da Antonio Jacolina | Apr 30, 2025
Inizio anni 2000. Holland è un’idilliaca cittadina del Michigan legata alle proprie origini olandesi. Nancy (N. Kidman) insegnante e casalinga, nel vuoto emotivo del suo quotidiano inizia a dubitare del marito (M. Macfadyen). Con l’aiuto interessato di un collega scoprirà che la realtà è ben diversa.
Nella massa di film anonimi ed insulsi offerti dalle piattaforme, Holland attrae subito per il suo cast interessante. Diciamolo subito, è un film che si lascia guardare e svolge il suo compito essenziale di intrattenere. Una confezione attraente arricchita da belle riprese e da un’ottima fotografia. Una bella scatola colorata ma ahinoi vuota dentro. Solo buon look e poca sostanza!
La regista punta il dito sull’ambiguità e l’ipocrisia della provincia americana. Un’apparente serenità in cui nulla è come appare. Un tema abbondantemente trattato sul grande schermo. La cineasta lo affronta sotto forma di Thriller. Nelle intenzioni un thriller psicologico teso ad evocare il torbido dietro le facciate, ad analizzare le coscienze ed il progressivo scivolamento del quotidiano verso l’ambiguità e l’horror, in un crescendo di tensione. Sulla carta di sicuro un approccio interessante ed allettante. Un mix di noir, di black comedy, di dramma familiare e di horror. Però l’operazione di fondere più generi non funziona perfettamente. Il film infatti non è così profondo da scavare nelle coscienze, non così ironico e graffiante da poter essere una commedia o una satira di costume, non così teso da essere un thriller, né così duro da essere un horror.
L’intrigo lineare e tradizionale, perde subito di tensione e risulta meccanico e prevedibile. Il ritmo è ineguale, molto lento salvo un’accelerazione brutale per il finale aperto. Questo squilibrio narrativo unito ad una scrittura frammentata nuoce alla fluidità dell’opera. Peccato! perché la regista ha un buon senso estetico, la sua messa in scena è interessante, le riprese sono ben costruite. Il ricco potenziale narrativo resta però inespresso schiacciato proprio dalla mediocrità della sceneggiatura. Tutto è solo accennato, non sviluppato e privo dell’intensità necessaria a sostenere la suspense. Il Cast fa quel che può ed anche di più, la Kidman recita con intensità oscillando con mestiere collaudato fra fragilità e determinazione ma anche lei si trova compressa dalla superficialità dello script.
Holland è quindi solo un discreto film di mero intrattenimento televisivo. Assolutamente nulla più! Un telefilm che si ferma alla superficie ed alle intenzioni e che deluderà gli amanti della Suspense vera, delle narrazioni ben padroneggiate e dei personaggi complessi.
data di pubblicazione:30/04/2025
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da Giovanni M. Ripoli | Apr 30, 2025
La storia inizia con il ritorno a Clarksdale dei fratelli gemelli Smoke e Stack, fortificati dalle trincee della Grande Guerra e dall’attività criminale al servizio di Al Capone a Chicago. L’idea è quella di aprire un juke joint, ovvero un locale in cui si suona, si balla e si beve liberamente, a beneficio della comunità locale di colore. A tal fine comprano da un bianco in odore di Ku Klux Klan un vecchio capanno. La realtà del luogo, siamo nel 1931 nel profondo sud degli USA, è ampiamente variegata: neri sfruttati nelle campagne di cotone, presenza del KKK, sette più o meno sataniche, cristiani benpensanti e su tutto il blues, per molti, la musica del diavolo.
