da Antonio Iraci | Mar 28, 2017
Virginia, Stati Uniti d’America, fine anni ’50. Richard Loving, muratore di professione ed appassionato di auto nel tempo libero, è un tipo tranquillo ed accondiscendente, con un carattere molto semplice che gli consente di ben inserirsi nella comunità di colore della sua cittadina. L’uomo è innamorato di Mildred: quando lei un giorno gli comunica che aspetta un bambino, decide di sposarla. Ma il loro è un matrimonio interrazziale e, senza esserne pienamente coscienti, i due commettono un crimine che nello stato della Virginia, come in molti altri Stati dell’Unione, è severamente punito dalla legge. Condannati dal giudice, la coppia affronterà con serenità, ma anche con determinazione, una battaglia legale che li porterà, dopo molti anni, davanti al giudizio della Corte Suprema per il riconoscimento dei propri diritti civili e l’abolizione di qualsiasi forma di discriminazione.
Jeff Nichols, che nel 2012 a Cannes si fece notare con il suo ben riuscito Mud, affronta con questo suo ultimo lungometraggio un tema delicato che per molti aspetti risulta ancora attuale anche se potrebbe apparire banale o prevedibile. In Loving ilregista ci porta per mano in questa splendida storia d’amore, senza troppi clamori o colpi di scena, dove il tema della discriminazione razziale viene trattato con una misurata delicatezza e senza quella inevitabile retorica che ha spesso caratterizzato i film dello stesso genere e contenuto. Alla base di tutto c’è un profondo sentimento d’amore che unisce Richard (Joel Edgerton) e Mildred (Ruth Negga) e sono proprio i loro sguardi sinceri e indifesi che riescono a conquistare lo spettatore e a renderlo compartecipe delle loro ansie e preoccupazioni. Il “crimine” di cui vengono accusati e giudicati è forse più grande di quello che potessero entrambi immaginare, e la condanna è qualcosa che sconvolgerà le loro vite e li strapperà dal contesto sociale in cui da sempre erano vissuti, un esilio che li sradicherà violentemente dalle loro radici e dai loro affetti più cari. Una punizione ingiusta sin dalle premesse, che i due accettano con matura consapevolezza, perché come semplicemente afferma Mildred: non è importante perdere le battaglie, ma quello che più conta è vincere la guerra.
La semplicità del linguaggio espressivo adottato riesce a fare di questo film un piccolo capolavoro, evitando di far ricadere il tutto in qualcosa di scontato, come uno dei tanti melò sentimentali.
Buona la location che accompagna lo spirito del racconto, dove la luminosità delle immense distese agricole americane rappresenta in pieno la profondità interiore dei due protagonisti e che, insieme alla convincente prova dell’intero cast oltre che dei due protagonisti, risulta determinante alla buona riuscita di questo film di cui se ne consiglia la visione.
data di pubblicazione:28/03/2017
Scopri con un click il nostro voto:
da Antonio Iraci | Feb 18, 2017
Questa edizione della Berlinale è stata caratterizzata da film dove i dialoghi erano ridotti all’essenziale, quasi a voler confermare quanto lo scrittore francese Michel Leiris ebbe a dire: “una mostruosa aberrazione convince l’umanità che il parlare è utile per semplificare le reciproche relazioni”. In effetti l’assegnazione del prestigioso Orso d’Oro al miglior film sembra aderire perfettamente a questa tesi, premiando il film On Body and Soul della regista ungherese Ildikò Enyedi dove la protagonista Maria (Alexandra Borbéli) dà pochissimo spazio alla parola per esprimere il suo contorto universo interiore. Il film ha convinto la giuria sicuramente per lo studio attento, da parte della regista, nell’analizzare due personalità: quella di Maria e quella di Endre (Géza Morcsanyi), che pur mostrandosi diverse tra di loro, riescono alla fine a trovare un linguaggio espressivo comune, un codice segreto che possa svelargli l’amore. Al di là dell’accoglienza tiepida da parte del pubblico al momento della sua presentazione in sala, il film sicuramente è degno di attenzione soprattutto per averci fatto capire che di fronte alla difficoltà e paure della vita l’aprire il cuore e i propri sentimenti, ha sicuramente il vantaggio di portarci alla meta prefissata, qualunque essa sia.
