IO SONO LI di Andrea Segre, 2011

IO SONO LI di Andrea Segre, 2011

Shun Li (Zhao Tao) è una immigrata cinese che lavora in una fabbrica tessile facendo turni massacranti pur di ripagare il suo debito e poter far venire in Italia suo figlio rimasto intanto in Cina. Trasferitasi a Chioggia, inizia a lavorare come barista in una osteria frequentata essenzialmente da vecchi pescatori, dove, dopo un periodo di sbandamento a causa della poco padronanza della lingua, farà amicizia con un uomo da tutti chiamato il Poeta (Rade Serbedzija). Li inizierà con lui, immigrato dalla Jugoslavia molti anni prima, una intensa relazione che non troverà approvazione né da parte degli italiani né da parte dei cinesi. Per non compromettere la possibilità di far arrivare suo figlio, Li interrompe bruscamente la relazione con il Poeta e va a lavorare in una fabbrica. Con grande gioia un giorno la donna verrà arrivare improvvisamente suo figlio dalla Cina e subito pensa che sia stato il Poeta ad aiutarla segretamente. Il film che nasce da una storia vera, affronta anche metaforicamente il problema  dell’integrazione degli immigrati attraverso il racconto di come vivono e pensano. Ambientato quindi in luoghi reali e con personaggi reali, il film sviluppa un linguaggio tutto proprio attingendo proprio dal genere documentario anche per la scelta linguistica, dal momento che viene utilizzato il dialetto di Chioggia. Presentato alla 68° edizione del Festival del Cinema di Venezia, ottenne un premio secondario proprio per la delicatezza dell’argomento trattato, nonché altri premi internazionali e infine anche un David di Donatello a Zhao Tao, quale migliore attrice protagonista. Pur ambientato tra i vecchi pescatori veneti, il film ci suggerisce una ricetta dal tocco un poco cinese in quanto si tratta di un filetto di maiale in agrodolce.

INGREDIENTI: 600 grammi circa di filetto di maiale – 2 radicchi trevigiani  – 40 grammi di burro – ½ bicchiere di vino bianco – 1 cipolla bianca  – 50 grammi di burro  – 3 spicchi d’aglio –  una spruzzata di aceto bianco – 1 cucchiaio di miele d’acacia – una manciata di uvetta – 1 rametto di rosmarino e 4 foglie di salvia – due cucchiai d’olio extravergine d’oliva – sale e pepe qb.

PROCEDIMENTO: Lavare il radicchio, eliminare la parte dura e tagliarlo a spicchi molto sottili. Tritare la cipolla e stufarla in una casseruola con l’olio. Unire quindi il radicchio, aggiungere il miele e quando inizia a caramellare spruzzare l’aceto. Fare sfumare bene, salare e pepare, quindi aggiungere l’uvetta precedentemente ammollata a fare cuocere il tutto a fiamma bassa per circa 6 minuti. Intanto salare e pepare bene il filetto e rosolarlo bene in una casseruola con il burro, l’aglio in camicia schiacciato. Sfumare poi con il vino ed aggiungere il rosmarino intero a la salvia sminuzzata. Fare cuocere per circa 8 minuti rigirando spesso la carne. Fare riposare un paio di minuti ed affettare il maiale che verrà servito con il radicchio brasato.

3 GENERATIONS – UNA FAMIGLIA QUASI PERFETTA di Gaby Dellal, 2016

3 GENERATIONS – UNA FAMIGLIA QUASI PERFETTA di Gaby Dellal, 2016

Ramona, perdon Ray, ha sedici anni, si sente un ragazzo e vuole essere un ragazzo come tutti gli altri: indossa pantaloni e maglioni larghi, camice a quadri di pesante flanella e scarponi gialli. A scuola si comporta secondo la sua vera natura, provando sentimenti verso una sua compagna, nel quartiere viene visto girovagare con il suo skateboard, adottando il tipico look di un giovane dell’East Village newyorkese.