Difficile definire il film di Coogler, buon regista, già apprezzato per Creed e i due Black Panther. La trama de I Peccatori sembra, inizialmente, seguire il percorso del blues pre-war (come lo definiscono gli esperti del filone musicale), che evoca in parte la leggenda di Robert Johnson “l’uomo che vendette l’anima al diavolo per diventare il più grande suonatore di chitarra di sempre”. In realtà c’è molto di più e c’è soprattutto il formidabile cambio di registro della seconda parte che lo fa virare nelle truci atmosfere del genere horror. Questo va a vantaggio di una pellicola che, attraverso una tensione costante, riesce a confrontarsi con più generi creando una interessante seppure audace combinazione. Escludendo mere ragioni commerciali (riuscire a catturare gli amanti del blues e i seguaci dell’horror) trovo l’episodio in gran parte riuscito. Certo, l’emozione di vedere riprodotta la Clarksdale del 1931 con la consueta perfezione dei film americani, in un contesto arricchito dal blues, è comunque un bel vedere e sentire. Se aggiungiamo poi le atmosfere gotiche, il vampirismo utilizzato in chiave allegorica, i temi del razzismo e della discriminazione, una recitazione superba, finiamo col ritrovarci all’interno di una narrazione ben costruita e coinvolgente, di forte impatto. Gli attori, in particolare Michael B.Jordan, nel doppio ruolo dei gemelli afro americani, Miles Caton, il cugino Sammie Moore, prodigioso chitarrista di talento e l’icona blues Buddy Guy, caratterizzano al meglio i rispettivi personaggi, rendendo una performance di tutto rilievo. Altre perle da segnalare, in primis, la strepitosa colonna sonora di Ludwing Goransson che vibra di corde di chitarra blues per tutto lo spettacolo, la fotografia di Autumn Durald (il film è girato su pellicola da 65 mm) che rende la pellicola fruibile al meglio solo al cinema, merito da non poco. Senza tornare ad evidenziarli, ricordo solo che il direttore della fotografia, il compositore, il costumista, il montatore sono tutti artisti in varie occasioni insigniti di premio Oscar. Dunque, si tratta di una produzione importante che ha incontrato un notevole successo al box office statunitense. Da noi un po’ meno, forse perché non c’è stata un’adeguata pubblicità.
I limiti? Qualcuno potrebbe notare un eccesso di durata, o di effetti grandguignoleschi (e sfido a non ricorrervi in presenza di vampiri!) ma, onestamente, non si corre il rischio della noia, grazie, ripeto, a un ritmo e un montaggio sempre incalzanti. Un ultimo suggerimento: aspettate la fine del film fino ai titoli di coda. Ne avrete una bella sorpresa che, ovviamente, non rivelo.
data di pubblicazione:30/04/2025
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da Antonio Iraci | Apr 30, 2025
All’agente segreto George Woodhouse viene affidato l’incarico di individuare chi, all’interno dell’intelligence britannica, ha trafugato un software segreto con il nome in codice Severus. George dovrà intercettare i movimenti dei cinque sospettati tra i quai risulta anche la moglie Kathryn che lavora nella stessa agenzia…
Ultimo film del prolifico, quanto sperimentale, regista americano che mette ora in scena un thriller molto coinvolgente basato sulla sceneggiatura di David Koepp. Come in ogni spystory ritroviamo i soliti ingredienti: intrighi, seduzione, terrorismo, nomi in codice, complotti e tradimenti. A rendere il plot più appetibile qui si ritrovano due agenti senza scrupoli che vivono un matrimonio ben consolidato, almeno nelle apparenze. L’oggetto in questione è un top secret software che sta per passare nelle mani di un nemico che potrebbe utilizzarlo per scopi non proprio corretti. Ma chi sarà il traditore che è riuscito a impadronirsi di queste informazioni sensibili e riservate per poi rivenderle? Il film gioca proprio su questi colpi di scena tra sospetti e sospettati e George sa cogliere ogni minimo segnale per individuare la talpa. Il regista si destreggia per tenere alta l’attenzione del pubblico che si trova ad affrontare, non senza difficoltà, una trama quanto mai complessa. Non è quindi facile afferrare a volo i singoli passaggi e individuare prontamente le mosse dei protagonisti. Un thriller che comunque riuscirà a conquistare chi ama il genere spionistico e le storie ricche di suspence