MODIGLIANI

MODIGLIANI

(Palazzo Ducale – Genova, 16 marzo/16 luglio 2017)

Esattamente dopo un secolo dalla prima esposizione personale di Amedeo Modigliani, il Palazzo Ducale di Genova, nella splendida cornice dell’appartamento del Doge, ci presenta in questi giorni una importante e significativa retrospettiva del notissimo pittore livornese. All’occhio curioso del visitatore la mostra si rivela subito di grande interesse non tanto per il rilevante numero di opere esposte, quanto perché in essa si vogliono evidenziare i tratti più salienti della vita di un artista fragile e sciagurato che morì prematuramente a soli trentacinque anni, lasciando tuttavia dietro di sé un segno profondo tra le avanguardie artistiche che caratterizzarono la Parigi bohémienne del primo Novecento. Il percorso espositivo proposto non ha solo lo scopo di presentarci alcuni suoi celebri dipinti, che caratterizzano lo stile personalissimo proprio dell’artista, quanto di farci comprendere come la sua arte ben si inserisca nell’ambiente artistico-culturale dei quartieri parigini di Montparnasse e di Monmartre, frequentati in quegli anni da pittori e intellettuali provenienti da tutto il mondo. Modigliani, in quel contesto, si distingue comunque per il suo modo di dipingere carico di quella inconfondibile eleganza che ritroviamo specificatamente nei celebri ritratti di donne, figure spesso determinanti nella vita dell’artista, e che si presentano al visitatore con un atteggiamento enigmatico, con uno sguardo intenso, pur caratterizzato da occhi dove le pupille sono assenti, che colpisce per il suo tono profondo e quasi di sfida. Durante la visita si riesce a immaginare di vedere l’imponente figura di Modigliani che si aggira tra i caffè letterari dove lui stesso veniva chiamato Modì, con una strana, ma non casuale, assonanza alla parola “maudit” che in francese significa maledetto, quasi a voler anticipare e sottolineare le avversità esistenziali e affettive che colpiranno il pittore. Nella cerchia degli artisti lui si distinse per la sua bellezza e raffinatezza che, come ebbe a dire il suo caro amico Picasso, erano uniche sulla scena parigina del tempo, così densa di figure interessanti che lo amarono e sostennero sempre, accompagnandolo durante la sua brevissima vita, intensa e sfortunata nello stesso tempo. Questa mostra di Palazzo Ducale ha il merito di farci conoscere un Modigliani quasi inedito, una figura che riesce ad incarnare in sé un misto di genialità e sregolatezza, una sintesi perfetta tra retaggi rinascimentali italiani e la modernità nelle forme delle avanguardie artistiche che caratterizzarono l’arte negli anni antecedenti lo scoppio della prima guerra mondiale. Notevole quindi l’iniziativa della città di Genova che ha voluto proporre uno dei massimi esponenti degli artisti italiani del Novecento, sicuramente tra i più conosciuti dal pubblico non tanto per i suoi dipinti quanto per la peculiarità della sua ricerca espressiva, unica nel suo genere tra le varie rivelazioni artistiche di tutti i tempi.

