68 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE

68 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE

(Berlino, 15/25 Febbraio 2018)

Ancora una volta fervono i preparativi per l’inizio di questa 68esima edizione della Berlinale: tutto è pronto per dare il benvenuto a giornalisti e cinefili di tutto il mondo che saranno presenti qui a Berlino per questo evento cinematografico di rilevanza internazionale. Un programma come sempre ricchissimo di pellicole per un totale di circa 400 film, che verranno suddivisi tra quelli in concorso per aggiudicarsi il prestigioso Orso d’oro, e quelli presentati nelle sezioni collaterali. Il Direttore del Festival Dieter Kosslick ha ricordato in conferenza stampa come quest’anno ricorrano cinquanta anni dai famosi movimenti del 1968, che segnarono l’inizio di quel radicale cambiamento socio-culturale che trasformò il modo di vivere e di pensare di intere generazioni. Di questa rivoluzione si parlerà molto durante la Berlinale perché non fu solo una demolizione del modus vivendi di allora divenuto oramai obsoleto, ma perché investì tutte le forme di espressione, incluse quelle cinematografiche, offrendo al grande pubblico l’opportunità di spiegare il mondo in tutte le sue sfaccettature reali e non.

La selezione ufficiale prevede 24 film:

3 Tage in Quiberon di Emily Atef, Germania-Austria-Francia

7 Days in Entebbe di José Padilha, Usa-Gran Bretagna (fuori concorso)

Aga di Milko Lazarov, Bulgaria-Germania-Francia (fuori concorso)

Season of the devil di Lav Diaz, Filippine

Black 47 di Lance Daly, Irlanda-Lussemburgo (fuori concorso)

Damsel di David e Nathan Zellner, Usa

Don’t worry, he won’t get far on foot di Gus Van Sant, Usa

Dovlatov di Alexey German Jr., Federazione Russa-Polonia-Serbia

Eldorado di Markus Imhoof, Svizzera-Germania (fuori concorso)

Eva di Benoit Jacquot, Francia-Belgio

Las Herederas di Marcelo Martinessi, Paraguay-Uruguay-Germania- Brasile

In den gangen di Thomas Stuber, Germania

Isle of Dogs di Wes Anderson, Gran Bretagna-Germania

Khook di Mani Haghighi, Iran

My brother’s name is Robert and he is an idiot di Philip Groning, Germania-Francia-Svizzera

Museo di Alonso Ruizpalacios, Messico

La prière di Cédric Kahn, Francia

The real estate di Axel Petersén e Mans Mansson, Svezia-Gran Bretagna

Touch me not di Adina Pintilie, Romania-Germania-Repubblica Ceca

Transit di Christian Petzold, Germania-Francia

Twarz di Malgorzata Szumowska, Polonia

Unsane di Steven Soderbergh, Usa (fuori concorso)

U- July 22 di Erik Poppe, Norvegia

Il film italiano in concorso Figlia mia è di Laura Bispuri, che torna a Berlino dopo il suo esordio con Vergine giurata, accolto positivamente sia dal pubblico italiano che internazionale. L’Italia sarà presente anche con altri tre film: La Terra dell’abbastanza di Damiano e Fabio D’Innocenzo e Land di Babak Jalali, una coproduzione Italia-Francia-Olanda-Messico-Qatar, entrambi nella Sezione Panorama ed infine con Lorello e Brunello, documentario di Jacopo Quadri nella Sezione Culinary Cinema. Quattro film, come ha affermato Paolo Del Brocco di Rai Cinema, “che raccontano storie fortemente legate all’attualità, radicate nel sociale, dai tratti originali, in linea con un Festival, come quello di Berlino, che per tradizione predilige questi temi…”.

La giuria internazionale sarà presieduta dal regista e sceneggiatore tedesco Tom Tykwer che sarà affiancato da Stephanie Zacharek, critica cinematografica americana della rivista Time, dal compositore giapponese Ryuichi Sakamoto e dal fotografo spagnolo Chema Prado. Ancora in giuria la produttrice americana Adele Romanski e l’attrice belga Cécile de France.

Le sezioni speciali che accompagneranno i film in Concorso saranno: Berlinale Shorts che comprende 36 corti selezionati da ben 14 festival europei; Panorama che come sempre presenta pellicole con tematiche politiche e sociali, poi ancora la Sezione Forum, la rassegna Generation dedicata alle tematiche giovanili, Prospettive Cinema Tedesco che porta a conoscenza del grande pubblico pellicole di giovani talenti tedeschi, nonché Retrospettive con un programma quest’anno dedicato alla filmografia della Repubblica di Weimer a partire dal 1918 e fino al 1933. Come nelle edizioni passate anche quest’anno avremo una rassegna Teddy Award, con vari film a soggetto gay; Culinary Cinema con la proiezione di film riguardanti il cinema e la passione per il cibo; Berlinale goes Kiez, programma per la diffusione dei film della Berlinale nei vari cinema periferici della città e Native, che ci porterà ad esplorare principalmente le remote regioni della Polinesia, Australia e Nuova Zelanda.

