da Daniele Poto | Mar 15, 2024
con Alessandro Calamunci, Ilaria Fantozzi, Caroline Pagani, Mauro Toscanelli, Massimo Zannola, regia di Mauro Toscanelli
(Teatro Lo Spazio – Roma, 14/17 marzo 2024)
Vivien Leigh e il suo doppio. Riscoperta della popolare attrice che trova finalmente pace e si ritrova grazie a una figlia che si dibatte nella difficile rieducazione in un ospedale psichiatrico. Gradevole e fedele ricostruzione di un transfert con attori multi-ruoli. Prova di scrittura e di regia per una prima di successo.
Ricordata per la parte di Rossella ‘O Hara in Via col Vento, la Leigh è colpevolmente dimenticata per una carriera teatrale importante in combinato disposto con Laurence Olivier, forse il più grande talento del passato secolo. Ma qui c’è di mezzo una misteriosa figlia che, per le dottrine degli anni ’70, viene curata con l’elettrochoc. La scena del trattamento è la più intensa e vivida dello spettacolo. L’attrice e il suo doppio, tra realtà e fantasia, tra sogno e incubo, Così l’incontro tra le due è il pretesto per rivivere un’esistenza tra alti e bassi, tra soggiorni in Italia, malattia e diverbi sentimentali. Un’abbondante ora in cui scorre tutta la sua dimenticata vita. Il crudelissimo ma capace direttore del’Ospedale Psichiatrico procede indefessamente nel suo tentativo di recupero psichico della più giovane, nello scetticismo dei suoi più immediati collaboratori. Lo spettacolo è un omaggio ad una donna fragile, vera colta e anti-conformista, qui schermata attraverso le cure psicoanalitiche della supposta figlia. Un omaggio alla storia al teatro, a una vita che non perde ragione d’essere fuori dalle tavole del palcoscenico, ribellandosi all’umana caducità. Un significativo recupero di un’attrice significativa. Valore aggiunto, gli attori che interpretano i due grandi attori sono straordinariamente somiglianti agli originali. Capace uso degli spazi su due pedane e fedele ricostruzione di un’esistenza attraverso cambi di scena e incontri con sagace uso dell’accompagnamento sonoro.
data di pubblicazione:15/03/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Mar 14, 2024
L’unione fa la forza. Anche al cinema Ethan separato dal fratello firma un road movie che potrebbe essere quasi apparentato ai B movie. Una vacanza dal grande cinema. Un road movie in versione lesbo che non appassiona né come trama né come giallo. E il richiamo ripetuto all’omosessualità ha timbri pesanti al di là di ogni possibile moralismo.
La trama replica temi già visti nell’interessante filmografia battezzata dai Coen. I delinquenti maldestri, gli inconsapevoli latori di una fortuna che sfuggono a mille trappole. Dopo un avvio sanguinolento in 84 minuti la sinossi può essere ridotta a un inseguimento con nemmeno troppi imprevisti e con una conclusione frettolosa scarsamente appassionante e persino prevedibile. Non è un caso che il film abbia avuto scarsa eco negli Stati Uniti, soprattutto nei giorni degli Oscar, e un riscontro americano al botteghino davvero modesto per registi di questa portata. Il tesoro in questione è il calco di peni importanti. In ballo c’è anche un candidato alla Presidenza. La strana coppia di donne si rende conto tardi dell’importanza ricattatoria della preda. Tra gli spunti più felici del film l’abbinamento tra la spregiudicata lesbica che seduce piano piano la timida indiana e la porta progressivamente sul suo stesso terreno di spregiudicatezza. Il film insiste molto nella frequentazione di ambienti omosessuali. Non sarà contento il calcio femminile la cui immagine viene resa sessualmente unidimensionale. Il McGuffin caro a Hitchock qui viene sbandierato con lucida ripetitività. Commedia pulp intinta di vivaci cambi di inquadratura e di una tensione latente che movimenta la sceneggiatura. Aspettiamo migliori notizie in futuro: i due Coen torneranno a lavorare insieme e sicuramente sforneranno un’opera più significativa, questa ha in sapore di una vacanza dal grande cinema.
