LOVELESS di Andrey Zvyagintsev, 2018

LOVELESS di Andrey Zvyagintsev, 2018

In una Russia oramai super patinata, Zhenya e Boris affrontano in maniera rancorosa e aggressiva la decisione inevitabile del loro divorzio, alla luce anche del fatto che entrambi stanno già costruendo una propria vita alternativa sulla quale ripongono grandi aspettative. Messa in vendita la casa coniugale, rimane da affrontare l’unico problema ancora rimasto irrisolto: la sistemazione del proprio figlio dodicenne Alyocha, considerato sin dalla nascita come un intralcio alla realizzazione della loro felicità. Ben consapevole di tutto questo e del futuro che lo attende, il ragazzo un giorno decide di scomparire non lasciando alcuna traccia o indizio che possa in qualche modo agevolarne le ricerche.

 

Il regista e attore Andrey Zvyagintsev, noto nel 2003 per aver vinto a Venezia il Leone d’Oro con il suo film d’esordio Il ritorno, ottenendo un grande successo sia di pubblico che di critica, considerato il degno discepolo del grande Tarkovsky con il suo ultimo lavoro Loveless, premiato dalla giuria al Festival di Cannes 2017, mostra ancora una volta la sua particolare sensibilità. La pellicola infatti affronta temi delicati in cui emergono le problematiche di un paese oramai saturo di benessere, dove tuttavia risultano ancora carenti gli elementi formativi basilari che, dall’intimità del singolo, investono poi il sociale. La limpidezza dei paesaggi invernali ricoperti di neve che sembra cadere senza soluzione di continuità, come a voler rimuovere qualcosa di scomodo, non sembra possa attenuare la cupezza che incombe sui personaggi, alla ricerca di un qualcosa che possa appagare la loro vita in un contesto dove, all’evidente opulenza materiale, risulta altrettanto evidente la mancanza assoluta di amore, tema sul quale ruota l’intera narrazione.

Il regista tiene pertanto a sottolineare quanto sia drammatico non tanto il fatto che Zhenya e Boris non abbiano ricevuto amore dalla famiglia di appartenenza, ma che la tragedia vera e propria risulta essere la loro incapacità nel produrre amore verso sé stessi e verso il loro unico figlio Alyocha. Il desiderio del ragazzo di essere amato si percepisce dal suo pianto silenzioso e, consapevole del deserto affettivo che lo circonda, preferisce sparire guidato dalla ferma volontà di non farsi più ritrovare. Il passare del tempo, nonostante le apparenze, sembra però non voler sbiadire il senso di colpa che attanaglia i due disgraziati genitori, anche dopo essere riusciti a costruire un nuovo nucleo familiare. Il film raggiunge momenti di grande tensione emotiva che difficilmente lo spettatore riesce a dominare, supportati da una recitazione intensa e ricca di pathos. Ci si chiede se a tutto ciò ci sia una via di scampo, se lo domanda il pubblico e la stessa Zhenya che, nella scena finale mentre si esercita in casa sul tapis roulant, guardando fisso nell’obiettivo sembra chiederci un disperato aiuto.

Un film assolutamente da non perdere.

data di pubblicazione:24/01/2018


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GIUDIZIO UNIVERSALE di Vittorio De Sica, 1961

Un mattino normale di una giornata normale a Napoli improvvisamente irrompe una voce grave e altisonante che sembra provenire dall’alto dei cieli per annunciare che alle ore 18 precise di quello stesso giorno inizierà il “Giudizio Universale”. L’insolito comunicato si ripete più volte e la gente presa dalle quotidiane faccende all’inizio pensa trattarsi di uno scherzo di cattivo gusto, ma poi, data l’insistenza, incomincia a prendere sul serio la questione mostrando una giustificata preoccupazione. Interessanti infatti sono le diverse reazioni da parte di questa variegata moltitudine di uomini e di come ciascuno, in maniera più o meno convinta, si prepara all’incontro con il Padreterno. Alle 18 in punto, sotto lo scrosciare di un diluvio, pure lui universale, inizia il giudizio che però si conclude in maniera enigmatica così come del resto era iniziato. Il soggetto, sapientemente scritto da Cesare Zavattini, dopo l’esperienza con De Sica nel ben riuscito film di impronta neorealistica Miracolo a Milano, questa volta assume un tono decisamente surreale, quasi un pretesto per raccontare di Napoli con le sue storie di vita quotidiana intrecciate di miseria e nobiltà. Il film fu accolto tiepidamente dalla critica che lo definì deludente come contenuto anche se supportato da un cast di attori eccezionali tutti rigorosamente scelti tra i migliori del momento, escludendo volutamente quelli napoletani pur essendo la storia totalmente ambientata a Napoli. Proprio la città partenopea ci fa affiancare a questa pellicola una ricetta di stampo prettamente mediterraneo, un piatto saporito e di ottimo effetto: melanzane a “scarpone” ripiene.