Ray (Elle Fanning) vive in una famiglia di sole donne dal momento che sua madre Maggie (Naomi Watts) da anni non ha più contatti con il suo uomo, e la nonna Dolly (Susan Sarandon) vive da sempre un equilibrato ménage con la sua compagna Frances (Linda Emond). Una famiglia, più o meno, come tante altre, che come tutte si trova a dover affrontare il delicato problema della crescita di un figlio adolescente: non tanto nella ricerca del proprio orientamento sessuale, quanto piuttosto nella determinazione di riconoscere la propria identità e prendere atto di essere nato in un corpo che non gli appartiene. Il film di Gaby Dellal si fa subito amare per la delicatezza con la quale vengono affrontate le diverse dinamiche all’interno del nucleo familiare. In casa tutte sono animate da buoni sentimenti e rispettano la decisione, oramai inconfutabile, presa da Ray di iniziare la terapia ormonale che lo spingerà in una nuova dimensione dove non sono ammessi ripensamenti. Tutte, ognuno a modo proprio, sono pronte ad affrontare questa sfida che le impegnerà in prima persona anche a confrontarsi con problemi di identità nei confronti di sé stesse. Film divertente ed intelligente che però nel contempo coinvolge lo spettatore in tematiche che possono risultare anche molto forti per chi è ancora legato a schemi sociali preconfezionati dove c’è poco spazio per la tolleranza e il rispetto delle scelte altrui. La sceneggiatura, curata dalla stessa regista insieme a Nikole Beckwith, è bene equilibrata e mette in risalto l’intero cast che, inutile dirlo, è di ottimo livello. Elle Fanning, bravissima nel ruolo di Ray, è un transgender felice di poter finalmente affrontare comportamenti e tematiche maschili e ci insegna che è bello anche presentarsi a casa con un occhio nero dopo aver fatto a cazzotti per strada.

data di pubblicazione:24/11/2016


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TRE UOMINI E UNA GAMBA di Aldo, Giovanni, Giacomo e Massimo Venier, 1997

TRE UOMINI E UNA GAMBA di Aldo, Giovanni, Giacomo e Massimo Venier, 1997

Aldo, Giovanni e Giacomo lavorano in un negozio milanese di ferramenta di proprietà del Cavaliere Eros Cecconi (Carlo Croccolo) che è padre delle rispettive consorti di Aldo e Giovanni. I tre dovranno attraversare l’Italia e andare a Gallipoli, dove avrà luogo il matrimonio di Giacomo con la terza figlia dell’imprenditore, e con l’occasione portare una scultura in legno a forma di gamba di uno scultore famoso oramai in procinto di morire. Durante il viaggio i tre dovranno affrontare una serie di disavventure di tutti i generi che metteranno in serio pericolo la scultura che, a detta dell’irascibile suocero, un giorno avrà un valore inestimabile. Nel bel mezzo del loro viaggio i tre incontreranno Chiara che chiede loro passaggio fino a Brindisi per poi imbarcarsi per la Grecia dove ha programmato di fare una vacanza. La ragazza viene quindi coinvolta nelle diverse vicende in cui si trovano sempre i tre amici fino a quando non si accorge che Giacomo si è innamorato di lei. A questo punto decide, con una scusa, di allontanarsi per non mandare all’aria il matrimonio in programma. I tre arriveranno finalmente a destinazione ma dopo, aver preso coscienza di voler radicalmente cambiare la loro vita, decideranno di abbandonare la famosa gamba sul cancello della villa del suocero e quindi di allontanarsi definitivamente dal loro destino nella famiglia Cecconi. Il film, record assoluto di incassi, segno il debutto di Aldo, Giovanni e Giacomo sul grande schermo, dopo che i tre comici si erano fatti già conoscere ed apprezzare dal pubblico in vari corti televisivi. Nel film, da loro curato anche nella regia, i tre funzionano bene come anche le battute, molte delle quali riciclate dai precedenti corti, che, anche se non completamente originali, riescono comunque a suscitare ilarità senza avere troppe pretese e senza mai sfiorare la volgarità. Il colore del meridione ci suggerisce questa ricetta molto mediterranea di un antipasto a base di pesce: insalata di mare colorata.