data di pubblicazione:14/03/2024
Scopri con un click il nostro voto:
da Daniele Poto | Mar 13, 2024
drammaturgia di Gabriele Di Luca, con Sebastiano Bronzato, Alice Giroldini, Sergio Romano, Roberto Serpi, Massimiliano Setti, Ivan Zerbinati, regia di Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi. Produzione Teatro dell’Elfo, Marche Teatro, Teatro Nazionale di Genova Fondazione Teatro di Napoli- Teatro Bellini
(Teatro Vascello – Roma, 5/17 marzo 2024)
Teatro italiano di massima innovazione e sperimentazione. Rappresentazione distopica dal ritmo incessante. Perlustrazione su un futuro atterrente. Gli ospiti di una clinica di riabilitazione di lusso diretti da un coach cercano di ristabilire un rapporto sano con la vita, liberandosi di dipendenze varie. Segni di un disagio esistenziale svolto tra liricità e divertimento.
La provocazione questa volta spara abbastanza salve nell’accumulo di troppi materiali, di un eccessivo uso di parentesi aperte e mai chiuse. Per un finale continuamente rimandato che si allarga addirittura alla fine dell’umanità. L’ambizione dello spettacolo si rifrange su un boomerang scagliato con troppa indeterminatezza per colpire un solo bersaglio. Ammirevole la tenuta degli attori per uno spettacolo che si conclude quasi a mezzanotte e che vede la più intensa partecipazione giovanile,visti gli eccellenti precedenti della compagnia, un soffio nuovo in un mainstream tradizionale. Ma la battuta per la risata fine a se stessa (la tisana al finocchio, la metafora di Adamo ed Eva, il linguaggio buffo del servitore del Bangla Desh, la gara di disegno con a tema la vagina) finisce con l’annacquare la tensione. La scrittura collettiva di tante mani attinge a un numero copioso di temi che proviamo ad enumerare: la dipendenza da cocaina, l’omosessualità con un desiderio di paternità, il business esasperato, il cambiamento climatico. L’umanità disintegrata sembra avere scarse possibilità di riscatto. Dunque l’iperrealismo mette tanta carne al fuoco in cerca di un focus in progress che si fatica a individuare. Più del finale conviene cogliere i singoli momenti che equivalgono a mini-tappe sperimentative. Un fermento che troverà nel futuro più comodo approdo.
data di pubblicazione:13/03/2024
Il nostro voto:
da Antonella Massaro | Mar 11, 2024
La 96a edizione dei premi Oscar, affidata di nuovo alla conduzione Jimmy Kimmel, conferma in larga parte i pronostici della vigilia.
Il film più premiato è Oppenheimer di Christofer Nolan, che si aggiudica 7 statuette (a fronte di 13 candidature) e che, soprattutto, viene incoronato come miglior film e per la migliore regia.
Anche i migliori attori sono quelli di Oppenheimer: Cillian Murphy miglior attore protagonista e Robert Downey Jr. miglior attore non protagonista.
Sul versante femminile, Emma Stone è stata premiata come miglior attrice protagonista per Povere creature!, mentre Da’VineJoy Randolph riceve la statuetta della migliore attrice non protagonista per The Holdovers.
Matteo Garrone non riesce a portare in Italia il premio per il miglior film straniero, che vola nel Regno Unito sulle ali de La zona d’interesse (confermando, anche in questo caso, i pronostici).
La migliore sceneggiatura originale è quella di Anatomia di una caduta, mentre il premio per la migliore sceneggiatura non originale va ad American Fiction.
Tra gli altri premi si segnalo quello al maestro Hayao Miyazaki, che vince il premio per il miglior film d’animazione con Il ragazzo e l’airone.