data di pubblicazione:28/05/2017

GLI INVISIBILI di Pasquale Squitieri, 1988

GLI INVISIBILI di Pasquale Squitieri, 1988

Sirio (Alfredo Rotella), giovane operaio presso le acciaierie di Terni, decide di lasciare il proprio lavoro per seguire pienamente la propria ideologia nel militare attivamente in un gruppo di estrema sinistra. Pur contrario alla lotta armata e a qualsiasi forma di atto terroristico, azioni che avevano caratterizzato il clima politico-sociale italiano agli inizi degli anni ottanta, il giovane viene accusato di complicità in banda armata per alcuni attentati sui quali lui era completamente estraneo. Rinchiuso in un carcere insieme ad altri compagni attivisti, tra i quali il suo miglior amico Apache (Igor Zalewsky), conosce il Professore (Mauro Festa), un filosofo ritenuto il principale ideologo del movimento. Durante la sua detenzione a Sirio viene proposto di rivelare il nome dei partecipanti all’organizzazione clandestina in cambio della libertà. Al suo rifiuto le autorità reagiscono trasferendolo in un carcere di massima sicurezza dove ancora una volta, suo malgrado, si troverà coinvolto in una rivolta armata che verrà soffocata mediante l’intervento di uno speciale reparto delle forze dell’ordine. Messo in isolamento, il giovane entrerà in una crisi tale, che lo porterà pian piano a prendere le distanze dal mondo esterno e dalle idee che lo avevano convinto a cambiare la società sin dai primissimi anni della sua gioventù, durante i quali aveva iniziato a militare nei movimenti studenteschi. Il film è stato liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Nanni Balestrini che contribuì, insieme allo stesso Squitieri, alla stesura della sceneggiatura. Grande affresco di una Italia di quegli anni di piombo dove i giovani militanti, impegnati politicamente nella lotta armata, si trovarono schiacciati dal peso di quelle azioni terroristiche di cui loro stessi non seppero prevedere né la portata né le conseguenze storiche che avrebbero inciso sul contesto sociale del Paese. Il film fu ben accolto dalla critica e, presentato in quell’anno al Festival di Venezia, ottenne il Premio Cinema Nuovo.

L’ambientazione nella verdissima Umbria ci suggerisce una ricetta tipica di questa terra, molto semplice e di facile realizzazione: polpette di pollo con ricotta.

INGREDIENTI: 250 grammi di ricotta di pecora – 250 grammi di petto di pollo – 50 grammi di parmigiano grattugiato – 100 grammi circa di pan grattato – 1 uovo – olio d’oliva – sale e pepe qb.  

PROCEDIMENTO: Macinare finemente i petti di pollo e mescolare insieme alla ricotta, all’uovo, a circa 30 grammi di pan grattato insieme al parmigiano. Aggiungere sale e pepe agli ingredienti e fare delle polpette da impanare e da friggere in olio d’oliva ben caldo. A fine cottura le polpette si potranno sfumare a piacere con un poco di vino bianco. Servirle tiepide accompagnate da una insalata di stagione.

UN’ESTATE IN PROVENZA di Rose Bosch, 2014

UN’ESTATE IN PROVENZA di Rose Bosch, 2014

Léa (Chloé Jouannet) e i fratelli Adrien e Théo (rispettivamente Hugo Dessioux e Lukas Pelissier) vivono a Parigi con i genitori e per la prima volta vengono mandati a passare le vacanze estive in Provenza, nella casa di campagna dei nonni Irène (Anna Galiena) e Paul (Jean Reno). I ragazzi non avevano mai conosciuto il burbero nonno a causa di un violento litigio avvenuto vent’anni prima tra lui e la loro madre. La vacanza inizialmente sembra noiosa, in quanto la casa che li alloggia è veramente inospitale e isolata, ma poco a poco i tre ragazzi riescono ad inserirsi nella vita del villaggio vicino. E così Léa e Adrien si troveranno coinvolti in vicende amorose con gente del luogo, mentre il piccolo Théo riuscirà a conquistare le simpatie del nonno, costretto a comunicare con lui con il linguaggio dei segni visto che il bambino è sordo dalla nascita. Particolare preoccupazione desterà la relazione che Lèa intrattiene con il giovane Tiago (Tom Leeb), ufficialmente pizzaiolo per coprire l’attività di spacciatore: l’intervento del nonno metterà in fuga all’estero il giovane e riporterà a casa la nipote. Alla fine dell’estate, grazie soprattutto al piccolo Théo, Paul s’incontrerà in stazione con la figlia che non vedeva da anni ed i due si rappacificheranno, tornando a parlare come un tempo. Il film della Bosch sembra a tratti ingenuo e prevedibile, senza significativi colpi di scena, ma nonostante tutto è gradevole e a tratti divertente facendoci assaporare in pieno l’essenza dell’estate in Provenza, con i suoi odori e sapori tipici della campagna e della vita agreste nella sua semplice autenticità; ma la pellicola riesce anche a raccontare lo scontro/incontro tra diverse generazioni, ognuna con il proprio universo ben distinto, che può trovare un punto di congiunzione.