Gli altri premi assegnati dalla Giuria Internazionale, presieduta dal cineasta olandese Paul Verhoeven, sono stati:
Orso d’Argento, Gran Premio della Giuria a Félicité di Alain Gomis;
Orso d’Argento per il film che apre Nuove Prospettive al film Pokot della regista polacca Agnieszka Holland;
Orso d’Argento per la Migliore Regia a The Other Side of Hope, del finlandese Aki Kaurismaki;
Orso d’Argento per la Miglior Attrice alla sudcoreana Kim Minhee nel film On the Beach at Night Alone di Hong Sangsoo;
Orso d’Argento per il Miglior Attore a Georg Friedric nel film Bright Nights del tedesco Thomas Arslan;
Orso d’Argento per la Migliore Sceneggiatura a Sebastian Lelio e Gonzalo Maza per il film Una mujer fantastica di Sebastian Lelio;
Orso d’Argento per Miglior Montaggio a Dana Bunescu per il film rumeno Ana, mon amour di Calin Peter Netzer.
Salutata con un caloroso e prolungato applauso la nostra Milena Canonero alla quale è stato assegnato un Orso d’Oro alla carriera per la sua intensa attività di costumista accanto a registi come Stanley Kubrick, Francis Ford Coppola, Sydney Pollack, Roman Polanski e tanti altri ancora di ben nota fama internazionale.
Si è conclusa così questa 67 esima edizione della Berlinale che, nonostante in sottotono rispetto alle edizioni passate, ha comunque fornito interessante materiale alla stampa internazionale del settore. Accreditati-Laboratorio di Impressioni Cinematografiche e Teatrali, ha voluto fare una cronaca giornaliera dei film in Selezione Ufficiale, manifestando come sempre il suo opinabile punto di vista. Ci rivedremo il prossimo anno, esattamente tra il 15 e il 25 febbraio 2018, per una Berlinale che si spera sia più consona alle aspettative, legittime per un Festival Internazionale di questa portata. Auf Wiedersehen da Berlino!
data di pubblicazione:18/02/2017
da Antonio Iraci | Feb 17, 2017
(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)
Con la proiezione degli ultimi tre film in selezione ufficiale, si conclude oggi questa maratona berlinese che ha visto impegnato un folto pubblico di giornalisti e cinefili provenienti da tutto il mondo.
Have a nice Day, creato dal cinese Liu Jian che da molti anni si è dedicato solo alla realizzazione di film d’animazione che hanno già ottenuto riconoscimenti in campo internazionale, è il primo film di questo nono giorno. La pellicola ha coinvolto tutti gli spettatori in sala, anche coloro che non sono amanti del genere, proprio per il realismo minuzioso con cui la storia è stata realizzata, tale da far quasi dimenticare che si trattava di cartoons bidimensionali. Un pretesto per gettare lo sguardo sulla Cina, paese in costante evoluzione, dove già emergono più che mai evidenti i segni di un radicato capitalismo.
Secondo film della giornata Ana, mon Amour del regista rumeno Calin Peter Netzer che narra dell’idilliaco rapporto d’amore tra due universitari Toma e Ana, che poi si trasforma in una relazione molto problematica a causa di ricorrenti malesseri della ragazza che soffre di frequenti attacchi di panico. La pellicola è un attento studio psicoanalitico sulla personalità complessa dei due protagonisti e di come il giovane cerchi, con ogni mezzo possibile, di far fronte al disagio psichico della ragazza pur di salvare il loro ménage. I due attori Mircea Postelnicu (Toma) e Diana Cavallioti (Ana) sono perfetti nei loro ruoli e non ci sarebbe da stupirsi se il film, grazie a loro, si aggiudicasse qualche riconoscimento dalla giuria.
Terzo ed ultimo film, fuori concorso, Logan del regista americano James Mangold, storia d’azione mozzafiato con protagonisti una serie di mutanti che, frutto di esperimenti in laboratorio, sono stati concepiti con poteri sovraumani. Esperimento ben riuscito che, al di là della trama in verità poco originale, riesce comunque a catturare il pubblico nell’immancabile lotta tra il bene e il male. Effetti speciali che chiudono in modo spettacolare questa Berlinale: domani l’assegnazione dell’Orso d’oro.
data di pubblicazione:17/02/2017
da Antonio Iraci | Feb 16, 2017
(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)
Questa ottava giornata della Berlinale prevedeva solo due film in concorso nella selezione ufficiale. Il primo On the Beach at night Alone, del regista sudcoreano Hong Sangsoo, narra della giovane attrice Younghee che, in crisi con il suo uomo, intraprende un viaggio ad Amburgo per riflettere sul suo futuro sia sentimentale che professionale. Tornata nella Corea del Sud, si rifugia in una piccola città sulla costa dove incontra i suoi vecchi amici con i quali torna ad intrattenersi e a bere, discutendo in maniera a volte provocatoria sul significato dell’amore. Al di là delle belle inquadrature, firmate da un regista che ha alle spalle un curriculum professionale di tutto rispetto, il film mostra ricorrenti cadute di tono con dialoghi pretenziosi al limite della pedanteria. Tra uno sbadiglio e l’altro il pubblico non è sembrato molto entusiasta di apprezzare a pieno la pellicola, peraltro infastidito dall’interpretazione dell’attrice protagonista Kim Minhee che si lasciava andare a manifestazioni di puro isterismo, non sempre comprensibili.