Un’edizione senza particolari sussulti, quindi, ma che ha visto in gara, per ciascuna categoria, film che hanno saputo catalizzare il dibattito degli ultimi mesi e molti dei quali (aspetto certamente non trascurabile) hanno (ri)portato in sala un pubblico desideroso di lasciarsi ammaliare dall’incantesimo del grande schermo.
Ecco, qui di seguito, le candidature per ciascuna categoria e i relativi vincitori!
Miglior film
American Fiction
Barbie
The Holdovers
Killers of the Flower Moon
Maestro
Oppenheimer
Past Lives
Povere creature!
La zona d’interesse
Miglior regia
Christopher Nolan — Oppenheimer
Jonathan Glazer — La zona d’interesse
Justine Triet — Anatomia di una caduta
Martin Scorsese — Killers of the Flower Moon
Yorgos Lanthimos — Povere creature!
Miglior attrice
Annette Bening — Nyad
Carey Mulligan — Maestro
Emma Stone — Povere creature!
Lily Gladstone — Killers of the Flower Moon
Sandra Hüller — Anatomia di una caduta
Miglior attore
Bradley Cooper — Maestro
Colman Doming — Rustin
Paul Giamatti — The Holdovers
Cillian Murphy — Oppenheimer
Jeffrey Wright — American Fiction
Miglior attrice non protagonista
Emily Blunt — Oppenheimer
Danielle Brooks — Il colore viola
America Ferrera – Barbie
Jodie Foster — Nyad
Da’VineJoy Randolph — The Holdovers
Miglior attore non protagonista
Mark Ruffalo — Povere creature!
Robert DeNiro – Killers of the Flower Moon
Robert Downey Jr. — Oppenheimer
Ryan Gosling — Barbie
Sterling K. Brown — American Fiction
Miglior film straniero
Io capitano (Italia)
Perfect Days (Giappone)
La società della neve (Spagna)
Das Lehrerzimmer/La sala professori (Germania)
La zona d’interesse (Regno Unito)
Miglior sceneggiatura originale
Anatomia di una caduta
The Holdovers
Maestro
May December
Past Lives
Miglior sceneggiatura non originale
American Fiction — Cord Jefferson
Barbie — Greta Gerwig, Noah Baumbach
Oppenheimer — Christopher Nolan
Povere creature! — Tony McNamara
La zona d’interesse — Jonathan Glazer
Miglior fotografia
El Conde
Killers of the Flower Moon
Maestro
Oppenheimer
Povere creature!
Miglior scenografia
Barbie
Killers of the Flower Moon
Napoleon
Oppenheimer
Povere creature!
Miglior montaggio
Anatomia di una caduta
The Holdovers
Killers of the Flower Moon
Oppenheimer
Povere creature!
Miglior sonoro
The Creator
Maestro
Mission: Impossible – Dead Reckoning Part One
Oppenheimer
La zona d’interesse
Migliori costumi
Barbie
Killers of the Flower Moon
Napoleon
Oppenheimer
Povere creature!
Miglior makeup
Golda
Maestro
Oppenheimer
Povere creature!
La società della neve
Migliore colonna sonora
American Fiction
Indiana Jones e il quadrante del destino
Killers of the Flower Moon
Oppenheimer
Povere creature!