Il film pieno di luce e colori, tipico della zona in cui è ambientato, ci suggerisce una pietanza molto saporita: galletto al vino.

INGREDIENTI: 1 galletto – 200 grammi di lardo – 200 grammi di funghi – 200 grammi di burro – 150 grammi di cipolline – 3 cucchiai di olio d’oliva extravergine – 1 bottiglia di vino rosso – 100 grammi di farina bianca – 1 bicchiere di brandy – 2 spicchi d’aglio – timo, alloro, sale e pepe.

PROCEDIMENTO: Pulire bene il galletto e ridurlo in pezzi. Tagliare a dadini il lardo ed intanto fare rosolare in padella le cipolline tritate nei 100 grammi di burro. Unire quindi il lardo a dadini e farlo cuocere per circa cinque minuti, aggiungendo i funghi e facendo insaporire il tutto a fiamma moderata. Fare dorare il galletto nell’olio, unire i funghi, le cipolline e il lardo dopo che si sono ben dorati, aggiungere il sale e pepe, il timo e l’alloro. Spruzzare prima con il brandy, quindi unire l’aglio tritato ed il vino rosso e cuocere per circa 40 minuti. Scolare la carne ed i funghi e passare a setaccio il fondo, incorporare gli altri 100 grammi di burro e la farina e fare restringere sul fuoco per dieci minuti. Sistemare la carne e i funghi in una casseruola con la salsa ottenuta e servire con crostini di pane.

ELLE di Paul Verhoeven, 2017

ELLE di Paul Verhoeven, 2017

Michelle, insieme all’amica Anna, gestisce una società che produce videogiochi ed insieme si avvalgono della collaborazione di giovani informatici. La donna, pur ottenendo ottimi risultati in campo lavorativo, nel privato non riesce a trattenere la propria insoddisfazione soprattutto nell’ambito familiare sia nei confronti del figlio sia verso la madre che, al contrario di lei, riesce invece a godersi la vita nonostante la vegliarda età. Rimasta vittima di un abuso sessuale in casa propria, Michelle reagirà in maniera alquanto insolita, architettando un piano, tanto diabolico quanto perverso, nei confronti dello stupratore. 

 

Nel film La Pianista del regista Michael Haneke, tratto dall’omonimo romanzo del premio Nobel Elfriede Jelinek, Isabelle Huppert ottenne per la sua magistrale interpretazione il Premio come Migliore interprete femminile al Festival di Cannes del 2001. In quella circostanza recitava la parte di una talentuosa insegnante di piano, sessualmente repressa, con desideri sadomasochistici e voyeuristici, che ne facevano una donna fondamentalmente spietata soprattutto verso i suoi allievi. In maniera molto simile nel film Elle di Verhoeven la Huppert incarna egregiamente il ruolo di una donna ben affermata professionalmente e in società, ma incapace di instaurare un rapporto sano con la gente che la circonda, sempre alla ricerca di una soluzione subdola per danneggiare, se non addirittura distruggere la vita degli altri. Cinica sino all’inverosimile nei confronti del figlio, peraltro appena diventato padre, si scaglia con durezza anche contro la madre che al contrario è molto ottimista nella vita e soprattutto non disdegna i bei giovani che mantiene in cambio di affetto. Dopo aver subìto un attacco di violenza sessuale, una volta smascherato l’aggressore, non esiterà a relazionarsi con lui in un rapporto masochista in una perfetta sintonia nel gioco crudele vittima-carnefice, con quella sufficiente dose di violenza che in fondo lei inconsciamente aveva sempre desiderato. Il film, a tratti forse prevedibile in quanto la tematica non è del tutto originale, poggia interamente sulla rigida interpretazione della Huppert che riesce realmente a rendere l’immagine di una donna psicopatica, con una personalità instabile e malata, priva di qualsiasi decenza e con una eccessiva dose di morbosità. Tratto dal romanzo Oh… di Philippe Djian, il regista Verhoeven riesce abilmente a punzecchiare quella fascia medio borghese della società e a mettere in luce come il suo apparente perbenismo nasconda spesso dinamiche devianti, al limite della pura perversione. Obiettivo in parte raggiunto, ma siamo ben lontani dal linguaggio cinematografico di Luis Buñuel dove l’imprevedibilità non lasciva spazio a una benché minima soluzione razionale. I film ha ottenuto diversi riconoscimenti: Ai Golden Globes 2017 il Premio per il Miglior film straniero e due premi César per il Miglior film francese e per la Miglior attrice, oltre ad una Nomination agli Oscar di quest’ultima edizione. Consigliato dalla critica nazionale, lo stesso spettatore si sottopone, forse anche lui masochista, a colpi di inaudita violenza fisica e psicologica assaporando poi, con mal celata gioia, la parola Fine.