INGREDIENTI: 6 mazzancolle – 4 calamari piccoli – 4 seppie piccole – 150 grammi di pomodorini – 1 peperone giallo – 1 peperone verde – olio extra vergine d’oliva – prezzemolo – sale e pepe qb.

PROCEDIMENTO: Lavare i peperoni, tagliarli in fette larghe e cuocerli alla piastra in ghisa per circa 10 minuti. Una volta cotti condirli con olio, sale, pepe e prezzemolo tritato. Tagliare i calamari a listarelle, le seppie a metà e sgusciare le mazzancolle. Fare cuocere il tutto per due minuti in acqua salata, scolare bene e aggiungere il pesce ai peperoni e ai pomodorini tagliati a metà. Condire l’insalata con altro olio, mescolare bene e servire tiepida.

IN GUERRA PER AMORE di Pif, 2016

IN GUERRA PER AMORE di Pif, 2016

New York 1943. Arturo Giammarresi, palermitano emigrato per lavoro negli Stati Uniti, è fermamente intenzionato a sposare la bella Flora, anche lei siciliana, che però suo malgrado è stata promessa in sposa a Carmelo, figlio di un boss mafioso intimo amico del potente Lucky Luciano. Flora, per coronare il suo sogno d’amore, suggerisce ad Arturo di recarsi personalmente in Sicilia e di chiedere direttamente la sua mano al padre che era rimasto a vivere sull’isola, mentre lei cercherà ogni possibile pretesto per rimandare le nozze combinate ad arte dallo zio e dal padre di Carmelo.

 

Dopo l’imprevedibile successo ottenuto con il film La Mafia uccide solo d’estate e dopo l’annunciata imminente serie televisiva ad esso ispirata, Pierfrancesco Diliberto, oramai a tutti noto come Pif, torna sul grande schermo con questo nuovo lavoro, sia come regista che come protagonista principale. In guerra per amore, sotto le apparenti sembianze di una commedia leggera e scanzonata, ha però la motivata pretesa di portare a conoscenza un tratto della storia a molti sconosciuto, che riguarda in particolare quella fase finale della seconda guerra mondiale quando gli alleati sbarcando in Sicilia, iniziando così la liberazione dell’Europa dall’occupazione nazista. Il film, tra il serio ed il faceto, ci fa sapere come la mafia ricoprì un ruolo determinante al momento dello sbarco delle truppe americane e che il comando che governava provvisoriamente l’isola non avrebbe mai ottenuto l’appoggio incondizionato della popolazione senza l’autorevole mediazione dei boss locali. Con riferimento esplicito a fatti realmente accaduti, Pif ci ricorda quello che realmente avvenne e di come i poteri forti riuscirono a trovare il giusto compromesso con la ben strutturata organizzazione mafiosa ottenendone, in buona sostanza, la necessaria protezione. Il film è ben curato soprattutto per quanto riguarda la ricostruzione molto dettagliata degli ambienti, anche se un poco eccessivo risulta il ricorso ad alcuni clichè, che apparentemente potrebbero sembrare scontati ma che invece sono assolutamente funzionali per far meglio comprendere la mentalità siciliana nei suoi molteplici e spesso pittoreschi aspetti. Singolare la scelta del cast che caratterizza i personaggi, a volte un poco macchiettistici, e che contribuisce pienamente alla buona riuscita del lavoro, come pure i voluti riferimenti ad immagini di film oramai divenuti cult (Forrest Gump).

