da Antonio Iraci | Ott 28, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
Samuel è un missionario americano appena ventitreenne che arriva in Cile agli inizi degli anni Ottanta, in piena dittatura di Pinochet, per vivere insieme al popolo di un misero sobborgo di Santiago e nel contempo per praticare la sua azione di evangelizzazione. Il ragazzo prende alloggio in casa di Gladys, donna di carattere che insieme ad altre del quartiere porta avanti una attiva resistenza nei confronti del regime. Samuel, quasi senza volerlo, ne sarà coinvolto sentimentalmente e ne seguirà l’azione clandestina rimanendone invischiato a tal punto da mettere quasi a rischio la propria vita.
Gonzalo Justiniano è un regista, produttore e sceneggiatore cileno che da anni si occupa di problemi sociali del suo Paese, riuscendo ad ottenere con i suoi film numerosi riconoscimenti internazionali. Attraverso il racconto del protagonista Samuel Thomson (Daniel Contesse), che con l’aiuto della sua macchina fotografica ci mostra anche interessanti documenti storici di repertorio riguardanti quel tragico periodo, il regista desidera contribuire al ricordo di tutte quelle numerose donne che come Gladys (Nathalia Argonese) seppero portare avanti la speranza della libertà in un paese martoriato dall’azione della polizia che non esitava, dopo terribili torture, ad occultare i cadaveri buttandoli in mare aperto. Samuel si troverà ad essere testimone di una barbarie che veniva regolarmente perpetuata dagli uomini di Pinochet verso gli oppositori del regime, sovente presunti dal momento che non risparmiava neanche i bambini. Il film ha il merito di mostrare una ferita sociale che, giustamente, fa fatica a rimarginarsi in quanto la popolazione di oggi non può facilmente dimenticare la propria lotta per tornare al legittimo sogno di democrazia. Apprezzabile il lavoro del regista-sceneggiatore, che ha saputo narrare una storia tragicamente credibile, con personaggi molto credibili. Particolare menzione va alla figura del piccolo Vladi (Elìas Collado) che vive nella casa di Gladys e che rappresenta uno dei tanti bambini rimasti soli perché la famiglia d’origine è stata perseguitata e decimata dalla dittatura.
data di pubblicazione:28/10/2017
da Antonio Iraci | Ott 27, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
E’ il film della Bigelow la vera sorpresa dell’apertura della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. La regista, prima donna a vincere nel 2010 il premio Oscar con il film The Hurt Locker, con Detroit è alla sua terza collaborazione con Mark Boal. Con un taglio parzialmente documentaristico ci riporta alla rivolta sanguinosa di cinquanta anni fa, nella omonima città statunitense, dove l’odio razziale americano raggiunse il culmine con l’uccisione da parte della polizia di tre afroamericani ed il ferimento di altre diverse centinaia.
Cinque giorni di disordini che sfociarono in una rivolta repressa nel sangue dalla polizia, in cui rimasero gravemente ferite centinaia di persone tra la popolazione afro-americana, raccontati con un crudo realismo e supportati da immagini di repertorio, riescono a dare un ulteriore colpo di frusta, semmai ce ne fosse ancora bisogno, alla società americana dove l’azione politica perpetuata verso le minoranze, oggi più che mai, risulta palesemente offensiva della dignità umana in tutti i suoi aspetti. La morte di tre giovani che si trovavano nel Motel Algiers, uccisi dagli agenti di polizia perché sospettati di essere dei cecchini, dopo essere stati sottoposti assieme agli altri ospiti del motel a maltrattamenti e torture anche psicologiche perché considerati pericolosi senza che ci fossero delle fondate accuse, mettono il pubblico bruscamente al corrente di come le istituzioni perbeniste americane coprirono l’operato repressivo della polizia di Detroit, riuscendo a camuffare, sotto l’apparenza di una forte democrazia, quello che in effetti fu considerato un grave crimine repressivo contro la gente di colore.