Miglior canzone
“It Never Went Away”, American Symphony
“I’m Just Ken”, Barbie
“The Fire Inside”, Flamin’ Hot
“Wahzhazhe (A Song for My People)”, Killers of the Flower Moon
“What Was I Made For?”, Barbie
Migliori effetti speciali
The Creator
Godzilla: Minus One
Guardians of the Galaxy Vol. 3
Mission: Impossible – Dead Reckoning Part One
Napoleon
Miglior film d’animazione
Il ragazzo e l’airone
Elemental
Nimona
Robot Dreams
Spider-Man: Across the Spider-Verse
Miglior corto animato
Letter to a Pig
Ninety-Five Senses
Our Uniform
Pachyderme
War is Over! Inspired by the Music of John & Yoko
Miglior cortometraggio live-action
The After
Invincible
Knight of Fortune
Red, White and Blue
The Wonderful Story of Henry Sugar
Miglior cortometraggio documentario
The ABCs of Book Banning
The Barber of Little Rock
Island in Between
The Last Repair Shop
Nai Nai & Wai Po
Miglior documentario
Bobi Wine: The People’s President
The Eternal Memory
Four Daughters
To Kill a Tiger
20 Days in Mariupol
data di pubblicazione: 11/03/2024
da Daniele Poto | Mar 11, 2024
versione italiana di Marco Rampoldi e Gianluca Ramazzotti, regia di Marco Rampoldi, con Max Pisu, Nino Formicola, Giancarlo Ratti, Lucia Marinsalta, Giorgio Verduci, Roberta Petrozzi, scene di Alessandro Chiti, costumi di Adele Bargilli
(Teatro Manzoni – Roma, 29 febbraio/24 marzo 2024)
Un classico della comicità che ricalca le scene italiane con buona assiduità. Un meccanismo di giallo a orologeria che funziona come un cluedo. Tutti gli assassini sono buoni perché altamente plausibili. Nel senso che ogni sera propone un finale diverso a scelta del pubblico con funzionalissimi moventi e indizi nonché salvifici alibi..
Un cast con tre punte comiche: Pisu centravanti di sfondamento nel ruolo del rilasciatissimo gay parrucchiere e proprietario del luogo che è scena del crimine; Giancarlo Ratti dall’affabulazione sorniona, centrocampista di contropiede; infine Nino Formicola regista e direttore dei lavori che si rivelerà l’ispettore a cui toccherà il compito grato di tirare i fili della vicenda con vivaci interpellanze al pubblico. Due ore e mezzo di solido divertimento tirate su a buon ritmo, condite di doppi sensi e qualche ragionevole turpiloquio. Il teatro di Prati ha investito su un evergreen a lunga durata tenendolo in cartellone per quasi un mese, attendendo la risposta a un’esperienza di vivace teatro partecipato. In effetti succede di tutto, gli spettatori si vedono offerta partecipazione e caffè. Il delitto è il pretesto per la perlustrazione di esaurienti tipizzazioni. Comicità che sfiora ma evita la volgarità in un florilegio di battute dal ritmo incalzante. Dalle parti della commedia dell’arte con gli attori che vistosamente si divertono e sforano dal copione. Come quando Pisu e Formicola incappano in un bacio sulla bocca e se ne ritraggono inorriditi ma divertiti. Bravi anche i comprimari che si appoggiano a efficaci caratterizzazioni, sorretti da dialoghi funzionali, riveduti e corretti in chiave nazionale, a tratti capitolina.
data di pubblicazione:11/03/2024
Il nostro voto:
da Paolo Talone | Mar 11, 2024
con Veronica Rivolta, regia di Sara Younes e Federico Malvaldi
(Teatro Spazio 18b – Roma, 7/17 marzo 2024)
Nei giorni in cui si ricorda con più attenzione la lotta ai diritti per le donne, è in scena al Teatro Spazio 18B, la sala teatrale nel quartiere di Garbatella gestita dalla Compagnia dei Masnadieri, il nuovo testo del giovane e promettente autore Federico Malvaldi. Camille Claudel, artista allieva e amante di Auguste Rodin, racconta la sua disperata verità nell’interpretazione di Veronica Rivolta, La donna di pietra.