e adrenalina. Soderbergh mette in contrapposizione un marito e una moglie che dovranno barcamenarsi per non compromettere il proprio ménage e nello stesso tempo agire senza esitazione. La loro non è certamente un’impresa semplice. Mettere da parte i propri sentimenti a servizio della corona britannica costi quel che costi. E’ proprio questo delicato ingranaggio che rende il film molto accattivante e sicuramente appassionante. Nel cast nomi di tutto rispetto quali Michael Fassbender, Cate Blanchett, Pierce Brosnan, Tom Burke, Marisa Abela. Black Bag – Doppio gioco ha una scrittura e una messa in scena molto accurate. Il protagonista si muove da un punto di osservazione in continuo movimento, proprio per studiare il comportamento dei singoli sospettati come un raffinato psicoanalista. Un riflesso del mondo che oggi viviamo dove tutto è sacrificabile in termini di vite umane, in virtù di una logica distorta. Un film interessante ma certamente non tra i migliori di Soderbergh. L’individuazione perfetta dei personaggi coinvolti, l’abilità di rendere credibile ogni imprevisto non alleggerisce l’esorbitante linguaggio espressivo adottato.
data di pubblicazione:30/04/2025
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da Antonio Iraci | Apr 30, 2025
Emilio è il figlio unico del Podestà di Roccasecca. Il padre lo vuole un diligente balilla devoto al regime, ma il bambino preferisce dedicarsi alla lettura di Salgari, immaginando una realtà tutta sua. Quando in paese arriva come prigioniero un Ras dall’Etiopia, divenuta colonia italiana, Emilio ne rimarrà incantato e lo identificherà con Sandokan, la Tigre della Malesia…
In un banchetto di libri usati di un mercatino rionale, un giorno la regista si trova tra le mani un libro scritto da Guido Longobardi. Lo scrittore, peraltro apprezzato giornalista, raccontava di una sua esperienza realmente vissuta da bambino, in piena epoca fascista. Da questa storia, incredibile ma vera, la poliedrica Giorgia Farina ne ricava un film, fiabesco ma di denuncia che coinvolgerà il pubblico sin da subito. La sua abilità sta proprio nel dare al film l’impostazione di una commedia leggera ma con l’intento preciso di parlare del dramma del periodo fascista. Vengono pertanto richiamati tutti gli stereotipi che lo caratterizzavano quali la xenofobia, il razzismo, l’omofobia e il rigido patriarcato. Le donne dovevano rimanere in casa e mettere al mondo tanti figli per la gloria del Duce. Questa realtà passa attraverso gli occhi di un bambino che, con la sua ribellione, trasformerà quello che era pura fantasia in una vera rivoluzione culturale. Tranne il Podestà, prigioniero della sua ottusità, in effetti i singoli personaggi troveranno la chiave per fuggire dalla propria gabbia e ritrovare la propria libertà. Un discorso politico ben preciso che la regista vuole trasmettere, un messaggio di emancipazione della donna dalla propria subordinazione. Inoltre un atto di presa di coscienza e di rispetto per la diversità in senso lato. Il film non è solo una denuncia sugli abusi perpetuati dal fascismo, ma un avvertimento su ciò che sta accadendo oggi sotto i nostri occhi. Una favola delicata che descrive l’amicizia tra il piccolo Emilio (Marco Fiore) e il nobile etiope Abraham (Gabriel Gougsa) contrastata dal padre Podestà (Edoardo Pesce). Ho visto un re è leggero ma profondo, immaginario ma reale che scorre piacevolmente anche sorvolando sui piccoli errori di regia, peccatucci veniali decisamente trascurabili. Molto azzeccata la location e la cura dei particolari di scena, per non parlare della fotografia, curata da Francesco di Giacomo. Divertente la scena finale che ritrae l’ex Podestà, ora Federale, solo a sfoggiare il suo potere nel bel mezzo del nulla del deserto africano. A fare da contrappunto il principe etiope, esempio di grande distacco dall’ignoranza generale che lo aveva sistemato come prigioniero nella voliera del pavone in giardino. Proprio da lui nascerà il cambiamento e la liberazione…
data di pubblicazione:30/04/2025
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da Antonio Jacolina | Apr 28, 2025
Cogliere in un unico Evento sia il piacere di scoprire o riscoprire una delle meraviglie di Roma sia l’opportunità di affrontare temi di attualità. Dove? A Palazzo Farnese!
