare in maniera intelligente un tema ancora oggi purtroppo di grande attualità.

data di pubblicazione:08/02/2019








BERLINALE [1] –THE KINDESS OF STRANGERS di Lone Scherfig, 2019

BERLINALE [1] –THE KINDESS OF STRANGERS di Lone Scherfig, 2019

(69 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – Berlino,7/17 Febbraio 2019)

Clara e i suoi due bambini fuggono da casa in cerca di pace e libertà da un marito e padre violento. Lasciata la provincia in auto, li attende una New York gelida dove, non disponendo di risorse sufficienti per procurarsi un tetto ed un pasto decenti, faranno fatica a sbarcare il lunario. Nell’attuare vari stratagemmi per sopravvivere in quella giungla urbana, i tre incontreranno miracolosamente altri individui con le loro stesse difficoltà nell’affrontare il quotidiano, ognuno con il proprio bagaglio di problemi, con i quali troveranno la forza e la determinazione di aiutarsi reciprocamente, tirandosi fuori da una inevitabile solitudine esistenziale.

 

Lone Scherfig è una regista danese che ha trovato proprio qui a Berlino il suo debutto internazionale con il film Italiano per Principianti con il quale nel 2001 ottenne l’Orso d’Argento, Gran Premio della Giuria. Aderisce ufficialmente al movimento Dogma 95, fondato dai registi Lars Von Trier e Thomas Vinterberg, un manifesto programmatico di regole cinematografiche che prevede in pratica solo l’utilizzo della telecamera a mano e il rifiuto totale di altri effetti speciali. Il film presentato oggi in apertura della Berlinale centra in pieno una delle tematiche di quest’anno in quanto rivolto essenzialmente alla descrizione di una situazione di crisi all’interno della famiglia, dove sovente la violenza e l’intolleranza che ne scaturiscono vengono riversate sui figli. Come già in An Education del 2009, la Scherfig anche in The Kindness of Strangers sembra prediligere le problematiche intime di persone che riescono a farsi tormentare gli animi nel più profondo, ma che poi riescono ad uscire dal tunnel della disperazione per (ri)trovare una giusta pace. E così Clara (Zoe Kazan) farà fatica a proteggere sé e i suoi figli dal mondo ostile che li circonda, ma la forza di sopravvivenza le darà quella giusta dose di ottimismo che premierà i suoi sforzi. La storia si articola in maniera elementare ed i vari personaggi si muovono come tessere di un puzzle, elementi disarmonici che poi con pazienza trovano la maniera di incastrarsi vicendevolmente per costruire un tutto organico. Ed è proprio la voglia di volersi bene e di aiutarsi a far sì che ognuno possa ottenere ciò che merita. Come in una favola, i buoni dovranno affrontare mille difficoltà ma alla fine la loro bontà verrà ricompensata ed i cattivi avranno la giusta punizione.

Tuttavia, nonostante il cast di tutto rispetto (accanto alla brava Zoe Kazan, nipote del celebre regista Elia Kazan e già nota per altri lavori di successo, abbiamo Andrea Riseborough, Tahar Rahim, Caleb Landry Jones, Jay Baruchel e Bill Nighy), il film non sembra trovare quella giusta dimensione per coinvolgere emotivamente sino in fondo, forse a causa di un plot un po’ scontato e privo di quella forza sufficiente a trasmetterci le elementari regole di savoir-vivre, necessarie per farci comprendere realmente come i personaggi possano destreggiarsi con la dovuta leggerezza nel mondo torbido e buio come quello in cui sono costretti a stare.

data di pubblicazione:07/02/2019