INGREDIENTI: 5 melanzane – 300 grammi di pomodorini – 100 grammi di olive nere denocciolate – 50 grammi di capperi – 150 grammi di mozzarella – 50 grammi di parmigiano grattugiato – basilico – olio – sale e pepe qb.

PROCEDIMENTO: Tagliare le melanzane a metà e svuotarle della polpa senza romperle. Disporre le melanzane sotto sale per far perdere loro l’acqua. Dopo circa un’ora sciacquarle e disporle in una teglia ricoperta di carta da forno quindi fare cuocere in forno per circa 10 minuti a 180°. Intanto tagliare la polpa delle melanzane a dadini e friggerli in olio d’oliva finché non risultano ben dorati. In una padella scottare i pomodorini tagliati a pezzetti e poi sistemarli in una ciotola insieme alle melanzane fritte, i capperi dissalati, le olive nere, il parmigiano grattugiato e la mozzarella tagliata a pezzetti. Levare dal forno gli “scarponi” di melanzane e riempirli con il composto creato. Infornare per altri 15 minuti, guarnire con qualche foglia di basilico e servire il tutto ben caldo.

LOS ADIOSES di Natalia Beristain, 2017 – Selezione ufficiale

LOS ADIOSES di Natalia Beristain, 2017 – Selezione ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Rosario Castellanos è una studentessa universitaria che mostra subito grande sensibilità per la poesia, dote questa che la farà diventare una delle più famose e amate scrittrici messicane dei nostri tempi. La movimentata passione amorosa per Ricardo, ripresa dopo anni di separazione, la condurrà ad approfondire quel percorso sociale per il quale, sin da ragazza, aveva sempre combattuto le sue battaglie. Le sue poesie, vere perché nate dai propri genuini sentimenti, identificano una donna diversa, un soggetto avente pari dignità di fronte all’uomo e diventeranno presto il manifesto del movimento femminista di un paese ancora sostenuto da una società esclusivamente patriarcale.

 

In una società, e non solo in quella messicana di un tempo, dove alla donna viene assegnato quasi esclusivamente il compito di soggetto accudente nell’ambito familiare con scarse possibilità di emergere nel sociale, la figura della poetessa Rosario Castellanos è sicuramente da considerarsi un simbolo, una voce che riesce a mandare in frantumi tutta quella mentalità maschilista a cui si era abituati da generazioni. Merito indiscusso della regista Natalia Bristain (No quiero dormir sola, Venezia 2012) è quello di aver saputo presentare, con pennellate semplici ma nette, la figura di una donna con tutte le sue contraddizioni, personaggio ben determinato nelle sue scelte di vita per fuggire a qualsiasi forma di dipendenza, quale ad esempio quella della maternità, per poi invece trovarsi invischiata dai legami dei propri stessi sentimenti. Da brillante studentessa conosce una passione profonda per Ricardo, giovane impegnato come lei a portare avanti un discorso comunista nell’ambito universitario, ma ciò non la distoglierà dal sostenere la propria lotta interiore per emanciparsi da ogni condizionamento sociale in quanto donna. Al ritorno dalla Spagna, dove era andata a studiare dopo aver vinto una borsa di studio, non troverà più il suo Ricardo e ciò la renderà più determinata ad affermarsi in società diventando un personaggio al quale viene ufficialmente riconosciuto il valore letterario della sua opera. Dopo una lunga parentesi i due protagonisti si ritroveranno, quasi per caso, a ricucire un turbolento rapporto coniugale e la scrittrice, oramai famosa, verrà messa di fronte a un impegno che rischierà di compromettere per sempre la validità delle sue scelte. Natalia Beristain realizza un film sulla donna che è tutto una poesia proprio perché riesce a ricucire una storia vera solo con il ricorso della parola e trascurando del tutto ogni forma agiografica. Molto pertinente la scelta dell’attrice messicana Karina Gidi a cui affidare la parte di Rosario proprio per la freschezza e la incisività del suo sguardo che trasmette in ogni attimo della narrazione il genuino stato d’animo di una persona con i sui punti di forza alternati a momenti di estrema fragilità interiore.  La figura del protagonista maschile Ricardo Guerra è assegnata all’attore Daniel Giménez Cacho, già conosciuto al pubblico italiano per la sua interpretazione nel film La mala educaciòn di Pedro Almodòvar del 2004. Il film Los Adioses è considerato di spicco all’interno della rassegna cinematografica romana proprio per il messaggio dato che sicuramente troverà spazio di riflessione anche da parte degli spettatori di sesso maschile presenti in sala.