Il 14 Maggio tornerà infatti la nuova edizione de La Notte delle Idee. Una serata dalle 18 alle 24, articolata su dibattiti, tavole rotonde, installazioni artistiche, proiezioni, performance ed incontri letterari. Location l’intero Palazzo dai sotterranei al piano nobile, la Galleria dei Carracci, il Salone d’Ercole, la Sala dei Fasti Farnesiani, la Grande Biblioteca, la terrazza su Roma, il cortile e gli splendidi giardini. Un’occasione unica per scoprire luoghi della prestigiosa sede dell’Ambasciata di Francia a Roma non sempre aperti ai visitatori. Una serata di bellezza e di condivisione, di discussione e di conoscenza. Un’opportunità che farà dialogare il patrimonio storico-artistico di Palazzo farnese con uno dei temi più essenziali del mondo contemporaneo: I Mari e gli Oceani – verso nuove rotte.
Spazi di interconnessione globale, ricoprono il 71% della superficie terrestre, costituiscono il 99% del volume della biosfera, producono metà dell’ossigeno che respiriamo e sono al centro dell’80% degli scambi commerciali mondiali. Ma cosa conosciamo davvero dei Mari e degli Oceani oltre alla loro immensità? Intuiamo che senza di essi la vita sulla Terra sarebbe impossibile. Eppure il loro ruolo fondamentale nel regolare il clima è ancora poco compreso. Come bilanciare poi la loro protezione con l’utilizzo sostenibile delle loro risorse? Come garantire la libera percorrenza per le Merci, per i flussi dei Dati e la Pesca? Quali gli effetti del mutamento climatico sulle Nuove Rotte? Quindi Mari ed Oceani da conoscere, percorrere, utilizzare e salvaguardare come impegno fondamentale per tutte le Società Civili.
Oceanografi, Navigatori, Scienziati, Archeologi, Giuristi e studiosi di Geopolitica, giornalisti ed artisti italiani e francesi condivideranno riflessioni e progetti. Fino a che punto le nuove tecnologie sono utilizzabili? Quale ruolo possono assumere le nuove generazioni? Quali gli scenari politici? Quali nuove rotte commerciali? nuovi flussi migratori? Soluzioni globali o soltanto locali? Quali le ricadute economiche? Quali decisioni adottare? Quale il contributo dell’Arte e del Cinema per sensibilizzare e mobilitare? Interrogativi su cui avviare un dialogo senza vincoli o inibizioni per far luce sugli ineluttabili cambiamenti che si dovranno affrontare.
L’ingresso è libero previa iscrizione presso l’Ambasciata o il Centro Culturale Francese.
data di pubblicazione:28/04/2025
da Paolo Talone | Apr 28, 2025
(Centrale Preneste – Roma, 4 aprile 2025)
Da circa otto anni Alessandro Blasioli porta sui palcoscenici italiani il dramma delle famiglie colpite dal terremoto dell’Aquila il 6 aprile 2009. Il lavoro autoprodotto di cui è autore, interprete e regista – riconosciuto con ben 17 premi – punta l’attenzione sulle vicende che hanno reso difficile la ripresa dopo il sisma.