La figura della scultrice francese Camille Claudel – di cui si celebrano quest’anno i 160 anni dalla nascita – è colta nel pieno delle sue persecuzioni e dei ricordi che la abitano. Chiama in causa direttamente il pubblico per confessare la propria verità e rendere giustizia di sé e della sua memoria. Resa dura come la pietra dalla sofferenza, è inasprita dall’isolamento. Ha conosciuto la povertà, sommersa dai debiti, e la difficile condizione di amante rifiutata e scacciata. Ha persino avuto un aborto. Come ricompensa ai sacrifici e alle umiliazioni subiti per la sua arte, ora è rinchiusa nel manicomio di Montdevergues in Vaucluse, per volere dei suoi familiari, dove rimarrà fino alla morte. Aspetta invano qualcuno che venga a prenderla per riportarla nell’amata casa di famiglia a Villeneuve, via da quell’inferno. Una consolazione effimera arriva da una compagna di reclusione, Marie. La compassione del suo sorriso senza denti è l’unica espressione di tenerezza che le è rivolta, quella che le hanno negato il fratello Paul, famoso poeta e cattolico fervente, e Rodin, l’inganno e insieme l’amore più grande della sua vita. La madre, una donna dal carattere severo e intransigente, non andrà mai a farle visita. Solo il ricordo del padre – unico a incoraggiarla negli studi artistici – e quello delle amiche della giovinezza scalderà un poco il gelo delle pareti del ricovero.
In teatro Camille Claudel è apparsa già come personaggio nei due atti di Camille (1995) scritti da Dacia Maraini e in tempi più recenti nei lavori di Anna Cuomo, Vera Gargoni e Chiara Pasetti. Adesso è un uomo a scriverne, Federico Malvaldi. Il suo testo La donna di pietra, prodotto da Remuda Teatro e diretto dallo stesso Malvaldi insieme a Sara Younes, è un’opera di poesia che fonda l’azione nell’uso sapiente della metafora. Le immagini minuziose di cui si serve comunicano la straziante umanità del personaggio. L’indagine restituisce i fatti con fedeltà. È una scrittura colta, documentata, capace di far dialogare il dato storico con un sentimento vivo, pulsante.
Camille è colta nel momento in cui è stata derubata di tutto: della libertà e di una materia da plasmare. Ma soprattutto del movimento. Veronica Rivolta, a cui è affidato il personaggio, recita seduta su uno sgabello. Demanda a pochi ma significativi movimenti compiuti con le mani e con lo sguardo la sua ribellione alla clausura e all’isolamento. Modella l’aria non come se fosse un gesto teatrale, evocativo, ma perché è il vuoto la sola cosa che la circonda. L’azione scenica è affidata completamente alla parola. Non c’è traccia di pazzia nella sua interpretazione, ma solo un’ostinata e sfrenata voglia di vivere.
Camille è una donna di pietra perché non ha ceduto ai dettami di una società maschilista. La sua denuncia diventa così universale e raccoglie il grido di tutte le donne soffocate come lei. Chi rimane in silenzio non fa altro che essere complice di questa violenza.
data di pubblicazione:11/03/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Mar 10, 2024
con Nando Paone, Daniela Giovannetti, Valeria Almerighi, regia di Antonio Calenda
(Teatro Basilica – Roma, 6/10 marzo 2024)
Esemplificazione del teatro dell’assurdo per una prima rappresentazione del 1951, riferimento naturale la Francia e principalmente Parigi per la fuga di massa degli intellettuali romeni. Fuori dalla cronaca e dalla politica ma qui con un chiaro riferimento al nazismo e alla sua insensatezza. Certo non il principale focus dell’autore.