data di pubblicazione:04/11/2017








LOS ADIOSES di Natalia Beristain, 2017 – Selezione ufficiale

INSYRIATED di Philippe Van Leeuw, 2017 – Sezione Tutti Ne Parlano

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Oum Yazan cerca di tenere al sicuro quel che resta della propria famiglia visto che gli uomini sono andati via per combattere o cercare una possibile via di fuga. Siamo in Siria ed il conflitto invade ogni luogo portando morte e distruzione. Miracolosamente l’appartamento in cui si trova barricata la famiglia non è stato ancora bombardato e l’energica donna riesce tenacemente a mantenere alto il morale e far sì che la vita possa proseguire all’interno di quelle mura. Intanto fuori imperversa l’inferno tra le granate e i cecchini, appostati sugli edifici oramai abbandonati, sono pronti ad uccidere chiunque si azzardi ad uscire per le strade.

 

L’azione si svolge all’interno di un appartamento borghese di Damasco dove Oum cerca a tutti i costi di mantenere la vita di tutti giorni tra i membri della famiglia, impartendo ordini secchi alla fedele domestica o agli stessi figli, quasi a voler coprire il rumore delle granate che minacciano costantemente la loro stessa esistenza. In quella casa viene ospitata anche una giovane coppia con un neonato, che cerca di organizzare una fuga verso il Libano e sottrarsi così alla devastazione di una guerra che travolge violentemente uomini e cose.

Il belga Van Leeuw, direttore della fotografia ma già conosciuto come regista del film Le jour où Dieu est parti en voyage del 2009, risulta ancora una volta impeccabile nella descrizione degli orrori umani di fronte ad un conflitto che non sembra accennare a finire e dove a chi resta non rimane altro che l’illusione della sopravvivenza.

Nonostante gli sforzi dei protagonisti, la brutalità entrerà comunque nella loro casa e tutti ne rimarranno sconvolti. Insyriatedè la testimonianza diretta del conflitto che sta dilaniando il popolo siriano e del quale si fa fatica a intravedere una possibile soluzione.

Degna di assoluto rilievo la figura di Oum, interpretata dall’attrice palestinese Hiam Abbass, già nota come interprete in molti film a sfondo sociale e soprattutto protagonista nel film Il giardino di Limoni di Eran Riklis, che le ha portato grande notorietà.

Insyriated è stato presentato nell’ultima edizione della Berlinale – Sezione Panorama ottenendo un positivo riscontro sia dal pubblico che dalla stampa internazionale presente.

data di pubblicazione: 31/10/2017








LOS ADIOSES di Natalia Beristain, 2017 – Selezione ufficiale

IN BLUE di Jaap van Heusden, 2017- Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Lin è una assistente di volo di una compagnia olandese, molto apprezzata in ambito lavorativo per la sua professionalità. Mentre si reca precipitosamente in aeroporto a Bucarest, il suo taxi investe un ragazzo di quindici anni: Nicu vive nei sotterranei della città e, pur di procurasi la droga, ricorrendo ad ogni tipo di espediente incluso la prostituzione. Il ragazzo inizialmente si offre di farle da guida turistica e la donna piano piano viene inspiegabilmente attratta non solo dai suoi modi bruschi ma anche dalle sue attenzioni particolari.

 

Il regista olandese Jaap van Heusden, al suo terzo film, con In Blue ci presenta una storia genuina, privo di una sceneggiatura particolarmente elaborata, dove il sentimento sta alla base di un racconto che nella sua leggerezza non scivola mai nel sentimentalismo. Il rapporto che nasce tra Lin (Maria Kraakman) e Nicu (Bogdan Iancu) è la dimostrazione di come due persone così diverse per cultura ed estrazione sociale possano trovarsi insieme in qual cosa che va al di là della semplice amicizia. Entrambi i protagonisti hanno bisogno di un affetto sincero, da sempre negato e mai ricevuto, e proprio in questa circostanza si trovano a colmare qualcosa che loro stessi non avevamo forse mai sperimentato. Lin, ad esempio, si trova a seguire Nicu nel sotterraneo dove vive in branco insieme ad altri emarginati, e la tenerezza che prova per il ragazzo sarà sufficiente a farle dimenticare dove realmente si trova, in una situazione ben lontana dall’ambiente asettico in cui è abituata a muoversi in Olanda, perché questo suo nuovo amico riuscirà a colmare quella perenne deficienza affettiva da cui è affetta, dovuta ad una mancata maternità. La narrazione, a cui fa da sfondo l’aberrazione della gioventù rumena, sembra procedere lungo un percorso credibile perché basato su sentimenti veri, non inquinati né dal sesso né da interessi esclusivamente materiali. Film che si segue con attenzione ed un tocco di ammirazione per la determinazione e la delicatezza dei due protagonisti.

data di pubblicazione:29/10/2017