È una voce di denuncia quella di Alessandro Blasioli, legittimata dalla provenienza geografica delle sue origini teatine. Si fa portavoce di un dramma collettivo, di cui è stato testimone ancora giovane in prima persona. Il suo lavoro è una missione rivolta a mantenere vigile l’attenzione su una questione tutta italiana: la crisi abitativa delle famiglie aquilane colpite dal terremoto di sedici anni fa. Descrive attentamente la devastazione sociale e economica, dirette conseguenze della sciagura dovuta al sisma. I dati sono presi dalla cronaca. L’elenco riporta il numero delle vittime e quello dei nuclei familiari sfollati. La quantificazione dei danni al patrimonio artistico e storico – con la conta delle abitazioni non più agibili, da abbattere, da riparare o recuperare – fotografano con nitidezza e obiettività una realtà purtroppo ancora non del tutto risanata. L’incuria, il dedalo burocratico per la ricostruzione, lo sciacallaggio mediatico della politica (meno attenta invece alle concrete esigenze dei cittadini in sofferenza) sono solo una parte delle tematiche trattate. L’attore le sviluppa in una narrazione solitaria eppure affollata di tanti personaggi.
Paolo e Marco sono amici da sempre. Fin da bambini passano le estati al mare a Silvi Marina con le rispettive famiglie, felici tra feste popolari mangiando la tipica pizzonta. Ma l’estate del 2009 è diversa. Paolo è costretto a trasferirsi con i genitori Rocco e Piera in un hotel della costa. La loro casa è stata dichiarata momentaneamente inagibile, indicata con la lettera B. Nella scala che classifica i danni agli edifici si va da A, agibile, a F, che sta per “fregatura”, tutto da demolire. La madre è sotto psicofarmaci perché il terremoto agisce anche all’interno delle persone. Dalla stanza al decimo piano dell’albergo si vede il mare, scostando appena le tende damascate. Non è ancora stagione turistica, ma la visione dell’orizzonte attenua per un attimo lo sconforto. Consola anche chi è abituato a vivere tra le montagne. Con l’arrivo dei turisti la famiglia di Paolo è obbligata a farsi da parte. In fondo sono ospiti nella struttura, non clienti. Niente servizi per le famiglie aquilane. La situazione si complica, il senso di libertà viene meno. Vengono alloggiati nelle tendopoli dove vige un rigido regolamento dettato dalla Protezione civile e dall’Esercito. Così non rimane altro da fare che adoperarsi per riprendere ciò che la natura ha portato via e la lentezza della burocrazia stenta a riparare. Immota manet è la locuzione latina motto della città: rimane salda e determinata a ricostruire con le mani dei suoi abitanti ciò che è stato confinato nella zona rossa, oltre le recinzioni.
Alessandro Blasioli mescola nel racconto ricordi personali e drammi realmente vissuti dalla comunità del capoluogo abruzzese. Parla degli equilibri umani sconquassati dall’energia distruttiva del terremoto. La stessa che ha interrotto relazioni e tradizioni (l’amicizia tra Paolo e Marco si incrina, le processioni sono costrette a cambiare il loro tragitto secolare). Ha interiorizzato una tragedia accaduta a una cultura precisa fatta di sapori, dialetto, riti religiosi e canti folkloristici. Lo spettacolo è ricco di suggestioni scatenate dall’immediatezza della parola, ma anche da una spiccata capacità nell’imitare personaggi e parlate differenti, frutto di un’attenta osservazione del carattere popolaresco della regione. L’intercalare della lingua abruzzese ha presa sul pubblico. Ma soprattutto la musicalità è una sua peculiare caratteristica. La misura della battuta musicale conferisce ritmo alla recitazione e quando la musica è presente, come commento o parte della narrazione, è sempre veicolo di emozioni.