data di pubblicazione:14/04/2017


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PICCOLI CRIMINI CONIUGALI di Alex Infascelli, 2017

PICCOLI CRIMINI CONIUGALI di Alex Infascelli, 2017

Elia, noto scrittore di libri gialli, torna a casa dopo un periodo di degenza per aver subito un colpo alla testa che gli ha causato la perdita totale della memoria. La moglie cercherà di fargli tornare alla mente tutti gli aspetti della loro vita coniugale, aiutandolo a ricostruire un passato che in verità sembra essere completamente discorde dalla realtà dei fatti. Attraverso una serie di serrati dialoghi, all’interno del loro appartamento, la coppia troverà finalmente il pretesto per esaminare il loro rapporto che sembra andare, oramai irrimediabilmente, alla deriva… 

Piccoli Crimini Coniugali poteva avere tutte le carte in regola per diventare un piccolo capolavoro cinematografico ed invece risulta un esercizio di stile troppo (ben) costruito, pretenzioso nella sua studiata ricerca della perfezione dialogica con il risultato poi di diventare pesante, ai limiti della pedanteria. Forse eccessivamente aderente al romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt la sceneggiatura, curata dallo stesso regista Alex Infascelli insieme a Francesca Manieri, pecca di spontaneità affidandosi quasi completamente ai ragionamenti e alle elucubrazioni dei due protagonisti, senza riuscire a conferire il giusto grado di interesse alla narrazione. Una ennesima pièce teatrale, un atto unico che vede lui e lei, marito e moglie, aggirarsi in uno spazio claustrofobico che è la loro stessa casa, troppo bella e curata per definirsi uno spazio vissuto, anch’essa intrisa di una buona dose di artificiosità al pari di chi la abita. Piccola commedia domestica noir, con la pretesa di indagare sulle dinamiche di una coppia, oramai stagionata, che si trova ad affrontare le inevitabili crisi coniugali fatte di rimproveri e di rimpianti, di gelosie e disistima, persone che si sono amate ma che ora vanno avanti per pura inerzia, in un totale reciproco disinteresse. Un gioco al massacro dove finalmente si trova il coraggio di mettere a nudo le proprie ambizioni per accusare violentemente l’altro delle aspettative mal riposte o interamente disattese. Il film manca del giusto vigore per stimolare qualche riflessione interiore sui valori del rapporto di coppia e sulla sua naturale evoluzione e lo spettatore sembra rimanere disarmato anche di fronte a quel coup de théâtre che avrebbe dovuto svegliarlo dall’inevitabile torpore che la storia e l’ambientazione infliggono inesorabilmente. Sicuramente buona la prova di Margherita Buy e Sergio Castellitto, che però si trovano loro malgrado invischiati nei dialoghi, in un labirinto di situazioni dove è veramente difficile uscirne indenni. Entrambi nella serie “In treatment”, in questi giorni in TV, risultano decisamente più credibili…

data di pubblicazione:12/04/2017


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