Rapporto a tre: il professore, l’allieva e la governante, prima ostile, poi fattiva collaboratrice di un omicidio. Anzi assassini in serie contando fino a quaranta, in un rituale macabro e ripetitivo. Di andamento ciclico. Cioè un’allieva viene inizialmente ben accolta e assai lodata per l’assolvimento di semplici operazioni matematiche per l’acquisizione di un presunto titolo di studio totale. Poi il rapporto si intorbida, i quesiti diventano sempre più complessi e sempre più assurdi. Così l’aggressività e la violenza del professore, prima latente, si manifesta completamente nell’accoltellamento che pesca la discente in un atteggiamento osceno. Il manifestarsi del suo disagio in un metaforico e sempre più insostenibile mal di denti. Gli interrogativi ora linguistici e non più matematici si dispiegano nel non senso con lambiccate tentativi di traduzione dall’italiano al rumeno al francese. Se il teatro è contraddizione, qui la manifestazione del busillis è evidente e fastidiosa, fino a mettere lo spettatore in una situazione di voluto quanto comprensibile disagio. Era il minaccioso teatro degli anni ’50 anche se questa vulgata non rappresenta certo il culmine dei grovigli ioneschiani. La vita sembra un continuo punto di partenza. Il professore ucciderà ancora in un rituale ripetitivo che sembra riprodurre il ferino homo homini lupus hobbesiano. Il male di vivere è una ripetizione ostinata che non ha vie di salvezza. Un pessimismo cosmico avvolge la rappresentazione. Bravi e imperfettibili gli interpreti: attore giusti canonicamente gestiti da Calenda.
data di pubblicazione:10/03/2024
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Mar 10, 2024
Al Teatro India di Roma è stato scena dal 6 al 10 marzo 2024 Uno spettacolo di Leonardo Manzan scritto e interpretato da Leonardo Manzan. Il giovane e talentuoso autore e regista, due volte vincitore della Biennale di Venezia con gli spettacoli Cirano deve Morire nel 2018 e Glory Wall nel 2020, approccia questa volta il mondo dell’arte contemporanea, allestendo un vernissage in cui espone se stesso su un piedistallo.
Un dialogo diretto con lo spettatore garantito da cuffie personali, una assistente di sala a disposizione (la brava Paola Giannini) per ogni comunicazione necessaria, un piedistallo ed un’opera d’arte live in tutta la sua integrità. Qualche attimo per comprendere e parte lo spettacolo con un breve compendio di storia dell’arte, dalle grotte di Lascaux alle opere di Cattelan di cui si elogia la bravura e l’astuzia nell’aver trasformato una banana da 75 centesimi in un’opera d’arte da 120 mila dollari.
Come si realizza o meglio come si presenta un capolavoro? Bisogna innanzitutto esporsi in prima persona ed il segreto sta proprio nel proporre se stessi come opera d’arte vivente, perfetta, esaustiva. Ecco allora che sul piedistallo c’è Leonardo Manzan esposto nella sua nudità.
Essendo un’opera d’arte non c’è imbarazzo nell’essere descritta nel dettaglio, nel permettere agli spettatori-visitatori di vederla da vicino. Altezza, larghezza, superficie, volume.
Un dialogo intelligente fatto di sollecitazioni e battute che portano il sorriso e la riflessione, col continuo coinvolgimento del pubblico invitato anche ad alzarsi in piedi e a partecipare a test.
Una scelta provocatoriamente autoreferenziale che vuole essere una sorta di appello accorato agli artisti per riprendersi i piedistalli con dignità e consapevolezza. Uno spettacolo che arriva in maniera efficace, che dialoga con altri linguaggi assemblando idee e percezioni, per aprirsi ad un teatro più rischioso ma aperto ad una platea non solo di addetti ai lavori che se la raccontano tra loro. Il risultato è splendido perché si esce con la consapevolezza di aver compreso appieno l’opera Leonardo Manzan ed aver capito che anche la buccia di banana è commestibile.
data di pubblicazione:10/03/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Mar 8, 2024
regia e adatgtamento di Fabio Gravina, con Mara Liuzzi, Antonio Lubrano, Paola Fulciniti, Eduardo Ricciardelli, Floria Giannattasio, Raffaele Balzano, Carmine Iannone, scene e costumi di Francesco De Summa, musiche di Mariano Perrella
(Teatro Prati – Roma, 9 febbraio/24 marzo 2024)
Continua il festival Scarpetta nel 26esimo anno di di attività del teatro legato a Fabio Gravina. I consueti tre tempi incalzanti, comici, ritmici, senza pausa per l’abituale successo di pubblico. Compagna affiatata dalla collaudata sinergia attoriale.