Una chiara lezione abbiamo imparato da questa catastrofe: bisogna fare prevenzione. Questo è ribadito da Alessandro Blasioli, che a commento del titolo aggiunge la frase del poeta latino Ovidio dolor hic tibi proderit olim (un giorno questo dolore ti sarà utile). Le ferite del passato possono essere davvero di aiuto solo se nel futuro si farà più attenzione.
data di pubblicazione:28/04/2025
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da Antonio Iraci | Apr 25, 2025
Arsa è una ragazza molto scontrosa che vive in una casupola in mezzo a una riserva naturale di Stromboli. Ha scelto di vivere in maniera solitaria a contatto con la campagna e il mare. Spesso si aggira sulla spiaggia a raccattare ciò che la gente ha dimenticato o che il mare ha restituito. La sua mente vaga tra i ricordi della prima infanzia quando il padre le raccontava, per farla addormentare, storie di terribili mostri…
Masbedo è un duo artistico composto da Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni. In Arsa, che è il nome della protagonista, i registi raccontano la storia di una ragazza che decide di isolarsi da tutto e da tutti. Concentrata a elaborare la perdita del padre, uno scultore poco talentuoso ma di grande immaginazione. Anche lei ha una vena artistica che dimostra trasformando semplici materiali raccattati sulla spiaggia. Costruisce la sua vita ai margini della vita, in una natura contaminata dagli uomini e che lei stessa cerca di ripulire liberandola da ogni sporcizia. Un racconto onirico costruito su spazi ristretti dove Arsa (Gala Zohar Martinucci) si muove come un animale selvatico in cerca di una tana dove rifugiarsi. Lei in effetti ora ne ha una di tana, che difenderà da ogni intruso. Il film si concentra sul rapporto tra l’uomo e la natura, tra cielo e mare, tra arte e inquinamento sociale. Un’ambientazione perfetta dove però la storia traballa in virtuosismi talvolta eccessivi. Un esercizio di stile vero e proprio, forse esageratamente ambizioso. Anche l’incontro scontro tra la ragazza e Andrea (Jacopo Olmo Antinori), sull’isola insieme ad altri due amici alle prime armi nel cinema, sembra troppo costruito. I Masbedo hanno forse troppo indugiato sulla sceneggiatura e ne hanno ridimensionato il lato creativo e immaginifico. La protagonista si presenta nella sua essenzialità per difendersi dal mondo esterno che la circonda e per confermare la propria scelta di vita. Il suo isolamento è voluto, non obbligato. Un film poetico pensato anche troppo e per questo che risulta artificioso e inutilmente didascalico. I lunghi tempi di osservazione da parte della ragazza non giovano alla narrazione e sembrano compromettere il significato profondo che i registi volevano trasmettere. In Arsa c’è una propria elaborazione del lutto da parte della giovane che non dimentica la figura paterna, complessa e fragile nello stesso tempo. Un padre che non rispecchia i canoni a cui siamo abituati ma che è quasi fiero della propria fragilità. Un padre che non ha bisogno di mostrare la propria autorità, ma piuttosto di insegnare il bello della creatività. La scoperta di una statua classica sul fondale del mare, un segreto non svelato e vissuto come esclusivo, non sono elementi sufficienti a rendere il plot decisamente coinvolgente. Il film era stato presentato in anteprima all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma.