In Guerra per Amore ha il merito di trattare con intelligente ironia il tema importante della collusione tra politica e mafia sul quale ancora oggi si occupa frequentemente l’opinione pubblica e di cui tutti noi ne siamo tristemente testimoni. Il giovane regista palermitano utilizza un linguaggio espressivo semplice, tra il surreale ed il fiabesco, ed è proprio questo che dà un tocco particolare all’intera narrazione, lasciando lo spettatore divertito ed incuriosito ma anche con un leggero retrogusto di amaro in bocca.

data di pubblicazione:13/11/2016


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LA TEMPESTA di William Shakespeare, regia di Maurizio Panici

LA TEMPESTA di William Shakespeare, regia di Maurizio Panici

(Teatro Argot Studio – Roma, 2/20 novembre 2016)

La Tempesta, commedia in cinque atti che Shakespeare portò a termine nel 1611, tradizionalmente si può considerare l’ultima opera scritta dal celebre drammaturgo inglese. La peculiarità di questa commedia risiede nel fatto che l’autore volutamente riprende tematiche già utilizzate nei lavori precedenti quali il tradimento, la vendetta, la maledizione, il perdono, con l’aggiunta però di elementi meramente magici, quasi mitologici, che rimandano agli schemi dei classici greci dove l’elemento soprannaturale interagisce con gli umani per la risoluzione di questioni dove gli stessi, per natura limitati, non riescono nell’intento.

Il mago Prospero, legittimo Duca di Milano, si trova esiliato da dodici anni su un’isola remota insieme alla figlia Miranda per volere di suo fratello Antonio che, aiutato nella sua scellerata impresa dal Re di Napoli Alonso, si è indebitamente appropriato del titolo per governare sulla città. Unico abitante dell’isola è Calibano, mostro ripugnante figlio della strega Sicorace, che racchiude in sé una natura selvaggia che lo rende incapace di controllare i propri istinti bestiali anche nei confronti di Miranda. Avendo saputo per caso che Antonio sta viaggiando in nave insieme al Re di Napoli e a suo figlio Ferdinando proprio nei paraggi, Prospero, utilizzando le sue arti magiche anche con l’aiuto dello spirito Ariel, suo servitore al quale aveva promesso la libertà in cambio dei suoi prodigiosi servigi, scatena una tempesta che costringe i naviganti ad approdare sull’isola. In questa circostanza potrà finalmente attuare la tanto meditata vendetta nei confronti del fratello usurpatore. I naufraghi, una volta salvi, saranno infatti dispersi e Prospero farà sì che Ferdinando si innamori della figlia Miranda e, sposandola, la porterà a Napoli come regina. Ben riuscito il progetto di Maurizio Panici di proporre al Teatro Argot Studio questa nuova rivisitazione della commedia shakespeariana soprattutto per quanto riguarda lo sguardo introspettivo rivolto ai personaggi in scena che rappresentano le diverse sfaccettature della natura umana. Prospero è dunque il saggio che rappresenta la parte razionale dell’uomo e che sa sacrificare il governo della città e i suoi interessi di potere pur di non abbandonare i suoi amati libri. A lui si contrappone Calibano che, proprio per il suo essere repellente, incarna così la bassezza dell’uomo, succube delle proprie pulsioni. Il regista rimanda ad un messaggio ben preciso: la tempesta è quella in cui tutti noi ci troviamo oggi, disorientati da un groviglio di sentimenti contrastanti e dove nella confusione generale abbiamo difficoltà a trovare la giusta predisposizione alla tolleranza e al perdono. Enigmatica la figura di Calibano, egregiamente interpretato da Pier Giorgio Bellocchio, condannato alla solitudine e al disprezzo che però anela a qualcosa di più, attraverso l’amore, che lo possa far ritornare più umano ed assicuragli inoltre la continuazione della propria stirpe sull’isola. Ecco che riemerge ancora una volta la natura ambivalente dell’uomo che pur nel deprezzamento generalizzato di ogni valore etico, sente in fondo la necessità di un ritorno alla purezza e al riscatto di quelle qualità proprie della sua natura, prima che siano irrimediabilmente disperse dagli egoismi e dai soprusi. Buona la prova di Luigi Diberti nel ruolo di Prospero, così come degli altri attori del cast che hanno saputo dare risalto all’espressività della parola, seguendo l’intento del regista che la voleva protagonista, più che l’immagine, esattamente al centro dell’intera rappresentazione.

data di pubblicazione:12/11/2016


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