Quelle immagini diventano così un buon pretesto per indurci a pensare che lo slogan “Proud to be American”, tanto reclamizzato ai tempi dell’attentato dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers, è da considerarsi oggi quanto mai fuori posto, quasi un eufemismo che induce invece alla vergogna. La regista racconta gli anni 60 bui americani attraverso quel razzismo che fu la reale causa del massacro di Detroit, e lo fa alla luce di quanto accade oggi nel suo paese. La brutalità che aumenta, le urla, la violenza e la tensione vengono restituite al pubblico senza sconti, e si partecipa affinché giustizia venga fatta verso gli autori di tutto questo, in una storia così lontana eppure così attuale. La pellicola può considerarsi un’ottima testimonianza storica per le generazioni di oggi e di domani.
data di pubblicazione:27/10/2017
da Antonio Iraci | Ott 26, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
L’apertura di questa dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma è stata affidata al film Hostiles dello statunitense Scott Cooper (Crazy Heart, Out of the Furnace e Black Mass). Il regista e sceneggiatore assegna ad un western il compito, certamente non semplice, di diffondere un messaggio quanto mai preoccupante e terribilmente attuale.
Ambientato nel 1892 narra del leggendario capitano Blocker (Christian Bale) che, suo malgrado, dovrà scortare un capo Cheyenne in punto di morte e i suoi cari, da tempo detenuti dall’esercito statunitense a Fort Berringer, fino alla loro terra natia. Durante il lungo viaggio la compagnia dovrà affrontare mille pericoli soprattutto per le incursioni dei sanguinari membri delle tribù Comanche che tra l’altro avevano appena decimato una intera famiglia di bianchi dove era rimasta miracolosamente viva solo Rosalie (Rosamund Pike). L’incontro con la donna, ancora sotto shock per la crudele perdita dei suoi figli e del marito, sarà il pretesto che spingerà il capitano a ripensare a tutta la sua vita, come uomo e come soldato, rendendolo piano piano più predisposto ad abbandonare l’istintivo odio verso i nativi indiani e a accettare il loro modo di essere e la loro ancestrale cultura. Sembra quasi bizzarra la scelta di Cooper di affrontare con un western le problematiche che affliggono oggi il mondo in cui viviamo e dove gli Stati Uniti sembrano sempre più distanti dall’accettare la non violenza e le differenze ideologiche. La storia, pur ambientata in un’epoca oramai appartenente al passato, è quanto mai attuale e sicuramente pertinente alle guerre che insidiano oggi la nostra libertà, il rispetto dei valori umani e della diversità in generale. Il film è ben interpretato e buona è la sceneggiatura curata dallo stesso regista, ma è certamente di ottimo livello la fotografia curata da Masanobu Takayanagi di immensi paesaggi che accompagnano i protagonisti nel loro viaggio verso le praterie del Montana. Il finale, forse scontato, ben si inserisce nel contesto di violenza e di odio che accompagna l’intera narrazione, e non ci sarebbe da stupirsi se Hostiles otterrà la prestigiosa dorata statuetta alla prossima edizione dell’Academy Awards.
data di pubblicazione:26/10/2017
da Antonio Iraci | Ott 25, 2017
Avechot è uno sperduto villaggio immerso in una piccola vallata tra le montagne nella provincia di Bolzano. I suoi abitanti vivono una vita tranquilla, immersa totalmente nell’attività religiosa di una confraternita che inculca loro principi morali molto rigidi, completamente anacronistici. In una sera densa di nebbia Anne Lou Kastner, ragazza tutta scuola e famiglia con una fortissima passione per i gatti, uscita di casa per andare in confraternita, sparisce nel nulla. Sul posto viene subito inviato l’agente speciale Vogel, uomo di grande esperienza nella soluzione di casi giudiziari difficili, anche se questa volta la ricerca della verità sarà impresa difficile perfino per lui…
Donato Carrisi è uno scrittore, sceneggiatore e giornalista specializzato in criminologia e scienze del comportamento; autore di diversi romanzi, ha già ottenuto prestigiosi riconoscimenti letterari tra cui il Premio Bancarella per il libro Il Suggeritore. Con La Ragazza nella Nebbia, pubblicato nel 2015, Carrisi si cimenta per la prima volta nelle vesti di regista riuscendo a confezionare un thriller psicologico che riesce a trasferire allo spettatore una suspance per l’intera duratadelfilm. Vogel, egregiamente interpretato da Toni Servillo, sin dalle prime immagini si comporta esibendo una sagacia talmente particolare da poterlo accostare al migliore Maigret uscito dalla penna di Georges Simenon. Il complesso caso giudiziario che dovrà affrontare nell’isolata cittadina di Avechot tiene tutti con il fiato sospeso, interpreti e pubblico, in un susseguirsi di colpi di scena che ingarbugliano sempre più il filo logico della vicenda, lasciando tutti spiazzati di fronte ad una insolita soluzione finale. Il film, pur proponendo una storia reale che pecca a tratti di originalità nella trama, coinvolge il pubblico che rimane disorientato nella spasmodica attesa di una spiegazione che tarda a profilarsi e a ricomporsi, come un puzzle che non si riesce a completare in un assurdo gioco perverso tra il bene ed il male.