data di pubblicazione:25/04/2025
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da Antonio Iraci | Apr 24, 2025
Clover, con alcuni amici, è alla ricerca della sorella Melanie scomparsa da un anno in situazioni misteriose. Si recano pertanto nella valle, dove sembrerebbe che la ragazza sia stata vista l’ultima volta, per cercare una risposta a quanto accaduto. Occupata una casa abbandonata, i ragazzi presto saranno nelle mani di uno spietato assassino che potrebbe avere a che fare con la sparizione di Melanie…
Until Dawn, diretto dal regista svedese David F. Sandberg, è tratto dall’omonimo videogioco survival horror pubblicato da Sony Computer Entertainment in esclusiva per PlayStation. Non è la prima volta che si riproduce al cinema l’atmosfera di un gioco in cui il gamer interagisce con le immagini, lasciandosi coinvolgere emotivamente. Nel film in questione lo spettatore, pur non avendo a disposizione una tastiera, si troverà comunque a essere parte attiva. Proprio come in un loop temporale dove gli stessi protagonisti dovranno affrontare ripetutamente le efferatezze di un crudele assassino. Per gli appassionati del genere horror/splatter il film potrebbe suscitare un grande interesse anche se le situazioni proposte sembrano ripetersi senza soluzione di continuità. Il plot per la verità non presenta novità di rilievo rispetto ad analoghi film già visti e rivisti in passato. Trovando ispirazione nel videogioco, il regista sviluppa un mix di ambientazioni prestate e solo in parte rielaborate con il risultato di creare scene prevedibili. Pieno di strane creature, frutto di un design inquietante, che rincorrono senza un perché i giovani protagonisti, come veri morti viventi dalle fattezze raccapriccianti. Difficile seguire la linearità di una trama perché il film va preso per quello che è, un horror pieno di brividi ma decisamente non geniale. Il cast si compone di attori quali Ella Rubin, Odessa A’zion, Michael Cimino, Ji-young Yoo, Belmont Cameli e Maia Mitchell. Sicuramente bravi che però non salvano le sorti di un film ai limiti della banalità. Non sembra riuscito il tentativo di adattare Until Dawn alla dinamica del gioco. Del resto era logico che si dovessero trovare dei nuovi strumenti non potendosi creare lo stesso tipo di intervento interattivo. Il regista cerca di introdurre nuovi personaggi e nuove azioni per colpire l’immaginario dello spettatore ma la pellicola non decolla e lascia sicuramente disorientati. Non si capisce in fondo la figura del serial killer che assume varie forme mostruose e che si trasforma continuamente insieme all’ambiente circostante. Ci si sforza invano di avvertire quell’energia che dovrebbe fare percepire il senso autentico del terrore e della morte.
data di pubblicazione:24/04/2025
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da Antonio Jacolina | Apr 24, 2025
Chriss Wolf (B.Affleck) il brillante contabile neurodivergente, viene contattato da Marybeth (C. Addai- Robinson) per risolvere l’omicidio del suo ex capo e mentore. Si imbattono in una rete internazionale che sfrutta i migranti. Chriss chiede allora aiuto al fratello Braxton (J. Bernthal). Insieme affronteranno i criminali…
Diciamolo subito, The Accountant 2 si inserisce a pieno titolo nelle non numerosa schiera dei sequel che superano il precedente. Dopo il sorprendente successo di pubblico e critica del primo The Accountant (2016) si è ricomposta infatti la stessa squadra vincente: direttore, sceneggiatore ed interpreti. Il regista O’Connor conferma da una parte le proprie collaudate capacità di dirigere un buon Action Movie ma, dall’altra, dimostra anche di saper cogliere l’intuizione geniale del nuovo Script. Gioca infatti con abilità ed umorismo sullo sviluppo dei caratteri dei protagonisti sottolineandone idiosincrasie, goffaggini e fragilità facendo così emergere con ironia le diverse personalità dei due fratelli. Il risultato è un’efficace ed equilibrata alternanza di azioni adrenaliniche e sparatorie con situazioni comiche paradossali. E’ questa la scommessa vincente. Aver puntato sull’alchimia fra i due caratteri e fra i due killer. Un gioco di contraddizioni e di opposti. Un risultato interessante, coinvolgente e divertente. Un film di azione stravagante a tratti duro e violento e contemporaneamente anche una Buddy Comedy. Al centro l’incontro fra i due fratelli, i loro vecchi traumi, il passato, le fragilità. Il duo Affleck e Bernthal in stato di grazia sostiene il film e va alla meraviglia. Hanno carisma, si divertono e divertono con le loro prestazioni ricche di sfumature. Sono credibili e i loro giochi e scambi di battute, tutte ben scritte, funzionano perfettamente, intrigano e, al contempo, esaltano il rapporto di fratellanza. Affleck è insuperabile nelle sue goffaggini o nei tentativi di socializzazione ma Bernthal gli ruba spesso la scena. Le sequenze dei combattimenti, le sparatorie e gli inseguimenti sono tutte di alto livello, ben filmate e ben coreografate.