Infine quest’anno l’Orso d’oro alla carriera verrà assegnato a Willem Dafoe, grande artista e attore statunitense più volte nominato ai Golden Globe e agli Oscar e noto come interprete in vari film di successo (Mississippi Burning, Le radici dell’odio, L’ultima tentazione di Cristo per citarne alcuni).

Accreditati sarà presente anche quest’anno alla Berlinale, con un occhio particolarmente attento alle pellicole in selezione ufficiale e con qualche incursione nelle sezioni collaterali.

data di pubblicazione:14/02/2018

POUILLES – Le ceneri di Taranto di e con Amedeo Fago

POUILLES – Le ceneri di Taranto di e con Amedeo Fago

(Teatro India – Roma, 8/11 febbraio 2018)

Il 24 ottobre 1917 viene ricordato come il giorno della disfatta di Caporetto, data memorabile nella storia della prima guerra mondiale: vari reparti, a presidio del fronte orientale, caddero in mano dell’esercito austro-germanico che riuscì cosi ad avanzare e a conquistare posizioni strategiche. Proprio in quel giorno, per circostanze del tutto casuali, si riunisce a Taranto la famiglia Fago per festeggiare l’onomastico del capofamiglia, così come documentato da una vecchia fotografia ritrovata in un polveroso album.

Questo prezioso documento fotografico dà inizio alla storia personale, quella appunto di Amedeo Fago, che da io narratore ricostruisce un dettagliato albero genealogico della sua famiglia a cavallo di due secoli, attraversando così la storia di un paese coinvolto in due conflitti mondiali. Non sarà una impresa facile rimodellare i cocci di questo “oggetto” andato in mille pezzi, ma Amedeo Fago, ideatore oltre che interprete di questo spettacolo, riesce a farlo con proverbiale pazienza certosina, spinto più che altro a far rivivere i suoi antenati che via via prendono forma vivente dalla foto, e dare loro la possibilità di raccontare ognuno la propria vita. Il regista restituisce così al teatro la sua vera natura che è quella di portare sul palcoscenico, in un punto preciso del qui e ora, quello che nel tempo convenzionalmente definiamo come passato e futuro e che, quasi per magia, viene ora posto sul medesimo piano temporale. Anche le immagini di fondo, come gli attori, sembrano confondere il reale con il virtuale per portarci inaspettatamente nella Taranto di oggi dove l’irrazionale industrializzazione ha portato ad un letale tasso di inquinamento, sfuggito per molto tempo ad ogni controllo ambientale. Il confronto finale padre-figlio (Giulio Pampiglione-Amedeo Fago) è un momento di grande intimità familiare in cui le situazioni si ribaltano dando spazio ad un dialogo serrato dove il futuro viene coniugato al passato ed il passato al futuro: sulla scena, l’orologio che scandisce il tempo può fermarsi per poi continuare a marciare ma a ritroso. Questo lavoro, con un impatto drammaturgico di rara intensità, è una produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale del 2015, e viene oggi ripreso per essere inserito nel programma Il dovere della memoria, un progetto che si propone di portare sulla scena fatti appartenenti alla storia e quindi patrimonio di tutti per favorirne la conoscenza alle nuove generazioni. Originali gli effetti speciali di Davide Ippolito e Luca Di Cecca che fanno rivivere virtualmente un cast di attori tutti di alto livello.

I costumi di scena sono curati da Lia Francesca Morandini.

data di pubblicazione: 9/2/2018


Il nostro voto:

 

MADE IN ITALY di Luciano Ligabue, 2018

MADE IN ITALY di Luciano Ligabue, 2018

Riko lavora da trenta anni come operaio in una fabbrica di salumi a Reggio Emilia ed è sposato con Sara che è parrucchiera in un centro di estetica. La coppia, che ha anche un figlio già pronto per entrare all’università, sta attraversando un periodo di crisi coniugale che sembra riflettere appieno la profonda crisi economica che investe il paese, pervaso da una generalizzata precarietà lavorativa che investe anche la sfera esistenziale dei singoli. Di fronte a questa catastrofe, Riko e Sara sono incapaci di trovare una soluzione pratica per affrontare nel migliore dei modi un futuro che, al di là delle poco rassicuranti apparenze, può riservare invece ancora buone prerogative: l’abilità di confrontarsi affettivamente con gli amici sinceri sarà l’unico rimedio veramente efficace. 