Il cast è tutto di primordine: oltre a Servillo, troviamo Alessio Boni nella parte del prof. Loris Martini e Lorenzo Richelmy nel ruolo dell’agente Borghi che collabora con Vogel, anche se una menzione di merito va sicuramente al personaggio dello psichiatra Flores interpretato da Jean Reno. La sceneggiatura, curata dallo stesso Carrisi, riesce a catturare lo spettatore sin dalla prima immagine conducendolo nell’intrigo della vicenda con una violenza davvero disarmante.
data di pubblicazione:25/10/2017
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da Antonio Iraci | Ott 25, 2017
(Teatro Quirino – Roma, 24 ottobre/ 5 novembre 2017)
Un sentito omaggio a Luca Ronconi, grande uomo di teatro scomparso nel 2015, da parte del suo allievo Daniele Salvo, regista emiliano diplomato alla scuola attori “Teatro Stabile di Torino” e oramai noto per averci fatto apprezzare i suoi lavori sulla tragedia classica di cui è diventato esperto conoscitore. Lo spettacolo che viene ora ripreso al Teatro Quirino è una edizione storica che già a suo tempo vide l’attore Franco Branciaroli nei panni femminili di Medea, personaggio quanto mai passionale e mostruosamente vendicativo che, con le proprie istanze di riscatto sociale di donna, anticipa di parecchi secoli ciò che ante litteram sarà il pensiero del movimento femminista. Medea ha sacrificato la propria famiglia e la patria pur di assecondare il suo amato Giasone e non ha esitato in suo favore ad utilizzare le proprie abilità magiche rendendosi autrice persino di numerose efferatezze.
Euripide in Medea inserisce tutti gli elementi classici della tragedia greca, che solo la camaleontica interpretazione di Branciaroli riesce a tratti ad alleggerire senza tuttavia sminuirne il pathos. Risultano altresì esaltati i tratti psicologici della protagonista, che si trova sola e costretta all’esilio senza possibilità di ritorno in patria, e alla quale le sono ora negati gli affetti più cari. Solo le donne di Corinto comprendono l’impotenza di Medea di fronte all’oltraggio subito e quasi la spingono a intraprendere una azione vendicativa esemplare, anche se poi rimangono atterrite di fronte al sacrificio dei due giovani figli innocenti che la donna sacrificherà pur di distruggere l’infame Giasone e negargli una discendenza. L’ambientazione scenica è di grande effetto, soprattutto quella iniziale quando ai lamenti della nutrice fa da sfondo la visione di un vero cuore palpitante: qualcosa che disturba, ma che fa entrare direttamente dentro quell’imminente dramma, che già trova forma e contenuto nell’immagine. Accanto a Franco Branciaroli troviamo Alfonso Veneroso nella parte di Giasone e Antonio Zanoletti nel ruolo di Creonte, mentre particolarmente toccante la figura di Egeo interpretata da Livio Remuzzi. Cast quindi di primordine ben adatto ad uno spettacolo che, sia pur curato nei minimi dettagli da Daniele Salvo, porta in calce la firma dell’indimenticabile Luca Ronconi.
data di pubblicazione:25/10/2017
Il nostro voto:
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