The Accountant 2 pur senza allontanarsi troppo dal Concept di base è un film più maturo e consapevole del primo ma anche più leggero e divertente. Un audace e riuscito mix di azione ed ironia. Nulla di rivoluzionario o di eccezionale ma certamente un approccio narrativo insolito ed intrigante che soddisferà sia gli spettatori che cercano dei semplici stimoli emotivi sia quelli che apprezzano il buon vecchio cinema di intrattenimento e le storie ben raccontate.
data di pubblicazione:24/04/2025
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da Maria Letizia Panerai | Apr 23, 2025
Bruno (Edoardo Leo) e Terry (Micaela Ramazzotti) sono separati da tempo. Hanno una figlia, Emma (Gloria Harvey) che Bruno ha cresciuto da solo. L’uomo è molto metodico e cerca di imporre regole che l’adolescente Emma puntualmente disattende e contesta. Anche sul lavoro il suo socio Paolo (Claudio Colica), appassionato di vela, sembra non volerlo stare ad ascoltare spronandolo a prendere la vita con maggior leggerezza. Ma quelle regole sono la corazza di Bruno perché Terry, da tanti anni, vive presso una struttura a causa di un disturbo mentale.
Ma un giorno Angela la psicologa del centro (Anna Bonaiuto) comunica a Bruno che Terry è pronta ad affrontare di nuovo il mondo. Affinché però il reinserimento funzioni, è consigliabile che Terry torni a vivere per un breve periodo in famiglia con gli affetti più cari, suo marito e sua figlia. Solo allora sarà pronta per la sua nuova vita. Quella sorta di convivenza forzata, passaggio obbligato perché Terry non si spaventi più delle proprie fragilità, metterà ovviamente a dura prova Bruno. L’esuberanza e la schiettezza della ex moglie porteranno scompiglio nella sua triste vita, e dovrà inevitabilmente rivedere alcune restrizioni che si era imposto per andare avanti senza di lei.
Guido Chiesa con questa deliziosa commedia romantica affronta con leggerezza temi importanti, legati prevalentemente alla salute mentale e come essa si relaziona con i legami affettivi nella fase della ricostruzione dopo la rottura, mettendo in luce a livello emotivo la complessità di azioni che i due protagonisti sono chiamati ad affrontare. Nel film diventa una metafora potente il fatto che Terry pratichi l’antica arte giapponese del kintsugi (letteralmente “riparare con l’oro”), che consiste nel riparare oggetti in ceramica rotti usando una lacca mista a polvere d’oro. Come accade agli oggetti anche le persone possono “rompersi”, emotivamente parlando. L’applicazione del kintsugi valorizza le crepe rendendole parte della storia dell’oggetto senza cancellarle ma esaltandole, rendendo l’oggetto ancora più prezioso, non più rotto ma trasformato. Così le persone possono colmare le proprie lacerazioni e quelle “crepe” non cancellano l’amore ma lo rendono più prezioso.
Il film si mantiene in equilibrio tra dramma e commedia grazie anche alla coppia di attori che hanno affrontato i loro ruoli con sensibilità e consapevolezza. Entrambi si muovono in quella che potremmo definire la loro zona di comfort: Micaela Ramazzotti ha già affrontato in molti film ruoli similari così come Leo si muove in un terreno a lui non nuovo nell’ambito delle dinamiche di coppia. L’approccio di entrambi è empatico: i loro personaggi ad un certo punto, tra il serio e il faceto, in una specie di scambio di ruoli si mettono nei panni dell’altro scoprendo cose sino ad allora celate. Il risultato di tutto questo è un film gradevole, per tutti.
data di pubblicazione:23/04/2025
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