 

Luciano Ligabue, alla regia del suo terzo film, ci racconta l’Italia di oggi che noi tutti ben conosciamo, dove non si parla che di Stepchild, Spread, Jobs Act, termini di cui non tutti ne comprendono l’effettivo significato e forse sino in fondo neanche i politici che li usano, dando così l’esatta percezione che siano stati creati ad arte per confondere la mente di noi poveri cittadini. Ligabue regista ricorre ad un linguaggio cinematografico semplice, non troppo ragionato tuttavia efficace a trasmettere un messaggio che, pur nella sua drammaticità, riesce ad  infondere un minimo di speranza non solo ad un pubblico di cittadini adulti, ma soprattutto alle nuove generazioni, che da cittadini si stanno affacciando alla vita e che il Liga cantante conosce molto bene. La storia di Riko (Stefano Accorsi) e di Sara (Kasia Smutniak) non dice dunque molto di nuovo: coppia in crisi principalmente per tradimenti da ambo le parti, precarietà in campo lavorativo, difficoltà ad affrontare la complessità del quotidiano in un paese dove tutto sembra remare contro per far ripiombare l’intera popolazione inesorabilmente in uno stato di preoccupante confusione. In questa situazione di perenne incertezza in quelli che sono gli aspetti essenziali della vita, non rimane che appoggiarsi sulla spalla degli amici per trovare in essi quella giusta dose di affetto e di solidarietà necessaria per tirare avanti, alla meglio. E se quando tutto è oramai perduto e sembra non rimanere altro che ricorrere all’atto estremo per tirarsi fuori dall’empasse, ecco che, un poco per fortuna ed un poco per quell’inconfondibile goliardia che accompagna sempre noi italiani, improvvisamente ogni cosa si ricompone al meglio e dopo la tempesta ritorna la quiete sia pur del tutto effimera. In Made in Italy sono dunque racchiusi tutti gli ingredienti della tipica commediola all’italiana con lieto fine, sia pur velato da una leggera amarezza di fondo, che poi è la prerogativa che contraddistingue noi italiani: vale a dire l’abilità di reinventarsi sempre qualcosa di nuovo per affrontare il proprio incerto futuro con un ritrovato slancio e una buona dose di ottimismo. Un plauso va ai due interpreti che sanno muoversi in maniera convincente anche nelle scene più grottesche. Quanto a Ligabue regista, se con Radio Freccia aveva toccato i nostri cuori, con Made in Italy ci ha fatto un po’ rimpiangere la sua grandiosità di artista in campo musicale.

data di pubblicazione:05/02/2018


Scopri con un click il nostro voto:

IL GABBIANO di Anton Cechov, regia di Giancarlo Nanni ripresa da Manuela Kustermann

IL GABBIANO di Anton Cechov, regia di Giancarlo Nanni ripresa da Manuela Kustermann

(Teatro Vascello – Roma, 1/18 febbraio 2018)

A sipario ancora chiuso, la voce fuori campo di Manuela Kustermann ci introduce allo spettacolo spiegandoci del perché di questa ripresa teatrale de Il gabbiano di Cechov dopo venti anni dal debutto sulla scena proprio al Vascello con la regia del grande Giancarlo Nanni. Un doveroso e soprattutto sentito omaggio al regista scomparso nel 2010 e che insieme a lei aveva creato questo spazio teatrale, un progetto ambizioso che ben si inseriva nell’entourage artistico-culturale della capitale. La Kustermann riprende quindi una pièce a lei ben nota e certamente cara, curandone i costumi ma lasciando le scene così come le aveva dipinte Nanni, la cui formazione artistica aveva enormemente influenzato la sua attività di regista teatrale, sia nella prosa come nella lirica, firmando lavori rimasti ancora oggi indimenticabili.