Siete capaci di trovare uno spettacolo nella stagione ‘23-24 sulla piazza di Roma che abbia una tenuta di un mese e mezzo? Il record stai qui ed è forse anche nazionale senza la pretesa di rivaleggiare con il primato di resistenza britannico di The Mousetrap tratto da Agatha Christie. Il segreto è che si può fare dignitosamente teatro leggero e non serioso, con gli stilemi di una farsa con rigore filologico e massima rispetto per le intricate trame di Scarpetta, anticipatore della regia dei De Filippo. Gravina è travolgente ma non sovrasta i bravi solisti del suo gruppo, rappresentando per l’ennesima volta le disavventure di Felice Sciosciammocca, vessato da una moglie che detiene il passaporto di casa e che per opportunità sarà disposta a passare sopra a un suo annoso tradimento. I protagonisti principali hanno quasi tutti qualcosa da nascondere nel gioco delle imposture e dei ritrovamenti. Ma nel finale tutti conti tornano: la pace in famiglia è di nuovo scritta e con essa il lasciapassare per il contrastato matrimonio della figlia di casa. Dialetto napoletano aggirabile anche per i romani, tinto di una vivacità viscerale che quasi parla da sé. Gravina ribadisce la fiducia nella farsa, repertorio a cui appartengono di diritto Curcio, Fayad e Feydeau. Per concludere la stagione manca solo un ultimo atto, anzi tre, ancora legati al nome di Scarpetta, nel segno di un teatro a suo modo resistente alle mode.
data di pubblicazione:08/03/2024
Il nostro voto:
da Salvatore Cusimano | Mar 7, 2024
La miniserie in onda su Sky in 6 episodi racconta di Ale (Stefano Accorsi) e Anna (Micaela Ramazzotti), due ragazzi che negli anni ’90 si conoscono in Interrail, s’innamorano e vivono un’avventura in Spagna ma poi ognuno tona alla propria vita, senza per questo mai smettere di scriversi.
Ale ed Anna si ritrovano quasi 20 anni dopo, ognuno con le proprie vite e le proprie strade intraprese, fatte di vita familiare (Anna) e di carriera (Ale). Si parla di un amore (im)possibile che percorre il tempo e lo spazio che separa i due protagonisti. La serie è un continuo ping-pong tra il passato e il presente, con in mezzo una linea temporale fatta dal racconto epistolare delle voci fuori campo di entrambi i protagonisti. Ne viene fuori una narrazione che a tratti confonde lo spettatore, in uno schema in cui si fa fatica a posizionare nel tempo il lungo scambio di corrispondenza tra i due. Ciò nonostante, lo script è abile a svilupparsi con gli episodi, soprattutto con l’ultimo episodio, collocato qualche anno dopo il corpo centrale degli eventi.
Ogni storia d’amore è un cosmo a sé stante. E questa storia non scampa a questa legge, anzi la conferma con vigore. Ale e Anna sono una “non coppia”, ma i loro veri sentimenti sono come fuoco nascosto sotto la sabbia per tanti anni ma le braci restano sempre accese e basta un nulla per riaccenderlo. Ale e Anna sono un continuo mix di rimpianti e rimorsi e così Un Amore diventa una serie su un amore improbabile che diventa probabile, portandoci sempre a chiedere “chissà come finirà”.
Innegabile poi l’alchimia che si crea tra i due attori, anche nelle loro versioni giovanili, interpretate da Luca Santoro e Beatrice Fiorentini, naturali e mai forzati, efficaci quasi quanto i protagonisti adulti.
Al regista piace poi indugiare sui primi piani, sulle location che vanno dalle piacevoli località spagnole alla nostra Bologna, decorate da una bella fotografia che ne mette in evidenza tutta lo splendore e la poesia.
data di pubblicazione:07/03/2024
Gli ultimi commenti…