Molto più impegnativo e decisamente più apprezzabile, il secondo film in programma Joaquim, del regista brasiliano Marcelo Gomes. Ambientato nel Brasile del diciottesimo secolo quando il paese era ancora sotto il dominio della corona portoghese, il film è un misto tra storia e finzione. Narra dell’eroe nazionale brasiliano Joaquim José da Silva Xavier, meglio conosciuto come Tiradentes, il quale si impegnò attivamente nella caccia dei contrabbandieri di oro. A contatto con una crudele realtà, Tiradentes si troverà a barcamenarsi tra ufficiali corrotti, indios, meticci e schiavi africani, cercando di raggiungere un compromesso che possa rendere più sopportabile una vita così dura. Impeccabile l’interpretazione dell’attore Julio Machado nelle vesti di Joaquim, che riesce ad incarnare perfettamente la figura di un uomo considerato in Brasile una figura veramente leggendaria. La pellicola potrebbe in effetti rientrare tra la rosa dei potenziali vincitori di questa edizione della Berlinale, considerando che sino a questo momento, soprattutto tra le pellicole in concorso, poche sono particolarmente degne di rilievo.
data di pubblicazione:16/02/2017
da Antonio Iraci | Feb 15, 2017
(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)
Apre la giornata di oggi il film in concorso Colo della regista portoghese Teresa Villaverde, ritratto dettagliato della famiglia di Marta, una adolescente che come tutti i giovani della sua età preferisce il silenzio e la riservatezza, rifiutando ogni interferenza da parte dei genitori. La famiglia, pur vivendo in una zona residenziale, soffre tuttavia di una profonda crisi economica: il padre è da tempo disoccupato e la madre è costretta ad effettuare doppi turni lavorativi per sopperire a questa carenza. Di fronte all’impossibilità di trovare una via d’uscita ai problemi che oramai investono la sfera della pura sussistenza, i tre decidono di intraprendere un cammino, ognuno per sé, alla ricerca di una tranquillità interiore sino a quel momento irraggiungibile. Il film, seppur inevitabilmente lento, con dialoghi ridotti all’essenziale, si lascia seguire bene senza annoiare, con apprezzabili prolungati piani sequenza in cui la macchina da presa sembra fare un passo indietro, indugiando proprio con l’intento di catturare l’intera situazione, restituendola con i suoi tempi reali.
Secondo film in concorso della giornata è Return to Montauk del regista tedesco Volker Schlondorff, che tratta della storia di uno scrittore tedesco, Max Zorn interpretato da Stellan Skarsgard, che arriva a New York per presentare il suo nuovo libro. Ad attenderlo ci sarà la moglie Clara (Susanne Wolff) che ha preparato, insieme all’editore, la pubblicazione del romanzo il cui soggetto parla di un grande amore purtroppo naufragato. La protagonista di riferimento è la bella Rebecca (Nina Hoss), un tempo amante dello scrittore e ora diventata una importante legale nella City: i due si incontrano, passano un week end fuori città in una località dove erano soliti andare, ricercano un qualcosa che purtroppo risulta oramai sepolto da dissapori e fragilità emotive di entrambi. La sceneggiatura non brilla per originalità e, seppur gli interpreti siano moto bravi e convincenti, il film non sembra decollare né tantomeno coinvolgere emotivamente il pubblico in sala.
El Bar del regista spagnolo Alex de la Iglesia è il terzo film della giornata, questa volta fuori concorso. Alcune persone si trovano casualmente in un locale al centro di Madrid per consumare la prima colazione quando improvvisamente avviene una sparatoria in cui restano uccise due persone. A questo punto, in maniera quasi illogica, tutti coloro che si trovano all’interno del locale dovranno lottare, l’uno contro l’altra, per assicurarsi la propria sopravvivenza. Con un ritmo tutto suo il regista focalizza la propria attenzione sui singoli personaggi, molto diversi tra di loro, quasi a volerne scrutare nell’intimo i caratteri, e come reagiscono nel bel mezzo di una situazione di estremo pericolo, indagando la loro vera natura. Il film raggiunge momenti di pura irrazionalità che lo rendono simpaticamente gradevole e che ricordano, per molti versi, l’estro di Pedro Almodòvar che, neanche a dirlo, fu il produttore del primo film di Alex de la Iglesia Acciòn Mutante, pellicola del 1993, un misto strano di noir e fantascienza.
data di pubblicazione:15/02/2017
Gli ultimi commenti…