 Il gabbiano che insieme a Il giardino dei ciliegi è probabilmente l’opera di Cechov più rappresentata, è oggi più che mai di grande attualità perché pur essendo considerata come lo studio di una certa classe borghese russa di fine ottocento, rispecchia altresì il dramma dell’uomo di oggi nella sua lotta tra quello che è e quello che vorrebbe essere: una dicotomia che travaglia l’umanità intera rendendola infelice. Le aspirazioni dell’uomo, e dell’artista nello specifico, che si trova imbrigliato in un conflitto generazionale senza soluzione di continuità, partono dal desiderio di affermazione; il successo di alcuni farà tuttavia da contrappunto alle insoddisfazioni di altri, perché l’essenza della vita non è da ricercare nel presente né tantomeno nel futuro, ma è da riscoprire in ciò che si manifesta nei sogni, lontano dai condizionamenti e dalle ingannevoli apparenze. Il cast ricomposto da Manuela Kustermann, che interpreta il ruolo dell’attrice Irina, sembra essere perfettamente idoneo a rappresentare il pensiero di Cechov, muovendosi quasi in assenza di gravità tra luci e drappi colorati che ben identificano i diversi stati d’animo dei personaggi. Lorenzo Frediani nel ruolo di Kostantin, figlio di Irina e aspirante scrittore, riesce pienamente ad esprimere l’animo tormentato di un uomo non più amato, figlio di una madre anaffettiva, ipercritica e spietata nei suoi confronti. Ecco che Cechov, forse ispirandosi in questo lavoro larvatamente a Ibsen, ci pone di fronte ad un teatro nel teatro, in un incastro che ricorda le scatole cinesi, dove il contenuto diventa esso stesso contenente ed il significato diventa significante, in una correlazione senza fine. Una nota di merito va comunque a tutto il cast composto da Massimo Fedele, Eleonora De Luca, Anna Sozzani, Sara Borsarelli, Paolo Lorimer e Maurizio Palladino.

Lo spettacolo del Centro di Produzione Teatrale La Fabbrica dell’Attore si replicherà fino al 18 febbraio. Da non perdere.

data di pubblicazione:03/02/2018


Il nostro voto:

THE FULL MOUNTY – SQUATTRINATI ORGANIZZATI di Peter Cattaneo, 1997

THE FULL MOUNTY – SQUATTRINATI ORGANIZZATI di Peter Cattaneo, 1997

Gaz (Robert Carlyle) e Dave (Mark Addy) sono due poveri disoccupati che vivono nello Sheffield e cercano di sbarcare il lunario ricorrendo a piccoli stratagemmi spesso non proprio leciti quali rubare travi d’acciaio da una fabbrica da tempo abbandonata. Gaz, in arretrato con le spese di mantenimento da corrispondere alla ex moglie, rischia addirittura di perdere la custodia del figlio e deve pertanto inventarsi urgentemente qualcosa per procurarsi i soldi necessari e tamponare pertanto la situazione divenuta oramai insostenibile. Prendendo ispirazione da un gruppo di spogliarellisti molto aitanti e professionali che si esibiscono in un locale, Gaz decide di dar vita ad un simile spettacolo coinvolgendo altri poveri disoccupati come lui di varie età, e non certo con dei fisici scolpiti. Ci sarà poi da affrontare il problema del nudo integrale visto che, ognuno di loro, non vuole proprio saperne. Dopo varie resistenze, saranno proprio le loro compagne a convincerli al grande passo, per cui tutti accetteranno di esibirsi in costume adamitico e lo spettacolo alla fine avrà un enorme successo. Anche il film ebbe un enorme successo commerciale, osannato dalla critica internazionale, riuscendo ad ottenere l’Oscar per la miglior colonna sonora e tre BAFTA su ben undici nomination, incluso miglio film. Una commedia brillante che riesce a mettere bene in luce non solo la crisi economica di un paese con una disoccupazione dilagante, ma anche a mettere in discussione il ruolo sociale del maschio, anch’esso in evidente recessione. Questo tipico film inglese ci suggerisce una ricetta anch’essa tipicamente anglosassone: meat pie.

INGREDIENTI: 250 grammi di carne macinata di suino – 250 grammi di carne macinata di bovino – una cipolla bianca – 1 kg di patate – un tubetto di concentrato di pomodoro – 50 grammi di burro – un bicchiere di latte – noce moscata e spezie varie tipo cumino, timo e maggiorana – olio d’oliva – sale e pepe q.b.

PROCEDIMENTO: bollire le patate, passarle con lo schiaccia patate e farne un purè aggiungendo il latte, il burro, la noce moscata e un poco di sale. Lasciare raffreddare. Fare imbiondire una cipolla in un poco di olio d’oliva e aggiungere i due tipi di carne macinata insieme al concentrato di pomodoro, pepe e le altre spezie nella quantità desiderata e lasciare cuocere per una ventina di minuti. Imburrare una teglia e sistemare uno strato del purè oramai a temperatura ambiente, uno di carne e quindi ricoprire con un altro strato del purè. Spolverare con un poco di pan grattato e aggiungere dei fiocchetti di burro. Infornare per circa 40 minuti ad una temperatura di 180°. Servire il meat pie tiepido.